lunedì 4 maggio 2015

Rapsodia di un grafema 3

di Sandro Angei
 PARTE TERZA

vedi parte 1
vedi parte 2
Immagine elaborata: da Google Earth
Tharros


   Tharros, al pari di Tirso è menzionata per la prima volta nella geografia di Claudio Tolomeo (bullettino archeologico sardo anno 1861 n°12).
   Tharros viene avvicinata alla mitica Tartesso, ma dell’una né dell’altra si conosce il significato del lemma. Per tanto in accordo col metodo già utilizzato nell’estrapolazione del significato del nome Thirša, cercheremo di decifrare il significato di Tharros, leggendolo da destra verso sinistra, tenendo ben conto che alla stregua dell’idronimo, lo leggeremo in chiave nuragica, anche qui ipotizzando la scrittura del toponimo semitico da sinistra verso destra perché, come vedremo alla fine della trattazione, i due nomi sono strettamente legati etimologicamente l’uno all’altro.
   Nel Bullettino archeologico Sardo n°12/1861[1] Giovanni Spano scrive che il toponimo si scriveva “Tharros, Tharras, Tarrha, Tharro, Tarre e Tharrus. E prosegue dicendo che in una colonna miliaria trovata sulla strada da Tharros a Cornus, c’era scritto Tharros. E aggiunge che “la voce sembra egiziana o fenicia”. Pietro Martini nel suo articolo scrive il toponimo nel seguente modo: Tarrhos,[1] ma nella geographia di Claudio Tolomeo lo troviamo scritto in greco
   Il toponimo è riscontrabile in altre fonti: le Historiae di Sallustio, del I secolo a.C. che riporta la forma Tarrhos, Giorgio Ciprio in cui la città è attestata come Tàrrai, in forma latina Tarri, attestata nell’Anonimo Ravennate e in Guidone, o Tharri in accusativo, come risulta dall’Itinerarium Antonini.[2]
***
   Come al solito estrapoliamo le consonanti dall’attuale nome di Tharros ed otteniamo l’eptagramma T’rr‛s che letto in semitico da destra verso sinistra suona: š‛rr’t → š‛arr’at.
In punico risulta attestata la parola š‛r [3] con il significato di “porta”.
   Di seguito abbiamo il bigamma r’ [4] che potrebbe essere il trigramma r’h [5] col significato di guardare, vedere, scrutare, probabilmente deriva dall’egiziano “occhio” che simboleggia il dio “Ra” o “Rha”.
Infine la lettera “t” del semitico “taw” col noto significato di “segno”.
   Il significato letterale del toponimo per tanto è: «porta guardare segno» inteso come «porta a guardia del confine», dove per segno/confine si intende probabilmente il fiume Thirša.
   Per tanto il termine si vocalizza nel seguente modo: š‛rr’ht che poi potrebbe essere diventato il nostro Th’arr‛oš [6] Tharros.
   Ma Tolomeo trascrive Ταρραι(να) [7] Ταρρας) πολις
   La prima considerazione da fare è relativa alla prima forma del toponimo, che viene scritto da Tolomeo “Tarrai(na)[8], come se avesse dei dubbi sul nome della città[9], tanto che, ancora tra parentesi scrive (o Tarras), per tanto parrebbe che il nome della città potesse essere “Tarrai “, “Tarraina” o “Tarras”.
ΤαρραιTarrai, è un nominativo plurale della 1° declinazione, mentre tra parentesi scrive η Ταρρας col significato di “o tarras”, dove “tarras“ è flesso al genitivo singolare della 1° declinazione.
Vediamo cosa significa tutto questo:
1.      Il primo termine al nominativo plurale “tarrai” si tradurrebbe nel suo significato “le porte a guardia del confine”.
2.      Il secondo termine al genitivo singolare si tradurrebbe “della porta a guardia del confine. Della porta… di quale soggetto? Della città! Per tanto: città della porta a guardia del confine. Ma quale confine e quale porta? Il confine presumibilmente è il Thirso, mentre la porta è il braccio di mare tra capo San Marco e capo Frasca.
   Se ciò è vero, perché Tolomeo, il primo toponimo lo flette al plurale “le porte”, mentre il secondo lo flette al singolare “della porta”?
   Nel primo caso per “porte” intende sia il tratto di mare tra capo San Marco e capo Frasca, sia la città (per tanto la città e l’imboccatura del golfo sono “le porte” → Tarrai). Nel secondo caso intende solo l’imboccatura del golfo di Oristano (per tanto “città della porta”).
   Se ciò è verosimile sembrerebbe che Tolomeo conoscesse il significato del nome della città, spiegato dai suoi abitanti indifferentemente sia con “porte a guardia del confine”, sia “(città) della porta a guardia del confine”.
   In ragione di quanto esposto ed estrapolato dai lemmi punici, dovremmo scrivere il nome T-harraš e non Tharraš, altrimenti C. Tolomeo avrebbe scritto Θαρραι(να) (η Θαρρας) πολις, (34) nel contempo non  possiamo dare ragione al Martini quando scrive il toponimo nella forma “Tarrhos”, perché da quanto estrapolato, la “h” non esiste nel trigramma semitico “š’r” del sostantivo “porta”, mentre esiste nel trigramma “r’h” del verbo guardare, per tanto a ragion veduta, è giusta la forma odierna di “Tharros”, che deriva semplicemente dall’accostamento del verbo “r’h” al grafema “taw”, che per tanto non è da intendersi come un “teth”, e questo da ragione alla forma tramandataci da Tolomeo di “Ταρρας” e non “Θαρρας”, dove in greco, come già detto in nota, la sola lettera “h” non esiste; tant’è che in ragione di ciò dovremmo scrivere T-harroš.
   In una iscrizione trilingue (mix o addirittura agglutinamento di lingue): etrusca, latina e nuragica del III - II secolo a.C. troviamo scritto: Tharruš[10] col teth, ma ciò non inficia il nostro sillogismo, in quanto quel thet, come argomenta Prof. Sanna nella trattazione della scritta di BM di cui alla nota 10, è falsa: lui la riconduce alla pronuncia intervocalica (sa 'idda 'e Tharrus e non sa  'idda 'e Tarrus), noi la originiamo nel costrutto delle parole semitiche che costituiscono il nome.
   Si noti inoltre che nella scritta di BM (di cui alla nota 10), il nome Tharruš è composto da tre grafemi semitici (thet, resh e šin) intervocalizzati da due lettere latine (a, u), che a ben vedere resituiscono nella traslitterazione semitica: th’rr‛š, con la ’aleph e lo ‛ayin al posto giusto. Ma non è tutto perché la medesima scritta di BM testimonia, avvalorando ulteriormente il nostro sillogismo, la presenza dello šin nuragico di ispirazione cananaica, che di fatto avvalla l’ipotesi che esso šin sia l’iniziale del trigramma semitico š‛r; trigramma che legato al successivo r’h, spiega il raddoppiamento della erre di Tharruš.
   Per tanto se non vogliamo considerarle prove, quelle qui enunciate, sono per lo meno forti indizi che avvalorano quanto andiamo affermando.
   Per quanto fin qui estrapolato possiamo dedurre in ultima analisi, che il significato del nome della città posta all’imboccatura del golfo di Oristano sia “porta a guardia del confine” e che il nome originario fosse š‛rr’ht vocalizzato š‛arr’aht, che Tolomeo ci tramandò grecizzato quale Tarras, che noi a buon diritto possiamo scrivere, per quanto appurato alla nota 6

Tharroš

   Tharroš e Thirša sono due lemmi legati assieme dalla loro mutua posizione nel territorio, perché se Thirša significa “luogo del divino confine”, Tharroš significa “porta a guardia di quel confine”.



[3] Dallo studio: (ESHMUN-MELQART IN UNA NUOVA ISCRIZIONE FENICIA DI IBIZA di Maria Giulia Annidasi Guzzo e Paolo Xella pagg. 49 e 50 ) apprendiamo che il trigramma “š‛r” significa “porta”. Per il significato di «š’r = porta» vedi anche:  (http://www.academia.edu/5429626/Avori_Tas_Silg) pag. 133. Da questo sito:
http://www.treccani.it/enciclopedia/gli-insediamenti-fenici-e-punici-in-africa-settentrionale_(Il_Mondo_dell'Archeologia)/  apprendiamo che “š‛r” si vocalizza nel seguente modo “shaar” o “sha‛ar
[4] Il bigamma r’ è stato estrapolato in questa forma, dalla parola greca Tarras, devocalizzando la matres lectionis (ossia resituendo il valore consonantico ’aleph allo alfa greco), tramandataci da Tolomeo; all’interno della quale: r’ che di fatto potrebbe essere il trigramma r’h [5], la lettera “h” non compare; Perché Tolomeo molto probabilmente acquisisce il lemma per via orale. Per tanto Tarras.
[6] Si noti che, benché alla nota [3], abbiamo appreso che š‛r” si vocalizzi “sha‛ar”, non di meno non possiamo escludere che la “o” del nostro Tharros derivi da matres lectionis, per via che il trigramma “š‛r” è traslitterato in grafemi semitici: “šin–‘ayin-resh “. Parimenti r’h: "resh-aleph-he", si vocalizza ra’ah.

Vedi: nota 11pag.4 di: http://www.academia.edu/1118233/Echi_semitici_di_greco_d%C3%A9mas
[7] congiunzione disgiuntiva col significato d i “o, ossia” da: http://greciaantica.blogspot.it/2009/01/note-sul-greco-antico-e-sul-greco.html
[8] Il (na) tra parentesi molto probabilmente vuol significare una variante al nome, per tanto da leggersi: Tarrai o Tarraina, come d’altronde Tolomeo fa, sempre a pag. 159 della Geographia, col nome del fiume Temo per il quale scrive «Τέ(ρ)μου»
[9] Nessun dubbio invece quando annota il toponimo “Neapolis” che non ha bisogno di alcuna esplicazione da parte del cartografo Alessandrino.

13 commenti:

  1. Non sono in grado di giudicare la bontà delle tue deduzioni che tuttavia paiono rette da un filo logico piuttosto ben teso.
    E, soprattutto, mi piace accostare alle tue conclusioni, per le evidenti affinità, una interpretazione assolutamente estemporanea di uno dei tre cartigli che si trovano negletti sulle rocce della spiaggione di San Giovanni.
    Si tratta, per intendersi, di quello con il leone intero (già questo farà impazzire centinaia di egittologi) accovacciato con la testa verso destra (quindi verso Capo san Marco e l’imboccatura del Golfo), che a sinistra presenta un simbolo che ricorda la casa (F12) ancorché ruotato e, a destra, il simbolo del mare accanto ad un quadrato. Sopra il leone, inoltre, vi sono due trattini a cui attribuisco il significato di duale.
    Ora, si potrebbe leggere, ripeto, in modo assolutamente irriverente anche per un medio interprete, da super dilettante: casa (città) dei leoni che guardano (custodiscono) il mare chiuso.
    Dal significato, tuttavia, molto prossimo alla tua lettura della città della porta, se ricordiamo come, da Hattusa in poi, fossero proprio i leoni a esser messi a guardia delle porte.

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  2. Queste interpretazioni, ci spiega Sandro, fondano sull’ipotesi di una scrittura destrorsa dei lemmi, seguita da una lettura coerentemente destrorsa in ambito religioso e, qui il perno, da una lettura sinistrorsa nel normale uso popolare. Ecco, io non ho chiaro se si voglia intendere che nomi scritti di cui si era persa memoria e senso (in tutti i sensi) siano stati a distanza di molto tempo letti con prospettive diverse, cambiando da allora in avanti il nome più antico (magari ancora usato per un certo tempo, come residuo storico, da una minoranza poco comunicante con la cultura dominante e destinata a soccomberle); o se voglia intendersi che fin dall’inizio (o da molto presto, quando in ogni caso il supposto vero senso del nome e quindi il suo corretto senso di lettura erano ancora noti) la lettura sinistrorsa sia stata permessa e incoraggiata, secondo la teoria per cui solo i religiosi sono “iniziati” e certi livelli di conoscenza vanno preferibilmente occultati. Non so quale delle due vie possa rappresentare il filo logico meglio teso (per dirla con Ergian).
    La prima, quella del nome riletto da moderni ignoranti egemoni che soppianta il nome ad allora ragionevolmente tramandato tra i soccombenti, qualche difficoltà me la presenta: se toponimi fossili come la spiaggia di Maymoni ci sono arrivati integri, non è tanto più ragionevole pensare che i nomi di cotanta città e cotanto fiume persistessero in barba al destino della loro forma scritta, costringendo essi stessi le nuove scritture ad adattarsi a loro?
    La seconda via, quella del nome “laico” con corso parallelo al nome “sacro”, (ammesso possa mai confermarsi) renderebbe una volta di più originale questa benedetta civiltà. O anche questo ha dei precedenti, magari (tanto per cambiare) presso gli Egizi?

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  3. Ergian45 e Francesco, io non ho la verità in tasca, questa è solo una ipotesi di studio. La tesi è quella secondo la quale il nome è sacro e per tanto da nascondere il più possibile, coerentemente alla natura della scrittura nuragica, che tanti documenti ci hanno restituito.
    Il tutto nasce dalla mancata interpretazione di questi toponimi secondo le antiche lingue più note; interpretazione che guarda caso ha un senso logico secondo lemmi di radice semitica e lettura coerente con la scrittura/lettura nuragica.
    Una teoria che spiega in Tharros, il perché di quella “H”, del raddoppiamento della “R” e della presenza dello “šin” finale, coerentemente quest’ultima, alla prova concreta della scritta di “BM”. E’ un caso, solo un caso? Può darsi, ma ancora non è finita.

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  4. Da un sito apparentemente “lontano”, non solo geograficamente ma anche cronologicamente per l’epoca di attribuzione molto più recente, viene invece lo strano amuleto con la scritta palindroma su una faccia (e mi hanno indirizzato a questo le ultime considerazioni sul senso di lettura da destra o da sinistra di Sandro Angei riprese da Francesco Masia). Ritrovato a Nea Paphos, città abitata fin dal Neolitico, sull’isola di Cipro, è particolare per la sua apparente astoricità, perché, sulla seconda faccia, pur con qualche sbavatura, contiene chiari rimandi alla cultura ed alla mitologia egizia che paiono sopravvivere al passare dei secoli ed alle nuove istanze religiose “cristiane” che si andavano diffondendo nel Mediterraneo. Si parla infatti di un reperto databile al V° secolo dopo Cristo, coevo quindi della basilica di San Giovanni di Sinis, prossima a Tharros.
    Ora la cito per due motivi: dapprima, per rimarcare che l’insistenza del nome del Dio cananaico, riconosciuto ormai in molti reperti sardo-nuragici dal prof. Gigi Sanna che quasi sempre attengono a scritte sacre pare sostanziarsi in nuovi riscontri interpretativi anche lontani, ma con clima culturale simile. E, in seconda battuta, per un chiaro ed inatteso rimando ai nostri leoni dello spiaggione di San Giovanni, scusandomi se solo adesso ritorno nell’alveo del discorso iniziato ieri a proposito del geroglifico sull’arenaria, dopo l’inevitabile digressione.
    L’interpretazione della scritta greca dell’amuleto recita infatti:
    «Yahweh è il portatore del nome segreto, il leone di Ra sicuro nel suo santuario».
    Il leone di Ra?
    Ma allora, mi domando, Tharros o come mai si dovesse scrivere o fosse nota, avrà mai a che fare davvero con il leone divino? Potevano esserci più santuari nel bacino del Mediterraneo?
    E, ancora, la lettura dell’egittologo Geogeos Diaz- Montexano del nome della città come dimora o tempio del leone?
    E infine, quel «sicuro», non rimanda, forse, alla memoria le mura ciclopiche che si vedono ancora presso le dune che in parte le coprono ancora?

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    1. L'amuleto si può visionare all'indirizzo:
      http://avenuetour.altervista.org/blog/un-antico-talismano-contro-la-iella/

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    2. Grazie per la visualizzazione. Sulla traduzione (Re per Ra), sul commento e sull'atteggiamento del commentatore che associa l'amuleto a cornetti e zampe di lepre mi astengo da ogni giudizio. Io sarei cauto a scherzare troppo su un reperto che apre invece nuovi orizzonti interpretativi sulla diffusione delle culture nel Mediterraneo

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  6. Sandro, mi hai spinto a riandare al librone di Frau, dove alle pag 230 e 231 si inanellano i nomi del Melqart fenicio e poi dell’Anat ugaritica e ancora della fenicia Astarte, ciascuno probabilmente riletto dai greci (da sinistra) in Ercole, Atena e Tartesso.
    Uno all’estero legge alla propria maniera le scritte esotiche e quei nomi “derivati” importa in patria, dove non hanno ragione di prenderlo con le molle e quei nomi, senz’altro, accettano e diffondono; così che, per ridiscendere a noi dall’altezza di un Ercole e un’Astarte, l’Agip da qualche parte potrebbe essere creduta dei signori Piga ;-)
    Scherzi a parte, nell’ipotesi che avanzi la particolarità è che la lettura e i nomi avrebbero cambiato verso tra le stesse genti (?) e/o nella medesima terra.
    Dirai, ancora una volta, che non sono osservazioni cui sia possibile rispondere. Allora chiudiamo con questa: proprio il lavoro di Gigi citato in nota (10) sull’iscrizione di BM spiega che nella Stele di Nora si registra per la prima vota il nome della città nuragica in una sequenza grafica con consonantismo alfabetico di tipologia 'fenicia': TRSHSH. Non sarebbe più corretto, volendo pure sondare un’etimologia semitica, partire da questa sequenza grafica? E cambia, allora, qualcosa?

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    1. La mia tesi è basata sul fatto che la sequenza ha un senso logico solo leggendola da destra verso sinistra, il motivo per il quale sia stata tramandata la pronuncia leggendola da sinistra verso destra l’ho spiegato già nella trattazione del significato di Tirso. Il fatto che sulla stele di Nora e sulla pietra di BM sia scritta da sinistra verso destra non inficia il mio assunto, perché il significato del toponimo doveva rimanere nascosto.

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    2. Mi spiego meglio. Volevo chiederti se interpretare "porta" (š‛r), "guardare" (r’h) e "segno" (t) sia possibile anche a partire dalla sequenza grafica HSHSRT, ammesso (come riterrei) che questa (TRSHSH) sia la forma più fedele del nome della città.
      O cosa non ho capito?

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    3. Francesco, mi sa che hai fatto un po’ di confusione con le lettere , comunque prendendo la parola Th’arr‛š e leggi da sinistra verso destra vocalizzi T - h’ar - r’aš che non significa proprio niente, ma da destra verso sinistra leggi š‛ar - r’ah – t che ha significato. Tieni conto che in š‛ar c’è un ‛ayin, mentre in r’ah c’è un ’aleph, la differenza tra le due è nell’aspirazione: forte di petto e di gola nella prima, mentre la seconda debolissima, nasce nella gola e si forma nel cavo orale.
      Mi rendo conto che col carattere del commentario non si coglie la differenza tra l'apice dello 'ayin rivolto a destra e quello dello 'aleph rivolto a sinistra, ma se guardi il testo dell'articolo vedrai la differenza.

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    4. Come ultimo tentativo per chiarirmi o ‘venire chiarito’, (ri-)parto dal virgolettato dall’articolo di Gigi (sulla scritta di BM) che citi nella nota 10: “si registra per la prima vota per iscritto il nome della città nuragica … la sequenza grafica con consonantismo alfabetico di tipologia 'fenicia' TRSHSH della stele nuragica norense”.
      Leggiamola pure da destra a sinistra (l’ho già ribaltata in HSHSRT nel precedente commento), ma credo sia da questa ‘sequenza grafica’ che si debba partire per una fedele interpretazione del primo significato del nome della città, non dalla sequenza th’rr‛š (cui spieghi di arrivare semplicemente dal moderno Tharros).
      Chiedevo allora se partendo da TRSHSH (da destra a sinistra HSHSRT) cambierebbe qualcosa o si potrebbe interpretare lo stesso quel che hai ottenuto muovendo da th’rr‛š. Posso credere che TRSHSH, come lo ha riportato in quell’articolo Gigi, sia magari meno accurato, meno aderente al Fenicio/Sardo del tuo th’rr‛š. Se il nodo stesse tutto qui, sarà forse il caso di spiegarlo.
      Dopodiché, se già così è chiaro per tutti, può ben rimanere come un altro buchetto tra i miei buchi e le mie voragini, n.d.r. (nulla di rilevante).
      Circa il fatto, come dici, che la sequenza (ammesso ci sia accordo su quale esatta sequenza) abbia un senso logico solo a leggerla da destra a sinistra, rimarrà la curiosità (riaccesa da Ergian) di quale senso guidi invece la lettura dell’egittologo Geogeos Diaz- Montexano (dimora o tempio del leone). E il Prof. Pittau, che ha studiato i toponimi (credo) di tutta la Sardegna, (mi chiedo semplicemente, senza fare ricerche a quest’ora) non avrà detto la sua su Tharros? E guidato da quale (altra) logica?

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    5. Innanzi tutto nella scritta di BM pubblicata da Gigi Sanna non c’è scritto TRSHSH, ma TH A R R U SH ossia Th’arr‛uš (š = sh), dopo di che stiamo girando attorno al problema. Il mio assunto è: la frase nuragica “porta a guardia del confine” ossia T-h’ar-r‛š” è un unico nome leggibile con senso compiuto da destra verso sinistra; e come se scrivessi o trovassi scritto Buenos-aires da destra verso sinistra, ossia “seria-soneuB”, potrei leggerlo con senso compiuto solo da destra verso sinistra. Dopo di che l’uso “laico” era ed è “Tharros”, punto. Comunque sia aspetta la pubblicazione della quarta parte dove spiego alcune cose, poi ne riparliamo.
      L'ultima domanda devi rivolgerla a Diaz-Montexano e Pittau.

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