di Sandro Angei
E' sconcertante l'avversione mostrata da taluni soggetti rappresentanti l'autorità accademica circa la descrizione e/o lo studio di particolari reperti archeologici mostranti gli organi genitali; e questo perché un certo "credo" impegnato nel sollecitare uno stile di vita casto nello spirito quanto nel corpo, nei secoli ha di fatto aborrito tutto ciò che ruota attorno al sesso, rifacendosi al pensiero di Sant'Agostino. Pensiero largamente frainteso, e forse volutamente, di un sant'uomo che voleva per lui quel che altri hanno inteso fosse da allargare all'intera comunità. In un tale clima, ciò che "l'asceta" ripudiava quale veicolo della tentazione satanica, veniva e viene preso, ancor oggi in modo bigotto, quale esempio integerrimo da seguire dall'intera comunità; per tanto tutto ciò che comportava la tentazione della carne era, ed è ancor oggi, visto da taluni come
intervento demoniaco. Qui attecchisce la "misofallia" che, bene inteso, esprimerla all'attualità alla luce di un certo credo, giusto o sbagliato che sia, può avere una sua ragion d'essere, ma sfogarla in ambiente perfettamente estraneo alla cultura che la genera, la misofallia, è a dir poco demenziale.In un siffatto sistema bigotto, tutto ciò che al nostro soggetto "misofallico" crea repulsione, viene interpretato quale simbolo del male, benché nulla abbia a che fare col male e la perversione un antichissimo reperto archeologico che, studiato nella suo contesto storico risulta, anzi, essere d'auspicio benevolo se non manifestazione della stessa divinità.
In questo clima ancor oggi l'ambiente archeologico si costringe a schivare tutto ciò che è attinente al sesso, tanto da parlarne poco volentieri, con tanti peli sulla lingua e molto, troppo imbarazzo.
Imbarazzo che tarpa le ali alla libertà di conoscere l'intima essenza di un popolo.
E' sufficiente, ad esempio, sapere che un certo gruppo umano facesse uso di una certa stoviglia che aveva le sue origini in loco piuttosto che in lontane lande, se poi nulla vogliamo sapere sulle convinzioni religiose di quel gruppo, perché parlare di organi genitali è mal costume?
E' sufficiente descrivere un santuario nuragico come quello di Gremanu, particolareggiando sui singoli ambienti, senza far cenno alcuno alla forma particolarissima dell'area sacra che li contiene tutti, e senza che alcuno si domandi sul perché di quel nome di chiaro significato se interpretato comparandolo a quella "forma" originale? Cosa vuol dire "gremanu" nella parlata di Fonni? [1]
In questo blog in varie occasioni ci è capitato di parlare di "falli", non certo a scopo turpe né sensazionalistico, ma solo e semplicemente perché queste sono le evidenze che la ricerca propone sulla religiosità della civiltà nuragica. L'organo genitale maschile era per quelle genti la manifestazione della divinità. Non è mancata occasione in passato per dirlo in modo schietto, e questo senza troppo pensare al turbamento che in qualche anima "gentile" potesse scatenare; perché se dovessimo badarne ad ogni piè sospinto, di certo molto ci sarebbe da nascondere sia di questa che di altre passate civiltà.
Per tanto in un clima di pacata serenità morale si può parlare senza indugio e timore alcuno circa il tema che qui trattiamo con buona pace dei "misofallici".
Nello studio multidisciplinare sul pozzo di Santa Cristina cercai di interpretare la forma del recinto esterno di quel magnifico pozzo. La forma di primo acchito è assimilabile a quella di un uovo, tant'è che nello studio capii che questo non è una forma dettata dal caso ma da un ben preciso metodo geometrico, del quale le antiche genti nuragiche si sono sicuramente avvalse per il suo tracciamento (Fig.1). [2]
Allora azzardai l'uso di un vocabolo alternativo a quello di "ovoide", proponendo quello di "glandoide"; questo non per assimilare la forma a quella della ghianda (sarebbe stato del tutto inutile), ma per associarlo a quella del "glande" che dall'altra - la ghianda - prende l'etimo per similarità formale. La scelta naturalmente fu dettata da cognizione di causa, non certo da turpi motivi; infatti ebbi occasione di verificare che il vestibolo d'ingresso del themenos del santuario di Gremanu (un recinto di forma fallica lungo quasi 80 m), fu realizzato secondo le tecniche geometriche per la costruzione dell'ovoide (Fig.2).
Santuario nuragico di Gremanu
In ragione di ciò, se l'ovoide geometrico di Gremanu disegna di fatto quello che è il "glande" dell'organo genitale maschile, siamo autorizzati a pensare che quella forma geometrica anche in altri contesti sia deputata a descrivere (la parte per il tutto) l'organo sessuale maschile.
Per tanto il recinto esterno del pozzo di Santa Cristina altro non è se non il simbolo della manifestazione virile della divinità; e che a Santa Cristina vi sia enfatizzato il fallo ce lo mostra la stessa archeologica, dato che nel piazzale antistante l'ingresso al sito archeologico fà bella mostra un betilo di forma fallica con tutta sicurezza proviene (benché probabilmente fuori contesto) dal sito del pozzo sacro (Figg. 3, 4 e 5)
[1] A tal proposito si legga la nota [6] dello studio all'indirizzo qui linkato sul santuario di Gremanu
[2] Ne abbiamo parlato diffusamente nello studio dedicato al pozzo sacro di Santa Cristina (precedentemente linkato), dimostrando lì, ma anche in altri contesti, che il popolo nuragico aveva gran maestria geometrica. Si vedano anche i link:
http://maimoniblog.blogspot.com/2018/09/cerchi-ovali-e-ovoidi.html
http://maimoniblog.blogspot.com/2018/07/il-cerchio-lovoide-le-geometrie.html
http://maimoniblog.blogspot.com/2017/11/giorre-tra-geometria-e-astronomia.html
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RispondiEliminaSu Facebook alcuni non hanno ben compreso il tema legato ai betili di forma fallica. Essi pensano siano la celebrazione del sesso quale tema primordiale e principale dell’esperienza umana. La rappresentazione del fallo in questa civiltà, ma senza dubbio alcuno in altre, era legata alla consacrazione dello strumento operante la vita, quale manifestazione tangibile della divinità. Divinità che si manifestava attraverso gli attributi genitali, ma soprattutto attraverso la luce, per quanto ci pare di capire dalle esperienze di studio sui pozzi sacri e le formule della scrittura nuragica. Per tanto svilire questi manufatti intravedendo in essi uno strumento icona della potenza maschile, annichilisce il sentimento religioso di quelle antiche genti.
RispondiEliminaNon guardate questi manufatti con gli occhi della nostra esperienza, ma con quelli della scienza di quelle antiche genti. Quale è questa scienza? E’ quella alla ricerca del sapere nascosto in un atto primordiale e di vedere in esso l’intervento divino. Non sto dicendo nulla di nuovo, ma è giusto rimarcarlo, dato che i commenti ilari e, in certi casi, di sberleffo dimostrano la pochezza di taluni nei confronti di temi seri, molto seri ed importanti.
Come a dire che certi intelligentoni hanno scambiato un insediamento archeologico con un cesso della stazione.
RispondiEliminaE' proprio così Francu, taluni pensano in questi termini. D'altronde nulla si può pretendere da persone che si lanciano in becere e volgari allusioni.
EliminaSandro .....mi pàret una pedra de triulàre
RispondiEliminaMyAido, in genere le pietre da trebbiatura recavano un foro dove far passare la fune di traino. Certo potrebbero non mancare esemplari con solco che rammenta il betilino di Santa Cristina, ma in genere le pietre da trebbiatura sono lastriformi e recano scanalature atte a migliorare l'azione trebbiante. A onor del vero vi è da rammentare che a Punta Nuraghe presso il Golfo di Congianus, Porto Rotondo sopra Olbia, fu rinvenuta una pietra da trebbiatura scambiata per "ancora". Con questa funzione marittima il reperto sarebbe stato "lanciato" parecchi secoli a.C, ma la datazione proposta in qualità di pietra da trebbiatura la porrebbe al XIX- prima metà del XX secolo... d.C.! Fonte Academia.Edu: Una antica (ma non tanto) modalità di trebbiatura del grano in Sardegna: sa treba con “sa pedra 'e s’arzola” - di Mario Galasso.
EliminaQuanto é alto il "betilino" in foto, si puó sapere per piacere? Come myAido ho pensato la stessa cosa, "assomiglia molto ad una pedra de triulàre....." Ne conosco 2 ancora vicino a s'arzola,non fosse per la scanalatura meno profonda ma simile.Se serve posso mandare la foto. Saluti
RispondiEliminaIl betilo è alto non più in di 50 cm, ha base quadrangolare di circa 20 x 25 cm (vado a memoria). La prossima volta che vado a Santa Cristina lo misuro esattamente. Detto ciò, quali sono le dimensioni delle pietre per "triulare" che citi tu? Comunque mandami le immagini e vediamo queste corrispondenze.
EliminaTi farò sapere, grazie
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