giovedì 25 ottobre 2018

Scrittura nuragica: Cossoine. Un frammento di terracotta del Nuraghe Addanas con una voce rarissima del Vecchio Testamento:עליל.Due linee con lettura retrograda del (solito) ‘protocananaico’ sardo. La (solita) numerologia.

di Gigi Sanna   
  
    Ancora un documento di scrittura nuragica. Ancora le rovine dei monumenti, talora piccoli fabbricati, restituiscono attestati dell’antica originale scrittura ‘lineare’ dei sardi dell’età del bronzo finale e del primo ferro. Ancora un documento di natura prettamente religiosa e non laica. Ancora sono magia e sacralità il fine ultimo della scrittura. Ancora compaiono il calcolato mix del system e l’oscurità (il rebus), annunciata questa dall’obliquità delle linee. Ancora pittogrammi, ideogrammi, lettere acrofoniche, agglutinamenti, polisemia, variationes, lessico semitico aulico, numerologia. Insomma, ancora e sempre il modus scribendi della ‘griglia di Sassari’. Pertanto  il negare ad oltranza l’innegabile non solo è puerile e ridicolo ma è dannoso per quella scienza che solo a parole si dice di voler tutelare. I paradigmi ‘archeologici’, fondati per altro su di una scienza umanistica e non esatta, quando necessario, cioè quando lo impongono i numerosi dati empirici, vanno subito abbattuti perché costituiscono una remora per la conoscenza storica. Infatti, oggi ‘sapere’ di Sardegna arcaica, della storia ‘vera’ di quest’isola (ma anche del Mediterraneo intero),  vuol dire, soprattutto, affidarsi alla lettura, difficile ma non impossibile, della documentazione diretta. Di giorno in giorno sempre più cospicua. Sempre più intrigante.     

                                                 

               
Fig. 1                                                                                                                   Fig. 2

   
Il frammento, con l’intera scritta miracolosamente salva (1), è conosciuto da una ristretta cerchia di archeologi sardi e di appassionati di archeologia e non sembra, per ora, aver attirato l’attenzione degli studiosi. Eppure si tratta di un reperto di eccezionale importanza non solo per i dati epigrafici e paleografici ma anche per quelli linguistici che interessano molto da vicino, come vedremo, il lessico del V. T. (2)

DATI SULLE CARATTERISTICHE DEL REPERTO. MATERIALE E MISURE.

     Il reperto, rinvenuto di recente sul lato destro (rivolto ad occidente) del Nuraghe Addanas (fig. 1)in territorio di Cossoine (3), è di minuscole dimensioni come si può notare dalle figg. segg., ovvero dalle foto scattate da coloro che lo hanno scoperto.   


fig.3
Fig.4
    



Fig.5



   



Esso nella lettura va girato, come in fig. 2 e 4  e non in fig. 3. Insomma, si presenta con una altezza e larghezza pressoché uguale e con spessore di 0,50 cm. Il materiale è composto con ogni probabilità di argilla refrattaria, cioè resistente ad alte e forse, altissime temperature. Infatti, come si vedrà più avanti, siamo di fronte ad un coccio di un recipiente, di piccole dimensioni, adoperato per fondere i metalli (bronzo, argento o altro) e versarli su di uno stampo.

DATI EPIGRAFICI E SEGNI.
  Riportati su due linee immaginarie (fig.6) notevolmente oblique (4) insistono sulla superficie del coccio dieci segni. Sei nella prima linea e quattro nella seconda. Sono tutti sufficientemente chiari nella loro conformazione anche se la seconda e la terza lettera, sulle prime, non appaiono facilmente individuabili a causa  del leggero deterioramento del coccio e dell’accorgimento dell’agglutinamento in nesso, che consente allo scriba di ricavare nove segni (5) e non dieci.



   fig.6

   I segni appaiono tutti della stessa grandezza, scalfiti abbastanza profondamente e riportati con distanza regolare gli uni dagli altri. Maggiore invece è l’interlinea che separa i sei segni superiori dai quattro inferiori. Né sulla parte sinistra del coccio né su quella destra compare alcuna traccia di ulteriori segni delle due linee o appartenenti ad ipotetiche altre. Offrendo così la certezza (6) che la scritta non reca ulteriori ‘grammata’ con valore fonetico.

DATI PALEOGRAFICI
I dieci segni appartengono tutti al noto repertorio alfabetico semitico di tipologia fenicia, protocananaica e protosinaitica (7). Alcuni sono pittografici, più antichi e altri sono schematici o molto più schematici. Dando così subito l’impressione che ci troviamo di fronte al solito system in mix di tipo cosiddetto protocananaico (8), il tipico modus scribendi seguito, generalmente parlando, dai nuragici per tutto l’arco del lungo impiego della loro scrittura (9).

   Tracciati con una punta acuminata metallica, si notano, nella prima linea, a partire dalla destra (direzione della lettura) sei (10) segni alfabetici consonantici: una lamed, una resh agglutinata ad una ’aleph, una nun, una seconda resh ed infine una yod:  לראנרי

Nella seconda linea sono riportati, sempre a partire dalla destra, una ‘ayin, una lamed, una yod, una seconda lamed: עליל
ASPETTI E TIPOLOGIA DELLE LETTERE


- La lamed iniziale della prima linea così come le due della seconda linea è sinistrorsa (11).

- La resh agglutinata per nesso all’ ’aleph è ancora pittografica derivando essa dal segno ‘testa’(resh) del cosiddetto protosinaitico (12).

- Del tutto schematica invece è la seconda resh riconducibile per forma alla consonante del protocananaico attestata  a Tell - el - hesi e a Semram nell’alfabeto cosiddetto ‘delle punte di freccia’ (13).

-  Pittografica e riconducibile al protosinatitico (protome bovina) è l’ ’aleph agglutinata alla prima resh (14).

- Schematica invece è la nun la cui tipologia può essere fatta risalire al segno presente nella piastrina di Sichem B, nell’ostracon di Beth Shemesh e nell’ostracon di  Izbet Sartah (15)

- Un unicum epigrafico risulta essere l’ultima lettera della prima linea seguita dalla terza della seconda che sono chiaramente delle yod ma con la particolarità del notevole prolungamento verso l’alto dell’ultimo tratto (16). Dando l’impressione che alla yod sia stata agglutinata una lamed. Di essa parleremo diffusamente più avanti.

- Schematico ma anche pittografico potrebbe essere il segno della ‘ayin. E’ difficile dire senza un esame autoptico perché il segno, lievemente ovoidale, indicante l’occhio (‘ayin)  non si capisce se all’interno presenti o non il punto della pupilla. Aspetto non trascurabile, come si sa, per parlare di antichità o meno della consonante (17).

   Stando almeno all’apparenza le lettere, tutte le lettere, risultano quindi arcaiche o molto arcaiche ed esse potrebbero precedere, stando al criterio del mutamento formale nel tempo (18), di uno o due secoli, la Stele di Nora la cui datazione per la maggior parte degli studiosi, come si sa, oscilla tra l’VIII e il IX secolo a.C. (19). Ma della loro effettiva arcaicità è difficile dire perché gli scribi nuragici sino alla fine della loro attività ‘giocarono’ ad arcaicizzare la loro scrittura con il loro continuo caratteristico mix fatto di segni ora pittografici ora lineari. Si è detto (20) che solo quando nei documenti si presenta il  mix con delle lettere greche, etrusche o romane si può procedere, con relativa sicurezza, ma sempre con una certa approssimazione, nella datazione. Pertanto solo con procedimento archeometrico, ovvero con l’analisi scientifica del materiale del coccio attraverso la tecnica della termoluminescenza (21), sarà possibile datare il nostro coccio e anche la scritta, sempre però che quest’ultima sia stata fatta ante coctionem. 



Il LESSICO E IL SIGNIFICATO DELLA SCRITTA

Procedendo con lettura destrorsa per entrambe le linee, la sequenza delle lettere è    

L RA NR YL / ‘ALYL

il cui significato è : crogiolo/ per RA luce (lampada) di YL

    Il recipiente su cui insiste la scritta sarebbe dunque un crogiolo per fondere e amalgamare i metalli. Utensile dedicato a RA (il sole) che è luce di YL . Tenore del lessico della scritta questo che non sorprende perché le voci RA (22), NR e YL sono tutte attestate nella documentazione epigrafica nuragica. Infatti, lL (23) e le altre parole si trovano, isolate o composte tra di loro (NR + RA e NR/L + Y(L),  non solo nella toponomastica sarda anche odierna (Nurra, Nurri) ma anche nelle iscrizioni parietali e nei  documenti, come si può vedere dalla scritta (fig.7) della cosiddetta ‘sala da ballo’ di San Giovanni (Sinis di Cabras), dalla pietra di Aidomaggiore (fig. 8)  e dall’anello sigillo (figg. 9 e 10) della marina di Pallosu di San Vero Milis (ancora Sinis di Cabras).

               

                fig. 7                                                                                         fig. 8                                                                     
       

             fig. 9                                                                                                  Fig.10


La voce ‘lyl עליל  (crogiuolo) è un apax del V.T e si trova in Salmi, 11, 7 :

ʼimarot yhwh ʼamarot ţəhorot

kerep serup b‘alyl la ʽares

mezzuqaq sibʽtayim



τὰ λόγια κυρίου λόγια άγνὰ ἀργΰριον

πεπϋρωμένον δοκίμιον τ γ

κεκαθαρισμένον ἑπταπλασίως (LXX)



Le parole di YHWH  sono parole pure

argento separato dalle scorie nel  crogiolo

raffinato sette volte (CEI ed. Paol.)


   Non è il caso qui di discutere più di tanto delle differenze di traduzione a proposito di b‘alyl laʽares del passo del testo biblico (del crogiolo di terra, come propendono i più,  o ‘furnace on the ground’, come intendono altri). Qui lo  ‘alyl , attestato per la prima volta in un documento sicuramente più antico dei testi tràditi del V.T. (24), è chiaramente un oggetto in forma di crogiolo costruito con argilla refrattaria ovvero con terra cotta. Ciò fa pensare che l’espressione biblica b‘alyl laʽares significhi ‘crogiolo di terra (cotta)’ e non altro.     

La voce IL e le due lettere agglutinate. La numerologia. 
 Il motivo per cui la voce Il (Dio), composta per agglutinamento non una ma due volte, essendo questo segno per altro  ripetuto anche nella terza lettera della seconda linea di scrittura, pone qualche problema interpretativo. Ma si capisce subito, a motivo del ‘normale’ usus scribendi dei nuragici, che la singolarità formale non è accidente o bizzarra improvvisazione scribale ma atto cosciente che nasconde scrittura per dare ulteriore senso. Perché ce ne rendiamo conto partiamo da una semplice considerazione. Se nella seconda l. si ha la lettura di un altro IL, cioè della parola ‘Dio’ ripetuta una seconda volta, vorrà dire che lo scriba giocava a spronare chi allora poteva interpretare il messaggio (sicuramente un altro scriba)  a cercare il terzo di  IL. Infatti, non era possibile, per il rispetto del numero sacro (25), che IL fosse scritto due volte soltanto. Cosa non tanto difficile da scoprire perché la voce ‘alyl  עליל, cioè l’ultima parola dell’intero peiodo, contiene la sequenza IL nelle ultime due lettere delle quattro da cui è composta. Abbiamo quindi un tre che si affianca numerologicamente al nove, ottenuto con  tutte le lettere, con RA in agglutinamento e le due IL sempre in agglutinamento. I ‘tre’, come si vede sono in tutto ‘sei’ (tre agglutinamenti e tre Il ripetuti), tanto da ottenersi numerologicamente ‘sei continuo, immortale’, dal momento che sappiamo da tempo che in nuragico, così come in etrusco, il nove per convenzione indica la continuità perenne o l’immortalità (26). Stando così le cose si potrebbe ipotizzare che le voci, ottenute per via numerologica vadano aggiunte alla sequenza consonantica  L RA NR YL / ‘ALYL e riferite a IL: Crogiolo per RA luce di Il sei immortale. Ma così non pensiamo che sia perché se è vero che lo scriba ha messo nel conto la ‘scrittura’, con il computo delle consonanti e degli agglutinamenti, non è possibile che in detto conto abbia trascurato il dato fondamentale di ogni scritta, cioè le voci o parole. I numeri presenti non sarebbero  dunque solo il sei (3 + 3) e il nove, ma anche il cinque ovvero il numero espresso attraverso le cinque parole. Se così è si tratterà allora di una seconda lettura, solo numerologica, ottenuta diversamente dalla prima: potenza del sei continuo (immortale). Dove la voce ‘potenza’ si ottiene, sempre per via convenzionale (27), dal numero cinque (la potenza della mano con le cinque dita). Naturalmente la seconda lettura andrà affiancata per senso alla prima:
crogiolo per Ra luce di Il/ potenza del sei continuo.


Cosa sia questo sei lo si è capito soprattutto attraverso la lettura, metagrafica e non, dell’etrusco dove il numero nota il ciclo ternario del movimento dei due astri con il loro ‘sollevarsi, distendersi e curvare’ continuo (28). Movimento che dà la luce perenne del sole e della luna assieme, l’androgino (in nuragico è yh) TIN/UNI. Per il prossimo Natale lo scrivente vedrà di pubblicare un documento eccezionale del nuragico, come quello che mostra figurativamente (e ciò credo che accada per la prima volta in un documento scritto di ogni tempo), attraverso segni inequivocabili di cultura ‘astronomica’, che il dio IL è proprio la ‘potenza’, cioè l’energia luminosa che regola e permette il movimento del SEI ciclico soli - lunare, ovvero la vita continua del mondo.


Note ed indicazioni bibliografiche

1  La scritta faceva parte di un recipiente il frammento del quale a noi pervenuto occupava, a mio giudizio,  un quarto o un quinto della estensione totale. Credo che gli archeologici da questo piccolo (ma non troppo piccolo) frammento, leggermente curvilineo, possano ricostruire parte o l’intero del manufatto. 
2 Cogliamo l’occasione qui per ribadire che il lessico semitico delle iscrizioni nuragiche (nrנר, ‘oz עז, br בר, ‘ab אב, ssr ששר, ecc.), scritte sempre di natura sacra, risale alla scrittura semitica cananaica del V.T. Non è lessico del parlato ma della scrittura aulica. Gli scribi nuragici, i sacerdoti del culto dello yhwh il cananaico, possedevano sicuramente i testi più arcaici del V.T. e ad essi ricorrevano sempre nell’uso della scrittura. E crediamo che non sia certo un caso che la scrittura prediletta dei nuragici sia il cosiddetto ‘protocananaico’ (v. Sanna G., I geroglifici dei Giganti. Introduzione allo studio della scrittura nuragica, 3.7 -3.8, PTM ed. Mogoro, 2016).   
3 Nuraghe monotorre con l'ingresso orientato a Sud/Sud-Est. Fu costruito con una parte di esso praticamente delimitata da un notevole scoscendimento. Cogliamo la palla al balzo per rimarcare come la scrittura arcaica dei sardi praticamente si trovi dappertutto, in particolare all’interno o nei pressi dei nuraghi. Spesso sono i nuraghi stessi che la riportano, come è il caso delle scritte dei nuraghi Aiga e Zuras di Abbasanta. E per osservare ancora che non sono i nuraghi ‘maggiori’ solo a dar testimonianza di reperti epigrafici ma anche i ‘minori’, i monotorri, come nel nostro caso. Basti pensare che il ripostiglio in cui furono trovati in un fondo agricolo i sigilli dei Giganti (Sanna G., 2016,  I geroglifici dei Giganti ecc. cit. 2, pp. 29 -32) si trova nei pressi del Nuraghe Tzricotu di Cabras, anch’esso un senplice monotorre distante poche centinaia di metri dall’altura di Monte ‘e Prama.   
4 L’obliquità delle linee, talora assai marcata come è il caso della scritta dell’Antiquarium arborense di Oristano (http://maimoniblog.blogspot.com/2016/01/antiquarium-arborense-di-oristano-la.html), è una delle caratteristiche della scrittura nuragica. Non è una norma ma è molto presente. In seguito alla ricostruzione della lastra (mancante di una linea) la stessa stele di Nora (Sanna G., 2009, La stele di Nora. Il dio, il dono, il santo. The God, The Gift, The Saint, PTM ed. Mogoro), mostra (per il rispetto continuo del ‘tre’, numero sacro per i nuragici e per gli Etruschi) ben evidenti  le tre tipologie di linea: retta (la quinta), obliqua verso destra (le prime quattro) ed obliqua verso sinistra (le ultime quattro). Detta λοξότης abbiamo cercato di spiegarla (v. ancora http://maimoniblog.blogspot.com/2016/01/antiquarium-arborense-di-oristano-la.html) come una specie di segnalazione o avvertimento della particolare scrittura ‘obliqua’, cioè da interpretare più nel profondo per accedere alla  completezza del significato. Chi, nella lettura della sequenza NLYSLTCLN, della pietra dell’Antiquarium arborense, pensa di ricavarne il senso con facilità, dalla lettura apparente, rischia di non comprendere per nulla il significato. Ma forse l’oscurità e la mancanza di comprensione era voluta anche e soprattutto per motivi di protezione ‘magica’ del messaggio funerario riposto nella lastra funeraria, messaggio (sulla ‘salvezza del figlio da parte di Yhwh’) che non doveva essere ‘profanato’.   
5 Cinque nella prima linea ( L  RA N  R  IL ) e quattro nella seconda ( ‘A L Y(L) L).  Il 'segno' non equivale sempre ad una singola lettera consonantica: due o tre o più lettere alfabetiche agglutinate rendono un segno solo. Questa convenzione scrittoria consente di ottenere dei numeri che abbiano senso 'logografico'. Un otto, ad esempio, cioè otto lettere consonantiche non danno senso. Ma basta agglutinarne due per avere 'sette' segni e quindi la voce 'santo'.  
6 La certezza è data anche dal fatto che la numerologia, ovvero il ricorso ai numeri ricavabili dall’intera ‘costruzione’ della scritta, è esaustiva. Essa, come si vedrà più avanti, è data dai numeri sacri cinque, sei, nove. 
7 Sanna G., 2016, I geroglifici dei Giganti. Introduzione, ecc. cit. 3. pp. 39 - 87. 
8 Sanna G., 2016, I geroglifici dei Giganti. Introduzione, ecc.cit. 3. 7. pp. 75 - 87.
9 Secolo XVI a.C. - III d. C.
10 Le lettere  in realtà sono sette perché ad esse bisogna aggiungere la lamed nascosta perché agglutinata alla yod.   
11 La lamed sinistrorsa la si data in genere tra il XIII e XI secolo a.C. ed è ritenuta del ‘fenicio’ arcaico (Garbini G., La questione dell’alfabeto; in ‘I Fenici’ (a cura di S. Moscati), Bompiani Milano 1988).  Nella documentazione nuragica si trova nella pietra di Villamassargia (Sanna G., 2013, Villamassargia: il 'protocananaico' per un altro santo nuragico della Sardegna; in Monte Prama blog (11 giugno) e (due volte) nello scarabeo di Sardara (Sanna G., http://maimoniblog.blogspot.com/2017/12/santa-anastasia-di-sardara-scarabeo.html). In quest’ultimo documento le due  ‘lamed’ fanno parte della sequenza NL YL  (luce di Yl), la stessa che si trova nella pietra di Cossoine oggetto di questo studio.
12 Nella documentazione nuragica è presente nel coccio del Nuraghe Alvu di Pozzomaggiore (Sanna G., 2010, Il documento in ceramica di Pozzomaggiore : in Melis L.. Shardana. Jenesi degli Urim., pp. 153 -168) e nella scritta parietale della cosiddetta ‘Sala da ballo’ di San Giovanni del Sinis (http://monteprama.blogspot.com/2014/06/shaar-ha-baal-di-san-giovanni-del-sinis.html). Per quanto riguarda il secondo  documento i (due) segni della consonante liquida parrebbero romani in mix con segni molto più arcaici,  per quanto riguarda il primo  si ricordi che Pozzomaggiore è paese  molto vicino a  Cossoine.    
13 V. Attardo E., 2007, Utilità della paleografia per lo studio, la classificazione e la datazione di iscrizioni semitiche in scrittura lineare; in Litterare Caelestes (2) 1, p. 187.
14. Nella documentazione nuragica è presente, pressoché identica, nel fondo dell’ormai nota barchetta fittile di S’Urbale di  Teti del IX - VIII secolo a.C. (Sanna G., 2009, Buona Natale da Teti NR h ’Ak h ’ab h; in Gianfrancopintore blog (17 dicembre).
15 Attardo E., 2007, Utilità della paleografia ecc. cit. p. 178.
16  Si tenga presente che il segno della yod con tale notevole prolungamento del tratto finale non è mai attestato. 
17 L' Attardo però la ritiene in fondo ‘poco utile’ per una eventuale sicura datazione (con il criterio del mutamento formale da pittografico in schematico)  dal momento che forme con l’occhio tondo ed il puntino al centro sono entrambe contemporaneamente attestate in scritture arcaiche e che addirittura il cerchietto con punto e senza punto convivono nella stessa iscrizione (p. 178). Insomma le varianti potrebbero essere entrambe riconducibili ad un periodo che va dal XIV al XII secolo a.C.    
18 E’ il metodo seguito dall’Attardo e da altri studiosi ancora.
19 Il Garbini (1988, La questione dell’alfabeto ecc. cit. p. 94) data l’iscrizione al IX sec. a.C.
20 Sanna G., 2016, I Geroglifici dei Giganti ecc. cit. 8, pp. 171 -181.
21 Purtroppo le sovrintendenze sarde, nonostante siano in possesso di non poche scritte arcaiche eseguite su ceramica (si pensi ad es. al coccio del Nuraghe Alvu di Pozzomaggiore, al coccio di Selargius, al coccio d’anfora di S’arcu ‘e is forros di Villagrande Strisaili, ai cocci di Orani), si mostrano molto restie a far periziare i reperti. Il caso della barchetta di Teti si deve ritenere un’eccezione.
22 Ra è voce egiziana che i nuragici accolgono per sincretismo ( yh è dio luminoso come RA) e adoperano per notare il ‘sole’; così come adoperano la voce canananica šmš, presente quest’ultima per altro nel V.T. Sulla sua prima attestazione è, per ora, difficile dire, ma non è improbabile che il nome RA sia documentato in Sardegna per la prima volta (X -IX secolo a.C. ?) in questo che possiamo chiamare ‘coccio del crogiolo’. 
23 Yl (o ILI) equivale, come nel V.T., alla voce ‘dio’. E così, come nel V. T. si trova, associato o no, al nome Yh. Le iniziali delle due voci (con la consonante Y) fanno pensare che la cosiddetta ‘lettera a forcella’ degli archeologi (un modo questo per descrivere ma non certo per spiegare), così frequente nella documentazione epigrafica nuragica (su ceramica, pietra o metallo) possa essere stata, in certi casi,  adoperata indifferentemente sia per ILI che per YH. ILI o IL si trova attestato ancora nei seguenti documenti nuragici: coccio di Sa serra ‘e sa fruca di Mogoro, coccio del Nuraghe Alvu di Pozzomaggiore, coccio dell’anfora ‘cananaica’ di S’arcu ‘e is forros di Villagrande Strisaili, architrave di Aidu ‘e entos di Bortigali, Scarabeo di Santa Anastasia di Sardara, scarabeo sardo di località imprecisata (per quest’ultimo si veda Scandone M., 1975, Scarabei e scaraboidi egiziani ed egittizzanti del Museo Nazionale di Cagliari, CNR, Roma; Atropa Belladonna, 2013,  Gli scarabei sigillo della Sardegna e la scrittura segreta del dio nascosto, Monteprama blog spot . it (26 Ottobre); Masia F., 2017. Scrittura nuragica? Storia problemi considerazioni, Condaghes, p. 102).    
24 Per i Salmi il periodo di redazione generalmente proposto  è il III o II secolo a.C. Ovviamente alcuni dei cosiddetti  tehilim תהילים, componimenti quanto mai eterogenei e di diversi periodi, hanno un’origine antichissima (si pensi al notissimo salmo 104 che trae ispirazione dall’ Inno al Sole egiziano del XIV secolo a.C.), sicuramente predavidica, risalente alla cultura religiosa poetico - musicale cananaica. Che questa specifica cultura esistesse in Sardegna è testimoniato dai bronzetti nuragici (XIII - VIII secolo a.C.) che mostrano persone che suonano arpe, corni, flauti (a due e tre canne), tamburelli, campanelli, armille sonore, ecc. Tutti strumenti musicali di uso religioso e non laico.  
25 Sulla presenza ‘ossessiva’ di detto numero nella documentazione scritta nuragica si è parlato sin dagli inizi delle nostre ricerche  (Sanna G., 2004, Sardȏa Grammata. ’g ’b sa ‘an  yhwh il dio unico del popolo nuragico. S’Alv. Ed. Oristano, 4. pp. 85 -179). Sulla sacralità del numero che parte, con ogni probabilità dall’egiziano per arrivare sino all’etrusco tramite la religio nuragica, si veda per ultimo   http://maimoniblog.blogspot.com/2018/01/i-documenti-etruschi-di-allai-falsi.html  
26 Sanna G., 2016, I Geroglifici dei Giganti ecc. cit. 5. pp. 113 -131.  Per l’etrusco si veda, in particolare,  il nostro breve saggio sull’amuleto aureo etrusco di Bolsena  http://maimoniblog.blogspot.com/2017/10/amuleto-aureo-etrusco-da-bolsena-in.html


27  Sanna G., 2016, I geroglifici dei Giganti ecc. cit. p. 121.




    





















 




14 commenti:

  1. Prima che altri arrivino a rivolgere la dovuta attenzione a codici ideografici in Sardegna, ogni pezzo di ceramica nuragica con segni di scrittura alfabetica lineare varrà una quintalata al grammo. Salutiamo, così, questo nuovo macigno.
    E stiamo a vedere.
    Se il Prof. Zucca davanti alle telecamere mette da parte l’etichetta di villaggio e parla ormai di “centri” con risorse per gli “scambi internazionali”, con una “corte” che poteva disporre la costituzione di una scuola di scultura autrice, forse già nell’XI secolo a.C., della prima grande statuaria del Mediterraneo occidentale (scuola per avviare la quale, entro tale dimensione internazionale, poteva ben assumersi il meglio), allora l’ammissione di un uso della scrittura dovrebbe divenire immediatamente pacifica, scontata.
    Avverto, perciò, che tra non molto ci toccherà sentire, dai professori in giù, una serie di “era chiaro, l’ho sempre pensato (aspettavamo i dati per poterlo dire)”; dietro cui potremo leggere, sottinteso, “non era il caso che nessuno si scaldasse tanto”. E non saremo in tanti quelli in grado di apprezzare la lega di bronzo di queste facce. Quindi facciano pure: la larga maggioranza non penserà a mettere in discussione nessuno, anzi si mostrerà grata.

    P.S.: e da quando è comparsa la possibilità di indicare una reazione (mi piace) agli articoli? La uso, comunque, con piacere (e con questo la pubblicizzo volentieri).

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  2. Devo dirla volgarmente, caro Francesco. Si sono sputtanati troppo perché ciò accada. I macigni sono stati respinti per venti anni e più, ricorrendo alla prepotenza e persino alla criminalità organizzata per neutralizzarli. Magari si dirà che i 'riottosi' (come li chiama bonariamente Francesco Cesare Casula) in fondo erano quattro o cinque e sempre gli stessi (con i piccoli serventi satelliti) e che il 'resto' (una stragrande maggioranza silenziosa)prudentemente taceva e stava alla finestra. Ma ciò non impedirà di dire che l'Università e la scienza accademica complessivamente abbiano fatto una figuraccia a livello mondiale. Una volta i documenti si potevano 'nascondere' il più possibile per decenni perché non si parlasse di essi. Oggi con la 'rete' mondiale non è più così. E qualcuno vicino o all'altra parte del mondo già sta catalogando chiedendosi stupito cosa ci stiano a fare dei segni arcaici semitici (che più semitici non si può)in quel di Cossoine che seguono a quelli di Pozzomaggiore, di Abbasanta, di Teti, di Selargius, ecc. ecc. Lo 'addomesticare', anche con la più grande abilità del mondo, oggi non è più possibile. Se non per il tempo di un batter di ciglia. Vedo comunque che anche tu Francesco ti sei rotto le scatole. Il garbo e la diplomazia in certi casi non producono. Anzi, li si prende come segno di debolezza.

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  3. Comunque, attendi il 'macigno' di questo ormai prossimo Natale. Sei uno dei pochissimi ad averlo visto in anteprima il piccolo - grande rebus sul Dio che separa e regola astronomicamente il mondo.

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  4. Una storia esemplare (non ricordo di averla letta sui “nostri” blog); spero Gigi non trovi inopportuno la inserisca in questa discussione. Ringrazio l’amico Paolo Curreli che me l’ha fatta conoscere, era da un po’ che volevo condividerla qui.

    La Testa di bronzo di Ife è uno dei diciotto oggetti che furono scoperti nel 1938 a Ife in Nigeria, centro religioso ed antica capitale del regno del popolo yoruba. Si crede che rappresenti un re.
    Fu realizzata probabilmente nel XII secolo d.C., prima che avesse luogo qualsiasi contatto europeo con la popolazione locale.
    Quando le teste di Ife apparvero per la prima volta nel mondo occidentale, il realismo e la sofisticata fattura degli oggetti sfidarono le concezioni occidentali sull'arte africana: molti esperti le paragonavano alle più alte realizzazioni dell'antica arte romana o greca, non riuscendo d’altronde a credere che l'Africa avesse mai avuto una civiltà capace di creare manufatti di tale qualità.
    Tentando di spiegare questa presunta anomalia, Leo Frobenius (1873-1938; etnologo e archeologo tedesco, uno dei primi studiosi europei a nutrire un serio interesse per l'arte africana, specialmente quella degli Yoruba) avanzò la teoria che questi manufatti fossero stati fusi da una colonia di antichi Greci insediatasi in Nigeria nel XIII secolo a.C.. Sostenne inoltre, con ampia eco sulla stampa popolare, che questa ipotetica colonia greca stesse all'origine della leggenda sulla civiltà perduta di Atlantide.
    In seguito, invece (in una temperie magari un po’ meno colonialista, potremmo aggiungere), si è giunti a riconoscere pianamente che queste statue furono il prodotto della avanzata civiltà yoruba, che appunto raggiunse un livello eccezionalmente elevato di realismo e di raffinatezza.

    https://it.m.wikipedia.org/wiki/Testa_di_bronzo_di_Ife

    Forse la morale è che, mutatis mutandis, qui, oggi, siamo ancora in una temperie troppo (post-)coloniale. Penso però che gli attriti non potranno opporsi ancora a lungo al piano inclinato.

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  5. Sempre di più si delinea un sentimento religioso basato sull'adorazione di un dio luminoso. In questo clima è da inquadrare la figura del mastro fonditore visto, probabilmente, come colui che riusciva a manipolare la materia con l'aiuto del calore/luce divino del fuoco.

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  6. Sì Sandro,'mastro sacerdote' però: epigrafista, vasaio, fonditore, astrologo - astronomo, architetto, scultore, cantore, musico, ecc. Non esistevano, a mio parere, artigiani specializzati e botteghe laiche per una certa produzione di bronzetti o di altro, come ipotizza il Lilliu. Il dato epigrafico e metagrafico , con l'osticità della scrittura in mix e a rebus, con il rispetto delle regole e delle convenzioni, soprattutto quelle numerologiche (si pensi ad esempio all'iterazione logografica), è indice dell'esclusività artigianale scribale. Sono i santuari con i 'teologi' che elaborano e indirizzano l'insieme delle discipline con delle vere e proprie scuole normative. In sostanza nulla di diverso dall'organizzazione delle scuole di Tuth egiziane o mesopotamiche o siriane. Naturalmente c'è da pensare che il lavoro manuale fosse anche e soprattutto extra templare, affidato a lavoratori abili manualmente. Ma essi erano sempre il braccio e non la mente. Le testimonianze iconografiche etrusche (che riportano però immagini di una 'societas' successiva di non pochi secoli) sono indizio sicuro della presenza dei laboratori, anche specializzati. Ma quegli artigiani agivano, con ogni probabilità, su commissione, 'ridisegnavano' e non erano di certo in grado di realizzare un testo con un sofisticato e talvolta sofisticatissimo 'pretesto'. Il 'sostegno' del Dio basato sul trave di Ulisse che acceca la lampada (occhio) di Polifemo è invenzione di uno scriba colto etrusco mentre la realizzazione grafico -pittorica è (o può essere) di un 'maestro' pittore' ceramista. Anche la realizzazione dell'Ydria funeraria con la danza erotica MF presuppone per 'teologia' il metagrafico di uno scriba del tempio e in un secondo tempo forse un esecutore materiale estraneo alla scuola. Ricorro a questi due esempi perché ad essi sono già ricorso in un post abbastanza recente. Insomma, il tempio detta ed esegue ma talvolta ad eseguire sono altri, soprattutto poi se gli oggetti (si pensi ai sarcofaghi e alle urne)sono seriali.

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  7. Non so Francesco. Ma credo che abbia detto bene lo storico Francesco Cesare Casula al Convegno di Oristano. Ha diviso la ricerca della storia della Sardegna 'preistorica' in due parti: quella Lilliana e post lilliana. Quest'ultima si ha, così ha affermato, con la 'scoperta' della scrittura. Non esiste più una civiltà barbarica e chiusa in se stessa ma una civiltà 'superiore' come le grandi civiltà del bacino del Mediterraneo orientale e centrale. Le statue di Monte 'e Prama sono forse il fiore all'occhiello dei nuragici, un parto artistico scribale sofisticatissimo per simbologia e scrittura, non certo opera laica dell'assolutamente umano (come intende farla passare l'assatanato decostruzionista Di Gennaro). Un parto unico nella storia dell'arte religiosa,esito della teologia teocratica con i figli tori luminosi santi del Dio/dea celesti. Quella stessa teologia di un androgino luminoso che informa quella etrusca, quella 'teologia' dei figli del Dio, santi come il loro padre, che fa sì che un 'gigante' pantauros di Monte 'e Prama finisca come garante di 'difesa', sostegno e aiuto per i due nobilissimi defunti di Cavalupo. O forse davvero dobbiamo credere alla favola che gli oggettini sardi ci fossero per bellezza? Certo, chi resta attaccato come una cozza al prestigioso e al decorativo, mai potrà comprendere il sublime sottostante al simbolismo grafico delle statue taurine, gigantesche, luminose. Sarà portato a sminuire l'eccezionale e lo straordinario, frutto 'indigeno' dell'esaltazione della regalità in terra. Sarà portato soprattutto a negare (l'espressione d'obbligo è sempre 'non possibile')quella eccezionalità e straordinarietà ricorrendo ad esempi esterni con l'abbassare arbitrariamente le date. E spunta inevitabilmente sempre un Frobenius che mette genialmente le cose a posto e, dall'alto del suo prestigio e della sua autorità, incanta tutti affermando che una volta in Nigeria c'era un pezzetto di Grecia classica. Solo ai grandi (o presunti grandi) è permesso, anche oggi, spacciare il ridicolo come cosa seria.

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  8. ...con l'abbassare o innalzare arbitrariamente le date ...

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    1. Questo modo di agire e di pensare dei "grandi e facoltosi" dà il via libera agli sprovveduti che senza cognizione di causa negano l'evidenza, avallati in modo improbo da altri, che non curanti (questi ultimi) delle corbellerie che vengono affermate applaudono gridano “implacabile” al proprio beniamino.

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  9. Una domanda Francesco. Pensi davvero che la scrittura nuragica sia...indecifrata?

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  10. Caro Gigi, naturalmente conosci bene la posizione che ho tenuto nel mio libro, ma che ne dici di trovarci a parlare anche di questo, come in generale della scrittura in Sardegna nel Nuragico, questo Sabato 3 Novembre a Cagliari?
    Siamo invitati, tu e io, alle 18 nei locali della mostra sulla Civiltà Sarda organizzata da Nurnet (e da Andrea Loddo, Gerolamo Exana, ...) ospitata presso i locali della concessionaria Acentro.

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  11. Spero di farcela. Ti terrò informato.

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  12. X Francesco. OK per sabato. Mi accompagnerà Sandro.

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  13. Nota dell'amministratore: Quando in questo blog si riferisce il pensiero di altra persona (commento in rete a questo articolo), è necessario citare la fonte.

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