F. Pilloni
Oggi
vorrei (in sardo è voglio, molto più diretto) parlare di tre
parole soltanto, un poco particolari e popolari, nel senso che
vengono adoperate dal popolo, dalla gente comune, meno dai signori.
La
prima è APPRAPUDDAI.
Dico
subito che il canonico Bissenti Porru non (ri)conosce questo
vocabolo, pur essendo di Villanovafranca, dove parlano alla maniera
della Marmilla o della Trexenta. Egli segnala un Apprapai ma,
sembrandogli troppo agricolo (contadinesco), lo rimanda a Appalpai,
sicuramente più signorile e, si pensi all’italiano “palpare”,
molto più civile.
Apprapuddai
possiede una forza significativa molto più potente. Si pensi a
qualcuno che dice: “Di questa cosa io non ne mangio perché
l’hanno apprappuddada in tanti!”, ciò che fa pensare che
sulla “cosa” in molti ci abbiano ficcato le mani, e che non le
avessero molto pulite.
Apprapuddamentu
dunque, è il toccare con le mani, o con le dita delle mani o dei
piedi, qualcosa o qualcuno senza nessun profitto.
Apprapai,
appalpai
(in italiano palpare) fa tornare
in mente
quando,
giovincelli, al cinema allungavamo
la mano al buio verso la ragazza seduta a fianco.
La
cosa non
era senza
costrutto!
E la
vicina
di posto non era “cosa” da scartare,
perché
nessuno l’aveva mai apprapuddada.
Si pensi a che
figura ci
avrebbe
fatto chi avesse riferito agli amici di
aver
apprapuddau
una ragazza,
al posto di dire che l’aveva lisciata, carezzata,
piuttosto
che pizzicata e leccata!
Il
secondo vocabolo è ABBRABUDDAI.
In
senso
figurato,
se
uno, all’interno
di una conversazione,
mette
parole che non ci appiccicano
nulla,
non
diremo
“Cosa
stai
apprapuddendi!”,
che
già non suona delicato,
ma “Cosa
stai
abbrabuddendi!”
che
in italiano
tradurremo con “Cosa
stai blaterando!” o con
“Bla
bla bla!”.
Se
stiamo attenti, quel abbraduddendi fa pensare pure a uno che
comincia una frase e non la porta a termine, dunque a un discorso che
non arriva a nessuna conclusione.
La
terza parola è IMPRABASTAI.
Quando
qualcuno si confonde e piglia aglio per cipolla, sia conversando che
nel fare le cose, diremo “Ma cosa stai imprabastendi?”.
Imprabastai
appare una forma molto peggiore di impiastrai, vale a dire
combinare un impiastru (impiastro), e rendi meglio il
disappunto per il casino che si è combinato.
Che
si faccia attenzione perché impiastru è cosa differente da
impastu (impasto): impastu è quello della
farina (con acqua, sale e lievito) per fare il pane, quello della
sabbia con la calce per fare la malta, e così di seguito; impiastru,
a parte una cosa mal combinata o anche colui che l’ha combinata,
vuol dire pure il miscuglio di erbe cotte (penso alla parietaria e
alla malva) per fare una cucchedda, medicina antica per
blandire il mal di denti e gli ascessi.
Cucchedda
deriva da cucca, vale a dire trempa (guancia), perché
si metteva s’impiastru appoggiato alla memoria (la
tempia) o alla trempa.
Non
per nulla, ma ora, tra quelli che hanno letto, qualcuno è in grado
di dire se io, in ciò che ho proposto qui, ho abbrabuddau,
imprabastau o solamente apprapuddau qualcosa?
Sono
annoiato. La parte in italiano non ha migliorato nulla.
Non
so a cosa sia servita.