di Angei Sandro - Sanna Stefano - Sanna Gigi
Nelle precedenti puntate abbiamo potuto vedere che la Sardegna nuragica
non finisce, quanto a ‘religio’, con scrittura ad essa organica e ad architettura santuariale,
con la sconfitta di Amsicora (215 a.C.) ma prosegue nei secoli successivi, con sue particolari forme
innovative, ma pur sempre assai legate alla tradizione .
La facciata del tempietto di S'eremita Matteu
di Narbolia e le scritte nuragiche in essa presenti, il culto dell’acqua
sgorgante dalla parete del tempio, l’orientamento architettonico agli equinozi (1), tipico dei templi nuragici, anche
all’aperto, sono stati i primi indizi ‘forti’ della prova dell’esistenza nel
III – IV secolo d. C. sia della prosecuzione del culto monoteistico della
divinità tradizionale yh (o yhh,yhw,yhwh), venerata a far data da un
periodo antichissimo (2), sia della
continuità dell’ideologia del nr ’ac hē , del toro (soli - lunare) figlio della
divinità, ovvero della continuità istituzionale di un monarca ‘giudice’ (3) di origine divina. Ma mentre non
poco si riesce a ricavare e a conoscere sugli aspetti religiosi e culturali
delle popolazioni nuragiche sotto il dominio repubblicano e imperiale romano,
nulla possiamo dire sul versante istituzionale politico. Non sappiamo in quale
forma i nuragici ‘resistenti’ dell’interno, restii ad accettare la dominazione,
sia siano governati per secoli e secoli. Ma non è poi così difficile
immaginarlo. La figura di Ospitone dux dei Barbaricini, di cui si
è detto (4), un capo assoluto che spunta come tale (5) nel secolo di Gregorio Magno, sembra costituire la prova
indiretta che, se continuità religiosa ci fu, dovette esserci anche quella di
una guida materiale e spirituale assieme, di un semidio o dio in terra ‘figlio del toro della luce’. Mancano tanti anelli di una lunga catena politica
dei vinti senza storia ma quella catena con ogni probabilità vi fu.
Abbiamo visto anche come i tre piccoli santuari di Narbolia, di Riola e
di Cabras, possiedono delle scritte con la stessa invocazione ovvero RF,
‘salva, guarisci’. In quello di Riola, forse costruzione la più piccola di
tutte (6). l’invocazione è riportata
nascostamente anche in greco (IAI), ottemperando così ad una norma che vuole la
scrittura a rebus e in mix così come
dalle origini (7). Una scrittura,
ricordiamolo per l’ennesima volta, che in quanto criptica e oscura non doveva
essere letta perchè ‘sacra’: intangibile e incontaminabile. Ma il gioiello
epigrafico di Riola esplicita, sia pur nella forma del rebus, il nome della
divinità salutifera e salvatrice, facendoci vedere scritto per la prima volta il nome
di IACCI e facendoci capire quindi che IACCI è la divinità venerata in tutti
gli altri tempietti del Sinis o nei pressi di esso; non solo, facendoci
comprendere, con grande chiarezza, anche che Santu Jacci o Santu Jacu non hanno niente a che fare
con il successivo San Giacomo della
chiesa cattolica cristiana. Ergo, centinaia di templi non furono eretti per la
cristianità ma per le forme religiose dello yhwhismo
nuragico, intramontabile, adoratore della
luce e della doppia potenza taurina di quella luce.
Ma il dato più interessante circa
la religio, la scrittura e l'architettura presenti nelle tre località è costituito dal fatto che esso si sposa con
quello notissimo di San Nicolò Gerrei, dove ugualmente la documentazione
epigrafica e archeologica, sia quella diretta sia quella indiretta, offrono
concordanze impensabili sino a qualche mese fa.
Tutti sanno che nel 1861 in località Santu
Jacci di san Nicolò Gerrei fu ritrovata una ‘stele’ (in realtà un cippo) trilingue (8).
Si tratta di una base in bronzo, resto di un oggetto di pregevole fattura,
purtroppo andato perduto, che reca una scritta latina, una greca e una
semitica; quindi tutte leggibili più o meno agevolmente. Anche se le scritte
divergono per particolari linguistici e non si possono ritenere l’ una
traduzione dell’altra, il senso generale è lo stesso in quanto si dice (9) in tutte di un certo Cleone che offre il suo
‘donum’ (ἀνάθημα) per grazia ricevuta agli dei apportatori di salute Asclepius,
Άσκλήπιος ed Eshmun, tutti enfaticamente gratificati con l’appellativo di
‘merre’ (10).
Molto si è detto e scritto sul significato di una dedica con un unico
contenuto ma espresso con tre alfabeti e tre
lingue. Si è avanzata anche, in relazione a ciò, la non peregrina ipotesi che il motivo fosse
dovuto alla comunicazione mirata ad un pubblico differenziato (11) al quale sarebbe andato il diverso
tenore linguistico - informativo del cippo. Le scritte, nel complesso, non ci
paiono stilisticamente un granché ma l’abilità e la competenza linguistica
dello scriba nuragico, anche per ciò che si dirà più avanti, è fuori
discussione; tanto da potersi condividere con una certa tranquillità l’assunto
dei tre livelli comunicativi. Infatti, può essere che la maggiore estensione e ampiezza
di senso presente nella parte semitica (sardo punica) possa autorizzare a sostenere
che questa, in fondo, e non il latino, era la lingua, insieme al greco, che
maggiormente interessava il dedicante Cleone, persona di condizione servile, ma forse restia ad
ammetterlo con chiarezza laddove il testo si presentava di più facile lettura
linguistica. Lo scriba sardo potrebbe averlo assecondato nel mascherare il più
possibile il suo status, praticamente risultante così da una sola abbreviazione. Secondo
noi però sia le tre lingue che i tre alfabeti non obbedivano tanto a scopi
comunicativi (i testi nuragici sembrano caratterizzarsi sempre o quasi sempre per
mancanza di pragmaticità informativa) quanto espressivi religiosi, ovvero al
rispetto del solito ‘modus scribendi’ del nuragico che, da tempo immemorabile, amava procedere, come si è visto anche
recentemente dalle due tarde iscrizioni di S'eremita Matteu e di Santu Jacci di Riola (12), con la scrittura in mix a rebus.
Rispettando, soprattutto, la presenza del numero ‘tre’. Infatti, il tre è il numero ‘sacro’ della divinità, con
significato pronominale di ‘LUI/LEI’. Oggi l’ampia (e sempre più ampia)
documentazione del sardo nuragico scritto (13)
consente di affermare che il più delle volte (14) i nuragici preferiscono
fare cenno ad essa in questo modo (ideografico - numerico) così nascosto e
astratto, piuttosto che riportarla con dei segni concreti (segni lineari o
pittografici). E che le cose stiano così lo dimostra non solo il fatto che
tre sono le lingue e tre le tipologie di scrittura ma anche
che tre sono le divinità salutifere dell’iscrizione.
Queste tendono a realizzare cripticamente, con la loro allusione sia all’unità
di sostanza e di qualità circa la sfera religiosa sia al loro specifico numero,
il nome della divinità del luogo, quella più importante (15) a cui si rivolge indirettamente Cleone.
Insomma la iscrizione trilingue di Santu Jacci di San Nicolò Gerrei altro
non sarebbe, con le sue tre lingue e i numerosi grafemi, che una versione ‘dilatata’ di altre scritte nuragiche
in mix e a rebus più o meno brevi, comprese quelle di Narbolia e di Riola (16).
Questo ‘gioco’ numerologico logografico (e non solo per il numero ‘tre’)
non appaia per nulla strano; esso era tanto radicato e caratteristico della
civiltà della scrittura nuragica che fu preso quasi di peso anche dagli scribi dei
santuari Etruschi, già a partire dagli albori (VII secolo a.C.) dell’invenzione
e dell’organizzazione del loro codice di scrittura religiosa (17). Tanto che siamo indotti a pensare
che qui, nel caso specifico, forse non si è di fronte ad un fenomeno di esternazione
di sincretismo religioso, per quanto questo fosse presente nella Sardegna
nuragica e ben documentato (18).
Ora, la divinità sarda della ‘salvezza’ e dei ‘rimedi’, unica dispensatrice di salute per gli
ammalati e i sofferenti, venerata con le invocazioni ‘RUF’ e ‘IAI’ (semitica l’una voce e greca l’altra), risulta essere IACCI, come dimostrano i tempietti di S'eremita Matteu di Narbolia, di Santu Jacci di Riola e di Santu Srabadoi (19) di Cabras; o meglio, Santu Jacci dal momento che essa è la
sua denominazione completa e costante (nessuna località in Sardegna mostra
avere mai un semplice toponimo Jacci
o uno Jacci accompagnato da altri
aggettivi) anche quando il nome, nelle regioni centro settentrionali della Sardegna, risulta
Jaccu.
Come si è visto sopra anche la località precisa di San Nicolò Gerrei, nella quale è stata trovata la iscrizione
trilingue, si chiama Santu Jacci; prova
indiscutibile che Jacci è la divinità
nascostamente citata nell’iscrizione insieme e attraverso quelle riportate in modo manifesto e
apparentemente le sole presenti. Il ‘miracolato’ Cleone quindi ha dedicato il
suo dono al tempio e alla divinità sarda ‘me(r)re’, sicuramente triplice titolo
‘sardo’ questo (20) che viene dato, si direbbe maliziosamente, più per il ‘tre’ del sardo Jacci che per gratificare le altre
divinità che sarde non sono e che pertanto si trovano accompagnate da un titolo
improprio e del tutto inconsueto.
Vedi anche
Note
e riferimenti bibliografici
Per "Vinti senza storia,ma quella catena con ogni probabilità vi fu" cosa si intende per voi?
RispondiEliminaSciogliamo le catene.........Buon 1 Maggio
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