di Gigi Sanna
martedì 25 gennaio 2022
NON DOBBIAMO TEMERE TANTO LA NATURA (IL COVID) QUANTO LA STUPIDITA' DEGLI UOMINI.
domenica 23 gennaio 2022
Lo specchio dell'anima
di Sandro Angei
Mi accingo, ormai con una certa sicurezza dopo ripetuti tentativi, inizialmente anche un po' maccheronici (mi si passi l'espressione), a cimentarmi nella decifrazione metagrafica di reperti etruschi che tanto mi hanno entusiasmato quali fenomenali rebus scrittori.
Premessa
Quella sopra rappresentata è l'immagine tratta da uno specchio etrusco di bronzo che ho trovato nel volume – Musei Vaticani Museo Gregoriano Etrusco – La raccolta GiacintoGuglielmi vol. II – Bronzi e materiali vari - ed. L'ERMA di BRETSCHNEIDER , che descrive tra gli altri numerosi reperti, degli specchi etruschi (l'immagine qui pubblicata è riprodotta alla pagina 176 del volume).
Il Dr. Maurizio Sannibale, così descrive il reperto (tralasciamo la parte iniziale che descrive il lato riflettente dello specchio, per concentrarci su quella figurata): "[omissis]. Il campo figurato è incorniciato da un tralcio a foglie d'edera e corimbi sorgente da una coppia di urei schematici (?) affrontati. Nell'esergo campeggia una testa di uccello di profilo verso destra sorgente da ali dispiegate, campite a graticcio per le penne copritrici e da fasci di linee parallele per la resa delle penne remiganti; lo stesso motivo è ripetuto nell'esergo superiore ma con la testa rivolta a sinistra e qualche variante, come l'inserimento del piumaggio del collare, l'occhio che appare sbarrato e tondeggiante, la posizione delle ali incurvate e con le penne rivolte verso l'alto.
Sul campo figurato è rappresentata una composizione simmetrica a tre personaggi: un a Ninfa/Menade, al centro, è impegnata nella danza con un Satiro posto a destra, che sembra tentare un
domenica 16 gennaio 2022
Scrittura metagrafica etrusca a rebus. Il ‘Sarcofago dei leoni’ di Cerveteri e i κνώδαλα di Chiusi
di Gigi Sanna
Il cosiddetto ‘sarcofago dei leoni’ di
Cerveteri (fig.1) è stato rinvenuto nel 1950 in una tomba a inumazione. Diviso a metà per la resa ottimale della
cottura si compone, per quanto riguarda l’aspetto iconografico di quattro
parti. Sulla parte superiore del sarcofago insistono accosciati quattro
leoncini, raffigurati a tutto tondo, in coppia contrapposta e su quella
inferiore, realizzati a bassorilievo, due leoni (un maschio ed una femmina) distesi
e contrapposti tra di loro. In tutto quindi sei felini. Per l’originalità del
manufatto il sarcofago è ritenuto all’unanimità dagli studiosi un grande
capolavoro dell’arte etrusca anche se per la lavorazione della ceramica e per la
realizzazione delle figure si pensa all’influsso di maestri greci di Corinto.
Descritta accuratamente l’opera funeraria, individuati i possibili influssi e
le derivazioni stilistiche di essa (1) nulla però si è detto circa il
significato della raffigurazione nel suo complesso se non che i felini sono
posti a protezione del sarcofago e quindi dell’inumato . Per chi già conosce
però il particolare valore sacro del SEI, ovvero sa che il suddetto numero è
sostitutivo in Etrusco, per convenzione ideogrammatica, del nome delle divinità
astrali Tin e di Uni (2), l’opera denuncia subito che c’è dell’altro che
va capito e che essa va interpretata in chiave acrofonica, ideogrammatica e
numerologica. Denuncia quello di cui tante altre volte ormai si è detto: che
dietro le scene apparenti si nasconde il vero e profondo significato
dell’oggetto realizzato a fini funerari.
sabato 25 dicembre 2021
Buon Natale
Buon Natale
Buon Natale a tutti noi che in un modo o nell'altro stiamo combattendo, giorno dopo giorno, una battaglia contro i pregiudizi, i paradigmi obsoleti, le ingessature mentali e i Farisei.
Buon Natale a Gigi, Francesco, Stefano, Aba, Caterina, Marina.... e quanti altri... tanti.
Buon Natale a chi ci sostiene e, con fiducia, ci segue. Sarebbe lungo l'elenco, e di certo non esaustivo.
Buon Natale a tutti coloro che in un modo o nell'altro, pensando di ostacolarci, cercano di scalfire il nostro entusiasmo. Grazie di cuore, perché proprio questo è il carburante che ci rende più vigorosi e imperterriti nei nostri studi.
Buon Natale alla verità storica che giorno dopo giorno stiamo rievocando con le nostre scoperte.
Ma ci pensate che dopo 3000 e passa anni, possiamo rifesteggiare la nascita del torello il 21 di dicembre; possiamo rifesteggiare il 21 di aprile, possiamo rifesteggiare dei riti, presunti "pagani", che di pagano hanno solo il punto di vista. Ci pensate che possiamo rileggere (dissacrandole ne siamo consci) formule apotropaiche e inni privati alla divinità.
Buon Natale. Buona "Rinascita".
sabato 18 dicembre 2021
SCRITTURA NURAGICA. IL PUNTINATO. QUANTO E’ (ERA) ISTRUTTIVA LA BARCHETTA DELL’ANTIQUARIUM ARBORENSE!
di Gigi Sanna
fig. 1
La barchetta bronzea dell’Antiquarium Arborense di Oristano, purtroppo trafugata, possiede sia sul fondo piatto sia su di una fiancata dei segni ‘alfabetici’ realizzati a puntinato. Il Lilliu, esaminandola e studiandola, pensò, forte del dogma (che lui stesso aveva contribuito a creare e a divulgare) che i nuragici non avessero conosciuto la scrittura, che quei segni fossero romani (1). Più tardi lo studioso Raimondo Zucca, allievo del Lilliu, pensò anche lui che la scritta stante sul fondo fosse romana e che nascondesse una sigla; più precisamente quella di un nobile, una volta possessore della navicella, dal nome S(EXTUS) N(I)P(IUS). Abbiamo da tempo respinto quella interpretazione (2) perché le lettere, del tutto travisate, non sono romane ma nuragiche e più precisamente una ‘nun’ arcaica a serpentello (3), una ‘nun’ di tipologia più recente e una ‘resh’. La ‘resh’ e la ‘nur’ sono agglutinate (v. fig. 1) per cui i segni sono due. Il significato è quello di ‘ Lui (4) luce (nr) continua ‘(5).
Stessa precisa espressione si trova in una delle fiancate, scritta sempre a puntinato, ma diversamente, con un segno solo apparente (v. fig.2). In realtà nella ‘silhouette’ del serpente sono inserite due lettere che sono ancora, come nella scritta del fondo, una ‘nun’ e una ‘resh’. Quindi abbiamo di nuovo ‘ Lui luce continua'.
FONDO: Stabilità
(sicurezza) della luce continua di lui
FIANCATA: Protezione della luce continua di lui
Si comincia dunque a comprendere dalle due voci (stabilità e protezione) che la barchetta non è un ex voto e tanto meno funge da lucerna ma è un oggetto apotropaico, un amuleto protettivo contro il male e le situazioni avverse. E che le cose stiano così lo dimostra la parte mancante della navicella ma facilmente ricostruibile. Infatti, su di essa potremo mettere il ‘topos’ di tutte le barchette nuragiche ovvero l’albero della nave sormontato dal 'cerchio' con sopra la colomba (v. fig. 3)
Il ‘topos’ raffigurativo - scrittorio riguarda una colomba, un anello (un cerchio) e una torretta di un nuraghe (8). Nella seconda figura (fig. 4) si noti che il cerchio dove posa la colomba non è completo ma è vistosamente interrotto (9). Che significa tutto ciò? Come lo si deve leggere? La soluzione stavolta si ha non solo attraverso l’ideografia ma anche attraverso l’acrofonia. Innanzi tutto, vediamo l’ideografia. Essa dà, per quanto riguarda il pennone - nuraghe, il valore di ‘forza', 'toro’. Per quanto invece riguarda l’anello dà quello del disco luminoso, della ‘luce’. L’acrofonia (e ideografia assieme) invece ci dà la lettera he perché la colomba è ‘la viaggiatrice, quella che va e viene’ e il verbo semitico con questo valore è hlk הלך. Avremo pertanto Lui (he) + luce + forza (toro). Ma nella figura 4 si nota che il disco è interrotto come se ne mancasse una piccola parte. Quasi ci fosse un difetto tecnico di costruzione riguardante la colata del bronzo. Ma così non è perché quella interruzione è voluta, del tutto intenzionale. Infatti, lo scriba artigiano ha voluto aggiungere, con la piccola variazione, un particolare importante; ha disegnato in maniera più esplicita l’uroboro (10) ovvero il segno del serpente continuo, cioè il simbolo della luce continua. Avremo pertanto nella ipotetica parte superiore della navicella dell’Antiquarium oristanese questa espressione : Forza della luce continua di lui. La barchetta si mostra allora scritta, nelle tre parti che la costituisco, con la stessa espressione ma disegnata in tre modi diversi:
Forza della luce continua di lui (oppure Lui è forza della luce
continua)
Protezione della luce continua di lui (oppure Lui è protezione della luce
continua)
Sicurezza (stabilità) della luce continua di lui (oppure Lui è sicurezza
di luce continua)
E’ questa la formula
dell’aiuto del dio (yh) che riguarda tutte le barchette. Formula che può
essere più o meno variata (11), ora più semplice ora arricchita da altri
ideogrammi ancora. Per detta formula apotropaica le barchette erano particolarmente
apprezzate e adoperate perché si prestavano già di per sé, con la loro struttura
‘naturale’, a rendere con la forza (l’albero maestro), con la protezione
(le fiancate) e con la stabilità (il fondo) le qualità salvifiche del dio. Negli
altri bronzetti invece il lavoro di scrittura attraverso l’ideografia, la
numerologia e l’acrofonia risultava sempre molto più complesso; così come complesso fu sempre il lavoro degli
Etruschi che detta formula nuragica, più o meno ampia e più o meno variata, ugualmente adoperarono per gli oggetti sacri,
soprattutto quelli de culto funerario (12).
La barchetta dell’Antiquarium Arborense con la sua
scrittura, anche alfabetica (13), risulta molto istruttiva perché
consente
- - di capire cos’è l’oggetto sacro ‘barchetta’ e a cosa servisse.
- - di capire che la scrittura a puntinato (ricorso non infrequente (14) nel nuragico) serviva per dare acrofonicamente la lettera del pronome he riguardante la divinità.
- - di capire perché le barchette possono riportare segni fonetici su
alcune delle loro parti.
- - di capire che in nuragico
il supporto va letto per dare senso completo all’espressione scritta.
- - di capire che gli Etruschi, per ovvi motivi cronologici (15),
hanno appreso la formula della forza, della protezione e della sicurezza, riguardante
l’aiuto della divinità, dalla cultura religiosa nuragica.
NOTE E RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
1.‘
Nel fondo e su d’un fianco, la navicella reca incisa, a puntini,
un’iscrizione in latino aggiunta successivamente all’oggetto, considerato
prezioso, e tramandato di generazione in generazione, in una famiglia, sino a
diventare proprietà di un ricco signore provinciale romano’ (v. Lilliu G., 2008,
Sculture della Sardegna nuragica (ristampa), Illisso, Nuoro, p. 482, fig.276.
2.Sanna G., 2010, Serpentelli di tutti i nuraghi unitevi; in Gianfranco Pintore Blogspot. Com (16 gennaio). Sui segni, ritenuti sempre romani, si veda anche Ugas G. 2013, I segni numerali e di scrittura in Sardegna tra l’età del bronzo ed il I ferro, in Tharros felix, a cura di A. Mastino, P.G. Spanu, R. Zucca, Roma Carocci, pp. 295 - 377.
3.Per un segno identico a ‘S’ romana si veda la pietra betilica di Aidomaggiore (custodita nei locali del Comune), la scritta della fiasca del pellegrino di Ruinas nonché l’iscrizione, con le lettere tra quadrati, della parete della scogliera di San Giovanni del Sinis (oggi purtroppo deturpata). V. figg. segg.).
Forse sarà benne ricordare che altre voci semitiche sono impegnate per l’acrofonia e l’uso dell’aspirata h sono quelle di HRK הרך (che viaggia, che va e viene: la colombella, l'anatrella) e HRH (essere incinta). Un uso interessantissimo di HRHהרה si ha nella pietra scritta del Nuraghe Losa di Abbasanta dove la 'serpentella' è disegnata incinta al fine di notare il pronome indicativo: Lui (è) il toro straordinario continuo (v. fig. seg.)
7.
E’ l’idea che dà anche la fiancata scritta della barchetta di S’Urbale
di Teti. All’idea di protezione si aggiunge anche l’ideogramma della continuità
(l’onda corrente). La ‘protezione continua’ è l’incipit della espressione che verosimilmente prosegue nella fiancata: ‘Protezione continua di lui toro (creatore) del ‘sei’
che dà la vita. Toro straordinario della luce (è ) lui’.
8.
Ovviamente dal punto di vista ideografico il ‘nuraghe’ richiama il toro così
come lo richiama l’albero maestro che sopporta la vela.
9.
Non si dà molto peso al dettaglio. Il Lilliu annota il dato, parla di ‘variatio’
e di tipologie d’anello ma più in là non si spinge. Si veda il commento al
bronzetto n. 278: ‘Varia l’anello di sospensione, messo al solito di
traverso al listello semicircolare, completa il giro senza che le estremità si
saldino, segnando un’altra piccola variazione (nelle barchette descritte
l’anello ha il filo completamente chiuso).Lo studioso, inchiodato com'è sull'esame del decorativo o delle tipologie o dello stile dei manufatti è
molto lontano dal solo sospettare quale sia veramente il motivo delle
variazioni. Le estremità si saldano o non si saldano. E tutto finisce lì.
10.
L’uroboro è segno e simbolo assai antico, usato (si pensa) per prima
dagli egiziani. Si veda l’immagine di Horus bambinello (il sole nascente) del papiro di Dama - Heroub. Con ogni
probabilità nelle barchette il disco luminoso, anche senza interruzione, è sempre l’uroboro, l’animale che
si morde (o sta per mordersi) la coda espresso in modo estremamente schematico.
11. Le cosiddette ‘decorazioni ‘ (ad esempio le colombe e le anatrelle aggiunte) altro non sono che arricchimento della formula con gli ideogrammi della forza, della protezione e della sicurezza.
12.
Vedi di recente il nostro saggio (Sanna G., 2021, Scrittura etrusca a rebus.
La kulix del grande pittore Exekias.Dioniso e i pirati tirreni; in Maimoni
blog (6 dicembre).
13. Le barchette bronzee nuragiche raramente risultano scritte con scrittura lineare, così come quelle fittili. Praticamente sia quella in bronzo dell’Antiquarium oristanese sia quella in ceramica del museo di Teti sono per ora da considerarsi entrambe un ‘unicum’. Nella barchetta oristanese i segni (a puntinato) sono in tutto sei: nun + nun + resh sul fondo, nun + nun + resh ancora sulla fiancata. Nella navicella di Teti i segni lineari sono 12: ‘aleph + gimel + he + 3 + 3 (le due lineette) + he + yod + ‘aleph + gimel + nun + resh + he. Per quest’ultima v. la tab. seg.
14. V. nota 4. Si veda anche il pugnale ad elsa gammata proveniente dalla grotta Pirosu su Benatzu di Santadi (Lo Schiavo F. - Perra M. 2018, Le armi, le armature, il conflitto e la guerra; in Il tempo dei nuraghi in Sardegna dal XVIII al VIII secolo, a.C, Ilisso ed. Nuoro, p.337, fig.395.
15.
I nuragici precedono gli etruschi per uso della scrittura di almeno quattro o cinque
secoli. Le prime attestazioni dell’uso da parte degli Etruschi , sia dell’impiego della scrittura lineare
alfabetica sia di quella metagrafica a rebus, risalgono
al VII - VI secolo a.C.
domenica 12 dicembre 2021
lunedì 6 dicembre 2021
SCRITTURA ETRUSCA A REBUS. IL KULIX DEL GRANDE PITTORE EXEKIAS . DIONISO E I PIRATI TIRRENI.
di Gigi Sanna
Si dice che
la lingua etrusca è, per svariati motivi, un enigma e un ‘rebus’. Ciò si
sostiene, naturalmente, sulla base delle grosse difficoltà che insorgono nel
cercare di capire di essa molti degli aspetti lessicali, morfologici e
sintattici. In realtà, a mio parere, il ‘rebus’ sussiste e resiste nel tempo
non ‘solo’ per motivi di carattere grammaticale e linguistico, ma anche e
soprattutto perché si stenta a considerare un aspetto essenziale dell’etrusco:
che la scrittura è cripica, cioè organizzata e strutturata di proposito con il
rebus. E’ realizzata per non essere capita se non da pochissimi. Per tanto
nella misura in cui si comprenderanno i meccanismi, spesso sofisticati, del
rebus posti di norma in essere dalle scuole scribali dei santuari, si comprenderà
la lingua etrusca. Essi sono simili e spesso gli stessi usati dagli scribi dei
templi greci e nuragici. In particolare quelli inventati dagli scribi di questi
ultimi.
Decus,symbolum,sonus.
Sono questi gli aspetti che tengono presenti gli Etruschi (1) quando creano
dipingendo o scolpendo. Gli ermeneuti di ieri e di oggi, in genere storici dell’arte,
invece tengono presenti i soli primi due di aspetti e ignorano il terzo che
risulta, in ultima analisi, essere il più importante. Infatti, solo con quest’ultimo
si capisce il senso, il significato vero, profondo e non superficiale, che
vuole comunicare l’artista, pittore o scultore che sia.
Il κύλιξ custodito a Monaco di Baviera (Staatliche Antikensammlungen)
Prendiamo oggi come esempio il celeberrimo κύλιξ all’interno del quale il pittore ateniese Exekias ha finemente disegnato il dio Dyoniso con la piccola (2) barca, mossa da un vento vigoroso, mentre sul e dal pennone di essa spuntano e si sviluppano prosperi corimbi e intorno ad essa guizzano i delfini. E’ del tutto agevole per un critico e storico d’arte dire che nella pittura all’interno della coppa si allude e si rimanda al noto mito dei pirati Tirreni (3) trasformati in delfini dal dio vendicativo; così come è agevole capire l’allusione al pennone ligneo, senza più vita vegetativa, del tutto secco, eppure prodigiosamente rinato e trasformato in due piante rigogliose e cariche di frutti (4).
La critica artistica, osservando con cura e interpretando ‘oggettivamente’ il manufatto, si darà, di necessità ovvero per logica, esclusivamente all’analisi della bellezza della pittura, della vivacità dei colori, dello stile personale che possa, in qualche modo, permettere di individuare con sicurezza il pittore e, attraverso i particolari del disegno, all’analisi, la più esaustiva possibile, del tema mitico greco (quanto di esso mito sia riportato, quale sia la precisa fonte letteraria a cui si è ispirato l’artista, quali eventuali varianti possano riscontrarsi, come sia raffigurato il dio, come la barca, ecc. ecc.). E così procedendo nella disamina il critico penserà di aver adempiuto, nella maniera migliore possibile, al suo compito che è quello della ‘lettura’ e della ‘explicatio’ del testo. Ma così non è perché, senza avvedersene, egli ha ‘trascurato’ la lettura di ciò che maggiormente ha impegnato l’artista pittore e cioè la realizzazione e la disposizione organica a rebus dei significanti che diano senso fonetico. In una parola, ha trascurato la ‘scrittura’, quella sola che consente di capire che ‘cosa’ realmente intenda suggerire il tema proposto riguardante il celebre mito.
Sulla scia di quanto abbiamo
detto e scritto non poche volte (5) vediamo di adoperare le nostre
conoscenze su un certo tipo di scrittura del passato (6), del tutto
smarrita data la sua segretezza mantenuta, per secoli e secoli, dalle scuole
scribali religiose. La scrittura a cui alludiamo è quella metagrafica a rebus,
basata sulla convenzione dell’uso simultaneo dell’ideografia, della numerologia
e dell’acrofonia. I pittori e gli
scultori, ovviamente su commissione, usano la loro arte ma forse senza sapere che stanno
creando nascostamente (e il più nascostamente possibile) senso con sintassi e
lessico leggibili solo da chi è conoscenza di un particolare tipo di
scrittura e delle ‘regole’ che la governano. Un’arte che ora vediamo di trattare nel κύλιξ di Dioniso e i Pirati tirreni ma che può essere estesa a tutta o quasi
tutta la produzione artistica di pittura e di scultura etrusca (e non solo etrusca) , soprattutto nel
system di scrittura apotropaica riguardante il culto dei morti.
Vediamo ora di concentrare la nostra attenzione sull’ideogramma o gli ideogrammi presenti nel manufatto. E’ il primo passo questo, quasi obbligato, che consigliamo a chi vuole procedere con successo nell'analisi ed intendere la scrittura criptata. Osservando bene noteremo che detti ideogrammi, proprio perché ideogrammi, danno una certa idea, ci suggeriscono tutti un concetto ben preciso. Quello del vigore: vigore delle due piante che spuntano e prosperano dall’albero della navicella, vigore della vela gonfia per il vento, vigore della barca che procede spinta dalla vela ed infine vigore dei delfini che sono disegnati nell’atto di tuffarsi in mare. Una volta compresa la serie degli ideogrammi, sorge però il problema di afferrare come si debba intendere 'organizzato' quel vigore ripetuto quattro volte.
Il ‘vigore’ iterato per quattro volte ci dovrebbe dare ‘vigore quattro’ e dal momento che il numero quattro per convenzione numerologica, pensiamo antichissima, significa forza (7) dovremmo tradurre la iniziale stringa di senso con un ‘vigore della forza’. Operazione legittima perché per ottenere detta stringa abbiamo impiegato non solo l’ideografia ma anche la numerologia con le convenzioni che la riguardano. Ma il fatto è che nel quattro iterato, sia in basso che in alto della κύλιξ, si trova un altro numero ancora, il sette; numero che non può essere stato messo a caso data la sua ripetizione e il suo significato (spessissimo adoperato in numerologia dagli etruschi e dai nuragici) di ‘santo’ (8). Infatti sia i corimbi che i delfini sono in numero di sette. Come si combina con tutto il resto il 'sette' riportato due volte? La risposta si ha nel calcolare diversamente l’iniziale supposto ‘quattro’. Vediamo allora immagine per immagine il disegno e ‘traduciamo’ alla lettera. Avremo:
-
Vigore dei corimbi sette
-
Vigore dei delfini sette
-
Vigore della vela
-
Vigore della barca
Ma questo cosa significa? Ci dice
poco e niente. Stiamo analizzzando, dicendo e non ancora comprendendo. Se però usiamo l’altro
aspetto (il terzo) della scrittura metagrafica e cioè l’acrofonia, scopriamo il
significato del tutto perché essa, se applicata alle 'cose' che sono disegnate (i
corimbi, i delfini, la vela, la barca) e implicate nel ‘vigore’ ottenuto per via ideogrammatica, ci consente di
avere quattro ‘C’ :
- - kόρυμβος (C)
- - κνώδαλον
(C)
- - Carbasus (C
)
- - Κύμβη (C)
- Si sa che il segno della ‘C’ in etrusco nota il ‘tre’ (9) ovvero, per numerologia, la ‘luce’. Quindi prendendo le ‘C’ acrofoniche dei sostantivi e sostituendole ai nomi interi abbiamo:
-
Vigore della luce (tre: C)
-
Vigore della luce (tre: C)
-
Vigore della luce (tre: C) santa
-
Vigore della luce (tre: C)
santa
-
Sommando le espressioni uguali per contenuto di senso otteniamo
:
-
doppio vigore della doppia luce
-
doppio vigore della luce doppia santa doppia
Il significato allora sarà:
Doppio vigore della doppia luce/ doppio
vigore della doppia luce doppia santa
In pratica, nella seconda espressione
criptata si aggiunge al vigore della doppia luce, ovvero il sole e la
luna, anche la santità, alludendo con questa alla perfezione (10)
dei due astri sia nell’aspetto luminoso sia nei continui movimenti ternari
ciclici chiamata spesso, nell’iconografia etrusca, ‘danza’ del sei o della
doppia luce.
Ricapitolando, la kulix di
Dioniso, oltre che riportare apertamente un bellissimo disegno e una vicenda
mitica famosa e di grande fascino nonché alludente al dio del vino, ci riporta anche,
nascostamente, una espressione apotropaica nella quale si dice della forza
luminosa della divinità (sole e luna/Tin -Uni) . L’oggetto dunque ha una
lettura di superficie (quella che tutti sono in grado di ‘leggere’) e una lettura
di profondità a rebus, non subito visibile, che, senza la conoscenza delle convenzioni del
metagrafico (senza la misteriosa ‘chiave’
per aprire) nessuno è in grado di notare e quindi di affrontare. E ciò è fortemente voluto
perché la non leggibilità del testo scritto è quella che permette la sicurezza,
la certezza e la garanzia protettiva del talismano magico. Creato ad arte, per
dirla con Catullo, ‘ne quis malus invidere possit’ una volta che venga a
conoscenza del contenuto nascosto.
NOTE E INDICAZIONI
BIBLIOGRAFICHE
1.Gli Etruschi e i Sardi ‘nuragici’. Ma è più che probabile che un certo tipo di scrittura ideografica e numerologica assieme l’abbiano inventata e curata per primi i neolitici sardi, i costruttori (pittori e scultori) delle domus de Jana (v. Sanna G., 2020, La scrittura in Sardegna? A Partire dal neolitico recente. Scrivere disegnando a rebus. Gli ideogrammi convenzionali nelle tombe, nella ceramica e nelle pietre. Il ‘tre’ ed il ‘sei’ taurini e la ‘religio’ neolitica astrale ripresi due millenni dopo dai nuragici e tre dagli Etruschi in Maimoni blog (4 Aprile). Manca purtroppo ad oggi un testo esaustivo che riporti i dipinti e le sculture (laddove presenti) nelle celle e cellette funerarie della religione funeraria dei neolitici. Si potrebbe sapere di più delle influenze (che sembrano indubbie) culturali di questi ultimi sulla scrittura a rebus del periodo etrusco. Una tomba come quella di Pubusattile di Villanova Monteleone (v. fig.) mostra chiaramente con il motivo della scacchiera e la simbologia numerica (quadrato, quadratini e serpentelli) che gli Etruschi, eredi dei Villanoviani, hanno preso non pochi suggerimenti (e per molto tempo) dai neolitici sardi per il loro system funerario assai sofisticato
2. Forse le sproporzioni tra la barca e la persona di Dyoniso sono
da imputarsi al fatto che il natante deve essere individuato senza fatica come
tipologia di barca al fine di fornire la giusta acrofonia della parola. V. più
avanti.
3. Sul mito di Dioniso e i pirati tirreni v. in particolare Romizzi L.,2003, Il mito di Dioniso e i Pirati Tirreni in epoca romana, in Latomus, T.62, fasc.2, pp. 352 -361. Sociètè d’Etudes Latines de Bruxelles; Nobili F., 2009, L’inno omerico a Dioniso (HMN, Omero, VII) e Corinto, Annali della Facoltà di Lettere e filosofia di Milano.
4. I cosiddetti ‘corimbi’ (da κόρυμβος, grappolo) voce che si può riferire sia ai frutti della vite che a quelli dell’edera. Specialmente a questi ultimi. Per Mosch. 3,4, il κόρυμβος è un grappolo di fiori o di frutti terminanti a punta. Qui il pittore ha disegnato significativamente i frutti mettendone in evidenza le ‘punte’. La scelta del corimbo ovvero del nome del frutto per entrambe le piante del mito dionisiaco è fondamentale ai fini del system metagrafico basato sull’acrofonia. Circa il topos dei corimbi e del 'vigore' di essi v. il saggio della Di Poce R., 2007, Le donne in Etruria tra Orientalizzante e Arcaismo, Università di Napoli L'Orientale, di cui la fig. alla p. 17.
5. V. di recente, tra gli altri
contributi, Sanna G. 2020, Museo Nazionale di Firenze. Il cane ‘calustla’ e
il system funerario metagrafico etrusco alla luce delle nuove acquisizioni.
Scrittura lineare e scrittura metagrafica. Protasi e apodosi. Il Sei continuo.
In maimoni blog (21 marzo).
6. Questo tipo di scrittura
conobbe uno splendore continuo nel Mediterraneo: in Sardegna (nel neolitico,
eneolitico e nell’età del bronzo), in Grecia (Pito) e quindi in Etruria. Per
l’uso di essa in Pito (Delfi) si veda il nostro saggio del 2007: I segni del
Lossia cacciatore, passim, S’ Alvure ed., Oristano.
7. Si veda la nota 1. Chiara risulta la simbologia del quattro nella
figura della parete della domus de jana (neolitico recente sardo: 3000 -2500
a.C.)
8. ‘Santo’, da quello che si
capisce da tutta la documentazione nuragica, significa ‘perfetto, per nulla
censurabile, inattaccabile nella sua essenza'. La voce ‘santo’, ottenuta
attraverso il sette numerologico, in nuragico è unita particolarmente alla
parola ‘luce’ e al dio (yh) creatore di quella luce. La luce è
‘perfetta’ come ‘perfetto’ è il suo creatore. Si veda il noto (cosiddetto) ‘brassard’ di Is Locci -Santus di San Giovanni Suergiu dove si dice che
la ‘Bipenne’ (detta però ‘bidente’) è di Lui (yh) padre ('ab) della
luce santa (sette).
9. Nel system funerario etrusco non esiste documento dove non sia presente il tre o il sei ovvero i due numeri notanti la luce. Detto ‘tre’ però non si ottiene solo per acrofonia ma anche (molto spesso) per ideografia. L’idea del ‘sollevare, distendere e curvare’ (cioè del ritmo ciclico ternario del sole e della luna) è presente nelle pitture, nelle sculture e in tantissimi oggetti del culto funerario etrusco. Ad esempio nelle immagini relative al ballo (sacro) etrusco l’atto del sollevare un braccio, di distendere l’altro e di curvare la mano (ma esso si può rendere anche con le gambe o con le braccia e le gambe assieme) obbedisce alla necessità di realizzazione criptata del tre (la luce) o del sei (la doppia luce) . Si veda, tra i tantissimi esempi che si potrebbero fare, il ‘SEI’ della ’Ydria (fig. seg.) con la guida dei ballerini’ e la caratteristica danza, nella quale però il primo dei due ‘tre’ si ottiene maliziosamente con la singolare variatio del ‘sollevare fallico’ del ballerino.
10. V. nota 8.
lunedì 22 novembre 2021
Il pozzo di Santa Cristina: una obiezione
Qualche giorno fa un amico ha avanzato una obiezione relativa al pozzo di Santa Cristina.
Lo ha fatto in privato pensando che la stessa domanda formulata in pubblico potesse mettermi in difficoltà.
Dal punto di vista umano ringrazio l’amico per la sua sensibilità, ma da ricercatore non farò altrettanto, perché non devo e non posso presumere a priori che quel che dico e scrivo sia verità assoluta. Per tanto nel momento in cui espongo pubblicamente uno studio devo, e sottolineo DEVO, rispondere alle obiezioni, perché queste mettono alla prova la tesi formulata. Sono le obiezioni ad offrirci la possibilità di avvicinare la verità dei fatti, rispondendo ad esse in modo efficace e convincente, oppure potrebbero farci capire di essere in un vicolo cieco nel momento in cui non riusciamo a rispondere a queste in modo adeguato.
mercoledì 17 novembre 2021
Effimere riflessioni da: Sa Sardigna scuntra 'a Sicilia
di Sandro Angei
Il 13 novembre appena trascorso si è svolto all'Hospitalis Sancti Antoni in Oristano il convegno organizzato dal Rotaract club di Nicosia, di Terralba e Oristano.
Al convegno, come è noto, ho partecipato quale relatore sul tema: il pozzo di Santa Cristina - una nuova lettura in chiave archeoastronomica.
Il mio intervento era incentrato prevalentemente sull'aspetto tecnico scientifico di alcune particolarità architettoniche che rendono possibile la manifestazione luminosa all'interno del pozzo il 21 di aprile.
Con questo post vogliamo dar modo ai nostri lettori che non hanno potuto prendervi parte, di assistere al mio intervento.
Buona visione.
clicca su 👉 Effimere riflessioni
Chi volesse visionare l'intero convegno può cliccare qui