mercoledì 20 maggio 2015

L'Altro di fronte a sé: aggiornamento

di Angelo Ledda
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foto 1: alcuni bronzetti nuragici che compiono il "gesto del saluto"
Nel gennaio 2015 il blog Monte Prama pubblicava un post dal titolo “L'Altro di fronte a sé”
nel quale tentavo una lettura dei bronzetti "antropomorfi" che estendevo alla statuaria di Monte Prama. In quella occasione suggerivo che la grande novità introdotta nella piccola e grande statuaria - in bronzo e in pietra - dovesse essere ricercata nella volontà di rappresentare un preciso "apparato" cultuale e gestuale.
Non può infatti sfuggire che uno dei problemi della statuaria in pietra a grande dimensione (come possiamo riscontrare per esempio in quella egizia o in quella greca arcaica), sta nella difficoltà di “staccare” e separare gli arti dal busto. La statuaria di Monte Prama sembra aver risolto questo problema per quel che riguarda gli arti superiori e così le braccia sembrano tranquillamente libere di compiere i loro “gesti” ed impugnare oggetti in pietra con sezioni ridotte (per esempio l'arco, lo scudo, ecc... foto 2).

Foto 2: Il braccio si "stacca" dal busto per reggere l'arco

A lasciarci interdetti sul piano statico è invece la presenza dei piedi paralleli che costringono la scultura a reggersi su due soli appoggi, tanto che Franco Laner ha tentato di dare una soluzione estrema al problema ipotizzando che fossero telamoni di un tempio.

In quella occasione suggerivo ancora che tale sforzo si era reso necessario per fissare un codice gestuale codificato, funzionale al culto e di valenza sacrale (che il Prof. Sanna estende al dato scrittorio e fonetico). 
Più specificamente concentravo la lettura sul “gesto del saluto” che, nel caso della bronzistica antropomorfa nuragica, è rintracciabile nel 70% dei casi, spesso insieme al gesto dell'offerente.
Nel chiedermi a chi fosse rivolto quel “saluto”, esattamente come l'offerta, definivo la statuaria bronzea e per estensione quella in pietra, una rappresentazione “speculante” e funzionale, in qualche modo a-simmetrica perché esige un Altro di fronte a sé che si era evitato di corporizzare, ma comunque riflesso e rappresentato in modo astratto e per l'eternità.
Nei commenti e nel dibattito che ne seguì si ragionò sull'assenza del gesto del saluto nella statuaria di Monte Prama, nonostante alcune ricostruzioni grafiche lo contemplassero.
Ed in effetti i più recenti ritrovamenti delle ultime due sculture (foto 4), che gli archeologi hanno paragonato al bronzeo “sacerdote-pugilatore” di Vulci (foto 3), differiscono proprio per questo dato. Nel caso dell'opera bronzea il saluto è addirittura enfatizzato da una mano sproporzionata e caricaturale, mentre nel corrispettivo in pietra il braccio si piega verso il petto.

foto 3: il bronzetto del "sacerdote-pugilatore" di Vulci

foto 4: uno dei due ultimi "Giganti" rinvenuti durante gli scavi del 2014
Le immagini dei frammenti presenti nel triplice volume dedicato a Monte Prama mi inducono a riaprire il dibattito sulle pagine di questo blog, dal momento che gli autori ci mostrano almeno una mano destra aperta e braccia disponibili a riceverla in segno di saluto, come si può osservare nelle foto che seguono.




BIBLIOGRAFIA

  • Angelo Ledda "L'Altro di fronte a sé. Nobile complessità e inquieta grandezza" in montepramablog.it del 05/01/2015
  • Franco Laner, Sa Ena. Sardegna preistorica: dagli antropomorfi ai telamoni di Monte Prama, Ed. Condaghes, 2011
  • Luisanna Usai (a cura di), Le sculture di Mont'e Prama. La mostra, Gangemi Editore 2014


5 commenti:

  1. In effetti la testimonianza porta a comprendere meglio e ad interpretare la presenza della mano nel saluto 'anche' dei Giganti. Ci ho riflettuto molto e secondo me la spiegazione potrebbe essere nel fatto che essi non sono Dei come il padre e la madre loro ma sono semidei. Sono figli di dei in cielo e pertanto, da semidei con forza taurina, 'salutano' il Toro supremo. Ciò penso di dedurlo dal fatto che il saluto nuragico, 'scrittura' come il pugnaletto distintivo ed il resto dei bronzetti, dice 'toro' (la forza dell'uno) con valore acrofonico del segno 'a(leph) o 'ak. Quindi, caro Angelo, 'L'altro di fronte a sè' c'è sempre. Nella scala dei valori ci sono i 'tori' in terra, i tori divini figli e il Toro celeste supremo padre e madre. Altra soluzione non riesco a dare circa quel saluto.

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  2. L’interesse suscitato dal tuo contributo mi ha spinto a ricercare presenze di segni in immagini o fotografie di statue, senza un particolare percorso esplorativo. E, per quelle stranezze di cui è piena la vita, mi sono imbattuto nella statuetta di Melkart o di Milkart, sembra rinvenuta nell’isola di Cipro e espressione di un’arte fortemente influenzata sia dalla cultura orientale che da quella greca. A me sembra che abbia il braccio destro alzato ma manca l’avanbraccio. Di solito rappresentato con la pelle di leone e la clava, qui appare tuttavia in una veste più aulica e raffinata che mi ricorda il giovinetto di Mozia. Osservando le gambe dell’opera esposta al museo Barraco di Roma, ho notato la forte somiglianza con il taglio e la forma delle gambe dei Giganti di Monti Prama. Per la verità, anche il gonnellino termina a punta ma sul davanti.

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  3. Intendevo significare che la forma dello schiniere è simile nelle statue di Monti Prama e in quella della statuetta di Melk-art al museo di Roma, cioè a spigolo vivo. Questo dettaglio, con altri particolari delle statue, contribuisce a dare alle statue stesse quel carattere di asprezza compositiva (già messo in bella evidenza da Atropa belladonna ormai da un anno), che sa di primitivo. Infatti non parrà così strano associarle alle scanalature a spigolo vivo delle colonne, forti e potenti, del “primitivo” ordine dorico nella architettura greca degli albori prima di affinarsi nel corso di secoli ed arrivare al sommo delle espressioni artistiche di tutti i tempi.

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  4. A proposito di asprezza compositiva: "ΑΙ ΤΩΝ ΓΙΓΑΝΤΩΝ ΟΨΕΙς ΦΟΒΕΡΑΙ ΧΑΤΕΦΑΙΝΟΝΤΟ".

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  5. Caro Ergian45, perdona l'enorme ritardo con il quale torno a commentare, il dato "spigoloso" delle caviglie è presente in effetti in diversi esempi greci, compresi i più noti kouroi del VI secolo "Kleobis e Biton". In realtà mi è parso di riscontrarlo anche in alcune statue egizie. Sono d'accordo con te sul fatto che conferiscano una certa "asprezza" e durezza. In generale il pericolo di questi dettagli può essere quello di considerarli come "parte per il tutto" (magari per datare un'opera) e quindi mi dai occasione per riportare le parole di R. B. Bandinelli quando diceva che "crediamo sempre meno alla trasmissione dell'arte per derivazione e influenza o per “infezione”, che cerco sempre di tenere a mente.

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