venerdì 12 giugno 2015

rapsodia di un grafema 4

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parte 4


OTHOCA

OΘOΚA

   Il nome di Othoca, diversamente da Thirša e Tharroš, non lo troviamo nella Geographia di Claudio Tolomeo, benché in una pubblicazione dal titolo “Santa Giusta – Othoca. Ricerche di archeologia urbana 2013”[1] si dichiari a più riprese che il toponimo vi compaia nella forma «Othaia polis». A dar credito a quanto asserito, nel testo greco di Tolomeo avremmo dovuto trovar scritto «Oθαία πόλις». Ma nella versione greca della Geographia troviamo scritto
«‛Oσαία πόλις» traslitterato in caratteri latini «Osaia polis». Per sicurezza cerco nella traduzione latina e trovo perfetta corrispondenza col greco
«Osæa ciuitas» (così traslitterato probabilmente per effetto della pronuncia reuchliniana che prevede per il dittongo “αι” la pronuncia in “e”); mentre nella traduzione in italiano trovo«Osea città», pure in perfetta sintonia.
   Tolomeo trascrive il toponimo con “spirito aspro” che denota un’aspirazione iniziale, per tanto con pronuncia greca precisa. In ragione di ciò si può escludere sin d’ora un errore dello studioso Greco, tanto più che per quanto riferitomi da un esperto professore di greco antico, a cui ho chiesto un parere,[2] una sibilante «σ» non può diventare di certo una dentale aspirata «θ».
    Perché, allora, in quell’articolo si traduce «Othaia polis», visto che nessuno dei traduttori dal greco fa questo? Di certo non è questa la sede per fare polemica (non è questo il mio intento), ma sarebbe il caso di approfondire l’argomento visto che nell’articolo della nota [1] si ostenta per ben quattro volte la sicura correlazione di ‛Osea (riportata Othaia), con Othoca, con quella che ritengo una forzatura che sostituisce il sigma con un tetha.
   Una rapida ricerca su internet m’informa che il toponimo Osea è riferito ad un paese precursore di Terralba, per tanto un centro abitato che nulla ha a che fare con Othoca, distante circa 18 Km. L’equivoco nasce in seguito alla pretesa dei commentatori di Antonino (Simlero e Wesselingio), di riconoscere nella città di Othoca, quella ‛Osea riportata nella Geographia di C. Tolomeo[3].
   Avendo chiarito che sicuramente Othoca non è  ‛Osea, ed avendo appurato che non trova riscontro nei lemmi del greco antico, ritengo di poter indagare il lessico in ambito semitico, così come ho proceduto per Thirša e Tharroš.
***
   Il toponimo «Othoca» in grafemi semitici è scrittoche letto da destra verso sinistra ètraslitterato «’ak‛oth‛o».
   Isoliamo il trigramma iniziale «’ak‛o». In nuragico abbiamo attestata la parola «’ak → toro»; ma apprendiamo che in Sumerico il segno “Aga” significa “corona”, in Accadico “Acu” significa pure “corona”, in Ittita “Aga/Acu” ancora significa “corona”, mentre in Greco gli “Agoi” sono i capi.[4] Da qui se ne desume che, da quanto esplicato nell’articolo del blog della nota (4), il nostro trigramma «’ak‛o» o «’ak‛u» significa capo, comandante.
   Il grafema teth, come già ampiamente spiegato significa “buon segno”.
   Il grafema ‘ayin ha il suo significato originario di “occhio”, per tanto può significare “vedere, guardare, controllare”.
   In ragione di ciò possiamo decifrare il lemma nel seguente modo:
’ak‛o teth ’ayin Comandante buon segno (di yh) guardare.
Per tanto il significato sarebbe: (città) comandante a guardia del buon segno di yh, ossia: Capitale a guardia del Thirša.
   Considerato che Othoca era a stretto contatto con la foce del fiume sacro, di fatto era pure lei sotto gli auspici divini, chiaramente evidenziati dal “teth”, per tanto capitale a guardia del Thirša per legge divina.
   Naturalmente anche questo lemma nel rispetto di quanto rilevato nello studio di Thirša e Tharroš era scritto in nuragico da sinistra verso destra[5], per tanto era scritto «’ak‛oth‛o» che letto normalmente in semitico sarebbe stato «Othoca».
   Abbiamo appurato che Othoca non è elencata nella Geographia di Tolomeo, forse perché quando il geografo redisse la sua opera, Othoca ormai non era più una grande e influente città, soppiantata per importanza da Tharroš. Non di meno fu però già da tempi antichissimi città importantissima, forse già in età neolitica per via del commercio dell’ossidiana. Città, Othoca, in posizione strategica al centro del golfo di Oristano, lì dove il sacro fiume Thirša si getta in mare. Quel fiume che sicuramente sin da quei tempi remotissimi fu importante punto strategico per le genti Sarde, che lungo il suo corso stabilirono il pacifico confine, naturalmente invalicabile, dei loro territori. Ecco che allora alla città che lì vicina sorse, non a caso, gli fu imposta una funzione di comando su quel territorio. E’ possibile che perse la sua influenza quando si trovò a confrontarsi con Tharroš, forse nel cruciale periodo di cambio di strategie commerciali (perdita di interesse per la commercializzazione dell’ossidiana), ma sicuramente per la posizione di quest’ultima, posta “in prima fila” all’imboccatura del golfo di Oristano, a sbarrare il passo, eventualmente, a chi entrava e usciva da quel golfo. Ecco che in questo contesto, acquista un senso logico il significato dei due toponimi Tharroš e Othoca, entrambi assoggettati al Thirša, ma non contemporaneamente nella storia: prima l’una: Othoca, poi l’altra: Tharroš che tolse a quella il primato di capitale del territorio e di sorvegliante del sacro fiume.
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   In fine tre considerazioni
1.         In questo studio il significato di Thirša, Tharroš e Othoca, potrebbe sembrare scaturito da un’ipotesi di lettura bizzarra, non supportata da prove concrete (se non nel caso dello šin di tharroš), ma solo da congetture. Questo potrebbe essere vero se avessi tentato la decifrazione di uno solo dei nomi, ma averli decifrati tutt’e tre ed aver trovato di tutti, col medesimo metodo, le radici semitiche che ben concordano coi significati e i significanti (la situazione geografica dei luoghi), ritengo che possa avvalorare questa mia ipotesi; tenendo in debito conto l’ambito in cui prendono vita i tre toponimi, che hanno in comune l’immancabile rebus scrittorio dettato dalla valenza sacrale che li definisce “segni della divinità” per via di quel soffio divino “th”.
   A ben vedere non a caso tutt’e tre i toponimi furono volutamente scritti da sinistra verso destra, perché essi erano tutt’e tre affidati alla tutela della divinità e per tanto, come già detto, non potevano e non dovevano essere pronunciati da bocca umana nella giusta sequenza della formula divina, ossia ’ašryth, š’arr’ath, ’ak‛oth‛o.
   Una obiezione mi è stata rivolta a riguardo del toponimo Tirso (per altro in via ufficiosa lontano dall’ufficialità del commentario del blog); in quell’occasione mi si oppose l’obiezione a riguardo della trasformazione della “o” finale in “a”, che io ritengo del tutto legittima nell’inquadramento della tesi da me proposta, in quanto sostengo che il toponimo arrivò a Tolomeo per via verbale e non scritta. Tenuto conto del fatto che il trilittero ’šr ossia ’aleph-šin-reš che è parte del nome Thirš’a letto al contrario, inizia appunto con lo ’aleph, che è una leggera aspirazione consonantica, alla quale può essere associata qualsiasi vocale; come del resto può associarsi allo ‛ayin la vocale a, tant’è che il nome della divinità b‛lbet-‛ayin-lamed, è pronunciata ba‛al, e ciò non desta comunque confusione per il fatto che la differenza tra ’aleph e ‛ayin non è data dalla vocalizzazione ma dall’aspirazione: debolissima per lo ’aleph, che nasce dalla gola e si forma nel cavo orale; forte di gola e di petto per lo ‛ayin.
   Il fatto che nella spiegazione dell’idronimo abbia usato la vocale a finale è dettata solo dall’associazione di questa allo ’aleph consonantico, che in definitiva, almeno dal punto di vista grafico, da quest’ultimo è originata, ma nulla vieta di pronunciare: Thyršo e comunque sia ho già spiegato nella trattazione del toponimo (parte 2), che quella “o” potrebbe derivare dalla equiparazione del genere a quello normalmente usato in greco per i fiumi, ossia terminazione in “o” e flessione, quale sostantivo neutro, nella seconda declinazione.
   Sempre a proposito di Thyršo, ritengo di dover puntualizzare che, a supporto di quanto affermato nella nota 31 relativa alla trattazione del nome Tirso (parte 2), dove ho scritto che “…in questo contesto scrivere in caratteri latini “th” o ht” è perfettamente identico in quanto esso è la traslitterazione del grafema semitico”non  intendevo dire che scrivere generalmente th o ht è la stressa cosa, ma intendevo dire che il grafema preso nella sua interezza è identico sia letto da sinistra verso destra, ossia → th, che letto da desta verso sinistra, ossia ← ht, tant’è che per ovviare a qualsiasi dubbio e comparalo al grafema semitico, nonché greco, possiamo traslitterare il suono th con questo grafema compositocreato ad hoc.

2.          Potrà sembrare una forzatura, però nel toponimo Tharroš (trattato nella parte terza), ritengo di poter individuare una sorta di legatura “vocalica” di grafemi (cara agli scribi nuragici quella grafica). Come si può notare nella traslitterazione del nome in caratteri di tipo fenicio secondo l’uso scrittorio da me ipotizzato:, il taw legato a quell’aspirazione finale della parola semitica r’ah, nella pronuncia (secondo la lettura canonica da destra verso sinistra), rendeva comunque un suono simile al teth, benché falso, nella proposta di rebus nuragico di quel nome al contrario, che di fatto sanciva la sacralità del nome stesso. Sicuramente Tolomeo, o chi per lui, apprese il toponimo solo per via orale, da persone che pronunciavano il nome con la taw senza successiva aspirazione: Tarroš. Altri è probabile che lo pronunciassero aspirato per via di quello “he” e questo dimostra, a parer mio, che il toponimo Tharroš è arrivato fino a noi per altre vie rispetto al testo di Tolomeo; come dimostra appunto il ritrovamento del rammentato cippo miliario e come testimonia di fatto la scritta di cui alla nota 10 della parte terza (studio del toponimo Tharroš), che in modo inequivocabile restituisce un teth, benché falso[6].
  Una difficoltà potrebbe palesarsi nel collegare «Th’arr‛oš»  con «Tršš», attestato nella stele di Nora, ma a ben vedere la medesima difficoltà la riscontriamo tra quest’ultimo e l’attestazione del concio di B.M. dove troviamo scritto Tharruš. Indubbiamente la spiegazione di Porf. Sanna (nell’articolo relativo alla scritta di B.M.), ha la sua valenza e la pronuncia avvenuta per caduta del primo šin e conseguente raddoppiamento del reš potrebbe aver modificato nel tempo la traslitterazione del nome da «Tharšuš» a «Tharruš», ma a questo punto lo domanda passa da un lemma all’altro: cosa significa Tharšuš? Ha una significante valenza «th’rš‛š» sezionato in «t - h’r - š‛š», oppure «th - ’r - š‛š» o ancora «th - ’rš - ‛š»? Oppure al contrario da destra verso sinistra: «š‛š - r’h - t» oppure «š‛š - r’ - th» (inteso th come unico grafema), ovvero «š‛ - š r’ th»?
   Qui mi fermo in attesa di eventuali possibili traduzioni alternative, che io stesso potrei trovare. Con questo non voglio smentire o inficiare questo mio lavoro, voglio solo dire che quando si cerca di indagare questi campi, l’azzardo è d’obbligo, chi non percorre strade sconosciute, non arriverà mai a conoscere cose nuove e se per caso o negligenza o esuberante avventatezza si imbocca un vicolo cieco, è necessario, se non un obbligo, tornare sui propri passi; non facendolo si rimane coscientemente imprigionati e il vicolo cieco diventa il nostro mondo; per tanto, con lo spirito di chi vuole arrivare alla verità dei fatti, non avrei alcuna difficoltà a fare marcia in dietro se solo trovassi una spiegazione concreta e significante del termine Tharšuš. Ma fin quando ciò non avverrà, io ritengo di aver estrapolato un significato verosimile.
3.         Fin’ora i tentativi di decifrare questi toponimi sono falliti, perché essi (i toponimi), vanno oltre i linguaggi comunemente usati in ambito accademico per la loro traduzione, tant’è che Massimo Pittau si ferma al Greco per decifrare “Tirso” e comunque non va a sezionare il toponimo nei suoi elementi e nessuno, a quanto ho potuto appurare, lo fa per Tirso né per Tharros, tantomeno per Othoca: e come se volessimo interpretare la parola “poliglotta“ senza badare che di per se è composta da due radici ben distinte, avvalendoci solamente di quanto acquisito dai dizionari della lingua italiana dove leggiamo “persona che conosce e parla più lingue”, senza avvederci del fatto  che quel “più” della definizione è dato dal prefisso “poli” dal greco polys col significato di molto, prefisso che compone svariate altre parole usate in molteplici campi: poliedrico, policromo, polivalente, poligrafo, poligono, polimorfismo, politeismo, poligamia, ma anche polipo, ma non policlinico che viene da “polis = città e così tantissime altre parole composte con radici per lo più greche e latine, che sicuramente comunque, hanno a loro volta avuto origine da chissà quale radice più antica. Per contro non verrebbe in mente a nessuno di cercare un diverso significato nel toponimo “Neapolis”, senza cadere nel ridicolo, così pure per Cartagine ovvero qrthdšt, che sempre “città nuova” significa, la prima in greco, la seconda in punico; e se Neapolis e Cartagine hanno un significato ben preciso, sicuramente anche Tirso, Tharroš e Othoca hanno il loro preciso significato. 
L’utilizzo del metodo scaturito dallo studio della scrittura nuragica, con tutte le sue implicazioni regolamentari e di carattere religioso, che impongono una lettura quanto mai criptica, danno modo di arrivare, almeno sembra (ne sono convinto a meno di eventuali plausibili obiezioni che possono essere addotte e che accoglierò di buon grado), a traduzioni verosimili e qui mi pare di averne dato prova.






[1] Da:  http://www.fastionline.org/docs/FOLDER-it-2014-312.pdf  pag. 1, 3, nota n°20 e pag. 5.
[2] Il parere è stato chiesto, vista la statura culturale dei redattori l’articolo di cui alla nota (1)
[5] Con questa affermazione non si vuole intendere che ci fosse una epigrafe o quant’altro con su scritto il nome della città, ma che gli scribi nuragici detentori della scrittura e del sapere diedero il nome alla città, magari anche trascrivendolo su qualche supporto, ma solo per reiterarlo al contrario e divulgarlo alle genti in modo quanto mai criptico, similmente all’escamotage Ebraico che elude il nome di Dio con appellativi che mai danno modo di intravedervi il tetragramma divino.
[6] La trasformazione del T+H in TH potrebbe essere avvenuta in seguito alla pronuncia di chi sapeva leggere il nome in lingua semitica, da destra verso sinistra, pronunciando similmente al teth  quella sequenza taw+he; chi ascoltava associava il suono al teth e nell’uso vocalico fu tramandato fino all’età romana, durante la quale fu scritto come teth.

2 commenti:

  1. Ma nel Sinis c'era anche l'enorme complesso/città di Monte Prama, chissà quello cos'era, spero che ci aiuterà a chiarire questa ed altre faccende.

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  2. Mi piace pensare che Sinnis sia stato un tempo il nome di quel santuario; ma è solo un mio volo pindarico.

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