giovedì 24 novembre 2016

LINGUA SARDA: FASCISMO E SEMINARIO DI CUGLIERI. LA ‘CATASTROFE’ ANTROPOLOGICA DEL SARDO

di Gigi Sanna

Sabato scorso alla Conferenza sulla ‘prosa’ in lingua sarda ho fatto vedere con dati scientifici alla mano (1), e cioè con la documentazione, che un colpo quasi mortale fu inferto, tra gli anni trenta e quaranta, alla lingua dei Sardi, con due operazioni che, anche se non combinate,  si diedero una mano per raggiungere ‘a bolla o a marolla’ (2) l’obiettivo.

Fu infatti l’avvento del fascismo degli anni venti/trenta con la sua ideologia integralista della nazione e della patria unica e pressoché nello stesso periodo  la fondazione del Seminario teologico di Cuglieri che ‘tagliarono’ con cosciente programmazione e determinazione l’elemento base e fondante dell’identità. Poi arrivò il giacobinismo della scuola ‘antropologica’ (politica)  della seconda metà del Novecento con i suoi ‘miti al contrario’ (le bufale storiche) a tentare il completamento del successo in una guerra linguistica e psicologica ad ami impari (3) che aveva lasciato quasi solo macerie Ma quest’ultima è una storia sull’antisardismo, tutta da scrivere, non trattata nella Conferenza, che abbiamo lasciato alle successive Conferenze degli anni a venire, quelle annunciate  che organizzerà il Comune di Assolo (4).

Sulla energia con la quale il fascismo cercò di sradicare la lingua dei Sardi, persino giudicando obsoleta ed inutile la poesia, tutti sanno (o in molti dovrebbero sapere).  E’ notissima nella storia della lingua e della letteratura in Sardegna la polemica che ci fu in quegli anni tra il fascista Anchisi e il nostro Antioco Casula (Montanaru), l’uno detrattore quasi fino al disprezzo della ‘poesia’  sarda e l’altro difensore, soprattutto con l’esempio dei suoi versi dell’espressione unica ed originale letteraria sarda. Tanto difensore che mentre in Italia ci si affannava, attraverso il dibattito teorico  ‘poesia’ e ‘non poesia’ del filosofo Croce e dei suoi antagonisti (tra questi il sardo Gramsci), a dare una definizione di ‘poesia’, il poeta di Desulo sornionamente e con garbo insuperabile  così entrava, in lingua sarda, nel detto dibattito: It’est sa Poesia? Esta sa lontana/ bella immagine bida e non toccada/ unu vanu disizu, una mirada/ unu raggiu ‘e sole in sa ventana/ Sas armonias de una serenada/ o sa ‘oghe penosa e disperada de su ‘entu / tirende a tramontana […] It’est sa poesia? Sa poesia est totu / si nos animat cudd’impetu sinceru / e nos faghet cun s’anima cantare. 

Si era lontani ancora dal tentare di valorizzare, come accadde dagli anni Ottanta in poi del Novecento, anche la prosa in lingua sarda ma la nascita ( dei racconti e dei romanzi di oggi) e la crescita di questa va ricercata nella resistenza del poeta sardo che fece vedere con le ‘cose’ la qualità dell’espressione, anche storica e non solo del suo periodo, del sardo in tutte le sue varianti.

    Sulla prosa letteraria in lingua sarda si hanno idee sbagliate e confuse sulla sua esistenza storica. Mi è capitato più di una volta di polemizzare con studiosi della letteratura della Sardegna che hanno negato o taciuto sulla sua consistenza quando invece, lasciando da parte la ‘prosa alta letteraria formale’ del Carta del logu), dal Concilio Tridentino in poi si diede inizio alla creazione di un vero e proprio genere formale prosastico e cioè alla predica recitata e scritta in ‘vulgari sermone’ (5) , si può dire, in ogni angolo della Sardegna. Una prosa che, in pochissimo tempo crebbe tanto da essere ‘normata’ da rigide regole che praticamente furono del tutto ‘codificate’ con il Consiglio plenario provinciale  del 1606,  indetto dal Vescovo Bacallar (1606). In questo venne sancita la forma della prosa in sardo, prima ovviamente da scriversi e poi da recitarsi (6) . Si noti questo canone (7) delle deliberazioni :  Caveant concionatores ne ostendendae doctrinae causa difficiles admodum atque inanes quaestiones exagitent et a jocosis et ridiculis  verbis prorsus abstineant (Si guardino i concionatori, mossi dall’intento di ostentare la loro dottrina e la loro eloquenza, dal trattare argomenti troppo difficili e senza utilità pratica; e si astengano del tutto dall’uso di un lessico scherzoso e che susciti la risata).

La prosa della predica in lingua sarda (vulgaris sermo) viene così disciplinata: argomenti semplici, recitati in modo semplice ma in modo ‘gravis’, sempre serio. Naturalmente questa fu la traccia ma  chiunque legga una predica in sardo del Seicento (5), del Settecento, dell’Ottocento  e della prima metà del Novecento si rende subito conto che i predicatori cercarono sempre di rendere la forma espressiva e/o molto espressiva trattandola ‘letterariamente’, cioè con tutti gli espedienti tipici della prosa oratoria del passato (latina e greca) e del presente, anche sulla base di ‘exempla’ castigliani (spagnoli) e italiani. E leggendo alcune prediche del famosissimo  Pietro Casu di Berchidda ci si rende conto che, con il garbo e l’opportunità, qualche volta anche il ‘riso’ degli ‘iscurtantis’ poteva essere provocato, soprattutto se esso aveva il fine di allontanare il peccatore dal peccato (7) Nell’Ottocento sorse in Oristano, per merito dell’Arcivescovo di Oristano, Antoni (7) Soggiu una vera e propria scuola di produzione di prediche e di recitazione con tanto di manuale (8)  che, anche se indirizzato ai seminaristi del Seminario Tridentino di Oristano, in realtà era esteso a tutti i Seminari della Sardegna (9).

Questa prosa, ignorata dagli studiosi, sardi e non, praticamente sino alla nostra pubblicazione sulla letteratura sarda alla fine del secolo scorso (10), ebbe quindi una vita lunghissima (quasi quattro secoli!) e fu abbondantissima. Le nostre ricerche, solo per le Diocesi di Oristano, Ales e Terralba, hanno permesso di individuare una produzione manoscritta (ma qualche volta anche data alle stampe) di oltre seicento prediche in lingua ‘campidanese’ (il più dei casi) e in lingua ‘logudorese’, quindi nella lingua della koinè (11) dei due macrosistemi della lingua sarda. Questo vuol dire che, con ogni probabilità delle ricerche più mirate, nel resto della Sardegna potrebbero portare quel numero al doppio o al triplo facendo vedere quale importanza sul piano della predica ma anche sul piano della ‘forma prosastica’ ebbe la produzione oratoria dei preti, dei canonici, dei vescovi e degli arcivescovi Sardi.

   Abbondantissima certo, ma essa (incredibile a dirsi!) scomparve, come si è detto, nel giro di qualche decennio, con le imposizioni politiche del fascismo e con gli atti cogenti religiosi didattici del Seminario di Cuglieri. Fu quest’ultimo in particolare la causa di una vera e propria catastrofe antropologica di cui paghiamo ancora le conseguenze con i dibattiti più o meno accesi a proposito de ‘sa limba’.  Gli insegnanti di Cuglieri, tutti o quasi tutti continentali di Torino, imposero ai giovanissimi seminaristi l’uso dell’italiano non solo nelle aule a scuola ma anche al di fuori di queste e annullarono lo studio della storia della Sardegna (12). Ma, fatto gravissimo per le sue conseguenze, trattennero quelli che erano poco più che bambini, in tempo di vacanze estive e natalizie, per impedire loro di usare il sardo a casa o, perlomeno, usarlo il meno possibile. Credo che non ci voglia molta intelligenza per capire che gli insegnanti torinesi volessero ottenere il risultato pratico di giovani sacerdoti che sarebbero andati nelle loro parrocchie di affidamento parlando in italiano, insegnando in italiano, celebrando in italiano e predicando in italiano.

  Per far vedere gli effetti di quella che non a caso abbiamo chiamato ‘catastrofe’ (mutamento radicale)  forniamo una tabella sulla predicazione in sardo e in italiano del canonico  Efisio Marras di Allai e un documento scritto del 1938 relativo all’inizio di una predica in sardo campi danese sempre dello stesso Marras (13):

Dal Corpus  (preigas) .

Prediche recitate  in Oristano dal canonico in 12 chiese:

in lingua sarda campi danese : 63

in lingua italiana: 23

Prediche recitate nelle ville delle diocesi di Oristano, Ales e Terralba:

in lingua sarda campidanese: 591

in lingua italiana: 92

Incipit della predica su Santu Lussurgiu (Corpus, 74)  recitata in Usellus (anno 1928)

   Cristianus carissimus, nosaterus seu fillus de Santus: su sanguni chi scurrit in is venas nostras est sanguni de is martiris de sa fidi. Sa storia nostra giaghì non est ateru che storia de continua sclavitudini amada de si gloriai de su splendori de cuscus erois chi hant combattiu po dogna giusta libertadi, sa libertadi de sa patria e sa libertadi de sa religioni. Calis custas glorias? Sa storia nostras sunt pagas paraulas: Cartagini, Roma, is Vandalus, Pisa e Genova, Sa Spagna. Is monumentus nostrus funti is nuraghis, is casteddus isciusciaus, is barracas de is pastoris. Is erois nostrus?  Amsicora, Yosto, Eleonora, Leonardo de Alagon, Giovanni Maria Angioi. E custu est totu su chi teneus de grandu memorias, de is calis podeus imparai e pigai ispirazioni po s’avvenire de sa patria. Ebbenis ancora chi pagas siant is glorias civilis nos si depit cunfortai su pentzai chi de medas e ateras glorias si podeus gloriai ….

Questa era dunque la situazione del sardo meno di un secolo fa  e questi erano i predicatori amanti della storia della Sardegna. Poi in venti anni ci fu un vero e proprio tsunami e tutto o quasi tutto fu raso al suolo. Quante sono oggi le prediche reciate in sardo ? Nessuna. Le conoscete oggi le prediche dei parroci sardi dissardizzati o dei vescovi sardi e continentali? Se non le conoscete, dato il loro squallore e l’assenza totale di passione ‘nazionale’ e ‘patria’, non vi perdete nulla. Neanche l’arte della predica in italiano, non dico in sardo.

pag. 2-3.jpg        

  


Note e indicazioni bibliografiche


  1. I dati statistici e storici sono stati offerti sulla scorta della documentazione di oltre 500 prediche manoscritte e sulle circa 100 prediche pubblicate nel corso di tre secoli e più di predicazione.
  2. Volenti o nolenti (lett. con voglia o di mala voglia)
  3. Negli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso, complici anche le Università della Sardegna e i docenti delle facoltà umanistiche (tranne qualche esempio di studiosi come il linguista Antonio Sanna) fu organizzata una lotta politica contro il ‘sardismo’ (e l’autonomismo in generale) e contro quelli che venivano giudicati ‘miti’ creati ad arte dai sardi ‘sconfitti’ e sublimanti la triste realtà con un passato di ‘glorie’ mai esistito. Sulle basi di un internazionalismo di maniera e di un nazionalismo italocentrico, fu negato tutto di tutto: che i Sardi costituissero una ‘nazione’, che avessero una lingua, che avessero una loro specifica letteratura, un loro grandioso passato. A tale scopo furono fondate delle riviste falsamente ‘gramsciane’, perché prive spesso di qualsiasi rigore storicistico, dedite soprattutto ad abbattere sistematicamente gli idoli storici (quelli così fortemente ‘gridati’ invece dai predicatori sardi dell’Ottocento e del Novecento). Le aule universitarie, dove più dove meno, furono palestre di annichilimento della sardità anche di quella più moderata. Ricordiamo una conferenza che si tenne in Oristano sul Basso Medioevo durante la quale alcuni giovani storici sardi fecero a gara, sulla base di categorie critiche non pertinenti,  per ridimensionare il ruolo di Eleonora d’Arborea nella storia della Sardegna. Persino la Carta de Logu fu giudicata ‘in fondo’ ben poca cosa. La Presidente della Camera dei deputati Nilde Jotti, presente al Convegno, perse letteralmente le staffe (anche come donna) per quella ‘ingenerosità’ collettiva accademica, tenendo una lezione di equilibrio magistrale sulla ‘grandezza’ della Giudicessa oristanese (regina) di quel tempo, ritenendola una delle donne più rappresentative nel panorama politico, sociale e legislativo europeo. E tutti zitti zitti, naturalmente, dopo le sonore bacchettate di ‘vertice’.
  4. Questa la promessa del Sindaco Minnei. Certo è che un piccolissimo comune che si mettesse alla guida su di un campo così specifico come quello della ‘prosa’ in lingua sarda potrebbe infondere coraggio per ‘comunità’, anche  più grandi, in grado di arrestare politicamente il fenomeno della scomparsa della lingua sarda. Sulla base anche della considerazione che la desertificazione della Sardegna rurale non è dovuta a motivi solo economici ma anche e soprattutto culturali. I sardi né carne né pesce, privi della loro identità, soprattutto linguistica, non hanno saputo dare (e ancora non sanno dare) risposte adeguate  alla ‘crisi che non è di questi giorni, mesi e anni, ma di cinquanta e più anni, con la nascita dell’era industriale. Forse studi specifici, condotti con rigore, su materie specifiche possono contribuire a risanare e ad riequilibrare una società come quella sarda sempre di più priva di ‘valori’, ‘invidiosa’ delle ‘tanche’ altrui  e sempre più ingannata psicologicamente dalla globalizzazione.
  5. L’espressione  ‘vulgaris sermo’ non ha connotazioni negative. Significa, alla lettera, la lingua del ‘vulgus’, cioè del popolo sardo.
  6. Sanna G., 2002, Pulpito, politica e letteratura. Predica e predicatori in lingua sarda. S’Alvure editore Oristano, passim.
  7. Sanna G., 2002, Pulpito, politica, ecc. cit. cap. 4, p. 41.
  8.  Soggiu A.,  1841,Lezioni di sacra predicazione per i seminaristi di Oristano.
  9.  Sanna G., 2002, Pulpito, politica, ecc. cit. cap. 7, pp. 71 - 81.
  10.  Atzori G. - Sanna G., 1996 -1998, Lingua Conunicazione Letteratura, voll. I – II, Edizioni Castello, Quartu Sant’Elena (Cagliari).
  11. L’aspetto che più colpisce della produzione delle prediche in lingua sarda è quello della koinè linguistica elaborata e, direi, quasi codificata, nel corso di due secoli. Per consenso comune, forse solo con saltuarie consultazioni epistolari  e senza i dibattiti defatiganti di oggi sul come scrivere il sardo e ‘quale’ sardo adoperare, si formarono praticamente due lingue di livello prosastico medio-alto. In ragione di questo notevole ‘deposito’ linguistico letterario, Il sardo odierno della prosa, secondo me, dovrebbe rifarsi e ispirarsi anche ai due modelli otto - novecenteschi, soprattutto ai modelli della prosa alta e stilisticamente valida della predicazione, purtroppo così poco conosciuta nonostante la ricchissima documentazione.
  12. Si ricordi che detto studio all’unanimità era stato promosso nel 1924 nei lavori delle sessioni del Consiglio plenario  dei vescovi sardi cioè poco tempo prima. Va detto subito, per la verità storica, che la chiesa sarda in genere cercò di fare resistenza e si mostrò alquanto ostile alle iniziative dirigistiche ‘italianiste’ e non furono pochi gli attriti tra le due istituzioni. Sta di fatto però che, anno dopo anno,  la politica culturale del Seminario tridentino di Cuglieri fece scuola e  in tempi molto rapidi. E la dissennata dissardizzazione linguistica e storica del clero sardo dell’Isola, subito intuita e pertanto osteggiata dai vescovi sardi, interpreti e garanti questi della specificità e della sardità nella ‘cura animarum’, apportò un immane catastrofe alla ‘nazione’ sarda.
  13.  Efisio Marras nacque in Allai  nel 1883 da Giuseppe e da Peppica Pippia. Fu alunno e poi, una volta conseguita la laurea in Teologia a Roma, insegnante nel Seminario Tridentino di Oristano. Dirigente e attivista dell’azione cattolica, valentissimo e rinomato predicatore, ci ha lasciato un corpus di 175 prediche. Di queste 134 in lingua sarda campidanese o meridionale. Morì nel 1966 presso le suore dell’Poera pia Cottolengo.  Il corpus delle prediche si trova custodito presso la biblioteca del Seminario oristanese.

10 commenti:

  1. Grazie, Gigi.
    Nessuno sa che ciascun relatore al convegno di Assolo sapeva solamente il titolo delle relazioni altrui, ma nulla di più.
    Ecco perché ho scritto nel post precedente che, a sentire le affermazioni di Gigi, per altro tutte documentate, ci fosse sbalordimento tra chi ascoltava, anzi io ho sussultato sulla sedia, comprendendo immediatamente le connessioni con la politica e la cultura di ieri e di oggi.
    Mi sono riservato di dire ieri, ma lo scrivo oggi, quanto la predica in sardo fosse popolare; quanto si aspettassero, per esempio, le Quarantore che permettevano di seguire un percorso religioso e razionale di tre giorni; quali fossero i commenti dei fedeli sul sagrato alla fine della celebrazione.
    Ricordo di aver ascoltato anch'io una predica in sardo, forse proprio delle Quarantore: il predicatore era vecchio, magro, lo chiamavano dottor anziché don. Forse era un dottor Cabras, verso cui il nostro parroco mostrava segni di rispetto fuori dal comune?
    La predica era così universalmente conosciuta e famosa che qualcuno vide bene di farne una parodia che è diventata una colonna della letteratura satirica e del teatro sardo. Altro che La secchia rapita!
    Oggi, dopo aver sentito le informazioni su come i predicatori si facessero carico di insegnare ai fedeli anche la storia della Sardegna e di coltivarne l'identità, mi fa pensare come s'arrettori de Masuddas, nella sua supposta Scomuniga, inizi la sua predica NON con un Carissimus fradis mius, oppure fillus mius, o fradis cristianus, come facevano in genere i predicatori, ma con un Populu de Masuddas, trattando i fedeli domenicali come concittadini, laicamente espressi e riconosciuti nella loro entità politica.
    E quando io ho scritto e detto anche ad Assolo che la Politica regionale, nel momento in cui si è interessata di lingua sarda, ha dato un ceffone, forse l'ultimo, alla dignità dei Sardi, misconoscendo, anzi rinnegando una tradizione letteraria e linguistica di oltre quattro secoli, ho raccontato solamente la cruda realtà, nata dall'ignoranza de su connotu letterario sardo da parte di vari ca(rro)zzoni che si sono succeduti con una protervia degna di migliore causa.
    La Sardegna, se avesse potuto, avrebbe gridato un "Vili, vi accanite su chi sta morendo!", naturalmente in italiano, se voleva farsi capire dagli esperti.
    Le jeux sont faits! dicono al Casinò: se il Seminario di Cuglieri ci ha tolto i preti sardofoni; se il fascismo ci ha espropriato della lingua; le Giunte Regionali ci hanno cancellato la tradizione letteraria di secoli e ... rien va plus!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Signor Francu che il fascismo ci abbia espropriato della lingua è grave ma ancora più grave che l'abbiano fatto le Giunte regionali,votate dai sardi.Abbiamo la fortuna di avere una lingua bellissima e non bisogna permettere a nessuno di levarcela.Bisogna lottare e rilottare.

      Elimina
  2. E' proprio così. Ma sappi che ci sono altri colpevoli. Quanto ho detto ad Assolo sta nel mio libro sulla predica che è stato pubblicato nel 2002. Ti risulta mai che io sia stato invitato, nonostante mi sia fatto un mazzo così nella ricerca, da qualche istituzione della Chiesa per parlare della predica? Una predica che è poi il vanto del clero sardo di quasi quattro secoli? Niente, neppure crepa! C'è voluto un mio ex alunno. docente all'Università di Sassari, per mettere all'attenzione di un Convegno internazionale di storia medioevale organizzato dall'ISTAR una tematica che tutti dovrebbero conoscere. E' stato quello il solo invito. Poi buio assoluto. E poi si pretende, persino nelle Università di Lettere di Cagliari e di Sassari, di parlare di lingua e letteratura sarda. C'è stato solo Salvatore Tola che nel suo libro Sulla letteratura in lingua sarda, ha proseguito nel nostro cammino (nostro perché c'è anche il contributo di Gainni Atzori)inserendo non poche pagine sulla predicazione e sulla produzione di prediche. Ma, come si vede, sono stati(anche se pochissimi) gli intellettuali 'laici' e non quelli della chiesa (ma ci sono in Sardegna intellettuali della Chiesa?) che hanno fatto riferimento a questo specifico genere di prosa. Salviamo la lingua sarda? A chiacchiere. Come si fa a salvarla se non se ne conosce bene la storia? E mica storia da niente!

    RispondiElimina
  3. Non vorrei sbagliarmi, ma mi pare di aver sentito che l'attuale arcivescovo di Cagliari sia piemontese.
    Speriamo che, anche casualmente, gli cada sotto gli occhi l'opera di un suo corregionale, quel mons. Giuseppe Agostino Delbecchi che pensò bene di scrivere il catechismo in sardo perché fosse vicino al fedele popolo sardo della sua diocesi. Morì prima di riuscirci, ma il vicario Franciscu Maria Corongiu lo fece e lo pubblicò pochi mesi dopo.Era il 1777.
    Il Corongiu usò un'astuzia tutta contadina, per far presto e senza dover aspettare i tempi lunghi previsti per ottenere il visto dell'Imprimatur: tradusse il catechismo italiano della diocesi di Mondovì, che aveva appena avuto la licenza di stampa.
    Che non gli ispiri qualcosa, chi può dirlo?

    RispondiElimina
  4. Per comprendere meglio i tempi e l'aria che tirava in quella seconda metà del XVIII secolo, quando i Savoia subentrarono agli Spagnoli, sostituendo immediatamente lo spagnolo con l'italiano quale lingua del Regno, e trovarono una grossa resistenza tra il popolo e nel clero sardo.
    Risalgono a quelli anni infatti alcune pubblicazioni scientifiche sull'allevamento dei bachi da seta in due versioni, in sardo e in francese, perché nel popolo esisteva la convinzione profonda che la lingua sarda fosse adulta e non avesse nulla da invidiare alle altre lingue.
    Nella Chiesa poi, si continuò per decenni a celebrare le funzioni usando il latino e lo spagnolo. E tutto questo a dispetto dei Savoia che, da storici mangiapreti quali erano, avevano abolito i privilegi del clero il quale, negli Stamenti sardi, era la terza gamba del potere, insieme ai nobili e ai militari.
    Ricordo di avere appreso queste notizie in un convegno tenuto a Cagliari una decina di anni or sono. Più precisamente, dell'argomento parlò la dottoressa Simonetta Sitzia, allora borsista dell'ISEM-CNR di Cagliari, diretto dallo storico Francesco Cesare Casula.
    Tutto questo dico come in quel tempo il popolo e anche gran parte degli intellettuali sardi non inghiottirono il rospo della lingua italiana senza tossire.

    RispondiElimina
  5. Sì Franco, conosco tutta la storia (per quello che hanno potuto fare le nostre ricerche di circa venti anni fa. Positivismo prima e romanticismo dopo sembravano aver dato una certa mano all'uso della prosa sarda( ci furono nell'Ottocento persino giornali in sardo!). Ma fascismo e 'cultura' dissardizzante cuglieritana quasi uccisero in venti anni e poco più quello che era sopravvissuto a stento per diversi secoli. Ma, come ho detto, non ci furono solo il fascismo e Cuglieri. Ci fu l'attività sistematica di annichilimento del sardo (ma non solo della lingua)da parte della sinistra radicale internazionalista. Quella da sempre ostile ad ogni forma di 'sardismo' e che ha fatto, almeno in parte, sino ad un anno fa l'applauso alla lotta clandestina vigliacca gambizzatrice di colui che sta al fresco e non mi va neanche di nominare. L'anno venturo, se Iddio mi darà ancora forza di 'combattere' contro i 'mitopoietici a s'imbesse' parlerò proprio della 'terza' stampella nella strategia dell'annientamen o 'mazionalistico' dei sardi. Fornendo documenti, naturalmente.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Cosa intendi Luigi con "sinistra radicale interzionalista"?

      Elimina
  6. Un secondo convegno sulla prosa sarda ad Assolo mi sembra quanto mai utile per cercre di capire la questione 'oggi' dello stato della lingua sarda. Speriamo che Sindaco (e Regione) mantengano le promesse.

    RispondiElimina
  7. Era l'ala sinistra del PCI. Quella da sempre antisardista e che ha prodotto il 'giacobinismo' di certi intellettuali che Gianfranco Pintore cercava di contrastare con i suoi articoli (e con i suoi libri) chiamandoli ironicamente' gli illuminati della dea ragione'. Si può dire che la Sardegna per essi non aveva nessuna 'specialità', una regione dello Sato italiano e basta, e che il concetto di 'nazione' era da considerarsi un'aberrazione, un mito da contrastare in ogni modo e con tutte le forze. Sino ai nostri giorni hanno remato contro (e alcuni ancora oggi lo fanno più o meno apertamente) una verità scientifica: il dato della presenza della lingua sarda e quindi l'esistenza all'interno dello stato italiano di una grossa minoranza linguistica, quella che lo stesso stato dovrebbe tutelare per obbligo, secondo ben precisi articoli costituzionali. Ma la storia e l'agire politico di questo movimento politico di ispirazione comunista è tutto da studiare, soprattutto nella sua opposizione (con articoli, saggi, libri, ecc.) al PSd'Az. prima e poi ai movimenti cosiddetti indipendentistici della seconda metà del secolo scorso e i primi decenni di questo. La stessa nota vicenda che ci ha riguardato, con la 'gambizzazione' di tutti i 'nemici della 'mitopoiesi', ha il brodo di cultura nel 'resistere, resistere, resistere' al 'sardismo' in generale. Si sa che qualcuno di questi 'giacobini' si vantava a Cagliari di avere contatti con l'untore. Naturalmente un esempio da seguire nella stessa pratica della clandestinità e della diffamazione gratuita. Ma quando ci sarà il processo ne sapremo certamente di più. Almeno si spera.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Tutto il mondo è paese......Pensavo fosse una prerogativiva dei rossi del mio paese quella di affossare ogni proposta o progetto che avesse a che fare con la salvaguardia ambientale,sostenibilità,storia.La "sinistra radicale internazionalista" non si differenziava da tutti gli altri compagni di partito,o meglio di merenda con I quali ha banchettato e continua a banchettare.Vorrei ricordare però,come pubblicizava il Manifesto,che la rivoluzione non russa,e cresce tra la gente,la consapevolezza della dfesa dei propri diritti,della propria terra e del diritto alla salute.Il tempo sarà grande giudice.Grazie Luigi

      Elimina