sabato 9 maggio 2015

I "colori" dei generi in Egitto: un codice sì, ma fluido

di Atropa Belladonna

"Egyptian artworks, governed by a canon that included skin color specifications, should be understood ascultural expressions that allow specific productions to communicate broader concepts." (1)
 
Figura 1. Tomba di Nenkhefetka, ca. 2450 a.C.; immagine da questo sitoOriental Institute, University of Chicago, OIM 2036 A-B

I colori "standard" della carnagione per caratterizzare i due generi  nell'antico Egitto erano: giallo per le donne, rosso per gli uomini (figura 1), con migliaia di esempi per questa categorizzazione (1, 2). La spiegazione usuale che gli studiosi danno per questo fatto è che le donne stavano in casa e gli uomini lavoravano all'aperto, cioè si è sempre cercato di ricondurre la convenzione sul colore ad una realtà pratica e ad un' usanza  sociale. Oggi questa visione è considerata superata: "Such an explanation is sufficiently superficial to warrant a further investigation" (2). "There is ample evidence that gender distinction was not as black and white (or as red and yellow) as modern attitudes on ancient societies often assume. This theory implies a distinction of spheres, but the relegation of women and men to domestic spheres and public spheres, respectively, probably divides Egyptian society more clearly than was actually the case and contradicts a fluid gender existence". (1).

Iniziando infatti a capire come ragionavano gli antichi Egizi, non è difficile aspettarsi (e osservare effettivamente) un pò di sana ambiguità: allo standard giallo chiaro = femmina/rosso = maschio occorre aggiungere  quella necessaria flessibilità di cui abbiamo già parlato (3a), con veri e propri temporanei e necessari cambiamenti di sesso (4,5), ed anche aspetti della personalità del soggetto dipinto che inducevano l' artista a modificare il codice standard dei colori (1, 2) (figura 2).

 
Figura 2: "The ‘Great Royal Wife’ and ‘Mistress of the Two Lands’, Nefertari presents a libation to the goddesses Hathor, Serket, and Maat, Valley of the Queens, Thebes, Egypt, XIX Dynasty (1295-1255 BCE)": si noti che Nefertari (moglie reale di Ramesses II) viene dipinta con la pelle rossa, il caratteristico colore maschile (1)

Prima di considerare le deviazioni dagli standard, occorre cercare di capire come si sviluppò nell'antico Egitto il concetto di colore nella pratica e nel linguaggio scritto, e come venne poi utilizzato nel Nuovo Regno. In realtà non lo sappiamo con esattezza, non esiste un testo egizio che ne parli esplicitamente; ciò che segue deriva da osservazioni empiriche e dalla conoscenza del linguaggio scritto degli antichi Egizi (1).

Nero (km), bianco (ḥd), rosso (dšr) e verde (w'ad): ovvero nero, bianco "caldo" e "freddo"
Quando noi parliamo di giallo o rosso per i colori standard della carnagione di femmine (F) e maschi (M), non dobbiamo pensare che questa categorizzazione venisse espressa in modo così chiaro nella lingua dell'antico Egitto: ai vari colori che effettivamente venivano utilizzati nell'arte, non corrispondevano altrettante parole ben definite. Rosso e giallo erano caratterizzati dalla medesima parola e classificati come "colore caldo" con focussul rosso, mentre blu e verde erano entrambi "colore freddo" con focus sul verde (1).
Nella lingua cosiddetta Egizio Medio (ca. 2000-1300 a.C.)  si registrano 4 espressioni di base per i colori:  nero (km), bianco (ḥd), "colore caldo" o rosso (dšr) e "colore freddo" o verde (w'ad). Perciò mentre noi distinguiamo a parole giallo e rosso per la carnagione, un egiziano avrebbe probabilmente parlato in entrambi i casi di "colore caldo" (dšr) considerando le due sfumature MF come due facce della stessa medaglia. Poichè il focusdel dšr era sul rosso, in una situazione dove si dovesse o volesse (per qualche motivo) utilizzare un solo "colore caldo" allora si usava il rosso (fig. 3).  

Figura 3: "The couple Sennedjem and Tyneferti and those whom comprise their direct attendants receiving each funerary veneration on behalf of the official, Ancient Thebes, Egypt, Tomb of Sennedjem, XIX Dynasty (ca. 1268 BCE)". In questo caso viene usato un solo colore, il rosso, per la pelle di tutte le persone rappresentate (1).  

Secondo la teoria sui colori dell'antico Egitto sviluppata da  Berlin e  Kay, la categoria di colore dšr caratterizzava i viventi, mentre w'ad era riservato ai "rigenerati" (1).

In accordo con la flessibilità, l'ambiguità e la polisemia di segni e parole nel linguaggio scritto egizio, ogni espressione denotante una qualità di colore aveva anche altri significati e poteva venire scritta in vari modi:w'ad significa non solo verde, ma  anche "fresco", fortunato, felice;  w'ad  può anche venire usato come verbo: "far fiorire", "rendere verde". Alcune questioni rimangono irrisolte: non è chiaro ad esempio se dal concetto base di "verde" si staccasse la parola per "blu"  o se blu (irtyw) denotasse solo la pietra "lapislazzuli" il cui colore veniva usato tipicamente per rappresentare Amun (1). In altre parole non c'erano espressioni per ogni colore, ma per denotare un certo colore potevano venire utilizzati i nomi di "cose", ad esempio per il colore giallo oro veniva usata la parola per "oro" (nbw), da non confondersi con il giallo della carnagione femminile, che è solo una nuance di dšr.
La fluidità, la trasformazione e l'androginia: una chiave per capire le deviazioni dal codice?

Occorre sempre tenere presente, per l'antico Egitto,  i concetti centrali e metafisici  di fluidità e ditrasformazione (3, 4,5) che investono anche il codice dei colori (1). La vita in Egitto viene compresa in un ciclico rinnovarsi e ripetersi, scandito dal fatto che il Sole giace e rinasce ogni giorno, che le piene del Nilo si ripetono in modo prevedibile, che gli dei hanno forma multipla e che possono cambiare  da una forma all'altra in modo facile: la capacità di trasformazione è non solo potere, ma anche fluida "bellezza". 
Forse il concetto più fluido è quello dell' Osiris, lo status  di eterna esistenza: per diventare un Osiris (spesso rappresentato in verde o blu), il defunto deve passare attraverso una serie di complesse trasformazioni, addirittura abbiamo visto che a volte deve passare attraverso temporanei cambiamenti di sesso (3a, 4, 5). E la trasformazione implica uno step sessuale ineludibile: la fecondazione di Nut (1) (vd. oltre).
Desiderabili trasformazioni vengono ben espresse in un vero e proprio poema d'amore, dal papiro Chester Beatty I, dove i colori della pelle (oro in questo caso) e quello dei capelli (lapislazzuli) sono innaturali ed utilizzati in modo simbolico, pur avendo capelli e braccia uno stato fisico ben reale e pur mantendeno la donna la sua identità: 

"Unique is my beloved, with no equal,
more perfect than all women.
Seeing her is like the star
that rises at the start of a fresh year,
perfectly dazzling, light of color.
Beautiful her eyes when looking;
sweet her lips when speaking:
not for her phrases in excess.
High of neck, light of breast,
true lapis-lazuli her hair.
Her arms become gold,
her fingers are like water-lilies". 

Carolyn DeDeo, commentando sulla teoria"sociale" (cioè uomini rossi e donne gialle per il loro diverso ruolo nella società) scrive che è sì una sovrasemplicazione e che con alta probabilità non è corretta, e che le eccezioni alla regola non si possono certo ignorare; d'altra parte questa distinzione in generale esiste e non si può ignorare: ma come si giustitica? perchè scegliere quelle due determinate sottocategorie di "colore caldo"?  Può la linguistica aiutare a risolvere questo quesito, assieme ad uno studio non banalizzante del ruolo dei generi nell'Antico Egitto, un tema ancora agli inizi della ricerca? DeDeo analizza diversi esempi e conclude che alcune prerogative erano per lo più maschili ma non esclusivamente e sempre maschili: la leadership, la dominanza nella relazione coniugale, la capacità di amministrare la giustizia in modo più efficiente, il possesso di beni. C'era una sola cosa che sembra essere esclusiva del maschio: la capacità di conferire la vita che veniva poi "passata" nel corpo femminile (1, 2) che la nutriva e la faceva crescere, una fecondazione che era più che altro un' "incorporazione". Nella prospettiva post-mortem la rigenerazione del defunto era un'operazione sessuale: la dea del cielo Nut veniva fecondata dal defunto e da  questo atto il defunto rinasceva come Osiris: "A sexual regeneration of this sort has obvious biological limitations for women, who would be unable to impregnate Nut. But if a woman were able to regender herself and become a man, she could achieve regeneration through an extra, transformative step" (1). In altre parole DeDeo ci sta dicendo la stessa cosa che abbiamo già visto, suggerita da K. Cooney (4): una donna destinata alla rigenerazione doveva, post mortem,subire una temporanea trasformazione sessuale  (3a). 
Nella figura 2, una Nefertari di colore rosso sta esprimendo secondo DeDEo il processo di trasformazione di genere: da sposa reale, è l'unica donna in quella tomba destinata alla rigenerazione e quindi esprime un'identità sessuale complessa: il colore rosso esprime la forza virile necessaria perchè lei porti avanti la sua rigenerazione. Tuttavia, come l'amata del Papyrus Chester Beatty I, mantiene la sua identità femminile (forma del corpo, vestito): la sua identità, quello che la regina è non si basa sul suo sesso, ma su quello che fa nella vita e su quello che potrà fare nella morte (1): [..]These conclusions can be drawn from a symbolic and linguistic analysis of dšr : for ancient Egyptians, it was not essential to differentiate between genders; furthermore, gender as a societal construction is not indicative of the sexual capabilities that a dimorphic biological existence indicates.[..].

Gli autori portano ovviamente molti altri esempi e rimandiamo per questi alla lettura dei rif. 1 e 2. Il bello studio di DeDeo non risponde alla questione della scelta "standard" su giallo e rosso per donne e uomini rispettivamente, ma certamente mette sul piatto suggerimenti sostanziali sulle ragioni della deviazione da questo standard.

Lo switch sessuale come potere spirituale

Il potere del dimorfismo sessuale, dimostrato da "potenti" donne come Nefertari o Hatshepsut o Towsret (1), ma anche dai grandi Dei creativi come Atum e Min (3c), esplicita, anche con la variazione nel codice dei colori standard M/F, la vera radice del potere spirituale nell'antico Egitto: l'androginia (3a,b) (o meglio l'ermafroditismo, cioè entrambe le capacità sessuali).

La regina Hatshepsut (1479–1458 a.C., XVIII dinastia) che si fa rappresentare con la barba, con fisico maschile ma anche in modo squisitamente femminile (fig. 4) è forse l'esempio più eclatante della percezione ed espressione di tale potere, che apparentemente le viene conferito dirattemente da suo padre Amun (fig. 4c) sotto forma di KA, parola che equivale foneticamente e simbolicamente al toro (3d): secondo Dawson il Toro è animale sacro per eccellenza perchè per eccellenza possiede la capacità dello switch sessuale e la sua spirituale androginia ne rappresenta l'essenza più pura e forte, il centro stesso dell'universo egizio (5, 3b).Anche in questo caso la linguistica aiuta a capire un aspetto simbolico: "Sorprendentemente la parola egizia per un toro maschio è "Ka" che però è anche la radice di numerose parole femminili come "kat" (vaginale) e "bkat" (donna incinta). Linguisticamente, il nome egizio per un toro fecondo assumeva un'identità femminile di nascita e rinascita vaginale, comprendendo simultaneamente entrambi i generi(5).
L' androginia spirituale del toro sacrificato si manifestava nella sua gamba anteriore, esplicitazione secondo Dawson dell'Orsa maggiore, che veniva presentata come dono ad Osiris perchè ne mangiasse, ingerendo la carne di entrambi i sessi e divenendo così un essere androgino (5). E' vero che Iside assume momentaneamente un tratto maschile/creativo per "far rivivere" Osiris rimettendo insieme i vari pezzi in giro per il mondo (5), ma nello stesso tempo Osiris risorge dai morti essenzialmente da solo, manifestando in sè entrambi i poteri sessuali: quello che Iside fa è creare le condizioni giuste (es. avvolgendo il corpo di Osiris nelle bende) perchè Osiris possa tornare in vita, provvedendo allo stimolo sessuale ed agendo da contenitore per il concepimento del loro figlio Horus (4).
Figura 4: a. Hatshepsut barbuta, in costume da faraone (da questo sito); b. Hatshepsut come dea Mut (da questo sito)c. Amun conferisce alla figlia Hatshepsut il potere della vita (le braccia del Dio formano il segno ka); scena dell' incoronazione, obelisco caduto di Hatshepsut, Karnak, tempio di Amun (Da:Wilkinson, Richard H.,Reading Egyptian Art: A Hieroglyphic Guide to Ancient Egyptian Painting and Sculpture, 1994, Thames and Hudson)

Non credo sia un caso che proprio il potente segno KA, espressione del potere divino della vita, del Toro e dell'androginia (che poi sono concetti equivalenti),  fosse parte del nome reale di Hatshepsut (3e), sia scritto in forma lineare che crittografica. E non credo sia stato un caso che proprio questo segno fosse oggetto di mirata distruzione durante la famosa damnatio memoriae della regina (3e).

Infine è chiaro che l'androginia diciamo "simbolica" dovesse avere anche una controparte reale: inevitabilmente nascevano persone androgine o/e ermafrodite anche nell'antico Egitto, come nell'era moderna. E' impossibile però stabilire, secondo quanto si conosce finora, come queste persone venissero considerate e trattate nell'antico Egitto: alcuni studiosi, ad esempio, ritengono che Hatshepsut fosse effettivamente spiccatamente androgina e che Nefertari dipinta in rosso fosse una donna particolarmente mascolina (vd. Satre nel rif. 1). DeDeo suggerisce di prendere tali sovrasemplificazioni con le molle: "While Ockham’s Razor is a handy tool of simplification in scientific and philosophical theory, its application to art and culture is usually degrading to the integrity of the work and the development of the society. That gender and its bearing on personhood were more complicated than is expressed in this paper, is more likely than that gender and its bearing on personhood were less complicated in a society that had been developing for at least four thousand years. While contemporary prejudices tending to simplify the past cannot be imposed on ancient Egypt, neither can ideals: gender equality and egalitarian existence were no more realities in ancient Egyptian society than absolute gender spheres" (1).
(1) DeDeo, Carolyn (2013) "Yellow, Red, and Blue: A Symbolic and Linguistic Analysis of Gendered Colors in XIX Dynasty Egyptian Mortuary Art," Art Journal: Vol. 2013: Iss. 1, Article 2.
(2) Cheal.C. 2004. The Meaning of Skin Color in Eighteenth Dynasty Egypt. In: Kharyssa Rhodes and Carolyn Fleuhr-Lobban, (Eds) Ancient and Modern Perspectives in the Nile Valley.
(3) A. Belladonna, monteprama.blogspot.it a. Il sesso flessibile nell'antico Egitto: alla radice del potere spirituale,  16 NOVEMBRE 2013; b. La spirituale androginia del Toro, 7 MARZO 2014; c. Niente sesso, siamo inglesi, 4 AGOSTO 2014; d. Foto del giorno: scrivere "con" un gesto, 18 FEBBRAIO 2013; e. Scrivere "con": in Egitto lo facevano già 5000 anni fa; in Sardegna lo facevano ancora più di 2000 anni dopo, 26 MARZO 2015
(4) Kathlyn Cooney, M. "Gender Transformation in Death: A Case Study of Coffins from Ramesside Period Egypt." Near Eastern Archaeology 73, no. 4, . 226-227; 
(5) Dawson, Ashley N. Ms. (2012) "Reversal of Gender in Ancient Egyptian Mythology: Discovering the Secrets of Androgyny," Oglethorpe Journal of Undergraduate Research: Vol. 1: Iss. 1, Article 2.

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