mercoledì 6 maggio 2015

Una casa per i Giganti: frammenti di paesaggio

di Angelo Ledda

NOTA INTRODUTTIVA

Di seguito viene presentato ai lettori di questo blog uno dei progetti partecipanti al Concorso di idee bandito nel Luglio del 2011 dal Comune di Cabras “Finalizzato alle definizione dei contenuti architettonici e paesaggistici per la creazione di un polo museale con l’ampliamento del museo civico Giovanni Marongiu al fine della musealizzazione di una parte del patrimonio scultoreo dei giganti di Mont’e Prama”.

Il progetto ha ricevuto una Menzione con la seguente motivazione della Commissione giudicatrice:

Il progetto si distingue per una sapiente e raffinata articolazione e sequenza degli spazi e per intuizioni linguistiche e sintesi formale

Per una panoramica generale dei progetti premiati e partecipanti al Concorso si vedano i seguenti link:


Autori del progetto:
Arch. Pasquale Conzinu (Bitti), Arch. Claudio Desteghene (Olbia),  Arch. Angelo Ledda (Nuoro), Arch. Laura Pisanu (Nuoro); Ing. Marco Scampuddu (Olbia), 

"Frammento, nella lingua italiana significa un piccolo pezzo staccato per frattura da un corpo qualunque.
E con ciò esprime una speranza, ancora una speranza.
E come tale non conviene con rottame, che esprime una moltitudine o un aggregato di cose rotte” 
(A. Rossi)
Foto 1: vista concettuale


CONSIDERAZIONI GENERALI
Un museo archeologico è convenzionalmente un luogo che conserva ed espone reperti più o meno antichi, per la maggior parte rinvenuti o estratti dal suolo e fino a quel momento sepolti o dimenticati.
Esporli al pubblico, specialista e non, significa affidarli alla memoria collettiva e proiettarli nella contemporaneità. Depositarli in un museo comporta un obbligo alla lettura e alla interpretazione e tale operazione non può che appartenere alla sensibilità del presente.
Per dirla con le parole di Aldo Rossi significa considerarli frammenti (dotati di speranza) piuttosto che rottami (cose rotte).
Pensare un museo archeologico come entità statica o esclusivo deposito di “cose rotte” sarebbe profondamente errato. Se questo può valere in generale, ancor più lo é nel caso specifico di Monte Prama dove gli studi sono ancora agli inizi (nel 2011, data del concorso, era in corso il restauro e gli scavi non erano ancora ripresi).
Un museo contemporaneo deve prevedere insieme alla tutela, all'esposizione e alla conservazione, uno spazio e una gestione museale che accompagnino e promuovano la ricerca, la didattica, le relazioni pubbliche, il marketing e la formazione continua.
Soltanto partendo dal presupposto che l'ampliamento del museo di Cabras non possa rispondere esclusivamente alle domande specifiche dell'esposizione museale ma inserirsi in uno scenario ben più ampio, sarà anche possibile ordinare e coordinare le sempre più numerose tracce archeologiche del territorio del Sinis in un parco archeologico a cielo aperto, con il Museo di Cabras a rappresentarne la porta.

IL MUSEO CIVICO DI CABRAS: LO STATO ATTUALE


 

FOTO 2, 3, 4: 
Il Museo Civico allo stato attuale; l'infilata prospettica delle porte che ricostituisce l'unità dello spazio espositiva frammentata dai setti murari e a destra le sale espositive dotate di lucernari


L'attuale Museo Civico “Giovanni Marongiu” progettato da Enzo Magnani, sito lungo la Via Tharros che conduce a San Giovanni di Sinis in un'area prospiciente lo stagno di Cabras, insiste in un'area che si presenta in uno stato di parziale abbandono e di indefinizione sia per la marginalità rispetto al tessuto urbano, sia perché prospiciente ad un'area di grande sensibilità e delicatezza quale è la laguna.
L'edificio esistente, oggi visitabile, è costituito da due corpi di fabbrica principali, dei quali uno destinato a servizi e laboratori e uno alle attività espositive.
Quest'ultimo si configura come aggregazione di otto “blocchi” ciechi in trachite rossa disposti intorno ad un patio centrale e legati tra loro da “giunti” in calcestruzzo armato a vista, provvisti di aperture che inquadrano il paesaggio della laguna (foto 2).
Il percorso espositivo procede in senso circolare intorno al patio centrale (che oggi non è purtroppo percepibile a chi visita il museo) servendosi di uno strumento antico ed efficace, ossia l'infilata prospettica delle porte (foto 3), che ricostituisce l'unità dello spazio espositivo, frammentata dai setti murari.

IL PROGETTO: 
il percorso di "rapida percorrenza"

Foto 5: schizzi di progetto

Se il museo esistente si configura come aggregazione di volumi intorno ad un vuoto centrale (il patio), l'ampliamento qui proposto si struttura lungo un asse longitudinale: una lunga parete definisce una “galleria” alla quale sono appesi in sequenza e in progressione i nuovi volumi (foto 5: schizzo -  foto 6: pianta).
La galleria espositiva determina un percorso lineare di “rapida percorrenza” che costituisce un elemento di orientamento all'interno dell'edificio.
La parete che si prolunga fino all'esterno del museo (foto 1 di copertina) e che renderebbe possibili eventuali e futuri ampliamenti, orienta il visitatore anche sul piano didattico in quanto possibile pannello grafico (per esempio cronologico o ospitante le planimetrie dell'area di scavo), interrotto soltanto dagli accessi alle sale.
Se sul lato sinistro verso l'edificato di Cabras il muro si presenta cieco e privo di aperture verso l'esterno, sul lato rivolto alla laguna avviene l'opposto ed il paesaggio entra all'interno del museo conferendo allo stagno il ruolo di centro ambientale, rendendo così asimmetrico il percorso lineare (foto 10, 11).


Foto 6, 7: 
Planivolumetrico e sistemazione paesaggistica. 
In basso la pianta del nuovo intervento ampliamento del museo esistente;


IL PROGETTO: 
il percorso di "lenta percorrenza"

A caratterizzare l'ampliamento del museo è la continua (e talvolta improvvisa) dilatazione e contrazione degli spazi, ottenuta variando i rapporti di scala con il visitatore e alternando spazi che si sviluppano in senso orizzontale ed altri in senso verticale.
La sequenza di volumi appesi lungo l'asse longitudinale - che presentano ognuno caratteristiche proprie per scala, forma e dimensione - sono caratterizzati da una modalità differente di ingresso della luce naturale.
Chi procede dall'ala espositiva preesistente lungo la “galleria”, attraversa in progressione i seguenti spazi espositivi, attraversando ancora una infilata prospettica di porte:

  1. sala “multimediale” (a sinistra);
  2. sala dei “frammenti” (a destra);
  3. sala della “ricostruzione” (a sinistra);
  4. bookshop;
  5. bar-caffetteria (al pian terreno) e sala didattica (al secondo piano) sul lato destro;
  6. servizi igienici;
  7. deposito;

In questo modo si genera un percorso espositivo serpentiforme e di più “lenta percorrenza”.
Una sala multimediale “di transizione” raccorda le due ali del museo e a questa seguono le due sale espositive dei reperti: la “Sala dei Frammenti” e la “Sala della Ricostruzione”.


LA SALA DEI FRAMMENTI

FOTO 8: vista della “sala dei frammenti” con il grande tavolo centrale e i pannelli espositivi alle pareti. 

La sala di pianta quadrata pari a ca. 9 x 9 metri e h. 9 metri, ospita i frammenti non ancora ricomposti o reperti minuti di vario genere, disposti come su un grande tavolo da laboratorio posto al centro, elemento in acciaio ossidato di dimensioni 4x4 mt. 
Abbiamo ritenuto importante la presenza di questa sala per rendere conto non solo di un aspetto storico - la voluta frantumazione delle statue di MP - ma anche della lunga storia del rinvenimento, del restauro e delle diverse e discordanti ipotesi formulate, qui raccontate attraverso immagini, video e voci audio, estratti di testi e citazioni (anch'esse quindi frammenti) impresse su pannelli disposti nelle pareti della sala. La si potrebbe definire una sorta di “capanna delle riunioni”, un raduno di immagini e di voci, un luogo per la discussione e per le ipotesi, oltre che un archivio di reperti in attesa di contestualizzazione.
In questa sala il frammento viene letteralmente messo in luce, grazie al trattamento della parte alta delle pareti e della copertura, che proiettano all'interno una luce analoga a quella delle fronde degli alberi.


LA SALA DELLA RICOSTRUZIONE 



FOTO 9: 
vista della “sala della ricostruzione” a sviluppo orizzontale. 
I Giganti sono elementi partecipi della costruzione dello spazio bianco astratto e in piena luce.
 
FOTO 10: 
vista della “sala della ricostruzione” e in fondo il “vestibolo” della galleria con la grande apertura verso la laguna e le sedute laterali. 

La sala che ospita i Giganti e i “modelli di nuraghe” restaurati, proprio per il suo contenuto, è l'unica che non invade la galleria e per accedervi occorre varcare una soglia. Una sala pensata tipologicamente come un “tempio ad antas”, con un vestibolo affacciato sullo stagno e due sedute ai lati.
Il trattamento materico e cromatico scelto per l'intero edificio viene qui a mutare radicalmente e lo spazio si presenta totalmente bianco, astratto e in piena luce, segnato da tre fasci luminosi in copertura che corrono per tutta la lunghezza della sala.
Ai fini del concorso è stata indicata una soluzione flessibile che potesse trasformare l'allestimento qualora la ricerca scientifica portasse elementi che ne richiedessero una variazione.
Si è comunque voluto suggerire ed esporre le statue pensandole come elementi architettonici, facenti parte integrante di una struttura architettonica (ad oggi sconosciuta alla ricerca archeologica ma di cui esistono alcuni indizi). 
Allineandole come un colonnato che suddivide tre navate viene privilegiata la visione paratattica e frontale delle statue, seppure resti garantita la visione a 360 gradi per una analisi di dettaglio, rafforzata l'immagine “bidimensionale” e l'ossessiva ripetizione del tipo (almeno nel caso dei cosiddetti “pugilatori”).
Poiché nessuno dei Giganti risulta completamente integro, l'allineamento rende possibile il completamento “virtuale” e nel percorrerle con lo sguardo il pezzo mancante di una statua può essere ritrovato in quella successiva consentendo di coglierne le differenze e le analogie tipologiche. Le variazioni di altezza, il basamento e il controsoffitto radunano con un unico segno le statue preservandone la visione d'insieme e il tratto monumentale. 

(A prescindere dalla proposta qui presentata riteniamo interessante l'allestimento delle statue in uno spazio totalmente dipinto di nero, se non altro perché tiene conto della presenza delle strutture metalliche che in tal modo vengono più facilmente ad annullarsiDa questo punto di vista ci è parso interessante l'allestimento del Centro di restauro di Li Punti, dove le statue presentavano ognuna una propria parete con fondo nero. ndr)  

GLI SPAZI DI RELAZIONE

 FOTO 11, 12: 
La parte conclusiva della galleria espositiva con l'uscita verso la laguna. 
A destra l'atrio con il lucernario quadrato;


La nuova ala del museo si conclude con un volume destinato a raccogliere le attività di bookshop, caffetteria, sala didattica al piano primo e gli spazi di servizio. In questo modo è possibile completare il percorso espositivo senza necessariamente ripercorrere il museo a ritroso lasciando l'edificio da una porta d'uscita aperta sul fronte stagno (foto 11) ma anche isolare gli spazi pubblici e di servizio al museo, consentendogli una vita indipendente dall'orario di apertura delle sale espositive.
A radunare questi spazi è un atrio di pianta quadrata con un grande lucernario (foto 12) che può avere usi polivalenti (sala lettura, sala espositiva d'arte contemporanea, spazio per rappresentazioni teatrali, aula di discussione, ecc.)Un esempio che può essere portato qui a riferimento è l'allestimento realizzato da Francesco Venezia a Palazzo Grassi in occasione della Mostra dedicata a "Gli Etruschi", nel quale l'architetto creò "frammenti di paesaggio con ferro ossidato" e in particolare l'atrio di ingresso che ospitava una scultura di Henry Moore.
Lo stesso trattamento materico e cromatico (o se si vuole “atmosfera”) insieme al concepimento dei volumi in “sottrazione” sono stati un riferimento  per l'ampliamento del museo qui proposto.


FOTO 13, 14: 
L'atrio dell'esposizione temporanea dedicata a “Gli Etruschi”, 
progettata da Francesco Venezia nel Palazzo Grassi di Venezia nel 2000.

L'ampliamento - in continuità con i “giunti” della parte preesistente - è concepito in calcestruzzo bianco, privo di apparati decorativi o elementi applicati.


 FOTO 15, 16: Viste esterne sulla Via Tharros e dalla laguna
 



13 commenti:

  1. 'L'ampliamento - in continuità con i “giunti” della parte preesistente - è concepito in calcestruzzo bianco, privo di apparati decorativi o elementi applicati'
    Non sembra proprio pensarla così lo stilista incaricato di dare il 'look' al nuovo progetto. Si parla già di pannelli o riquadri esterni con simbologie della 'Grande Madre' che, in quanto tale, abbraccerebbe il tutto. Che c'entra la Grande Madre con il periodo dei Giganti dell'età del bronzo finale e del primo ferro? Che c'entra con tutta la documentazione epigrafica e architettonica che ad abundantiam fanno vedere una divinità androgina, cioè una 'casa del toro' padre -madre? Se lo stilista è proprio intenzionato a fare un falso storico così clamoroso gli consiglio allora la realizzazione di un ingresso enorme a 'utero' di una 'domus de jana'. E naturalmente i Giganti della Jana disposti nella più assoluta oscurità del grembo liquido palustre della madre. Devono ancora nascere ed esistere. Vedere la luce del sole. Lo sanno tutti. I simboli forti sono simboli forti e alcuni di essi sono graditissimi se alludono a penombre, ombre e oscurità assoluta. Vero, incalliti cultori della 'legge della mortificazione'?


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  2. Emozionante la tua sala dei frammenti, nella quale ci piacerebbe sostare, noi che, a volte sbadatamente, frequentiamo questo blog, per il senso di provvisorio, non cristallizzato, ancora in divenire che essa ed esso suggeriscono. Dove ci si sofferma, crediamo, per confrontarci o, chissà, per lasciar cadere come petali avvizziti sprazzi di narcisismo sotto orme lievi, prima di riprendere la strada o il tuo percorso lineare “di rapida percorrenza”.

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    1. Grazie mille Ergian, mi fa piacere. Ci tengo a sottolineare che la paternità (o maternità) del progetto è di tutto il gruppo e non solo mia!

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  3. Perfettamente d'accordo con te: affascinante quella stanza. Ma mi piace molto, moltissimo, anche l'aspetto esterno: ha un che di austero ed essenziale, mi ricorda un tempio in qualche modo. Gigi ti ricordi la nota 170 a pg. 91 della Stele di Nora, quando citi Pesce riguardo Nora? "Ci troviamo quindi in un luogo sacro di tipo cananeo, di austera, disadorna, selvaggia semplicità". Mi ricorda anche quando sono andata ad Arad, nel Negev.

    Peccato che non abbia vinto!

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  4. No, non la ricordavo. E' proprio così riguardo alla concezione del 'nostro' per quel Museo. E io ora tremo per le elucubrazioni di uno stilista che non sa e non pensa minimamente a storicizzare. E spero di aver capito male.

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  5. L'ha ricordato qualche giorno fa Sandro. 'Non vince il migliore, vince il più forte'. Il che non vuol dire che quest'ultimo sia un disonesto.

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  6. Io ebbi già modo di dirti, Angelo quanto mi fosse piaciuta (pure a me) la sala dei frammenti, perciò qui vado oltre e ti chiedo (nell'intento, se e per quanto possibile, di elevare la nostra consapevolezza riguardo alle cose, ad alcune cose almeno, dell'architettura): fermarsi a trovare bella quella sala (dei frammenti), o anche solo mettere questa osservazione in cima al proprio giudizio (come, ripeto, ho fatto anch'io), è, diciamo, da fruitori "pop"? È quello che un competente si aspetta dal grande pubblico, mentre sa che altri sono i pregi che quel pubblico non coglierà? O può dirsi anzitutto un caso fortunato in cui l'Alto (senza doversi per questo "abbassare") è ben fruibile anche dal Basso?
    Ti so molto rispettoso di tutti, quindi temo che risponderai negando per principio legittimità a giudizi di serie A per sé stessi migliori di supposti giudizi di serie B. Ma una risposta che possa stimolarci sarebbe più generosa di una che solo ci blandisca. E ti so anche generoso.

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  7. In pratica il progetto vincitore riprende l’idea dell’attuale percorso museale, con le statue immerse nell’oscurità delle pareti.
    L’idea possiamo spiegarla in termini di contrasto tra il bianco delle statue e il nero dello sfondo, che da visibilità alle prime, creando contorni netti, tanto netti che le parti mancanti risaltano e feriscono l’occhio del visitatore. Sfondo nero: galleria nera che il visitatore percepisce come spazio di morte, dell’oltretomba. I giganti non erano “dentro” le tombe, ma sopra esse, esposte certo a tutte le intemperie ma sempre e comunque alla luce del sole e della luna. Luce che inonda la sala e i giganti nella proposta del team di Angelo; tanto da non capire se sono i giganti ad essere illuminati o sono loro che illuminano la scena, di certo però si specchiano in un pavimento che restituisce il loro doppio. E sia il simulacro lapideo che il suo doppio specchiato, immersi in quella luce risultano quasi integri alla vista, nulla manca delle loro membra, la luce ricostruisce ammorbidendo i contrasti, le parti mancanti e noi siamo lì attoniti guardando questo spettacolo… proiettato dalla nostra mente purtroppo solo guardando una simulazione tridimensionale.

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  8. Vi ringrazio tanto...é bello leggere di come un progetto viene letto e percepito. La sala dei frammenti è stata ragione di profonde discussioni e ragionamenti, forse la parte più sofferta! Ci interessava il contenuto, lo spazio della ricerca e della discussione, forse anche uno spazio rumoroso che voleva contrastare invece con lo spazio dei giganti ricostruiti. Non a caso è lo spazio che anche dall'esterno risulta riconoscibile, quasi come un faro, alto quanto tre piani di un normale edificio. Volevamo una sintesi ma dentro una complessità...e la somma dei vostri punti di vista mi fa intendere che questo aspetto è espresso...e quindi per rispondere a Francesco, che devo ringraziare per la bella domanda, potrei aggiungere, ma solo aggiungere, che penso all'architettura come alla disciplina madre dello "spazio" e della relazione! Un "contenitore di vita"...e quindi, sottolineerei di provare, come dentro un film, ad attraversare e percorrere l'edificio e il complesso di volumi guardando in tutte le direzioni, immaginare le sequenze, le relazioni e i contrasti tra gli spazi, farne insomma esperienza spaziale (le contrazioni e le dilatazioni, le variazioni e i contrasti, le chiusure e le aperture - anche verso l'esterno- l'ombra e la luce)... ecco, forse, ma lo dico davvero senza presunzione, si avrà la sensazione di attraversare un pezzo di città, un frammento di paesaggio. A voi decidere se è un bel paesaggio o una bella città! A noi di prenderne atto, nel bene e nel male...

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  9. A distanza di anni, apprendendo la notizia sicuramente positiva del recupero di una idrovora da destinare alla conservazione ed esposizione dei frammenti e reperti in attesa di ricomposizione e restauro -con un pò di orgoglio - voglio ancora sottolineare che il progetto prevedeva uno sforzo sicuramente maggiore rispetto al previsto, ma significa anche che la "sala dei frammenti" oggi sarebbe stata necessaria!

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    1. Mi riferisco alla seguente notizia: http://www.linkoristano.it/prima-categoria/2016/01/15/al-comune-di-cabras-un-finanziamento-regionale-per-il-recupero-dellex-idrovora/

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  10. Questo museo è veramente bello ma la sala dei frammenti è veramente stupefacente,l'ho guardata e riguardata,ne sono rimasta incantata.Complimenti davvero.

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