martedì 20 novembre 2018

Quando "CORBELLERIA" ti scoppia in mano...!

di Sandro Angei

Se ben ricordate, il 21 ottobre ho pubblicato un ðŸ‘‰articolo in risposta (e qui si capisce la definizione di “seconda parte” del titolo) allo scritto di uno stimato ðŸ‘‰archeoastronomo che, con baldanza e grado superiore di superiorità (scusate il bisticcio di parole), ha cercato di infirmare (?) la mia ipotesi ricostruttiva del tempietto aereo del pozzo di Santa Cristina.
  In verità, la mia è una ricostruzione virtuale tesa a salvare quel che si può della tesi di A. Lebeuf, non certamente per avanzare ipotesi da ritener vere in senso assoluto 1.


 Personalmente nutro qualche dubbio sulla effettiva presenza di una qualche struttura aerea coperta, quale parte integrale del pozzo di Santa Cristina; ma se questa vi fosse stata veramente, forse era verosimilmente nella posizione da me ipotizzata, presupponendola legata non al rito ma all'accoglienza di fedeli, magari in attesa (è solo una ipotesi, null'altro). 
 Ben diverso è invece il discorso legato al pozzo sacro di S'Anastasia di Sardara, dove il tempietto di superficie era strettamente legato alla manifestazione luminosa.

 Puntualizzato questo... In quel suo articolo il Zedda, l'archeoastronomo, dà per scontata l'idea che sul pozzo di Santa Cristina vi fosse eretto un tempietto, secondo il modello da lui elaborato e pubblicato in un suo libro. In sostanza l'archeoastronomo ritiene che il tempietto aereo fosse "un mix tra quello di Su Tempiesu di Orune e quello di Is Pirois  di Villaputzu, non tenendo conto del fatto che entrambi quei monumenti coprono ed inglobano l'intera fonte (Fig. 1), cosa che non è prevista nella sua ricostruzione (il tempietto da lui ipotizzato copre la sola scalinata). Evidentemente l'ipotesi ricostruttiva del Zedda è tesa esclusivamente e in modo pedestre a sostenere lo studio di A. Lebeuf.
 
Fig. 1
Le due immagini sono tratte da: La fonte sacra di Su Tempiesu2


Pozzo sacro di "Is Pirois" Villaputzu
Immagine tratta da Monte prama blog 

   Secondo quella ricostruzione, o almeno da quel che si può capire dalla lettura della sezione del pozzo ipotizzata dal Zedda (Fig.2), il tempietto sembrerebbe costruito all'interno del recinto sacro ad "U" e rispecchierebbe nella fantasia del proponente, le forme della fonte di Su Tempiesu di Orune.


Fig. 2
Riproduzione della sezione del tempietto secondo Zedda.

   La sezione del Zedda non è supportata da una planimetria in pianta, né da un disegno di prospetto che avrebbero facilitato la comprensione della ipotetica struttura.
  A tal proposito ho cercato di colmare la lacuna realizzando pianta e prospetto del tempietto, simile per quanto possibile a quello di Su Tempiesu, tenendo conto della minima dimensione del paramento murario di quella fonte (0.60 m alla base del paramento destro della facciata che delimita il varco d'accesso alla fonte); senza per altro tener conto di dover soddisfare eventuali esigenze di carattere statico della muratura (Fig. 3a - b - c) ma privilegiando solo l'aspetto architettonico e l'ingombro in pianta del manufatto. E ragion di questo sta nel voler lasciare libero accesso al recinto sacro.

Fig. 3a - Pianta
libera interpretazione del pensiero altrui

Fig. 3b - Sezione in asse secondo Zedda

Fig. 3c - Prospetto elaborato dal sottoscritto
(color ocra la copertura della scala)
        
 Malgrado i miei sforzi non son riuscito ad ottenere una ricostruzione soddisfacente. In sostanza essendo lo spazio tra il limite del primo gradino della scalinata (largo ben 3.17 m) e il muro del recinto interno del pozzo di Santa Cristina, pari a circa 1.05 m; anche realizzando uno spessore murario alla base della scalinata di soli 60 cm, non ci sarebbe comunque spazio sufficiente per passare nella parte retrostante perché rimarrebbe un corridoio lungo circa 5 m e largo solo 45 cm; tale che il varco sarebbe stato ostacolato con tutta evidenza dai sedili posti attorno alla parte circolare del recinto stesso (vedi ancora Fig. 3a), a meno di non voler ridurre le dimensioni in profondità, dettate dal Zedda.
  Non migliorerebbe di certo la situazione se ipotizzassimo una struttura che prevedesse l'inglobamento delle due propaggini allungate del recinto (Figg. 4a - b - c). Questa soluzione non è dettata dalla mia fantasia, ma ancora una volta da quel che scrive il Zedda, quando nella didascalia esplicativa della sua sezione del monumento afferma: "Riguardo al frontone, ritengo fosse un mix tra quello di su Tempiesu e quello di Is Pirois di Villaputzu. Immagino la sua forma simile a quella de su Tempiesu, mentre ritengo che l'imboccatura dell'ingresso del vano scala fosse affine a quella che caratterizza Is Pirois e altri templi a pozzo". Non ci son dubbi, il Zedda immagina un tempietto simile a quello di Fig. 4; occludendo di fatto l'accesso al recinto sacro.




Fig. 4a - Pianta
Fig. 4b - Sezione in asse (la stessa di Fig. 5b)

Fig. 4c - Prospetto


 D'altronde sarebbe bizzarra l'ipotesi di un tempietto con "ante" all'interno di un recinto circolare con "ante"; non fosse per altro se non per la ancor maggiore lunghezza del già angusto corridoio d'accesso ai sedili (Fig.5); e in ogni caso sarebbe un'architettura che non ho riscontrato, neppure in maniera diversa, in altri contesti. Forse non mi son documentato a sufficienza?


Fig. 5

 Ritengo che quanto esposto possa inficiare pesantemente la soluzione del Zedda, visto che questa nega l'accesso alla parte circolare del recinto stesso, che probabilmente era usato per qualche cerimonia legata al rito, perché l'intero perimetro circolare, come già evidenziato, è provvisto di sedile.

 In ogni caso sarebbe necessario spiegare perché non vi sia traccia di alcuna costruzione sopra la struttura di massi poliedrici del recinto sacro e all'interno di esso; e perché nessuna soluzione di continuità si riscontra sulla recinzione stessa. 

   Ma a prescindere dalle due ipotesi da me suggerite alla ricerca di quella più soddisfacente capace, eventualmente, di avvallare l'ipotesi del Zedda; e a prescindere dalle obiezioni appena esposte legate alla mera fruizione del recinto sacro; nei templi sardi dedicati al culto delle acque troviamo il modulo della fonte coperta e le ante "probabilmente" scoperte (lo ammette lo stesso Zedda), come nel caso di "Funtana coberta" di Ballao e di Is Pirois di Villaputzu; ma anche quella di Puntanarcu di Sedilo, Su Lumarzu di Bonorva ed altre ancora. Modulo che prevede la presenza di un bacile per il contenimento dell'acqua sorgiva e corrente, coperto e protetto; ed un varco costretto da muratura, dal quale l'acqua defluisce e contemporaneamente consente (il varco) l'accesso al bacile della luce del sole fecondatore.
   Ci sembra di poter dire che i casi di Santa Cristina di Paulilatino e di Sant'Anastasia di Sardara siano emblematici di modi "diversi" di edificare rispetto a Funtana coberta e le altre, ma non certamente nel modo di concepire la struttura monumentale nel suo insieme. Ognuno di questi edifici sacri legati al culto con l'acqua presenta caratteristiche architettoniche in funzione del rito lì svolto. In sostanza: nulla di superfluo.
Le caratteristiche architettoniche sono in funzione del rito che esalta, esibendolo, lo "accoppiamento" della luce solare con l'acqua. Nulla di più, se non in quei casi dove la luce del sole viene veicolata ed indirizzata in una particolare esaltazione del potere lucifero da parte della sostanza acquifera (ierofania per riflesso). Nel caso del tempietto aereo di Sant'Anastasia, questo doveva soddisfare l'architettura luminosa progettata in quel luogo.
  Il pozzo di Santa Cristina presenta le medesime caratteristiche architettoniche di quelli già detti: bacile racchiuso, coperto e nascosto nel seno della madre terra (quello che possiamo definire il sancta sanctorum);  e il corridoio (scalinata) che veicola i raggi solari, consentendo l'unione di acqua e luce in un determinato momento dell'anno. Il pozzo di Santa Cristina non ha necessità di altro edificio se non un particolare che lo individui come sacro: il recinto interno3 ; e in ragione di questo possiamo ipotizzare una struttura aerea non strettamente relativa al rito, ma un edificio di accoglienza e d'attesa4.
   Alla luce di questa interpretazione il tempietto posto all'ingresso del pozzo di Santa Cristina ipotizzato dal Zedda, è un'aggiunta fine a se stessa, perché secondo l'ipotesi lunare dello stesso Zedda e di A. Lebeuf, il tempietto di fatto verrebbe bypassato dalla luce "lunare" che entrerebbe direttamente dall'oculo della tholos posta alle spalle del tempietto stesso.
  Questi motivi portano ed escludere, a parer mio, l'ipotesi del tempietto  costruito secondo l'ipotesi del Zedda; che per altro non ha alcun fondamento filologico, né archeologico.


Note
1 Ci sarebbero varianti al tema ugualmente valide, ma sarebbero anch'esse del tutto ipotetiche. In ogni caso il mio "modello" è ispirato a quello pubblicato nello studio del'archeologo Paolo Melis : la Civiltà Nuragica http://paolomelis.altervista.org/nuragico.pdf  che, benché sia relativa ad una capanna nuragica, di fatto propone il tipo "architettonico" usato da quelle genti (Fig.A).
Fig.A

2 Da: M.A. Fadda - Sardegna archeologica, Guide ed Itinerari La fonte sacra di Su Tempiesu - C. Delfino Editore su https://www.yumpu.com/it/document/view/16231037/la-fonte-sacra-di-su-tempiesu-sardegna-cultura

3 Come già asserito nella seconda parte dello studio sul pozzo di Santa Cristina 
http://maimoniblog.blogspot.com/2018/10/21-aprile-al-pozzo-sacro-di-santa_10.html ritengo che il recinto sacro di forma taurina abbia attinenza con l'ideogramma con significato logografico individuato in un pozzo di Mistras; e in quanto tale possa fa pensare alla volontà di "etichettare" con un logogramma il monumento che lo esibisce.


4 Sono dell'idea che il rito che si celebrava nel pozzo di Santa Cristina fosse complesso e articolato. In sostanza possiamo ipotizzare che il rito finalizzato alla previsione della consistenza del futuro raccolto cerealicolo, prevedesse, paludando il significato materiale con una celebrazione di carattere spirituale, l'aspersione di olio nel'acqua per la sua sacralizzazione attraverso l'impatto luminoso dei raggi solari su di esso; seguito da un successivo rito di purificazione e comunione con la divinità, dei fedeli se non della popolazione tutta. Né più né meno dei gesti, in ambito cattolico, del rito "eucaristico" attraverso la "transustanziazione"; dove si attua di fatto l'incarnazione in un simulacro (l'ostia consacrata), del "salvatore", per la successiva "comunione" dei fedeli col divino. Il rito cattolico potremmo trasferirlo, con gesti diversi, ma stesso significato sacro, nel rito "pagano"; dove possiamo assimilare la "Comunione" cristiana dei fedeli in "attesa", alla "comunione" pagana tramite "unzione"; entrambi agiscono per contatto fisico con la sostanza divina; e poco importa che questa avvenga tramite assunzione orale con l'ostia consacrata, oppure con l'assunzione epidermica dell'olio sacro: è sempre una "comunione col divino, chiunque esso sia in ambito antropologico. In ragione di questa ipotesi, dove potremmo intravvedere il "consueto" sincretismo religioso perpetrato dalla religione Cristiana nei confronti di quella "locale" pagana, possiamo ipotizzare a Santa Cristina un ambiente architettonico vicino (sopra) al pozzo sacro, dove i fedeli che si accingevano alla "comunione" con la divinità, sedevano in "attesa"; né più né meno del fedele che all'interno del tempio cristiano attende il suo turno per la "Comunione".
   Nello scrivere questa nota, mi rendo conto di entrare in un campo estremamente delicato, per tanto  mi scuso con chi possa intravvedere in queste righe un atteggiamento blasfemo nei confronti della religione Cristiana. La mia vuole essere solo una lucida spiegazione di un rituale che a prescindere dalla convinzione religiosa di ognuno di noi, appaga i bisogni dell'uomo in quanto tale; per tanto i gesti che possiamo intravvedere simili in ambiti religiosi diversi, possiamo giudicarli universali ed accettabili in ogni parte del mondo.


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