giovedì 10 febbraio 2022

La terza ombra della sera

  

Fig. 1
di Sandro Angei

Lo studio di questa statuina nasce in modo inaspettato durante la ricerca dell'immagine di un volatile postata da un commentatore nella pagina Facebook del Prof- Sanna.

Nel cercare nel web quella immagine mi sono imbattuto in un saggio di Giulio Quirino Giglioli, illustre archeologo (1886-1957), che menziona e descrive oltre a quello strano volatile, la statuina qui rappresentata, la cui immagine non risulta reperibile nel web ma è custodita comunque  nel Museo Nazionale di Villa Giulia in Roma

Il reperto ha attirato la mia attenzione perché nella pagina di Facebook su menzionata il Prof. Sanna ha condiviso un suo articolo, pubblicato in questo blog dal titolo "L’ OMBRA DELLA SERA DI VOLTERRA E QUELLA DI SAN GIMIGNANO. MISTERO? NO. OGGETTI APOTROPAICI. BASTA ‘TRADURRE’ IL METAGRAFICO CON LA CHIAVE A.I.N", che tratta, dandone

un'interpretazione, dal punto di vista metagrafico due statuine simili a quella qui presentata.

La stringente similitudine delle tre statuine ci dà modo (ce ne fosse ancora bisogno) di poter avvalorare, reperto dopo reperto, la presenza della scrittura metagrafica nell'oggettistica e nell'arte funeraria etrusca.

Vediamo di descrivere la prima idea che trasmette l'immagine.

Di certo la statuina ideograficamente è simile a quelle descritte e interpretate dal Prof. Sanna. La scultura raffigurante un giovane, allungata com'è, dà subito l'idea della lunghezza e della giovinezza intesa, penso, come un continuo ringiovanimento. La figurina così alta e snella di certo ha necessità di essere saldamente infissa alla base, come già affermato dal Prof. Sanna e per tanto in modo ideogrammatico l'immagine nella sua interezza restituisce il senso di sicurezza, di certezza. Ne consegue che si ottiene come nelle altre statuine la prima parte della formula apotropaica con il senso di "certezza di lunga giovinezza" .

Notiamo ora che il giovane ha in testa una corona (lat. cŏrōna) raggiata che tiene (sostiene) i capelli (lat. căpillus).

Il ragazzo veste un chitone (grec. χιτων) del quale l'artista a rimarcato in modo molto evidente il bordo (grec. (κράσπεδον). Senza il rimarchevole ingrossamento del bordo, la superficie del chitone non sarebbe diversa da quella della pelle nuda del personaggio, che non presenta capezzoli né ombelico. Perciç è quella bordura che fa la differenza.

IL giovane nella mano destra sostiene e ferma col pollice una patna recante  al centro del  "circulum" un "centrum", aspetto che suggerisce quindi l'acrofonia di C+C, ossia: sostegno di C+C. La lettera "Ɔ" etrusca denota il numero 3 e ha il significato di luce, significato quest'ultimo individuato da tempo dal Prof. Sanna fondato sul dato del volgere astronomico del Sole e della Luna nel cielo, espresso nei tre momenti giornalieri del sorgere, distendersi nell'arco celeste e infine curvare al tramonto.

Si noti che il chitone parte dalla spalla sinistra, benché dalla Fig. 1 si abbia la percezione che sia monca del braccio (vedremo più avanti che non è così). Dal chitone, al livello dell'anca, sporge un oggetto che l'archeologo G.Q. Giglioli descrive come un vasetto. Di primo acchito avevo qualche dubbio su questa interpretazione [1] che però è stato fugato dalle immagini di un video comparso su YouTube nel quale si vede chiaramente che l'oggetto, forse proprio un vasetto, sembra essere sostenuto dal giovane sul palmo della mano sinistra; tant'è che l'iniziale parvenza del personaggio monco di un braccio, viene fugata del tutto e si può affermare che l'arto, benché piuttosto camuffato, è aderente al corpo, come del resto si evince da altre simili sculture.

Fig. 2

A questo punto possiamo dire che, per "iterazione logografica" (Sanna) i quattro "sostegni" possono significare  per convenzione numerologicaforza del sostegno.

Riprendiamo ora la descrizione dell'oggetto che spunta dal chitone per dire che, al di là della sua funzione, questo riporta nella parte superiore tre piccole sfere (particolare che abbiamo colto sempre dal video) e che si riesce a individuare nettamente da tre diverse angolazioni (Fig. 3a, 3b e 3c).

                               Fig. 3a                                                                   Fig. 3b
Fig. 3c

Si notino le immagini: 3a ripresa di fronte, 3b ripresa dal lato destro e 3c ripresa dal lato sinistro che dimostrano la presenza dei tre globi.

Per tanto quell'oggetto recherebbe scritto in modo numerologico il 3 (numero delle sfere). Sfugge ancora qualcosa però. Manca ancora un 3, che sia esso ideografico, numerologico o acrofonico.

Lo studio del bronzetto nella sua interezza mostra che è l'offerente stesso a rendere in modo ideografico il 3; infatti egli solleva il braccio destro con la patna in mano (lo si vede chiaramente dalla Fi. 3c), distende sotto il chitone il braccio sinistro e piega in avanti la mano sinistra per sostenere l'oggetto. L'ideogramma è un "topos" come da tempo afferma il Prof. Sanna, dato che lo ritroviamo praticamente in tutte le statuine che siamo riusciti a trovare nel web [2].

Se così è, abbiamo individuato quattro volte il C+C, cioè una seconda iterazione logografica che restituisce numerologicamente la formula: forza di C+C, ossia la forza del 3+3 ossia la forza della doppia luce (di Tin e Uni, del Sole e della Luna).

Ma vediamo nell'insieme della figura la posizione dei segni e dei segnali (Fig.3):




Fig. 3

la C della corona (Corona) è connessa alla C dei capelli (Capillus
Nella patna  la C di Circulum è connessa alla C di Centrum
Il χ (omofono del C etrusco) di χιτων connesso al bordo (κράσπεδον) dello stesso chitone che restituisce il k (omofono del C etrusco).
In fine ancora il 3 ideogrammatico (dato da: solleva braccio destro, distende braccio sinistro piega mano sinistra) connesso ai 3 globi. tenuti con la stessa mano sinistra.

Come si vede sembra che si rispetti, tra l'altro, una delle regole fondamentali del metagrafico; quella che evita la possibilità di ricercare acrofonie per ogni dove, associando l'acrofonia di un particolare con l'acrofonia di un altro particolare al primo strettamente legato; quella che il Prof. Sanna definisce acrofonia organica.

Per tanto possiamo completare la frase criptica nel seguente modo:

Certezza di lunga giovinezza della lunga protezione della  forza del  sostegno della forza della doppia luce.

Ancora una volta l'oggetto si dimostra di natura apotropaica e ubbidisce alle regole dello A.I.N. (Acrofonia, Ideografia e Numerologia).

Esso non si discosta dunque, come lessico e come senso dalle "scritte" delle due statuine  da poco interpretate dal Prof Sanna che recitano l' una  Certezza di lunga giovinezza della luce dell’androgino e l'altra Sicurezza di lunga giovinezza della lunga protezione del lungo sostegno della potenza del Sei androgino.

note e riferimenti bibliografici

1 L'immagine di Fig. 1 per via della ingannevole prospettiva restituisce il braccio destro che sembrerebbe troppo corto rispetto al braccio che tiene l'oggetto in posizione molto bassa. 

2 Osserviamo tutte le statuine reperite nel web e analizziamole una per una dal punto di vista della sola postura, senza entrare nei particolari di carattere numerologico e/o acrofonico.

Fig. A -  si noti che la nostra statuina sembra mostrare nella mano sinistra un oggetto con u solo globo, ma questo è dovuto alla alla posizione di scatto, perché l'oggetto reca tre sfere, che sono entrambe occultate da quella in primo piano.

Fig.A:

1° statua da sinistra: solleva la mano destra, distende il braccio sinistro, piega la mano sinistra.

3° statuina da sinistra:  solleva la mano destra, distende il braccio sinistro, piega la mano sinistra.

4° statuina da sinistra:  solleva la mano destra all'altezza dell'anca, distende il braccio sinistro, piega la mano sinistra serrando un'anguilla nel pugno.

5° statuina da sinistra:  solleva la mano destra, distende il braccio sinistro, piega la mano sinistra.

Fig. B - solleva la mano sinistra, distende il braccio destro, piega la mano destra.

Fig. C - solleva la mano destra, distende il braccio sinistro, piega la mano sinistra.

Fig. D - sporge il braccio destro dal corpo, distende il braccio sinistro, piega la mano sinistra.


  

Fig. E - Spuntano le piccole mammelle, allunga (distende) l'ombelico, curva il pene.


  

Fig. F - solleva gli enormi pollici (destro e sinistro), distende il palmo delle mani, piega le braccia.

 
Fig. G1                                                        Fig. G2

Fig. G: dal Museo di Cliveland  USA https://www.clevelandart.org/art/1985.3  solleva la mano destra, distende il braccio sinistro, piega la mano sinistra.


Fig. H: Poi vi è questa statuina dal MANU (Museo Archeologico Nazionale dell'Umbira) purtroppo monca della parte inferiore, e con probabile postura alterata  delle braccia, che consente solo una lettura parziale.



Fig. I: la cosiddetta Afrodite di Nemi (custodita presso il museo del Louvre) è di certo la più enigmatica delle sculture etrusche con la sua rigidità formale che cela profondamente il messaggio metagrafico.

Continuiamo la rassegna con altre due statuine sempre femminili che, in un modo o nell'altro, ripetono il messaggio apotropaico nascosto. 
 
Fig. L

Fig. M


In ragione di queste evidenze mi sembra sia necessario completare la prima parte della formula apotropaica nel seguente modo: Sicurezza della lunga giovinezza del 3..., frase che troviamo perfetta nella interpretazione che dà il Prof. Sanna del giovane completamente nudo e le braccia distese lungo i fianchi (Fig. E).







5 commenti:

  1. Non so. Devo studiarla con calma. Soprattutto dove sostieni l'ideogramma del SDC e lo riproponi in tutte le altre statuine della stessa tipologia (ombre della sera). La lettura, come sempre, è problematica ma un dato sembra certo. Che il tuo sforzo di interpretare e lo specchio con la musica e il ballo del satiro e della menade e ora questa 'terza' 'ombra della sera' mi sembra fruttuoso. Capire la presenza del 'sostegno' e della divinità è già moltissimo. In ogni caso, 'interpretare' il significato di quelle strane statuine non è stato temerario e la chiave epigrafica sembra aver dato senso anche a te. Questo è quello che più importa. Se poi ci sono errori e abbagli e qualcuno 'dirà' diversamente perchè diversamente vede e interpreta meglio non cambia granchè. L'interessante, come si dice è il 'succo' del senso riposto nell'oggetto. Cioè che quella è una statuina magica apotropaica. Dire, come si dice, che le lunghe statuine sono strane o 'mostruose' senza spiegarlo (o almeno tentare di spiegarlo) non serve a nulla. Così come non serve granchè metterle sul letto di Procuste dell'estetica. Concludo dicendoti che quelle tre sfere (che per fortuna hai individuato) mi sembrano proprio un tre che concorre a dare il 'sei' necessario per ottenere insieme alle acrofonie il nome della divinità. Non posso che incoraggiarti a continuare, magari con 'documenti', per così dire, più 'facili'. Perchè, se la 'chiave' funziona vuol dire che è stata ritrovata una scrittura antica a rebus completamente smarrita.

    RispondiElimina
  2. Caro Professore, il suo incoraggiamento suscita in me un senso di appagamento per lo sforzo che ho profuso nella interpretazione di questa statuina. Sforzo legato al dover seguire delle regole stringenti, che benché non siano ancora suffragate dall'intero corpus iconografico accessibile (e per “accessibile“ intendo tutti i reperti conosciuti a livello globale – ma sarebbe davvero un lavoro immane per il nostro “dipartimento” visionare e studiare migliaia di reperti), regole che risultano con una certa evidenza e costanza in quei “pochi” (ma non sono così pochi) oggetti e figure studiate da Lei e quelle da me analizzate. Verrà il momento, ne sono sicuro, che queste regole che utilizziamo ma con molta cautela riteniamo tali, saranno il “modus operandi” da seguire nella interpretazione del “mondo Etrusco”.
    Devo confessare, a posteriori, che l'essermi lanciato a interpretare una scultura “a tutto tondo” è stato un azzardo. Un azzardo perché una statua di tal fatta può riservare sorprese; e non avessi visionato il filmato che ho trovato su YouTube di una visita guidata al Museo di Villa Giulia, nel quale la statuina è visibile da un ampio ventaglio osservativo, probabilmente oggi non sarei qui a rispondere al suo commento. Troppe sarebbero state le incertezze sulla mano sinistra e sull'oggetto che il personaggio tiene in quella mano.
    Per quanto riguarda l'ideogramma del S.D.C. Che mi sembra di individuare in tutte le statuine di medesima fattura che sono riuscito a trovare nel web (non è stato facile e probabilmente non è esaustivo) è legato pure quello alla ricerca di una regola, che certo non possiamo ancora ritenere tale. Solo gli studi futuri potranno dirci se siamo nel giusto oppure no. Ma al di là delle regole le evidenze sono tante e tali da farci capire che siamo (Lei è) nella strada giusta.

    RispondiElimina
  3. A proposito della scrittura metagrafica che qui andiamo ad analizzare e interpretare giova, a mio parere, l'esempio tutto cristiano del simbolismo allegorico delle immagini e degli acrostici. Leggiamo nell'Enciclopedia Treccani: “Già nel cristianesimo primitivo si era dovuto necessariamente far ricorso alla elaborazione di un repertorio di immagini simboliche, un preciso codice figurativo che si serviva di vere e proprie forme di criptografia e di espedienti quali l'acrostico (il pesce come simbolo del Cristo dalla parola greca ἰχθύϚ - di solito riportata con le maiuscole ΙΧΘΥΣ - formata dalle iniziali della frase ᾽ΙησοῦϚ ΧϱιστὸϚ θεοῦ υἱὸϚ σωτήϱ cioè 'Gesù Cristo salvatore figlio di Dio')”.

    O meglio, rispettando la sequenza dell'acrostico: “Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore”.

    Basti questo esempio per provare la verità storica del metagrafico nella cultura cristiana, che nulla ha inventato, ma casomai ha fatto proprio questo modo di scrivere per semplice sincretismo da culture cosiddette “pagane”.

    Una acrostico che ha senso solo in Greco antico; già nel greco moderno non né avrebbe, perché “pesce” in greco moderno si dice “ψάρι”.
    Ora domando in maniera retorica: che differenza vi è tra il “rebus” della figura del “pesce” che, attraverso lo scioglimento dell'acrostico in greco antico, restituisce una frase di senso compiuto legato alla sfera del divino e, ad esempio, il rebus insito nella statuina qui studiata e interpretata?
    Una sola differenza.
    In ambito cristiano la scrittura segreta era intracomunitaria al servizio dei fedeli ed era legata alla conoscenza del greco antico.
    Nel momento in cui si fosse persa la conoscenza di questa lingua, chi avrebbe potuto oggi sciogliere questo rebus?

    In ambito etrusco e prima ancora sardo di età nuragica, la scrittura segreta era ancora intracomunitaria (ad uso dei soli sacerdoti scribi) ma non al servizi dei fedeli, ma solo al servizio della divinità. Ecco che nessun ostacolo di carattere linguistico (tre lingue e tre alfabeti usati in modo indistinto), né ideografico o numerologico poteva opporsi tra l'uomo sacerdote-scriba e la divinità onnisciente.

    I detrattori della scrittura metagrafica di età nuragica in Sardegna prima ed Etrusca dopo, a tal proposito, si sentono di negare l'esistenza di un rebus scrittorio legato alla figura del “pesce” simbolo di Gesù Cristo, e un acrostico formato sul sostantivo greco “pesce” composto, guarda caso, da una sequenza acrofonica di una frase ben congegnata per condensare in una sigla “I X TH Y S” la frase “Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore”?
    Se costoro dovessero negare, sarebbero zimbello anche dell'uomo di più umile cultura; al contrario mancherebbero di coerenza intellettuale e cecità culturale nell'ammettere l'una e negare l'altra forma segreta di scrittura.

    RispondiElimina
  4. Sì Sandro, ma non c'è bisogno di spiegare e di insistere. Perchè la storia della scrittura la si sa o no. Se non la si conosce è inutile far capire a certuni non solo la crittografia etrusca, ma anche la criptografia amunica egiziana o quella dei reperti pitici greci finiti in maniera rocambolesca in Glozel ovvero in Francia. E' inutile ad esempio far capire che il famoso 'omphalos' del tempio di Delfi avvolto dalla rete non lo si capisce se non si ricorre alla acrofonia che ti dice che lì c'è scritto (EO: la rete + l'omphalos), che è il grido di soccorso del dio (l'antichissimo dio semitico cacciatore con la rete). La scrittura a rebus fu la 'prima' scrittura della storia e si mantenne per tantissimo tempo. Credo che sia con l'etrusco sia con il nuragico si vada ai primi secoli d.C.(ci sono dei documenti che lo dimostrano). Ma ripeto: è inutile. Tu che 'vedi' (se veramente vedi), vai!

    RispondiElimina
  5. Gran lavoro, interessantissimo. Grazie Sandro.

    RispondiElimina