di G.Sanna
fig.
1
fig. 2
Abbiamo visto nel saggio precedente (1)
che il cagnetto di S:CALUSTLA riporta, scritta in modo metagrafico,
l’espressione salvifica funeraria difesa (oppure
doppio sostegno) del padre e della madre. Ma il senso dell’oggetto continua perché
anche i segni che accompagnano la bestiola sul fianco forse intendono comunicare
numerologicamente qualcosa. Raramente,così come i nuragici, gli scribi etruschi
mettono segni senza significato sintattico
ovvero in qualche modo pertinenti alla lettura organica del tutto e non di una
sola parte. Infatti, i tre segni macroscopici presenti nella
statuina, vale a dire il ‘sollevare’, il ‘distendere’ e il ‘curvare’, quelli
che rendono linguisticamente la doppia acrofonia greco - latina, si sposano ai nove segni della scritta in etrusco. La
doppia puntazione, che si nota dopo la prima consonante, sembra avere lo scopo di evidenziare
l’acronimo ovvero la prima consonante del nome etrusco Sethre ma anche quello di
limitare il numero dei grafemi che si
riducono così a nove. Il tre più il nove sono numeri assai significativi in
etrusco, come quelli che notano rispettivamente la divinità e l’immortalità (2).
Quindi la lettura, con ogni probabilità, diventa ‘doppio sostegno del tre
immortale e del padre e della madre’. Cioè il defunto potrà contare su qualcosa
di immortale che non è specificato e viene indicato astrattamente con un numero
(3).
Dal momento che per ottenere l’approvazione di
un dato come scientifico certo
occorrono molte prove, il maggior numero possibile, che lo sostengano,
continuiamo con un certo numero di esempi, premettendo però che essi sono tra i
tantissimi, praticamente quante sono le casse dei sarcofaghi e delle urne e i
coperchi dei medesimi. Occorrerebbe un grosso volume o forse più volumi per
porre nell’elenco della formula, più o meno variata, tutte le raffigurazioni
dei sarcofaghi e delle urne etrusche. Perché si può dire tranquillamente che non
c’è un’urna o un sarcofago che non risulti ‘scritto’ e non riporti la formula
canonica secondo lo schema di cui s’è detto e trattato. Anche singoli oggetti apotropaici talora la riportano (si
pensi al magnifico ‘affibbiaglio’ della Tomba
delle cinque sedie di Cerveteri) ma di
essi parleremo a parte, una volta che avremo chiarito alcuni aspetti relativi
alla soluzione completa del/dei rebus con i quali bisogna cimentarsi di volta
in volta (4).
In
teoria noi non sappiamo chi siano le due divinità e neppure sappiamo il motivo
per cui le due teste sono unite. Ma se noi applichiamo lo schema, quello con
cui abbiamo ottenuto il significato che li accomuna tutti, riusciremo a capire bene
chi sono i due dei perché otterremo, anche se non il nome, gli appellativi che
li riguardano caratterizzandoli, e cioè ‘padre e ‘madre’. Ripetiamo per sola
comodità lo schema sulla base degli aspetti
che presenta la scultura; esso
risulta identico al primo, al secondo, al sesto e all’ottavo esempio. Esso
schema naturalmente serve per tutti gli esempi successivi.
- 2. idgr.: si distende/distendono ( la barba e la benda).
- 3. idgr. : curva (la benda)
-4. idgr.: spunta, si innalza (la chioma)
-5. idgr.: si distende (la benda)
6. idgr. : curva (la benda)
Il risultato sarà ‘apac atic’ a
cui dobbiamo aggiungere l’ideografia, qui abbastanza scoperta, del ‘sostegno’
ovvero il ‘doppio sostegno’ (la doppia
cuffia che tiene, sostiene i capelli). Ci rendiamo conto così, anche da
questo esempio, che gli scribi e artisti artigiani etruschi scelgono a priori
un tema raffigurativo che in base alla posizione dei significanti e al
particolare aspetto di essi metta a correre il linguaggio formulare. In ciò ovviamente
la fantasia compositiva praticamente non subisce limiti e perciò si sono visti
soggetti e immagini simili ma anche così diversi nei primi otto esempi. Ciò che
conta è ottenere in qualche modo le acrofonie e aggiungervi, più o meno
nascostamente, gli ideogrammi, quelli che non lascino in sospeso la formula.
Per afferrare bene la strategia
compositiva si osservi ora lo
Esempio n. 9. Il duello tra Eteocle e Polinice (6).
- primo personaggio: idgr. : solleva (la mano)
- Eteocle: idgr.: distende (il braccio)
- Eteocle : idgr.: piega (la mano)
- secondo personaggio: idgr. : solleva (la mano)
- Polinice: idgr. : distende (il braccio)
- Polinice: idgr. : curva (la mano)
Esempio n. 10 . I due arcieri (7).
Doppio sostegno (quello in cui si trovano gli arcieri)
solleva/ tende/ curva // solleva /tende/curva
A
/ PA /
C // A
/ TI /
C
- primo arciere: idgr. : solleva (l’arco)
- primo arciere: idgr. : tende (l’arco, la corda dell’arco)
- primo arciere : idgr. : curva (l’arco)
- secondo arciere: idgr. : solleva (l’arco)
- secondo arciere : idgr. : tende (l’arco, la corda dell’arco)
- secondo arciere: idgr.: curva (l’arco, la corda dell’arco)
Esempio n. 11 . I piegati d’amore (8)
Doppio sostegno, doppio aiuto
solleva / tende / curva //
curva /
tende / solleva
A
/ PA /
C // C
/ TI /
A
- idgr.: solleva (le ali), arriva e si posa Venere.
- idgr.: tende (l’arco) Venere
- idgr.: si piega, curva, cade ( il giovane)
- idgr.: Solleva (le ali), arriva e si posa Cupido.
- idgr: Tende (l’arco) Cupido
- idgr. si piega, curva, cade (la giovane)
Esempio n.12. IL mostro marino Scilla (9)
Doppio sostegno continuo del volto (luce)
solleva / distende / curva // solleva / distende /curva
A
/ PA /
C // A
/ TI /
C
- idgr. : solleva (l’ala)
- idgr. : distende (il braccio)
- idgr.: curva (la coda, una coda)
- idgr. : solleva (l’ala)
- idgr. : distende (il braccio)
- idgr. : curva (la coda, una coda)
Esempio n. 13. I lottatori e
il mito di Phersu (10).
Forza del sei immortale / doppio sostegno
del doppio vigore del padre e della madre
si
solleva /si distende /curva // si solleva /si distende / curva
A /
PA / C //
A /
TI
/ C
ripetuto
per quattro volte
- il primo garzone: idgr. solleva (la mano, il braccio)
- il primo garzone : idgr. distende (la sedia)
- il secondo garzone : idgr. si piega, si abbassa (si curva )
- il primo giudice: idgr. : solleva (la mano, il braccio))
- Il primo giudice: idgr. : distende (il braccio)
- il primo giudice : idgr. : curva ,piega (la mano).
- primo giudice: idgr.: solleva ( la mano )
- primo giudice: idgr. : distende (il braccio)
- primo giudice : idgr.; curva (la mano)
- secondo giudice: idgr.: solleva (la mano)
- secondo giudice : idgr. : distende ( il bastone)
- il bastone : idgr.: gira, curva (il bastone)
- primo uccello: idgr.: si solleva
- primo lottatore: idgr. : si distende
- primo lottatore: idgr.: curva (le braccia)
- secondo uccello: idgr.: si solleva
- secondo lottatore: idgr.: si distende
- secondo lottatore: idgr.: curva (le braccia)
- Phersu: idgr. : solleva (la corda)
- Phersu: idgr. : distende (la corda)
- Phersu: idgr. curva (la corda)
- cane: idgr.: si solleva
- cane: idgr. : si distende
- cane: idgr. : curva (la coda).Esempio n. 14. La dea con ali e fronde alate (11).
Doppia protezione del volto
si solleva
/ si distende / curva // si solleva /si distende /curva
A
/ PA /
C // A
/ TI /
C
Doppia forza del doppio sostegno
si solleva
/ si distende / curva // si solleva /si distende /curva
A
/ PA /
C // A
/ TI /
C
- idgr. : si solleva (l’ala)
- idgr. :si distende (la fronda)
- idgr. : curva (la punta della fronda)
- idgr. si solleva (l’ala)
- idgr. : si distende (la fronda)
- idgr.: curva ( la punta della fronda)
Esempio n. 15. Corna, pelte e fiore (12)
Doppia protezione (doppio spiovente)
del tre
si
solleva / si distende /curva // si solleva /si distende /curva
A / PA
/ C //
A / TI
/ C
Doppia forza del fiore immortale
si solleva / si distende /curva // si
solleva / si distende / curva
A
/ PA /
C // A
/ TI /
C
- idgr. : si solleva (la pelta)
- idgr. : si distende (la pelta)
- idgr. : curva (la pelta)
- idgr.: si solleva (la pelta)
- idgr.: si distende (la pelta)
- idgr. : curva (la pelta)
- idgr. : si solleva (la pelta)
- idgr. : si distende (la pelta)
- idgr. : curva (la pelta)
- idgr.: si solleva (la pelta)
- idgr.: si distende (la pelta)
- idgr. : curva (la pelta)
Esempio n. 16. Danza sacra per la rinascita (13).
a
b c
Danza della forza
straordinaria/ delle potenza simultanea e concorde
solleva
/ distende / curva // solleva /distende /abbassa A
/ PA /
C // A
/ TI / C
solleva
/ distende / curva // solleva /distende / abbassa A
/ PA /
C // A
/ TI / C
solleva
/ distende / abbassa // solleva /distende /abbassa A
/ PA /
C // A
/ TI / C
solleva
/distende /abbassa // solleva /distende
/abbassa A /
PA / C
// A /
TI / C
solleva
/ distende /abbassa // solleva /distende /abbassa A
/ PA /
C // A
/ TI / C
- idgr.: solleva (la mano sinistra)
- idgr. : distende (il braccio destro)
- idgr. : curva ( la mano destra)
- idgr. : solleva (i ginocchio destro)
- idgr. : distende (la gamba destra)
- idgr.: abbassa (il piede destro)
- idgr. : solleva (la mano destra)
- idgr. : distende (il braccio sinistro)
- idgr. : curva (la mano sinistra)
- idgr. : solleva (i ginocchio sinistro )
- idgr. : distende (la gamba sinistra )
- idgr. : abbassa (il piede sinistro )
ecc. per altre tre volte.
Esempio n. 17. Il doppio occhio
alato (14)
Doppio sostegno immortale del doppio occhio
alato
Doppio sostegno immortale
A
/ PA /
C // A
/ TI /
C
- idgr.: solleva (l’ala)
- idgr. : distende (la spada)
- idgr.: curva ( la coda)
- idgr. : solleva (l’ala)
- idgr. : distende (un panno ?)
- idgr. : curva (la coda)
Esempio n. 18. Charun e la rappacificazione (15)
Immortale doppio sostegno della luce
solleva
/ distende /abbassa/ solleva /distende /abbassa
A
/ PA /
C / A
/ TI /
C
- idgr. : (Charun) solleva ( il martello, la mazza)
- idgr. : (Charun) distende (un oggetto di impedimento)
- idgr. : (Charun) abbassa ( il braccio)
- idgr.: (Defunto) solleva (la veste)
- idgr. : (Defunto) distende (il braccio)
- idgr. : (Charun) abbassa (il martello, la mazza).
Esempio n. 19. Il fumetto erotico (16).
Doppio sostegno
e del padre e della madre
solleva
/ distende /gira/ gira /distende /gira
A
/ PA /
C / A
/ TI /
C
- Primo amante: idgr. : solleva ( il braccio)
- Primo amante: idgr. : distende ( il braccio)
- Primo amante: idgr. : gira, curva (la mano)
- Secondo amante: idgr.: solleva (il corpo)
- Secondo amante: idgr.: distende (il corpo)
- Secondo amante: idgr.: gira, gira ( il viso)
Arrivati a questo punto, sulla
base di così numerosi riscontri sulla presenza di una certa scrittura, riflettiamo e cerchiamo di capire. Perché
nella maggior parte dei casi gli scribi etruschi nell’organizzare gli
ideogrammi acrofonici atti a comporre, attraverso il vocalismo, il sillabismo,
il consonantismo, la formula canonica (apac
atic), si servono di un certo lessico verbale, sempre o quasi sempre uguale,
quando invece le opzioni potrebbero essere tantissime? Perché il solito ‘innalzarsi, distendere, curvare’? Perché
‘disegni’ astratti di cipressi che si elevano (innalzano), di bende che si distendono
e di corni che curvano ’? Perché arcieri e archi? Perché ‘Veneri ’ e ‘Cupidi’ che tendono l’arco e piegano innamorati?
Perché
uccelli che volano e lottatori che si distendono e si curvano nella
lotta? Perché strane pelte accostate? Perché Charun che ora solleva ora abbassa
il martello? Perché il sollevarsi di ali, tendersi di braccia e curvarsi di
code? Perché mani, gambe, piedi si alzano, si distendono e si abbassano?
Il motivo sta nel fatto che gli
scribi etruschi non si sono accontentati dei dati acrofonici, tendenti a
realizzare la formula canonica (apac atic),
ma hanno anche fatto sì che i verbi suggerissero chi sono il padre e la madre
attraverso i movimenti astronomici e gli aspetti ternari del sole e della luna: il sorgere, il distendersi
nel corso giornaliero, il curvare
dopo il massimo della culminazione. Hanno inteso ‘scrivere’
il nome ‘sole’ e il nome
‘luna’ in modo segreto e a rebus:
ricorrendo alla citazione degli aspetti astronomici ricorrenti
che sono tre e sempre tre. Tre
che significa, come ognuno può vedere, ‘nascita’, ‘vita’, ‘morte’; tre mai interrotto, ma ciclicamente
continuo o eterno; il tre immortale, perfetto
e santo, della luce santa, quella a cui aspirano i defunti per la rinascita e
la vita eterna. Per chi sa leggere in profondità si svela il motivo per cui i sarcofaghi e le urne risultano essere
sempre un vero e proprio concentrato del numero ‘tre’, un ossessivo insistere
sul numero magico, sul ‘nome’ astrale matematico delle due divinità luminose.
Ci piace ricordare, sulla detta ‘magia’, quanto dicemmo interpretando il colloquio
‘sublime’ dei due amanti, quello realizzato attraverso la pittura nella parete
della cosiddetta Tomba della quadriga
infernale. Il giovane amante rassicura affettuosamente l’amato, raffigurato
in atteggiamento di uno molto pessimista e accigliato, sul destino che lo
attende da morto, tranquillizzandolo e mostrandogli ottimisticamente il ‘tre’ della
salvezza con le dita della mano sinistra (17).
Il tre vuol dire ‘rinascita’, ‘ciclicità’, ‘eternità’. Il padre e la
madre celesti, che sono tutto ciò, costituiscono la garanzia della continuità
della vita e l’annullamento della morte. Infatti, così come il padre e la madre
vivono in eterno nella luce, superando giorno dopo giorno e anno dopo anno la
morte (solo apparente), così potrà vivere in eterno il figlio (18),
superando anch’esso la morte apparente. La ciclicità vitale dei genitori Sole -
Luna / Tin - Uni è la stessa ciclicità vitale
del loro figlio.
Ma se
ciò non bastasse c’è, per fortuna, un dato iconografico - epigrafico che conferma
l’assunto che i tre verbi (e le tre situazioni che essi realizzano) non possono
che alludere al ‘tre’ del sole e della luna. Quello della chimera di Arezzo, il famosissimo antico mostro di cui, come si sa,
si parla già a partire dai primi miti greci
presenti nell’Iliade (19)
Se si
osserva il manufatto, operando sulla base numerologica del tre e della formula specifica che comprende e realizza anche
l’acrofonia e l’ideografia, si noterà che il tema che offre il triplice mostro
non è diverso da tutti i temi e i
soggetti degli esempi che abbiamo analizzato e illustrato precedentemente.
Anche qui abbiamo i verbi canonici del ‘sorgere, spuntare, innalzarsi’, del
‘distendersi, espandersi, allungarsi’ e del ‘curvare, girare’ . Infatti, il bronzo
aretino è costituito dalla chimera (χίμαιρα), ovvero dalla ‘capra’ che sorge, spunta dalla schiena, dal leone con criniera che si distende con le zampe anteriori, dalla
coda con aspetto di serpente che curva
(20). E così il manufatto, pur essendo apparentemente
così diverso, in realtà di differente non
ha niente rispetto al bronzetto del cagnetto cortonese (esempio n. 7). Risulta
essere una semplice ‘variatio’ (v. tab. seguente) sul tema: entrambi alludono
al sole e alla luna con particolare riferimento ai lori ciclici ed eterni movimenti (21).
Ma stavolta, con la chimera, abbiamo un dato in più e decisivo, come quello
che garantisce sulla giustezza
dell’interpretazione: la chiara scritta che essa reca sulla zampa destra:
TINCVIL. Concordemente si ritiene, da
parte degli studiosi, che il significato dell’espressione sia quello di
‘dedicato a Tin’. Cioè ‘dedicato al dio del sole’. Sappiamo però che Tin
significa anche luce e sappiamo
ancora, cosa la più importante, che Tin padre non può essere senza la compagnia
di Uni madre essendo il dio androgino (22) come dimostra tra l’altro, con la
esplicita iconografia, l‘esempio n. 8. Tin per gli Etruschi è anche Uni così
come Uni è anche Tin. Citare l’uno vuol dire citare l’altro. Il nome dell’uno è
il nome dell’altro.
Quindi anche con il mito della chimera, così come per altri miti presi a
pretesto con maggiori o minori simbolizzazioni riguardanti la ‘filosofia’ della
morte e della rinascita, lo scriba ha usato il codice metagrafico per
realizzare la solita, onnipresente, formula scritta mortuaria apac atic, ottenuta grazie alle
convenzioni dell’acrofonia, dell’ideografia e della numerologia.
(continua)
Note e riferimenti bibliografici
1.
Sanna G., 2017, Uno spettacolare ‘system’ etrusco di scrittura a
rebus. Come invocare segretamente l’aiuto di Tin e di Uni? Del padre e della
madre? Scrivendo con cipressi, bende, corna, portoni blindati, scudi di
Amazzoni, cacce e cani, bipenni, cavalli, leoni e pantere,ecc. Persino con
affettuosi (superdotati) cagnetti
cortonesi (II), in Maymoni blog spot.com (11 aprile).
2.
Gli etruschi, come i nuragici, ricorrono a diversi modi
per indicare il non interrotto, il
‘continuum’, ovvero l’immortalità. Oltre al numero nove (la continuità numerica del tre) il ‘continuum’ è, ad esempio, assicurato dal
ripetersi di un certo motivo sia nei sarcofaghi e nelle urne sia nelle pitture
delle pareti della camere tombali. Infatti, quelli che a prima vista potrebbero
sembrare decorazioni e/o simboli che incorniciano le scene raffigurate, in
realtà costituiscono significanti
linguistici che vanno inseriti in tutto il contesto anch’esso linguistico. Se
prendiamo l’esempio n. 18 noteremo che il portone dell’Ade è ‘decorato’ con dei
segni puntiformi che sommati danno il
numero dodici ovvero la ‘luce’; ma l’arco in cui esso insiste è dato da una
serie di segni ‘ripetuti’, ‘continui’ che suggeriscono, in quanto tali,
l’immortalità. Ripetere melograni alternati ad altri segni, oppure volute o
‘baccelli, o motivi a ‘greca’, onde ricorrenti, ecc. obbedisce sempre ad uno
scopo che è anch’esso sempre triplice:
quello di realizzare la forma decorosa,
il simbolo e il suono. Ecco perché nell’esempio citato abbiamo tradotto
ideograficamente non solo il portone con i suoi segni ma anche l’arco con il
suo specifico significato. La ‘doppia difesa’ (quella data più avanti dal nome
del padre e della madre) ti diventa così, con maggiore ricchezza di senso, non
difesa limitata, ma dilatata per l’eternità. Nella famosissima tomba dei tori
dipinti e delle scene erotiche, molto studiate, poco comprese e spessissimo
fraintese, il virgulto tenuto da uno degli amanti è collegato, spunta dalla
serie delle melograne (frutti simbolo della fecondità) in continuum. Se si estende
il significato di quel continuum al
virgulto si comprende agevolmente a chi allude un ‘virgulto’ che nasce da una
ciclicità, da un perenne fluire; ma nel contempo si afferra il motivo dello spinto erotismo che sembrerebbe
inspiegabile e assurdo in una
raffigurazione tombale.
3.
Sul perché e sulla
natura di detto numero vedi nota n. 13.
4.
Il gusto della ‘variatio’ degli scribi scultori e pittori,
sicuramente di prestito sardo (Sanna G., 2016, I geroglifici dei Giganti. Introduzione allo studio della scrittura
nuragica, PTM ed, Mogoro, cap. 6, pp. 133 -143) fa sì che nessuna delle
raffigurazioni dei sarcofaghi, delle urne e delle pareti tombali possa ‘tradursi’
agevolmente. Parliamo ovviamente dei prototipi
perché la ripetitività, a lungo andare, venne accolta di necessità.
Soprattutto nelle urne e nei sarcofaghi di basso costo e - diciamo così - ‘normali’, perché in migliaia e migliaia (molto
meno per le costosissime pitture o per
le urne e i sarcofaghi con temi ricercati e sofisticati), un certo motivo a
rebus scritto di gradimento venne
realizzato quasi a livello artigianale - industriale. Ma gli operai delle
botteghe specializzate realizzavano ripetutamente i soggetti (si pensi all’iconografia
degli esempi n. 1, 2, 12 e 14, a quella delle pelte amazzoniche contrapposte, ecc.) senza conoscerne, con ogni probabilità,
i veri e profondi significati reconditi.
5.
Le immagini delle due
divinità maschio e femmina o meglio i loro volti riuniti in uno solo esprimono
molto bene quello che si è visto nella trattazione degli esempi
precedenti. In questa figura e nella
successiva il simbolismo e la scrittura sono ancora più manifesti perché gli
ideogrammi risultano ancora più espliciti nel ‘dire’ non solo del padre e della
madre ma anche nel ‘raffigurare’ il
sesso di entrambi unito, formante una sola unità inscindibile. Se qualche
dubbio si poteva avere sull’androginia di TIN/UNI questo viene fugato dall’oggettività
raffigurativa che consente, tra l’altro, di affermare che il sole e la luna
sono una cosa sola perché entrambi sono
luce e partecipano della stessa essenza che dà la vita al creato. Da ciò non
può che dedursi che Sole e luna non sono solo sposi perché riflettono
condizione del cielo che sono anche in terra, aspetti sociali terreni di
grandezza e di prestigio (interpretazione sociologica) . Lo sono molto di più per ideologia e per
scienza astronomica, per osservazione empirica dei fenomeni celesti che dagli
antichi venivano osservati attentamente e attentamente interpretati
(interpretazione empirico razionalistica).
6.
L’opera si trova custodita
presso il museo Guarnacci di Volterra. Nella scena non è specificato chi sia
l’uno e chi sia l’altro dei due fratelli. Ma ciò ai fini ermeneutici poco
importa. Il ‘doppio sostegno immortale ’ che precede e dà senso completo alla
scritta è dato dalla lettura delle due
colonne e dal fregio in ‘continuum’ al di sopra di essa. Un topos questo della
scrittura metagrafica etrusca.
7.
E’ uno dei sarcofaghi più semplici quanto a
significato. Il doppio sostegno è dato dalle due basi (sostegni) in cui si trovano
gli arcieri. Per il resto la cassa del sarcofago, oltre alla sequenza lessicale
acrofonica che rende la formula apac atic
, non sembra avere altri significati
aggiuntivi. A meno che la posizione in cui si trovano i due non alluda anche
alla ‘difesa’ da parte delle due divinità, dei due genitori della salvezza. Naturalmente dal punto di vista numerologico
si tenga in considerazione la presenza dei numeri sacri ‘tre’ e ‘sei’: le tre
lingue della formula, le tre acrofonie (vocalica, sillabica e consonantica), le
due ‘C’ dell’enclitica etrusca (que latina)
che alludono al numero seriale della C
nell’alfabeto etrusco.
8.
Il ‘doppio sostegno ’ è
ottenuto ideograficamente dalle due colonne della cassa mentre il ‘doppio
aiuto’ dalle sei persone (tre per
parte) che prestano soccorso ai due giovani
colpiti e piegati dai dardi d’amore. L’esempio, per ovvie questioni di
brevità, basti per quanti se ne possono fare sulla presenza di più elementi raffigurativi (uomini, cose e animali) che non assumono
funzione acrofonica ma solo ideografica. Per un riferimento iconografico
ideografico basato su animali e non su
persone (molto bello anche artisticamente), si ricordi la caccia con le due
lepri ‘distese’ raffigurata in un cippo proveniente da Chiusi e oggi conservato
al British Museum di Londra. In essa si notano i due segugi che ‘aiutano ‘ e ‘accompagnano’ i cacciatori.
9.
E’ un tema ‘mitologico’
molto frequente anche perché di semplice e facile realizzazione. La figura del mostro
consente (v. esempio n. 6) di realizzare con le ali e la coda doppia le
acrofonie vocaliche e consonantiche necessarie alla formula mentre l’acrofonia
sillabica (per la lingua si consideri lo
schema generale da noi inizialmente delineato) è affidata al movimento delle
braccia. Nella lettura si tenga presente però anche il ‘volto’ del mostro, un ‘particolare’ per nulla trascurabile stante
il fatto che i segni più ‘importanti’ nella realizzazione tematica non possono
essere ignorati. Il volto, quello che
compare anche nei coperchi dei sarcofaghi, è d’obbligo nelle urne
funerarie (i vasi che contengono le ceneri, i cosiddetti canopi) in quanto si
sposa sintatticamente agli altri elementi costituenti la formula canonica. Il
‘volto’ allude ovviamente a quello dei
due astri, il sole e la luna, ovvero
all’aspetto luminoso di essi. Sul chiamare ‘volto’ il disco luminoso degli astri viene
inevitabilmente in mente il famosissimo passo di Saffo laddove la poetessa parla
delle stelle che di notte nascondono il
loro ‘volto splendente’ (ΦΑΕΝΝΟΝ ΕΙΔΟΣ ) quando essa ‘splende su tutta la
terra’. Quindi ‘doppio sostegno’ (ideografia suggerita dal doppio sostegno in cui si trova
Scilla) del ‘volto’ vuol dire ‘doppio
sostegno della luce’.
10.
La raffigurazione è ricca,
molto complessa e dà del filo da torcere sulla sua interpretazione. Il tema è
doppio, uno di genere e l’altro mitologico. Ma entrambi sono manifestamente attinenti
alla sfera ludica, a quello della gara. Pacifica l’una e cruenta l’altra. ‘Alla cieca’ quella dove il personaggio
avvolto dal laccio di Phersu mena colpi a casaccio con la clava in quanto agisce
con la testa avvolta da un sacco. Manifesta e ‘sportiva’ invece quella dei due
lottatori che saranno esaminati dai giudici (la particolare sedia che porta il
garzone e il bastone del ‘giudizio’ del secondo personaggio sono assai
indicativi sul loro ruolo). Ma il motivo preciso della differenza di lotta
quale può essere? E’ difficile dirlo con sicurezza. Forse il percorso della
rinascita viene inteso come una gara,
una lotta per ‘farcela’, dove si può
essere giudicati e ottenere la vittoria; oppure può essere una gara, come si
suole dire, persa in partenza, senza giudici, con Phersu che avviluppa e uccide
(fa uccidere) senza speranza di vittoria,
anche se si è armati di clava. Se le cose stanno così l’allusione forse va al
giudizio sul peso dell’anima del defunto (v. più avanti nota 15) in gara per la
rinascita. Se si sarà comportato bene avrà (forse) il premio della vita eterna;
se si sarà comportato male quello della morte
per sempre. Si noti che l’espressione data dall’acrofonia solleva - distende -curva (o piega)
nel dipinto è ripetuta quattro volte,
numero importantissimo in quanto suggerisce la voce ‘forza’. Qui però le cose
si complicano un po’ perché la voce può essere collegata sintatticamente con il
fregio delle sei linee continue e dare così
‘forza del sei immortale’ ma
potrebbe esserlo anche con il ‘doppio
sostegno’ (si noti en passant che
questo ideogramma si colloca spessissimo al centro delle varie composizioni) e
rendere così ‘forza del doppio sostegno del doppio vigore e del padre e della
madre’. Resterebbe però ‘pendens’ ‘sei immortale’ o ‘immortalità del sei’. Preferiamo
pertanto la prima ipotesi e dividere tra
‘forza’ e ‘sostegno’, intendendole come due soggetti diversi e ‘specificanti’ idee diverse: forza del sei eterno (Tin e Uni) /
doppio sostegno del doppio vigore del
padre e della madre (ugualmente Tin e Uni). Resta da dire che il deterioramento
della pittura non consente di dire sul ruolo del secondo garzone quanto a
ideografia. Sembrerebbe ‘curvo’ perché ‘afflitto, pensieroso’ per l’esito della
lotta.
11.
La ‘doppia protezione’ (v. per
ideografia l’esempio n. 8 ) è data dal nastro
(?) che tiene le ali e ferma i capelli. Ad essa si aggiunge il ‘volto’. E’ un motivo
assai ricorrente nell’iconografia delle casse dei sarcofaghi anche se disegnato
in forme diverse. L’ideografia di ‘doppia forza del doppio sostegno’ è invece data dal quattro
(il motivo floreale con i quattro piccoli petali per lato) e dai due
sostegni della cassa. Il ‘padre e la madre’ è infine dato, quasi
impercettibilmente, dalle due volute che
‘ si sollevano’, ‘si distendono’ e ‘curvano’. Esattamente come le due pelte
contrapposte del coperchio dell’urna in esempio 15 (v. nota seguente).
12.
Il tema, usatissimo
nell’iconografia delle casse delle urne, è dato dalla forma della pelta
amazzonica o trace ( Euripide, Alc. 498:
Ἂρεος, ζαχρούσου Θρῃκίας πέλτης ᾰναξ) che suggerisce, così disegnata, l’acrofonia. Infatti, si noti che le due
pelte sotto il doppio tetto spiovente (che copre
e protegge) del coperchio non sono orizzontali ma manifestamente ‘si
sollevano’, ‘si distendono’ e ‘curvano’. Manifestamente ancora più ‘sollevate’
(e distese) invece sono le due pelte
della cassa. Però il motivo delle pelte nella superficie della cassa si complica (e si
carica di senso) perché in essa compaiono due segni, uno sopra e l’altro sotto,
che vanno spiegati. Spiegati
naturalmente sulla base anche e soprattutto dell’ideografia e della acrofonia
del coperchio. Il ‘segno’ lunato con le due corna bovine potrebbe alludere alla
‘potenza’ di esse e il segno più in basso, ovvero il fiore con i petali, alla
‘luce’ dei due astri. Detta interpretazione fiore-astro
si basa anche sul frequente dato empirico che in altre casse di sarcofaghi il
fiore è surrogato dal cerchio o disco luminoso oppure messo in alternanza con
esso (cassa del sarcofago di LARTHIA SEIANTI). Sembrerebbe evidente che tra la
scritta del coperchio e quella della cassa dell’urna sia espressa una differenza di senso: nel primo la doppia copertura
del tetto allude alla doppia protezione luminosa
del tre dei due astri, nel secondo, con buona probabilità, le corna bovine si riferiscono alla potenza di essi. Per ultimo aggiungiamo
che le due pelte alludono alla bipenne
(simbolo a schema MF) come si può vedere dalla seconda delle figure associate a quella dell’esempio.
13.
Siamo di fronte ad un motivo interessantissimo e bellissimo (anche
se non originale perché ampiamente sfruttato
– vedi esempi foto b e c - in altre urne
e sarcofaghi e nelle pitture delle
pareti tombali) perché allude certamente al ritmo concorde delle sei mosse (forse accompagnate da altre tre della cosiddetta tripudatio
o battere del piede di cui pare rimasta traccia sino ad oggi in Toscana) della
danza dei ballerini, dando così modo allo sviluppo delle consuete sei acrofonie. Il significato generale
ideografico è chiarissimo e offre il senso e la lettura di ‘danza ritmica
all’unisono’. Se si pensa però che le acrofonie realizzano per cinque volte la
formula e del padre e della madre (apac atic) bisogna tenere in
considerazione il significato sia del numero cinque sia su quello del ballo
concorde degli astri celesti. Il cinque (così come il quattro) dà la
‘potenza’ e il ballo non può che alludere alla ciclicità perfetta delle sei
‘mosse’ del sole e della luna con il loro procedere in cielo di giorno e di
notte. E’ più che probabile che questa fosse, stanti le particolari mosse in continuum, la danza sacra nazionale degli etruschi. Il
ballo astrale del sole e della luna non
è certo infrequente dal momento che è della
cultura non solo degli etruschi ma di tante altre popolazioni antiche. Per
restare nelle cose di casa nostra, si può capire che anche il ballo tondo sardo
(su ballu) costituisca una danza antichissima sacra e che
lo schema continuato MF dei ballerini che si prendono per mano allude non solo
al sole (come di frequente si dice, senza riflettere sul ‘segno’ più importante)
ma anche alla luna; perché il ‘cerchio’ della
luce diventa tale, cioè perfetto, solo se i tre movimenti diurni del sole si
uniscono a quelli notturni della luna. Sia nel ballo etrusco che in quello
sardo la danza ha un senso totale nella sua circolarità se si tengono presenti
i movimenti e dell’uno e dell’altra. E che le cose stiano così lo dimostrano
non poche scene delle urne e dei sarcofaghi etruschi che offrono l’immagine,
apparentemente poco significante, della ruota
e dei sei raggi che costituiscono
assieme i simboli evidenti sia della circolarità
sia della stretta unione del sole e
della luna o padre e madre
(androgino) che li si voglia chiamare.
14.
Lo scioglimento completo di
questo rebus, facile per un verso per il
topos delle ali sollevate, della distensione della spada e di un panno
(?), e per la curva delle code, realizzato
per fini acrofonici, non lo è invece per i segni aggiunti degli occhi sulle
ali. Bisogna rendersi conto che lo scriba ha arricchito di senso la
raffigurazione della cassa e che lo ha fatto però rispettando sempre le
convenzioni di un certo tipo di scrittura criptata. Sembra chiaro che qui gli
occhi assumono solo valore ideografico e che si uniscono per significato alle
ali nelle quali sono contenuti. Si ottiene così l’espressione ‘doppio occhio alato’. Un’ immagine ‘poetica’
frequente quella dell’occhio alato soprattutto, come sappiamo, nell’iconografia dei geroglifici egiziani,
dove esso assume valore di rinascita. Basti pensare al famoso occhio di Horus
che venne trovato nel dodicesimo (simbolo numerico soli – lunare) strato delle bende che
avvolgevano la mummia di Tutankhamon. Plutarco, com’è noto, parla (Iside e Osiride 52) del doppio occhio di Horus che è sole e luna assieme: Negli inni sacri Osiride viene invocato – colui che sta nascosto nelle braccia del sole – e
il trenta del mese di Epifisi si
festeggia la nascita degli Occhi di Horus; in questo giorno, infatti,
anche la
luna e il
sole si
trovano sulla stessa retta, e per gli egiziani non solo
il sole, ma anche la
luna sono
Occhio e luce di Horus”). Se aggiungiamo a questa la lettura delle due colonne che ‘sostengono’ e
‘ l’immortalità’ data dal fregio superiore della cassa, avremo la sequenza, tutta
ideografica, doppio sostegno del doppio
occhio immortale. L’allusione sembra chiara: il defunto sarà sostenuto nel
suo procedere nel viaggio nell’aldilà dalla luce perenne degli astri sole e luna che trascorrono nel
cielo. Ma si specifica anche, con
lettura in parte ideografica e in parte acrofonica, che il viaggio avrà il
doppio sostegno continuo dei due astri, cioè
il padre e la madre, che sono
deputati ad una nuova creazione e alla rinascita del defunto. L’idea del secondo ‘doppio sostegno immortale’
è realizzato sempre attraverso la cassa che, stavolta in basso, presenta le due
basi e il fregio alludente alla continuità. Per il significato molto chiaro
della continuità - immortalità
espresso dal fregio in modo doppio,
in analogia perfetta con la nostra
raffigurazione, si veda la bella pittura della tomba delle leonesse della
necropoli di Monterozzo di Tarquinia
(personaggio su κλίνη e στέμμα appeso in alto). In questa tomba, prima sono i
segni ripetuti e poi è lo stesso moto ondoso costante del mare, dove si tuffano
i cinque delfini, a dare l’idea di un movimento continuo e non interrotto.
15.
La pittura (qui in immagine
di restauro) è molto significativa e con il suo tema specifico ha il pregio di
offrire non poche informazioni sulla religio
etrusca. Infatti, oltre alla realizzazione dei segni convenzionali che offrono
l’acrofonia, essa mostra la funzione specifica
di Charun (demone etrusco paragonato
al Caronte greco), che impedisce (o sembra impedire) con il sollevare la doppia
mazza e con il mostrare un certo oggetto (difficile da definire), l’entrata
agli inferi. Più avanti però lo stesso demone, stante presso la porta, abbassa la mazza con segno di tranquillità (poggiando
il gomito su di essa). Il motivo di quel diniego minaccioso iniziale con il suo
strumento di morte e di quella ‘apertura’ successiva sta evidentemente
nell’atto che compiono i due personaggi al centro della scena. Essi si tendono
la mano, segno evidente non tanto di un accordo, quanto di una avvenuta cessazione
di forte ostilità , forse tra padre e figlio, data la palese diversa età dei
due, uno con la barba e l’altro senza.
E’ quella cessazione bellicosa e la non continuità del non altrimenti perdonabile
atto immorale che permette al defunto, ormai senza macchia, di procedere per la
via degli inferi verso il regno della luce. Se così è, come leggiamo e
pensiamo, il Charun etrusco rassomiglia,
in qualche modo, all’ Anubi egiziano che giudica sul peso del cuore e non fa entrare, anzi punisce con la morte, i non giusti. Per quanto riguarda la
simbologia del portone e le presunte solo decorazioni
si veda la nota 2.
16.
Nessun commento, se non
quello epigrafico. E’ rimandato alla trattazione della problematica del tema dell’eros
nell’arte, nella simbologia e nella scrittura a scopi specifici di salvezza e
di rinascita. Possiamo anticipare però che il tema può andare collegato a
quello della scena di amicizia, gioia, fraternità, ecc. che lo precede (nella
parte alta del dipinto).
17.
V. Sanna G., 2014, Scrittura nuragica: gli Etruschi allievi dei
sardi, in Monte Prama Blog (1 dicembre).
18.
La rinascita del
figlio è magnificamente realizzata a rebus nel famoso dipinto della Tomba del Barone della necropoli Monterozzi di Tarquinia dove l’uomo che tiene in mano la grande coppa (simbolo di forza fecondatrice) con
l’acqua e che sta di fronte alla donna sua moglie (allusione alla coppia
celeste Tin e Uni), versa sette gocce
del liquido dalle quali nasce sul terreno (il grembo materno) fecondato il
piccolo virgulto. Le gocce sante fanno risorgere il virgulto ‘figlio’, quello
non a caso disposto nella scrittura più in alto affettuosamente abbracciato.
19.
VI, 180 - 184.
20.
Si tenga presente
che il serpente - coda attuale, che
morde il corno della capra, è dovuto ad un maldestro restauro iniziale denunciato
già da diverso tempo dagli etruscologi. Se l’errore non fosse avremmo non il
significato di ‘curva’ ma di ‘morde’, aspetto questo che non permetterebbe il
completamento della formula che termina,
necessariamente, con una
acrofonia consonantica di voce iniziante per ‘C’. Infatti, la parola mordere in latino inizia
con ‘emme’ (mordeo) e in greco con
delta (δάκνω).
21.
Una variante però
assai significativa potrebbe essere data e dalla criniera formata dalle ciocche
continue e ripetute della criniera e dalla bocca manifestamente spalancata
in un potente ruggito. Ora, dal
momento che sempre si deve tener presente un soggetto che regge l’espressione formulare ‘e
padre e padre’ ci sembra plausibile che esso vada individuato nel ‘ruggire
eterno’. Quindi la lettura finale del bronzetto sarebbe: ruggito eterno (potenza del ruggito eterno) e del padre e della madre. Il ‘ruggito eterno’ equivale al ‘muggire (געה) eterno’ (עולם) del toro che si riscontra nella documentazione
nuragica, una potenza sempre o quasi sempre riconducibile alla sfera della
fecondità.
22.
Sull’androginia
Tin/Uni si veda Sanna G., 2016, Tarquinia. L’ancora della salvezza e il sostegno
della luce di TIN /SOLE e di UNI /LUNA. Il greco - cipriota? Non c’entra nulla.
Semmai il semitico nuragico di Barisardo; in Maymoni blogspot. com ( 15
Dicembre).
* Come si è ripetuto tante volte, il presente
saggio, come quelli già pubblicati e quelli che ancora si pubblicheranno, ha
uno scopo prettamente informativo e divulgativo delle nostre ricerche. Pertanto anche stavolta le pagine si ritengano un abbozzo di quanto si dirà altrove e, forse,
in un apposito volume, sulla scrittura o codice metagrafico a rebus, caduto
nell’oblio e definitivamente ‘perduto’,
sia dei nuragici che degli etruschi (e non solo). La precisazione valga anche in considerazione
del fatto che, a parte la (relativa) novità dell’argomento, la documentazione dei
due ‘system’ è molto ampia e i dati risultanti dall’esame e dallo studio di
centinaia e centinaia di ‘testi’ possono portare a modificare (o anche a cambiare
radicalmente) ora questo ora quell’aspetto
ritenuto, sulle prime, chiaro e
plausibile.
Mi sento in imbarazzo e minuscolo di fronte un articolo così monumentale e mi vergogno di non poter dare un parere.Sto leggendo anche il suo libro ma ammetto le immense difficoltà che ho, anche di fronte ad esempi, ad entrare nella logica del Rebus che mi sembra cosi strana.Imbarazzo e ammirazione che provo ugualmente di fronte gli articoli del Sig Tzoroddu. Quindi approfitto di questo spazio per ringraziarvi entrambi profondamente per i remoti luoghi del sapere(e della mente!) che ci state conducendo ad esplorare.Grazie
RispondiEliminaHo appena finito di rileggerlo e confesso di sentirmi più importante, forse anche un po' presuntuoso perché, a fronte dei tanti misteri che ci circondano, questo delle tombe etrusche l'abbiamo penetrato.
RispondiEliminaHo scritto "abbiamo" non perché io abbia contribuito insieme a, ma per il fatto curioso che mio fratello, che è medico-psicologo-psicoterapeuta e altro ancora, pur senza sottopormi ad analisi, è convinto che io possieda e usi almeno una ventina di personalità. Non mi costa nulla convincermene e, per forza di cose sono costretto a usare il noi.
A ben pensarci, il dottor Jekyll era un immaturo, con sole due personalità, di cui una mal riuscita.
Quando ripasserò dalle parti di Cerveteri, aspetterò che qualche turista-visitatore si chieda cosa mai vorranno significare quei gesti dei personaggi raffigurati, tanto appariscenti quanto inspiegabili.
Direte che faremo una buona figura?
Domenica la conferenza di Olmedo verteva sullo studio interdisciplinare di un determinato oggetto archeologico. Che sia esso un sito o un reperto, poco importa. L'importante è riuscire a realizzare connessioni tali che l'oggetto, letto contestualmente dal punto di vista archeologico, astronomico ed epigrafico, possa restituire un quadro più completo della sua storia e/o funzione; in un clima interdisciplinare, appunto, in vicendevole sostegno, lì dove le singole discipline, da sole, possono dare adito a dubbi interpretativi.
RispondiEliminaLo stesso vale per l'Etrusco, per quanto qui si leggere. La interpretazione di questi oggetti di arte Etrusca, rimasti muti per millenni, oggi riescono a comunicarci il loro messaggio, dal momento che il simbolismo li celato ci parla del ciclo apparente del sole e della luna attraverso una simbologia che riporta sempre agli stessi ideogrammi, che letti in acrofonia restituiscono sempre le stesse parole: “padre” “madre” che si “levano”, si “distendono” e infine “curvano.
Sembra di intuire un progressivo affinamento delle tecniche rituali legate ai moti celesti, che partendo dalla notte dei tempi, l'uomo ha legato, ora ad un segnale posto all'interno di una caverna illuminata dal sole in un dato giorno; ora ad un congegno edificatorio capace di individuare i solstizi dal centro cosmico di un recinto di pali (Gosek); per passare ad un segnale, magari meno appariscente però più duraturo, realizzato con pietre giustapposte (Monte Baranta); continuare l'esibizione in una macchina luminosa capace di individuare in modo spettacolare il solstizio d'inverno (Nuraghe Santa Barbara di Villanova Truschedu); per poi sfociare in un'architettura della luce capace di svincolare l'uomo dai soliti quattro periodi equinoziali e solstiziali (Murru mannu). Svincolamento che arriva, infine, a rendere l'evento astronomico solo virtuale attraverso il simbolismo acrofonico vocalico, col sole e la luna che si alzano, si distendono e curvano, in un ciclo alternato soli-lunare. L'uomo Etrusco ci sta dicendo che Tin e Uni sono il sole e la luna e per tanto affida l'anima del defunto a questa unica divinità soli-lunare capace di rigenerarsi e rigenerare giorno per giorno. E forse ci sta dicendo di lodare Tin e Uni, Sole e Luna, non in determinate circostanze, ma tutti i santi giorni.
Abbiamo visto che questa formula sacra l'Etrusco la indirizzava direttamente alla divinità, senza intermediari, se non quei pochi autorizzati, che sapevano legge un determinato oggetto.
Anche qui, come per le formule sacre dedicate al dio toro nuragico, mio caro Professore, penso abbia compiuto un atto sacrilego decifrando la formula. Ma noi siamo qui per capire il modo di pensare di quelle genti e onorarle per quanta intelligenza profusero.
Credo che non si debbano molestare i lettori e abusare della loro pazienza. Gli esempi da addurre della particolare scrittura sono centinaia e non decine. Spero pertanto di non essere costretto a pubblicarne degli altri in serie. Invece più importante ora ritengo lo studio della scrittura accompagnato da quello sulla simbologia e sull'arte. Perché il 'pretesto' su cui si organizza e si realizza la formula non è mai banale e non sempre è agevole comprendere l'allusione. Per fare un semplice esempio. Si capisce che nel primo documento che ho trattato i cipressi svolgono una funzione simbolica, così come la svolgono le bende e le corna bovine (per non parlare del portone chiuso e anche blindato). Ma quali precisamente? Bisogna studiarlo perché altrimenti con la sola fonetica data dall'acrofonia il senso, a mio parere, risulta solo a metà. La ricchezza di senso è quello che più mi stupisce nel metagrafico etrusco (ma così è anche del nuragico). Mi stupisce perché gli scribi etruschi erano dotati di capacità realizzative condensate in pochi tratti e in poche immagini. La stessa numerologia del tre, numero che si ottiene, tra l'altro, con la triplice acrofonia, nel mix generale lascia sbalorditi. Ciò fa pensare che la vera scrittura per gli etruschi non era quella banale della linearità ma quella a rebus con procedimento metagrafico. E forse si spiega perché gli scribi sacerdoti etruschi non hanno lasciato granché di scritto in lineare. Quasi lo dovessero usare solo se costretti. Lo standard non piaceva agli etruschi così come non piaceva ai nuragici.
RispondiEliminaCaro Sandro, credo che per gli studiosi seri oggi ci sia materiale per comprendere dove, come e quando gli etruschi appresero dai nuragici. Ma anche 'quanto' è degli uni e 'quanto' degli altri. Ma, come sempre, diamo tempo al tempo. Anche perché la continuità culturale tra eneolitico (e forse neolitico) sardo (Monte Baranta pare insegnare) e nuragico sembra poterci dare molte sorprese nei diversi campi di cui hai parlato.
RispondiEliminaLe chiedo Gigi,l'archeologia etrusca ufficiale,cosa dice a riguardo?La mia è pur a curiosità............
RispondiEliminaSente e vede queste cose per la prima volta. Le mediterà? Chissà!
RispondiEliminaSperiamo che lo faccia.......lei ha seminato.Grazie
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