Lingua Sarda poberitta? Tostorruda, siat a nai!
(Francu Pilloni)
Certo è, cara vecchia Lingua Sarda, che è anche colpa tua, almeno un poco, la causa della tua malattia, se di malattia si vuol parlare.
Io non credo che tu sia malata, data l’età potrei pensare a una sorta di demenza senile, perché i sintomi sono altri: una dose di irrazionalità e la testardaggine a non voler cambiare, non dico con le mode passeggere che si sovrappongono di anno in anno, ma non fai una piega neppure di secolo in secolo. Oggi sono di moda i jeans e le t-shirt e tu continui a parlare de camisas e brusettas, la gente cammina su sneakers e slinky che tu continui a chiamare crapittas e crazzolas, … ascurta, no s’indi podit prus de tui, ses foras de su mundu!
Se fosse ancora viva, se avesse superato l’esame autoptico a cui è stata sottoposta, se avesse recuperato il dono della parola, cosa mi avrebbe risposto questa veterana lingua con la voce di nannai?
“Seu tostorruda, mi naras? Tenis arraxoni. No ses tostau tui puru? E babbu tuu? Prus tostorrudu de issu ind’has connotu?”.
Non mi resterebbe che abbassare lo sguardo; capisco che la lingua sarda è nata e cresciuta a misura di Sardo: noi siamo la nostra lingua, la nostra lingua siamo noi.
Però, obbietto, la Lingua Sarda ormai è fuori dal mondo.
“No est aici! Est su mundu ch’ind’est intrau a domu nosta! Comente a sa stracìa”.
Questa era la voce di aiaia manna, la mia bisnonna.
Sì, è testarda questa Lingua, come tutti noi Sardi. O quasi tutti, non vorrei dare del testardo a chi non se lo merita.
Però un poco irragionevole lo è. Questo è sicuro.
Faccio un esempio, ma chi ha paura delle parole, tiri dritto: se uno vuole tagliare un ramo di un albero, bollit segai unu cambu, cosa gli serve? Facile da dire: po segai, serbit una sega!
Ma neanche per sogno: po segai serbit una serra, o almeno unu serraccu.
Ma guarda tu! E io che pensavo che sa serra servisse po serrai.
Serra, a ben vedere, è una parola che è tutto un pasticcio: si pensi a cosa significhi fai su serra serra, oppure pesai a sa serra, o ancora sa serra de sa camba che non taglia proprio nulla, anzi si taglia essa stessa se riceve un colpo.
Quando in sardo si sente la parola sega, la mente corre subito ai dieci comandamenti, a quello che proibisce l’atto impuro che, in verità, è conosciuto anche come puliga.
Ma se sentite una santaiustesa dire “Ariserenotti a Luisu dd’hapu fattu una puliga po cena”, vuol dire solo che le aveva cotto una folaga, volatile ben presente nello stagno.
Ci sono parole sarde con le quali è facile giocare. Lo facevano infatti i nostri padri e i nostri nonni prima di loro quando, riuniti nel piazzale della chiesa in attesa della predica delle Quarantore, raccontavano e ridevano di questi equivoci più che onesti.
Ora non ci sono più quegli uomini, non ci sono neppure le prediche delle Quarantore. E non c’è più, soprattutto, la Lingua Sarda.
Purtroppo.
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