domenica 10 novembre 2019

Dalla pietra di Aidomaggiore al mattone di IOHANNIS - Quando le idee cavalcano i millenni




 
di Sandro Angei

   Dietro l'intolleranza del Dr. R. D'Oriano nei confronti della cosiddetta “fantarcheologia nuragica” vi è di certo una generale intolleranza verso quelle manifestazioni di pensiero, per così dire:”ardite”, entro le quali far rientrare tutta una serie di ipotesi più o meno verosimili. Ipotesi che vengono osteggiate ma, in certi casi, con un certo garbo. Tant'è che per quanto riguarda lo tzunami ipotizzato da Sergio Frau, si obietta con considerazioni che potrebbero avere una certa loro valenza; benché scienziati divulgatori del calibro di Mario Tozzi, non penso abbiano avallato a cuor leggero l'ipotesi di Frau.


Sulla questione Shardana di certo si rema pure contro, però con un certo garbo, pure lì, perché in fin dei conti gli interlocutori che remano “a favore” sono personaggi come l'archeologo Giovanni Ugas e l'egittologo Cristian Greco; benché quest'ultimo in una intervista di R. D'Oriano venga sminuito nei confronti del “massimo esperto della questione”, l’egittologo G. Cavillier. Infatti il Dr D'Oriano asserisce: "Di recente il massimo esperto della questione, l’egittologo G. Cavillier, Direttore della Missione Archeologica Italiana a Luxor e del Progetto di Ricerca Shardana, nel corso di una conferenza a Olbia ha presentato i dati di base della questione Shardana in tutta la loro problematicità, ricordando che ad oggi non è ancora possibile escludere, ma nemmeno accertare, che essi abbiano a che fare con la Sardegna nuragica. Il caso ha voluto che pochi giorni dopo a Sassari si sia tenuta una conferenza di un altro egittologo, il Direttore del Museo Egizio di Torino, il quale, ad una domanda del pubblico, ha brevemente risposto che gli Shardana sono i Nuragici, certamente senza sviluppare neppure per cenni la complessa problematica. Ovviamente i fantarcheologi hanno gridato al “giustizia è fatta”, ovviamente senza valutare la differenza tra chi, come Cavillier, si dedica da tempo al problema e chi, il collega del Museo di Torino, non lo ha mai trattato ed ha perciò fornito una risposta non adeguatamente informata”. Cosa pretendeva il Dr D'Oriano che il Dr. Greco sviscerasse la problematica relativa agli Shardana in seguito ad una domanda del pubblico?! Il Dr. Greco ha risposto in modo sintetico, ciò non di meno quella risposta era sicuramente dettata da studio e attenta riflessione. Ma anche qui nulla da obiettare, in fin dei conti, sulla conduzione della critica che possiamo definire ponderata.

Quando però si arriva alla questione sulla natura epigrafica del sigillo di Tzricotu tutto cambia e scatta il meccanismo di autodifesa, ponendo quale scudo protettivo l'arrogante arma della derisione e della bieca superficialità. Dietro questo scudo vi è di certo il netto rifiuto della scrittura “sacra” nuragica da parte di un gruppo di esponenti dell'Accademia (non tutti meno male), che tra l'altro fanno gli Gnorri, nel momento in cui travisano l'argomento, e tenendo in nessuna considerazione l'aggettivo “sacra”, collocano la “scrittura nuragica” in ambito laico. I motivi addotti sono subordinati all'ideologia imposta dall'alto; quella denunciata da Francesco Cesare Casula e Fiorenzo Caterini nei loro libri; complice (o forse alibi) di questo netto rifiuto, la paura di porgere il fianco ad una frangia di “scalmanati” che rivendicano la genuina discendenza dell'odierno popolo sardo da quella magnifica civiltà denominata “nuragica” per alcuni o addirittura “nuragica-atlantidea” per altri (per carità: nuragica-atlantidea. Filologia se ci sei batti un colpo!); finendo così col montare un puzzle a suon di sforbiciate per far collimare i pezzi e far di tutte l'erbe un fascio, in un inverosimile guazzabuglio ideologico che nulla ha a che fare con la scienza.

Tornando in tema: chi studia e ricerca e scrive di scrittura sacra nuragica, in rapporto stretto con chi studia e ricerca e scrive di archeoastronomia, ma non solo: anche di archeogeometria, di archeostatica, di archeoarchitettura, di archeoidraulica, di archeoottica, e non ultima, di archeometallurgia, lo fà con impegno, serietà professionale, pacatezza e soprattutto con cognizione di causa e filologia. Certo è che le 7 discipline appena elencate difficilmente possono immaginarsi scevre dalla scrittura. Ma a parte questa considerazione, che è parte della questione, ma non viene messa sufficientemente in luce (chissà perché!), quello che si vuole puntualizzare e altro e impone una domanda alla quale il Dr. R. D'oriano non può sottrarsi dovendo dare, da serio studioso e ricercatore, una precisa risposta:
Alla luce di antichi e antichissimi segni di scrittura rilevati in centinaia di reperti (parte dei quali, rinvenuti in contesto sicuro, fanno bella mostra nei musei), quale motivo impedirebbe l'utilizzo della scrittura in chiave sacra e religiosa da parte delle antiche genti Sarde di età nuragica?
Si dia una risposta circostanziata e ponderata a questa domanda; altrimenti tutte le obiezioni non hanno e non avranno alcun valore.
D'altro canto, si dia una risposta di carattere tecnico-scientifico alla natura del manufatto di Tzricotu, effettuando un esame metallografico sul reperto. La qual cosa la chiese pure il Dr Paolo Benito Serra. Semplicissimo, lineare, risolutivo.

La scrittura nuragica è sacra, solo sacra e numerosamente attestata.
Questa è l'evidenza che appare dalla lettura delle sequenze di grafemi: una scrittura sacra. Non è vera l'affermazione del Dr. D'oriano che riferisce di “poche iscrizioni tarde su oggetti nuragici dell’Età del Ferro in greco o fenicio o che utilizzano le lettere di quegli alfabeti, e perciò isolati casi di imprestiti allogeni molto episodici e circoscritti”.
Lo studioso non tiene in alcuna considerazione (o forse dobbiamo pensare che non conosce o riconosce?!) l'esistenza di alfabeti ben più antichi di quelli da lui elencati; alfabeti dai quali discende quello cosiddetto “fenicio”. Quello è il campo da indagare. Senza questi dati cosa può dire il Dr. D'Oriano a proposito della scrittura sacra nuragica? Sicuramente nulla... assolutamente nulla, se non negare la sua esistenza.
   In un contesto erudito si possono avanzare obiezioni solo conoscendo tutto il tema trattato, non una sola parte di esso che inevitabilmente porta al pensiero dicotomico. Sarebbe come negare la scrittura cinese perché si ignora la sua esistenza. Ciò non di meno l'ignorante rimane tale (se non è mosso dal sapere), ma due miliardi di individui dall'altra parte del mondo continueranno a comunicare tra loro con quella scrittura, senza curarsi del fatto che possa esserci qualcuno che nega l'esistenza del loro modo di scrivere.

Peculiarità della scrittura nuragica
Abbiamo messo in evidenza due particolarità della scrittura sacra nuragica: uso di grafemi antichissimi e tema esclusivamente sacro. Ve ne sono però altre, dettate dalla cosiddetta “griglia di Sassari” ed una in particolare, la legatura, la mettiamo in evidenza proprio con un esempio in ambito tanto caro al Dr. D'Oriano.
Si tratta di una croce in lamina d'oro da Trezzo sull'Adda e di altri reperti, presentati dalla Dr. Caterina Giostra in un suo studio “Luoghi e segni della morte in età longobarda: tradizione e transizione nelle pratiche dell'aristocrazia (Fig.1 ndr) “1, la ricercatrice scrive: “Ritengo che il monogramma, estremamente essenziale e ben congegnato, contenga il nome IOHANNIS: tutte le lettere che lo compongono, infatti, sono presenti e nessun tratto resta inutilizzato.


Fig.1

Immagine ingrandita della croce in lamina d'ora da Trezzo sull'Adda di Fig.1

Il monogramma visto senza alcuna fantasia potrebbe sembrare un decoro, però la Dr Giostra ci fa vedere una per una le lettere nascoste che alla fine danno forma e suono ad un nome: IOHANNIS.
Ora se prendiamo ad esempio la pietra di Aidomaggiore (Fig.2) non è dissimile nella costruzione lessicale da quella proposta dalla Dr. Giostra per il periodo longobardo.

Fig. 2

L'esempio piuttosto calzante, direi, mette in luce una propensione del cervello umano a “giocare” con le lettere, a nascondere e criptare per un qualche motivo culturale, il nome celato; tanto che a distanza di “soli” 1500 anni si stenta a carpire il significato dei monogrammi longobardi, tanto che la Dr Giostra non è sicurissima della sua decifrazione quando inizia la spiegazione con “Ritengo che”. Per tanto se in ambito longobardo era in uso un tale modo di scrivere “criptico”, perché non possiamo accettare la medesima costruzione in contesti molto più antichi come quello nuragico?!
Ed ancora: perché per i monogrammi longobardi si è sicuri della loro natura alfabetica? La domanda del tutto rettorica ha l'evidente risposta nel riconoscere, tutti noi, forme familiari assimilabili a ciò che conosciamo come segni alfabetici a prescindere dal significato; e a prescindere dalla direzione di scrittura di alcuni segni. Con tutta evidenza nel monogramma longobardo “IOHANNIS” di Fig.1, la “esse” benché scritta in senso inverso rispetto all'usuale non ha destato il benché minimo dubbio sulla sua identificazione. Una verifica delle epigrafi di età longobarda mette in risalto che in queste la “esse” è scritta sempre nel modo corretto e questo lo fa capire pure il Dr. Giuseppe Volpe quando scrive in un saggio sul “Mattone di Iohannis”2 “[omissis]. Tale lettura mi sembra infatti per più versi sicura, nonostante il ribaltamento della ”S”, segno evidente che il monogramma impresso sulla matrice dovesse avere la “S” nella sua posizione normale e quindi, più correttamente, anche la “A” a sinistra. Lo studioso ha ragione ad affermare il ribaltamento della “S” e della “A”, perché pure la “N” risulta ribaltata; per tanto, con tutta evidenza, vi fu nel confezionamento del mattone o un errore di fondo, oppure un preciso intento del quale nulla si sa, se non ipotizzare che possa trattarsi di un sigillo o per lo meno abbia quale funzione sua intrinseca quella di “sigillare”, oppure, esplicasse la funzione di matrice per il confezionamento di mattoni da costruzione, visto che Volpe scrive:”Il mattone, di forma quadrangolare, pedale (cm 29x29, spess. Cm 3), presenta su una faccia un monogramma con lettere in rilievo (alt. Cm 11,7), disposte secondo uno schema quadrato, tipico dei monogrammi databili entro l'età di Giustiniano...” E quest'ultima ci pare la funzione più probabile. Fatto sta che nel suo complesso il monogramma in questione risulta ribaltato, e basterebbe imprimere il monogramma su una tavoletta di soffice argilla per rendere nel verso giusto e in negativo tutte le lettere.


FIG.3

Veniamo ora al monogramma esibito e spiegato nello scioglimento del rebus scrittorio dalla Dr Giostra. Il monogramma parrebbe simile a quello del mattone di IOHANNIS, ma ciò è vero solo in parte perché, se è vero che il nome è lo stesso, la particolarità di questo monogramma stà nel fatto che solo la “S” risulta capovolta, e volendo ammettere capovolta anche la “A” come nel “mattone”, di certo la “N” risulta scritta nel verso giusto. Per tanto non possiamo assimilare la particolarità del monogramma in questione a quello del mattone di San Giusto di Lucera.


Fig. 4

Qui si apre una parentesi per individuare, guarda il caso, alla maniera nuragica e sibillina, ciò che quella strana “esse” potrebbe far intendere. Che sia stata messa lì in bella mostruosità per dire qualcosa? Che so! Attento alla scritta in tal modo – speculare e per tanto ambigua - vuol dire più di quel che dice. Cosa potrebbe significare? Beh, la prima idea che mi viene in mente è che potrebbe essere l'iniziale di “Sancti”, per tanto da intendere in una lettura circolare con inizio e fine sulla lettera , dettata magari dal cerchio di puntini che racchiudono il monogramma, ossia: S[ANCTI] IOHANNIS. Tanto più che la è rivolta ed è vicinissima alla gamba sinistra di inizio scrittura della A che a sua volta è parte, e par tanto inizio, della lettera N, che a sua volta incorpora l'inizio del nome del Santo, tanto da poter ipotizzare che sia addirittura la prima parte della parola SAN[CTI], utilizzando le stesse lettere A ed N del nome. Si tenga in debito conto che, benché questa sia solo una ipotesi suggestiva, essa è dettata dalla natura del monogramma che di solito è inquadrato in ambito religioso o in ambito regale, nel momento in cui il re è anche capo spirituale o reputato, o si reputa lui, di ascendenza divina).

Fig.5

Chiusa la necessaria parentesi continuiamo dicendo che la Dr. Giostra scrive: “[omissis] il monogramma potrebbe costituire un soggetto particolarmente prestigioso e pregnante – e non solo per il suo carattere erudito – e veicolare anche messaggi non estranei all’esperienza politico-religiosa del defunto“. Continua scrivendo che il nesso (legatura di lettere) per il suo aspetto ermetico dovette esercitare una forte valenza magica. In ragione di quanto affermato dalla Dr. Giostra possiamo pensare che nel momento in cui in periodo longobardo si inquadra una certa scrittura in un contesto “particolarmente prestigioso e pregnante”, di “carattere erudito”, che potrebbe “veicolare messaggi politico-religiosi”, carichi di “ermeticità” e “valenza magica”, nulla di nuovo e di diverso si afferma rispetto alla scrittura sacra nuragica.

Va a finire, e qui sarebbe una beffa per alcuni, che la scrittura sacra nuragica possa dare una mano alla interpretazione dei monogrammi longobardi.

In ragione di quanto appreso, si capisce che anche nel periodo longobardo si ricorreva all'uso di una scrittura nascosta, di carattere erudito e forte valenza magica, tanto che, se non si conosce il codice usato nulla si può dire di sicuro, e, a parte tutti i casi in cui il monogramma è contestualizzato, per i restanti ancora oscuro rimane il significato. Ecco che siamo arrivati ad un bivio: la conoscenza del dato e del contesto di ricerca porta alla comprensione epigrafica, l'ignoranza del dato e del contesto di ricerca induce alcuni ad inquadrare il reperto in una mera funzione decorativa.

Conclusioni
L'appello che si vuol lanciare è di non fossilizzarsi sull'aspetto formale, tanto meno indagare solo la superficie del tema trattato, cosa che palesemente e in modo del tutto distorto è stato fatto per i sigilli di Tzricotu di Cabras. Mi sembra di aver dimostrato che la storia si ripete e nulla di veramente nuovo vi è sotto il sole, lì dove la mente umana opera da millenni (decine?) sempre allo stesso modo per nascondere il significato sacro dei segni che in qualche modo lo mettono in contatto con la sua divinità.

Note e riferiemnti bibliografici

1 Caterina Giostra 2007 - Luoghi e segni della morte in età in età longobarda:
tradizione e transizione nelle pratiche dell'aristocrazia- http://www.rmoa.unina.it/619/1/RM-Giostra-Luoghi.pdf


19 commenti:

  1. Davvero sarebbe il colmo (ma anche cosa bellissima) poter, infine, accostare interpretazioni epigrafiche tanto più antiche (la nostra, quella nuragica) a quelle più tarde (vedi Longobardi) per una metodologia d'interpretazione che consenta di decifrare e conoscere tante scritte e la Storia in esse racchiusa (fossero anche sempre solo (?) elementi cultuali, quali, alla resa dei conti, fatti storici quanto linguistici.
    Puta caso, che, magari con stesso metodo e ricerca, validi epigrafisti riescano a decodificare del tutto, anche la scrittura etrusca ?
    Unica nota fuori partizione e stridente in questo scritto, quasi magico, la presenza di un nome che prende innumerevoli stecche da una vita, aiutato anche da sagrestani che suonano solo campane di "ferro" e mai di "bronzo". A Luxor, come in Corsica, sempre in contesti mai nuragici , così, per non voler comporre sinfonie troppo complicate. Mai siano Salieri. Ma neanche Lilliu o Greco.
    Ornella Corda

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  2. Orni, la mia suona “quasi” come una battuta, però in fin dei conti... perché no! Perché non pensare e andare oltre, perché non essere, come ho scritto su facebook rispondendo a Francesco Masia, ciò che Steve Jobs invitava i giovani ad essere: “Siate affamati, siate folli”. Folli nel senso più ampio del termine, non quello che fa sorridere i Cretini.

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  3. Dall'articolo si potrebbe capire che sia io contro la tesi atlantidea di Sergio Frau, tanto da indurre il lettore a non capire da che parte mi voglia schierare. Tengo a precisare che non rifiuto a priori la tesi di S. Frau, tant'è che se vogliamo individuare con Atlantide una civiltà capace di “mirabilia” quali le scienze geometriche, costruttive, idrauliche, ottiche (capaci cioè, di veicolare come l'acqua il raggi del sole), e quant'altro che sarebbe noioso, ormai, elencare; beh, se questa è la connotazione atlantidea, son d'accordo con chi pensa alla Sardegna quale possibile Atlantide. Quel mio sbotto (per carità: nuragica-atlantidea. Filologia se ci sei batti un colpo!) invece era rivolto a chi in maniera sconsiderata e senza un briciolo di onestà intellettuale, o meglio con una vagonata di ottusità intellettuale (scusate il pleonasmo), grida da Facebook ai quattro venti e in maniera piuttosto sguaiata, di una Sardegna da identificare quale luogo di origine di una antica Civiltà Sarda Atlantidea; e che passando come un rullo compressore sul metodo di studio filologico, vede questa C.S.A. per ogni dove ed ogni quando a dispetto del dove e del quando. Questi individui non si rendono conto che così facendo non danno lustro alla Sardegna, ma infangano prima di tutto il loro amor proprio, in secondo luogo, danno ragione a quella frangia di accademici oltranzisti che avendo gioco facile, ahimè, fanno di tutte l'erbe un fascio.

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  4. Caro Sandro. Salto a piè pari tutto il resto. Perdi tempo nel dire e nello spiegare. Nessuna spiegazione può smuovere chi non sa e chi non vuol sapere. Tanto più se, nel tentare di convincere l'uditorio, l'animus dei conferenzieri negazionisti sono inclini al più spinto giullarismo. I peti in chiesa sanno tutti cosa producono. Vengo invece a quello che viene chiamato monogramma ma che monogramma non è perché 'monogramma' vuol dire un solo segno mentre i segni dell'oggetto di Trezzo sono tre. Una 'o', una 's' e un monogramma (questo sì 'monogramma') contenente per nesso delle lettere criptate che vanno 'tutte' individuate perché l'intera scritta abbia senso. La Giostra capisce bene che c'è scritta la parola 'IOHANNIS' e fa notare uno per uno i segni criptati nel monogramma che vanno ad aggiungersi alla 'O' e alla 'S'. Non si fa però una semplice domanda, quella che invece ti fai tu. Quella scrittura criptata per caso non nasconde anche dell'altro perché è difficile pensare che lì possa esserci scritto il semplice nome dell'evangelista. Infatti c'è dell'altro. C'è anche la parola santo (per me grande come una casa): non è in latino ma in italiano. La si ottiene semplicemente partendo dalla lettura inversa e cioè dal basso: S A N T O. Il monogramma nasconde anche la T che per anomalia di orientamento va ad aggiungersi a quella della 'S'. Quindi SANTO IOHANNIS, con il nome del SANTO GIOVANNI latinizzato. Non si tratta quindi di un genitivo ovvero 'SANCTI IOHANNIS' ma di un nominativo. Per convincersi della lettura con la voce 'santo' si vedano le due linguelle (O ALTRO CHE SIANO) pubblicate dalla Giostra. Quella più in alto porta a leggere prima IOHANNIS e poi SANTO, quella più in basso prima
    SANTO e poi IOHANNIS

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  5. PS.
    E.C. L'animus dei conferenzieri negazionisti 'è incline' ...

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  6. Noto un altro particolare. La croce presenta per tre volte la voce SANTO seguita da IOHANNIS . Ma noto soprattutto che in un riquadro (il primo in alto) la 'S' non è al primo posto in alto ma significativamente di lato (con una rotazione di 90 gradi) in modo da permettere così nel monogramma la lettura della 'T'.

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  7. Caro Professore, in realtà il messaggio non è rivolto ai Dinosauri ma a coloro che vogliono esser “folli” e “affamati” di sapere; ai “disubbidienti”, coloro che a dispetto delle regole loro imposte dall'alto, studiano, magari per il momento sotto cenere, ma studiano e si pongono domande, e magari cercano “in contraddittorio”, come si usa (lo abbiamo usato anche noi nella “postierla di Murru mannu), di dare una risposta alla mia domanda indirizzata al Dr R. D'Oriano. E se una risposta valida il nostro ipotetico (giovane?) studioso non riuscirà a trovare, può darsi che possa accogliere come genuina e meritevole di studio la Sacra scrittura nuragica. Vedremo se il tempo prima o poi non mi dia ragione.
    Per quanto riguarda il monogramma, mi compiaccio del fatto di aver ben intuito sulla natura di quella Santa esse al contrario. Non potevo andare oltre quel che ho detto; mi mancano gli strumenti professionali, quel che Lei con gran facilità usa.
    Sono contento del fatto che si possa usare, con tutte le cautele naturalmente, quel tal metodo di ascendenza nuragica per decriptare segni molto più giovani; e non me ne vengano i soliti “cretini” a pensar che vogliamo far ascendere anche i Longobardi dai Sardi Nuragici, guardando, come loro solito, il dito che indica la Luna o, con altra immagine un po' truce: la pagliuzza nell'occhio altrui attraverso il foro pervio della canna che hanno infilata nel loro occhio, pensando che quella sia un cannocchiale. Voglio solo dire, come ho già scritto nell'articolo che: “Mi sembra di aver dimostrato che la storia si ripete e nulla di veramente nuovo vi è sotto il sole, lì dove la mente umana opera da millenni (decine?) sempre allo stesso modo per nascondere il significato sacro dei segni che in qualche modo lo mettono in contatto con la sua divinità”.
    Documentandomi sui monogrammi (così vengono indicati dagli studiosi nella loro totalità, benché come Lei ben dice, alcuni non sono perfettamente monogrammatici ma accompagnati da altri grafemi disgiunti), ne ho incontrati alcuni non ancora “sciolti” che meriterebbero uno studio alla luce della metodologia applicata in questo articolo. Vediamo se qualche studioso medievalista “affamato e folle”, voglia cogliere la sfida. La vera paura dei Dinosauri sta proprio lì.

    Un'ultima considerazione. Tutta la prosopopea pomposamente pompata contro dai negazionisti circa la natura nuragica del sigillo di Tzicottu, riconoscendo con sicurezza assoluta, quel reperto, quale matrice per linguelle perfettamente anapigrafiche (bontà loro) del periodo medievale, viene contrastato da reperti del periodo longobardo che la Dr. C. Giostra mostra nel suo studio. Sono per caso anapigrafici anche i puntali d'argento da Offanengo e da Monselice?! (I numeri 2 e 3 di Figura 1 dell'articolo).

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  8. Certo che i puntali d'argento pubblicati dalla Giostra fanno sorridere e quasi ridere. Un esempio di crittografia che niente ha a che vedere con la mera decorazione. O meglio: c’è anche decorazione ma c’è soprattutto scrittura. Ma tant'è. Non smuoverai i cocciuti (e i giullari ancor meno) per questa 'coincidenza' che guasta loro la festa. Quella festa casinesca dei fischi e delle urla che sparirà del tutto con una semplice perizia metallografica (se avranno le bottarghe per farla fare).
    Ho capito bene che non parlavi tanto per alcuni (i pochi) ma per 'altri' (i molti), quelli che veramente TI/CI interessano perché sono l'avvenire per il progresso scientifico reale. Tuttavia resto del parere che meno li si cita (i pochi) e meglio è. I palloni gonfiati gongolano quando qualcuno li nomina sia pur per prenderli per i fondelli. Ma su di loro satis superque.
    Piuttosto mi interessa riprendere brevemente l'argomento sulla crittografia riguardante IOHANNIS SANTO. L'unica pallida riserva che ho sull'esistenza di SANTO in italiano mi viene data dalla cronologia bassa del prodotto longobardo. Ma la spiegazione della voce ‘italiana’ può essere data dal fatto che la formazione dei volgari nella penisola era in atto e che quindi nella lingua popolare il latino 'sanctus' era da tempo 'santo'. Il famoso ‘indovinello veronese’, giudicato dai più in volgare, è del VII –VIII secolo d.C.). Quindi cronologicamente non distante dal periodo della croce di Trezzo e (se ho ben capito) dei puntali pubblicati dalla Giostra. Chiudo dicendoti che è davvero curioso notare che, come nell’indovinello (scrittura nascosta anche quella), la lingua volgare precede (precederebbe) il latino.

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  9. Vi è da dire che i monogrammi in questione (pseudo monogrammi), datano a partire dal V/VI secolo d.C. per il mattone di IOHANNIS fin verso il IX secolo per i monogrammi dei papa Giovanni VIII e IX. In questi due casi però, se la mia ipotesi è giusta, non vi sarebbe scritto il titolo di Santo, per due motivi. Il primo motivo si rifà all'ipotesi che vuole la S rovescia segnale della presenza dell'appellativo “santo” (il mattone è interamente speculare, per tanto visto nel verso giusto la S è dritta); il secondo motivo è dettato dalla ragionevolezza che impone l'impossibilità del titolo di Santo per un papa ancora in vita e comunque per due papi (Giovanni 8° e Giovanni 9°) che non sono mai stati elevati alla condizione di santo.
    Per la croce da Trezzo sull'Adda, vi è da dire che essa fu rinvenuta in una tomba databile al VII (tomba n° 2) e faceva parte del corredo di un guerriero longobardo di alto rango. Così si legge nella descrizione del corredo: “[...] una coppia di speroni con le guarnizioni delle loro cinghie ed una croce in lamina d’oro. Quest’ultima è ornata da tre croci decorate al centro dal monogramma A, N, S, O, riferibile al nome del defunto o dell’orafo, oppure da interpretare come sintesi di frasi augurali.” Questo si legge nel sito web del Civico Museo Archeologico di Milano. La Dr. C. Giostra 2007 e prima di lei il Dr. G. Volpe 2002, in quel monogramma vi leggono IOHANNIS, altri (?) vi leggono una sorta di acronimo A.N.S.O., senza andar tanto per il sottile: che importa se un monogramma di simile fattura è l'effige di un papa di nome Giovanni; figuriamoci l'aver notato la sottigliezza della esse scritta in senso inverso. Ma, bando alle polemiche torniamo in tema per dire che proprio qui sta la differenza tra i primi due monogrammi descritti e quest'ultimo. Quella croce in lamina d'oro, segno di Gesù Cristo, reca il nome di San Giovanni il Battista al quale affidare la protezione della propria anima. Per tanto quella “esse al contrario” è un escamotage per scrivere il nome e affidare nascostamente il defunto alle cure del Santo intercessore. In definitiva il monogramma scritto con la esse dritta era da considerasi sacro in virtù del nome del santo al quale il papa si ispirava, ma era lo stemma di quel papa, che fosse Giovanni o Paolo; ma quella esse al contrario manifestava la diretta attribuzione al Santo; in questo caso a San Giovanni Battista. Perché in fin dei conti un santo può intercedere presso Dio, non un papa.
    Tornando al discorso del periodo d'uso di questi monogrammi, l'indovinello veronese VII-VIII secolo è proprio del periodo attribuito alla tomba 2 dove fu rinvenuta la croce in lamina d'oro.

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  10. Grazie per la precisazione Sandro. Interessante è il fatto che (come sostieni tu) 'San Giovanni' sia il protettore del potente nobile signore longobardo. Anche qui niente di nuovo sotto il sole. I Faraoni Santi, figli prediletti del padre (RA), intercedevano per la sicurezza del viaggio del defunto nell'aldilà, così come i santi sardi (Gayn, Jaziz, Lephisy, ecc.)figli prediletti di yh intercedevano per la salvezza degli uomini di Sardegna, così come i medesimi intercedevano addirittura per la salvezza dei nobili (e forse non nobili) etruschi (bronzetto sardo di 'Gigante' nella tomba di Cavalupo. Una credenza davvero unica nel tempo e nello spazio: la 'santità' nei millenni in Egitto, Sardegna ed Etruria, come garanzia di sostegno per il defunto.

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  11. Caro Professore, l'esempio che abbiamo qui portato dimostra, al di là delle polemiche mosse da Dinosauri, Palloni gonfiati o Giullari che siano, che il modus operandi “nuragico” da risposte convincenti al di là del tempo e dello spazio, nel momento in cui l'uomo deve interagire con la divinità che lo ha creato. Da sempre, anche oggi, l'uomo davanti al suo dio è nudo e come tale si comporta al suo cospetto... sempre.

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  12. Diciamolo francamente. La 'sfida' contro l'essoterismo (il profano, il banale, il superficiale, il facilmente comprensibile) è in atto. Ci si accontenta del nulla o del poco e, in fondo, non si approda a nulla con esso. Prova ne sia il fatto che per quanto riguarda la scritta della croce di Trezzo si è passati dalla banalità dell'interpretazione iniziale (sigla, nome del nobile longobardo, ecc.) alla successiva banalità della Giostra (anche se con il merito dell'intuizione del nome 'Iohannis' dato, in particolare, dal monogramma con le lettere nascoste). Tutto invece rientra in quello che viene detto esoterico che, in quanto tale, richiede sempre uno sforzo notevole di interpretazione comprendente forse la stessa numerologia, con la magia del tre (IOHANNIS tre volte santo), numero sacro per eccellenza e particolarmente presente nel codice funerario di ogni tempo. Il 'tre' non è accidente, non è gusto, non è decorazione ma simbolo culturale, come simbolo culturale (per i cristiani) è quella 'particolare' croce che non rimanda certo a Iohannis ma al Cristo e alla sua 'pietas' che è quella del Padre. Tutto l'oggetto trasuda simboli, dai più grandi ai più piccoli. Manufatto che va interpretato nella ricchezza dei suoi numerosi rimandi evocativi. E' facile quanto sciocco sbarazzarsi di un oggetto ricorrendo al 'mito' della decorazione. E' l'errore continuo del Lilliu per i bronzetti sardi come è l'errore di tanti etruscologi che interpretano 'superficialmente' oggetti, sculture e pitture del system funerario dell’Etruria. Certo, è più facile e più comodo (diciamo che non si ‘scivola’) ricorrere alla descrizione del 'decorarivo'. Non si corrono rischi dei cecchini sempre appostati in ogni dove nel mondo ‘scientifico’ universitario.. Ma è un procedimento ermeneutico dimidiato perché non si affronta con il dovuto metodo esoterico il significante ed il significato. Mi sto sforzando a spiegarlo questo, ovviamente con più tentativi, legati alla difficoltà di aggredire la 'ratio' dei simboli che nella molteplicità d'impiego intendono nascondere e proteggere la semplicità della formula. Parlare di acrofonia nel system funerario etrusco sembra quasi uno scandalo, eppure essa quasi la fa da padrona perché cela, senza che uno se ne avveda, l'essenza della divinità espressa con una lettera ed un numero. Ciò per dire che essere accusati di esoterismo (la si chiami pure fantarcheologia) è piacevole e gratificante perché ci pone sul piano del profondo e non del superficiale che è delle persone grigie o degli stupidi (alla latina). Io non so quanto tu, caro Sandro, possa sbagliare interpretando i pozzi di Santa Cristina di Paulilatino o di Santa Anastasia di Sardara. So però una cosa: che parlare superficialmente di ‘culto delle acque’ (sic! al plurale) non è per nulla ‘interpretare’. E’ dire il minimo assoluto senza fatica e senza pagare dazio alcuno (ciò che più conta’). E’ come dire che nel Nuraghe c’è il culto del fuoco (o dei fuochi). Ciò puoi estendere, se vuoi, alle statue taurine di Monte e Prama che sono ‘Eroi’, ai nuraghi che sono ‘case e castelli’, ai bronzetti che sono prodotti di ‘artigiani del bronzo’, alla scrittura nuragica che nella barchetta di Teti offre segni simbolici misteriosi (e non lettere fonetiche del repertorio sacro), ecc. ecc. Il massimo della ‘stupidità’ però lo si ha nell’affermare (direi ipocritamente) che la yod nuragica (e non solo nuragica, ovviamente) acronima di YH, quella che si trova più dei funghi in autunno, è ‘lettera a forcella’. E come no? Il più del pressapochismo e della pigrizia mentale! L’acronimo di UNI nell’etrusco, ovvero ‘V’, gli etruscologi lo ignorano e dicono che è lettera… a schiena d’asino rovesciata.

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  13. Da questa ultima sua battuta Professore, mi viene in mente una immagine comica quanto grottesca: "un asino con la schiena rovesciata, ossia a "francas a susu", dalle risate a sentir questa spiegazione accademica.
    Per i diversamente Sardi, l'espressione "francas a susu" significa letteralmente " con le unghie rivolte verso l'alto" ossia: pancia all'aria.
    Per il resto: lo sforzo maggiore da esercitare nello studio è proprio quello di immedesimarsi nell'intimo pensiero di quelle genti e di conseguenza pensare come loro pensavano, ma non perché si voglia abbandonare la propria linea di pensiero, radicata in ognuno di noi, ma per ritrovare quel filo rosso che unisce il pensiero a ciò che quel pensiero antico ha prodotto in termini di manufatti o altre espressioni, che sfuggono alla comprensione del vivere quotidiano. Per tanto se dovessi studiare l'astrologia, non lo faccio in funzione di un credo (questo tema è fuori dal mio modo di ragionare), ma per sondare l'animo di quelle antiche genti e per tanto dare risposte convincenti a interrogativi che altrimenti rimarrebbero nel buio della nostra incolpevole ignoranza. Incolpevolezza che però si tramuta subito in colpa nel momento in cui si evita, per noncuranza, poca voglia, paura, vergogna d'essere additati, poca o nessuna onestà intellettuale, lo studio approfondito, quello che richiede sforzo mentale, un pizzico di ardimento e tanta, tanta passione.

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  14. Sandro,bada, ascanso di equivoci, che la mia espressione è ironica. Non c'è nessuna espressione degli 'accademici' circa la schiena dell'asino rovesciata. L'ho inventata io per dare l'idea del comico riferendomi alla lettera 'a forcella'. Ironizzando sulle definizioni fasulle di certa archeologia che per non dire dice amenità.

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    1. Chiedo venia agli Accademici, ma la tentazione di ironizzare su quell'immagine è stata irresistibile.

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  15. Sono ormai passate più di 24 ore dal penultimo commento del Prof. Sanna, per tanto ora son qui per far notare, con un bell'esempio presente proprio in quel commento, quanto difficile sia l'approccio a ciò che non si conosce. Tant'è che il Prof. Sanna, a parer mio, ha teso in quell'intervento una trappola lessicale indirizzata celatamente ad un certo pubblico “nascosto”; non quello erudito naturalmente, quello capace solo di sorridere e gettare fango a piene mani da dietro l'anonimato, senza badar dal canto suo di nettarle sui propri calzoni. Una trappola dicevo, nella quale cade colui che, sprovveduto e di corte vedute, legge il commento è ride alla “esse” raddoppiata; gridando “all'asino sardo” che raddoppia per sua natura tutte le consonanti e cosa ancor peggiore prende un abbaglio sul significato della parola.
    Attenti miei cari (?) osteggiatori, l'inciampo è lì dove la superficialità impera.
    Dal canto mio, quelle “esse” se pur diritte le ho intese, nella mia ignoranza, come “esse al contrario”, oblique e per tanto ambigue.

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  17. Caro Sig. Sandro,
    grazie per questa splendida chicca sull'"esperto" Cavillier, così come l'ha definito il D'Oriano, fatto di cui non ero a conoscenza. Il D'Oriano, prima di lasciarsi andare a certe affermazioni, a dubitare o a negare il rapporto sardi-shardana, dovrebbe documentarsi un pochino di più, magari utilizzando anche fonti in lingua straniera. Anche il Cavillier, se è così esperto come il D'Oriano vuol farci intendere, perché non prova a smentire uno che la pensa esattamente come il dr Greco e che di certo non è un fanta-archeologo? Uno che è nato mangiando geroglifici e visionando giorno dopo giorno e anno dopo anno chilometri di antiche rovine, uno che si nutre di egittologia e archeologia da quando il Cavillier era ancora nei sogni di mamma e papà! Parlo del professor Zahi Hawass, Segretario generale del Consiglio Supremo delle Antichità Egizie, uno dei massimi esperti mondiali per cià che concerne l'egittologia, il quale ritiene che sardi e shardana fossero la medesima cosa. Se ciò non dovesse bastargli o se Hawass fosse un osso troppo duro per lui, e posso capirlo, povero egittologo italiano, riguardo l'argomento sardi-shardana, suggerisco al Cavillier di provare ad affrontare il professor M. Abbas, rettore dell'Università egizia South Vally di Qena o magari, perché no, pure l'egittologo e storico nonché Ministro delle antichità d'Egitto M.A. Raafat. Tutti concordi nell'accettare l'equazione shardana = sardi. Potrei fare altri nomi, gente che conosce la materia a menadito, ma forse è inutile. Del resto, chi vuole restare attaccato alle proprie convinzioni, pure se superate, ci resti. L'importante è che non faccia lezione a chi le lezioni potrebbe dargliele. Saluti.

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    1. Il problema di fondo sta proprio in quel "perché non prova a smentire": non lo faranno mai, come non arriveranno mai ad un confronto aperto uno davanti all'altro: troppo rischioso. Meglio un monologo con applauso da rockstar dai propri fan. Il confronto da modo allo spettatore di soppesare e giudicare; il monologo no, perché il monologatore (si può dire?) riesce a tirar l'acqua al suo mulino perché solo quello vi è lì da alimentare. Tant'è che nel contesto che descrivo all'inizio dell'articolo assistei ad una gran giullarata da saltimbanco che grande ilarità suscitò tra i fan giunti all'uopo di batter le mani per mover l'aere, tanta era nella bolgia lo calor profuso da tali menate.

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