martedì 26 gennaio 2016

Antiquarium arborense di Oristano. La tarda scritta nuragica tharrense della luce salvifica per il figlio (non nominato) di Yhwh. Il 'segno' complesso della λοξότης (obliquità).

di Gigi Sanna

              Fig. 1                                                                  (trascrizione) 
  Nella nostra relazione sulla scrittura nuragica tenuta durante il Convegno della Facoltà di Medicina all'Università di Sassari (1) avevamo enucleato le regole o  norme che facevano sì che una scrittura, un certo tipo di scrittura arcaica sarda, potesse essere a buon diritto chiamata 'nuragica'. I diversi requisiti, con la doverosa esemplificazione, sono stati pubblicati nel Blog del giornalista Gianfranco Pintore e successivamente nella rivista Monti Prama (2)

    Nel parlare però dell'impossibilità che si potesse fare un falso di scrittura nuragica (3), data la particolarità del codice basato sulla continua e personale creatività, pur nel rispetto delle norme, abbiamo  affermato  che tra i requisiti individuati ne tenevamo nascosto qualcuno per noi molto importante. Il motivo di ciò era duplice: in primo luogo perché attendevamo allora una certa conferma di esso con l'aggiunta di ulteriore documentazione e poi perché eravamo  curiosi di vedere se qualcuno sarebbe stato in grado di capire a quale aspetto, più o meno normativo, del sistema intendessimo alludere.
    Ora però, con l'ultima nostra (mirata) visita al Museo dell'Antiquarium arborense di Oristano, ci sembra che sia giunto il momento, a distanza di alcuni anni, di parlare più diffusamente (4) del requisito della scrittura mancante nella 'griglia';  requisito che sta nella  'λοξότης', ovvero nel particolare espediente che lo scriba mette in atto, non poche volte, nel tracciare  i significanti 'obliquamente' e non orizzontalmente o verticalmente .
   Infatti, nel detto museo, nella vetrina n° 5 del piano superiore ed esposta  come reperto n° 3 si trova, su di un supporto basaltico di forma quasi quadrata, un’ iscrizione (v. fig. 1 e trascr.) recante un'unica linea di scrittura che occupa una buona parte della superficie mediana della pietra. La linea  però è marcatamente obliqua, denuncia cioè un uso deviato o distorto rispetto alla norma,  tale da mostrarsi 'segno' evidente, non di sciatteria o di accidentalità, ma di intenzionalità da parte dello scriba nel riportarla in quel preciso modo. Obliquità tanto più intenzionale se solo si osserva che anche tutte le lettere 'alfabetiche' sono o oblique per convenzione oppure riportate obliquamente.
   La didascalia dei curatori dell'Antiquarium (riportata in modo che si direbbe  scostante, tramite caratteri minutissimi in un cartellino, esposto, tra l'altro', sulla parete verticale buia nella parte sinistra della vetrina), recita in maniera lapidaria e sibillina, quasi ad imitare inconsapevolmente la natura misteriosa della lapide stessa, ' Tharros. Necropoli tardo romana. Lastra di basalto con iscrizione ebraica di un Reuben (sic!)'. Un  dato didascalico per altro  alquanto comico perché se la lastra riportasse veramente  'Reuben' (per Reuben לראובן ) in presunti caratteri ebraici (5)  la si sarebbe dovuta mettere capovolta rispetto all'orientamento attuale!
    La lastra è piuttosto consistente, come quella che ha come dimensioni cm 32,5 in larghezza, cm 26 in altezza e  cm 7 circa come spessore. Le nove lettere che formano l'iscrizione obliqua partono dalla sinistra con grandezza in crescendo, con la prima di cm 3,8  e l'ultima di cm. 7,8. In pratica si può osservare che l'ultima è il doppio quasi esatto della prima. L'iscrizione mostra inoltre la traccia dell'incisione ugualmente in crescendo, con i segni che si approfondiscono e si allargano sempre di più sino ad arrivare all'ultimo (a destra di chi guarda) che diventa, così come per la grandezza,  praticamente il doppio della prima. Aspetti anche questi della  scritta della lastra che suggeriscono evidente intenzionalità e non certo accidentalità.
   Ora, dal momento che l'obliquità o λοξότης,  come vedremo più avanti, riguarda, come si è già detto e scritto altrove (6) , non poche altre iscrizioni nuragiche,  ci siamo chiesti ancora perché lo scriba abbia scritto in quel particolar modo; per altro in un supporto che avrebbe tranquillamente dovuto fornire, in virtù della sua regolarità formale e della superficie perfettamente levigata (insomma una 'bella pietra') un prodotto scrittorio, diciamo così,  meno 'incerto' e (stando almeno all'apparenza) meno pasticciato.
   Ci sembra evidente che la prima risposta, la  più immediata possa essere quella del 'canone' o della 'regola' stilistica  con la quale si è proceduto a comporre l'iscrizione. Infatti, se noi avessimo trovato una scritta con i segni uno appresso all'altro e su di una linea immaginaria perfettamente orizzontale, se essi si fossero mostrati della stessa grandezza e grossezza, se infine i segni fossero stati della stessa tipologia avremmo sicuramente detto che quella iscrizione rispettava il 'canone estetico' dell'armonia,  che è quello a cui noi siamo abituati nello scrivere correntemente e correttamente senza che la 'scuola' ci rimproveri. Per capirlo, anche se la cosa può sembrare  banale, vediamo di riportare una figura nella quale i segni sono posti uno appresso all'altro, si presentano della stessa misura e della stessa tipologia alfabetica (in questo caso abbiamo scelto quella latina).       Si noterà (v. fig. 2) subito che l'iscrizione è soggetta a tre requisiti fondamentali che fanno sì che lo stile o canone sia del tutto armonico. Non c'è dissonanza alcuna in quanto linearità, conformità e semplicità ce la rendono incensurabile, bella, attraente. Armoniosa, appunto.         
   
fig. 2

    E' evidente allora che lo scriba ha usato un ben diverso canone o stile, che è anzi l'opposto in quanto (v. fig. 3) nella lastra tharrense si riscontra l'obliquità al posto della linearità, la difformità al posto della conformità, la varietà al posto della semplicità.

 
                                                                                fig. 3

   
   Perché dunque ha proceduto in questo modo? Qual' è stato il motivo per il quale ha scartato uno stile per usarne un altro del tutto opposto? Perché il disarmonico al posto del più 'scontato'   armonico?
    Le  risposte non sono certo immediate ma riteniamo che si possano ricercare e ricavare, su basi strettamente filologiche,  ovvero dalla comparazione con altri documenti nuragici simili dove si usano, più o meno ostentatamente, l'obliquità e l'irregolarità piuttosto che la linearità  e la regolarità, l'anormalità piuttosto che la normalità. Basta prendere in considerazione la scritta del coccio del Nuraghe Alvu di Pozzomaggiore (7), la scritta con i nomi di Lars e di Tharrus di BM (8), la scritta della lastra funeraria di Giorre Utu Urridu  di Allai (9), la scritta della Stele di Nora (10) e soprattutto le scritte dei sigilli cerimoniali (11) del Nuraghe Tzricotu di Cabras (in successione le immagini di detti documenti).






 


  
   


   La risposta formale e stilistica sembra da ricercarsi e da ricavarsi forse dall'esame dell'ideologia del divino, della natura della divinità doppia e del doppio in genere. Il dio ha come simbolo massimo la bipenne e pertanto non solo è androgino ma si manifesta  nella sua dualità, come bello e brutto, buono e  cattivo, misericordioso e vendicativo. E' dio della morte e della vita, della luce e del buio, dell'acqua e del fuoco. E se tra le sue  massima qualità c'è la luce e la chiarezza, egli si manifesta anche e soprattutto come entità oscura, impenetrabile nel pensiero, mai facilmente interpretabile, date le 'risposte' incerte e ambigue che, in ragione di ciò, vanno saggiamente e oculatamente interpretate dall'intelligenza umana.
    Ora noi sappiamo che l'arcaico dio elladico, il dio antichissimo selvaggio, androgino e cacciatore di origine semitica, era chiamato (12) significativamente con la parola Lossia (λοξία). Perché era il dio misterioso e ambiguo, tanto che doveva essere interrogato solo indirettamente da un 'organon' speciale come la sacerdotessa Pizia, le risposte della quale venivano, come si sa,  scrupolosamente vagliate e interpretate dai membri del collegio sacerdotale del santuario. Cose queste che certamente dovevano far parte anche della ‘religio’ sarda arcaica praticata nei numerosi santuari sparsi in quasi tutta l’Isola.
   Secondo noi appare allora verosimile che la scrittura nuragica, sin dalle origini (13), fosse, in quanto 'incisione sacra' (geroglifica), un sistema dove i significanti erano il più possibile organici alla natura misteriosa della divinità. Intendiamo dire che quegli aspetti visivi e intellettivi che noi sappiamo descrivere e più o meno facilmente intendere (come il rebus, la legatura, l'aspetto pittografico naturalistico e quello viceversa schematico, il calcolo numerico, il valore del supporto sacro e carico di senso , ecc.) ci sono,  non in quanto 'lusus' laico e parto della intelligenza umana scribale, ma ci sono perché tutti magici e carichi di senso religioso; anzi di un intenso e profondo senso religioso.
   Insomma nella scrittura nuragica non c'è niente di gratuito, di non calcolato: tutto deve concorrere all'esaltazione della complessa natura del dio e delle qualità, solo in qualche modo percettibili, di quella enorme complessità. Una scrittura che è rigoroso sistema espressivo del religioso, controllato e continuamente normato, in quanto tale, dagli scribi garanti della congruenza  tra ‘testo’ e  ‘religio’.
   Ecco perché, abituati come siamo alla semplicità e alla comodità delle lettere uniformi, alla simmetria e alla linearità della scrittura moderna, praticamente ad un solo 'canone' laico e al cosiddetto standard, stentiamo a  capire la scrittura nuragica (e non solo ). Anzi la distanza concettuale è così tanta e la cecità tale  che anche di fronte ad una scritta con dei dati macroscopici di anomalia come questi della lastra funeraria di Tharros si passa sopra con disinvoltura, niente si dice quasi essi non esistessero, nell'intento solo di ricavare senso 'logico' attraverso il semplice (che in nuragico diventa 'banale')  rapporto biunivoco segno e suono di lettere standard. Per un lettore di oggi ‘devono’ essere presi in considerazione e contano per il vero 'significato' i grafemi nella sequenza 'organica'.Il  resto è del tutto irrilevante in quanto  non significante.
     Per rendersene conto basta considerare la suddetta semplicistica (a dir poco) didascalia posta nella parete della vetrina, quella che, in qualche modo, intenderebbe dire qualcosa di epigrafico e soprattutto di 'essenziale' nella interpretazione del documento. Invece l'essenziale, in quanto legato al divino,  non si fa subito scorgere, non è in superficie e sta ben oltre, nel profondo dove bisogna cercarlo; cosa che vistosamente lo scriba manifesta , ma con garbo malizioso,  senza che lo si noti. 
   Perché se sembra abbastanza evidente, per quello che si è detto, che quell' obliquità è parte eloquentemente significativa ed organica del messaggio scrittorio circa il rispetto per il divino oscuro e misterioso, ovvero  per la  λοξότης,  sembra altrettanto evidente che nel contempo essa obliquità, così marcata, intende suggerire, anche ad uno scriba alle prime armi, che la sua presenza è dovuta al fatto che la scritta si configura subito come messaggio non facilmente aggredibile, assai impegnativo sotto l'aspetto ermeneutico e da tradurre pertanto con la forza dell'intelligenza. Insomma, per dirla in breve, quella λοξότης divina grafico -formale  denunciava e annunciava anche l'obliquità  del contenuto riguardante il divino.
    Se così è come sembra che sia, questa apparentemente scarna, severa  e in fondo  'brutta', iscrizione risulta invece bellissima e estremamente intrigante  come quella che  tende a  suggerirci un qualcosa che dobbiamo tenere ben presente, man mano che emergono certi documenti nuragici: che l'obliquità è manifestazione di  'religio', coloritura assai significativa del divino, ma nel contempo avvertimento perché si legga con molta attenzione un documento che invece potrebbe essere letto con troppa disinvoltura. Il documento 'obliquo'  ha necessità di tutta l'attenzione possibile,  perché in esso  sono annunciati uno o più 'sensi' nascosti da afferrare con una certa fatica.
    E tutti allora capiscono, per fare un solo esempio e per toccare uno solo dei documenti succitati con presenza di obliquità, quale avvertimento speciale si dia nella stele di Nora dove tutte le linee, tranne la quinta, sono state maliziosamente rese oblique dallo scriba. Addirittura con una strana obliquità  contrapposta dal momento che le prime quattro linee corrono in senso inverso rispetto alle ultime quattro. A suggerire quindi un altro dei tanti ‘tre’ presenti nel documento (14) riguardante stavolta il tracciato delle linee (orizzontale, obliquo destrorso e obliquo sinistrorso).  E si comprenderà quindi ad abundantiam che l'esistenza del senso recondito delle tre scritture e non di una sola (quella della norma da destra a sinistra) non è nostra fantasiosa elucubrazione ma logico prodotto di quella velata e altre, dove più dove meno,  velate segnalazioni.
   Resi avvertiti di ciò vediamo allora di affrontarla questa 'obliquità', di mettere in luce l'espressione nascosta dal rebus che potrebbe essere più o meno complesso a seconda della capacità logico - creativa dello scriba.
   Naturalmente come prima cosa verificheremo la tipologia delle nove (15) lettere che risultano  subito varie in quanto  presentano segni di tre alfabeti diversi: semitico nuragico, etrusco e latino (v. tabella più avanti). Aspetto scrittorio questo che non può che suggerire, ovviamente, anche la possibile presenza delle tre lingue corrispondenti.
    

    Ma la difficoltà di accettare la presenza del latino e dell'etrusco è data subito dal fatto che le vocali, se si esclude una possibile (ma solo apparente) 'I' del terzo grafema, sono del tutto assenti. E' ovviamente impossibile registrare lessico di matrice indoeuropea in una sequenza tutta consonantica. E allora, cosa  mai può aver 'inventato' lo scriba? Cosa c'è di tanto annunciato 'obliquo', di tanto λοξόν, di tanto di uso abnorme da interpretare in quella sequenza che, almeno all'apparenza, non sembra offrire significato alcuno in nessuna lingua? 
    L'invenzione scribale ci viene suggerita, per nostra fortuna, dalle prime tre lettere che sono semitiche nuragiche, fanno perfettamente parte del sistema e soprattutto, danno 'lessico' noto. Infatti la 'nun' + la 'lamed' + la 'yod' rendono  due voci chiare del nuragico perché significano 'luce di Y(H)', peraltro con la diverse volte attestata yod acrofonica per notare la divinità, riportata questa anche, come sappiamo, attraverso le varianti YH,YHH, YHW e YHWH (16).
   Dopo questa prima sequenza comprensibile, sembrerebbe però esserci il buio perché il resto di essa non sembra offrire senso alcuno. Ma questo  spunta  come d'incanto se si considera che le due voci etrusca e latina, solo ipotizzabili per la presenza dei grafemi alfabetici  in mix etruschi e latini, possono essere rese (scritte) anch’esse nel modo convenzionale iniziale (semitico) della scritta, ovvero attraverso il solo consonantismo e non attraverso  quello che, per l'unione della consonante più la vocale, si chiama sillabismo.
  Detto  consonantismo misto al sillabismo, con consapevolezza della convenzionalità scrittoria e della possibilità di opzione da parte dello scriba, si è vista - si badi bene – con estrema chiarezza nel lusus della lapide ardaulese di NRB BN NORBELO (17)
      Riportiamo  allora tutta la sequenza consonantica e vediamo di leggere.
 
    Inizialmente avremo un oscuro

N L Y S L T C L N

Ma  inserendo le vocali otterremo la seguente completa sequenza linguistica sardo nuragica semitica - latina - etrusca:

                                                               
                                                     N (U) L  Y /  S (A) L(U) T (I)/  C L(A) N

   Cioè, in traduzione,  'La luce di Y(H)/ per  la salvezza'/ del figlio.   Una chiarissima  frase dunque e tanto più significativa ove si consideri che essa  risulta del tutto congruente con la religio nuragica che mostra, in tutti o quasi tutti i documenti, una vera e propria predilezione (si direbbe quasi un'ossessione) per la parola NL/NR (18). Ma, a ben vedere, l'iscrizione si mostra del tutto congruente anche e soprattutto per la singola voce latina 'salus' (salvezza o vita, declinata con il dativo di vantaggio)  dato che la lastra è stata rinvenuta, come si dichiara nella didascalia del museo, in una necropoli (19) e più precisamente nella necropoli di Tharrush (Tharros).
  Resta però da dire dell’altro perché quella pietra non è così squadrata per mero accidente e che pertanto  anche il concetto di ‘uso deviato rispetto alla norma’  (cioè l’obliquità) sia esente dall’avere  significato. Infatti, abbiamo imparato molto bene dalla ormai cospicua documentazione che il nuragico sfrutta al massimo i segni a disposizione e niente mette a caso.
    Sul quattro, sulla sua attestazione con il costante  valore lessicale di ‘forza’,  si è detto  tante volte (20) e non crediamo sia il caso di ritornarci su. Invece crediamo opportuno soffermarci su un’ ulteriore carica di senso che potrebbe avere il ‘segno’ dato dalla scrittura fortemente inclinata.  E consideriamo  che se ricavare dal documento il senso di ‘ Forza della luce di YH per la salvezza del figlio (21)’, è già abbastanza, potrebbe però non essere il tutto e cioè far sospettare da altri ‘segni’ che il senso  completo sia ancora da definire.
Ora, se noi ricorriamo all’ acrofonia circa l’aspetto (22) della  linea inclinata o deviata si nota che si ricava in semitico la voce ‘od  עד ( uso + deviato, fuori norma: דרך עוה drk ‘wh).
  Ora,  ‘od, voce anch’essa attestata nel nuragico (23), permetterebbe di tradurre ‘ testimonianza (‘od) della forza (‘oz) della luce (nl) di yhwh (y) per la salvezza (saluti) del figlio (clan)’. Cioè la lastra lapidea indistruttibile  è segno di garanzia della immortalità e della rinascita del figlio defunto.
   Come forse qualcuno ricorderà, la voce ‘garanzia’ (per la felicità nell’aldilà), fa parte del lessico funerario dei sarcofaghi scritti etruschi (fig.4) laddove essa  è resa ideograficamente  in incipit di lettura con l’anello  (24) posto nel dito del defunto, ovvero con il sigillo  seguito, di norma, dal ‘pulvinar’ (sostegno). [Questo sarcofago è] garanzia  del sostegno del doppio tre (TIN e UNI)  e padre e  madre (apac atic). Lo ‘od reso con acrofonia a rebus della lastrina di Tharros corrisponderebbe quindi al ‘sigillo di garanzia’ reso in etrusco ugualmente a rebus attraverso l’idea che dà l’anello. 
   
               Fig. 4.  Sarcofago etrusco. Scrittura etrusca standard (in basso) e scrittura a rebus pittografico acrofonica.

    
     Ma quanto a significato la lastra di Tharros non ha dato ancora tutto perché, con ogni probabilità,  la presenza dei due tre e del nove suddetti suggerisce ancora  una lettura (25) numerologica come ‘immortalità (la ciclicità del tre nel numero nove) dei due tre’. Dove i ‘due tre’, così ’ come in etrusco per Tin e Uni,  sarebbero la parte maschile e quella femminile del dio androgino soli -lunare YH.
  


 
                                                   Note ed indicazioni bibliografiche



1)       Sanna G., 2011, La scrittura 'betilica' (nuragica) a rebus. Il sistema ed il suo primo specimen. Facoltà di Medicina(sabato 29 Ottobre). Convegno interdisciplinare. Interpretare i linguaggi della mente. Percorsi tra neuroscienze cognitive, paleoneurologia, paleogenetica, epigrafia e archeologia.
2)       Sanna G, 2011, Scrittura nuragica: ecco il sistema. Forse unico nella storia della scrittura; in gianfrancopintore blogspot.com (9 Novembre); Idem., 2011, Scrittura nuragica: ecco il sistema, ecc, cit. , in Monti Prama, rivista semestrale di cultura di Quaderni Oristanesi, n° 62, pp. 25 - 38.
3)       Ibidem, p. 29.
4)       Sanna G., 2014, Giochiamo a dadi e impariamo l’etrusco. I 'dadi enigmatici' (kύboi loξoί) di TIN e di UNI. Il gioco combinatorio circolare delle 'parole-immagine a contrasto' e dei 'numeri alfabetici' dei dadi di Vulci; in monteprama blog (8 novembre).
5)       La tesi balzana della scritta di natura ebraica corre in internet sotto il nome di Aljamas: Appunti sulla Sardegna ebraica. La  erronea interpretazione  sull'ebraico della lastra  e sul nome Reuben ivi presente evidentemente ha fatto scuola presso i curatori del museo. Si vede chiaramente che gli iniziali interpreti  non hanno  visto direttamente la lapide ma tramite fotografia altrimenti avrebbero notato che in essa sono incise (profondamente) lettere ben diverse da quelle ebraiche maiuscole. E avrebbero dovuto notare lettere di ben altri alfabeti riportate nella loro giusta scrittura, cioè senza che si debba interpretarle capovolte. Del resto, a parte la loro ( giusta)  considerazione dell'ebraico attestato rarissimamente nelle lapidi e la riconosciuta difficoltà di interpretare la 'scrittura obliqua', lo stesso andronimo REUBEN (per altro senza il patronimico) si ottiene attraverso una incredibile  forzatura  ( si invoca  l’uso del ‘defettivo’!) e cioè l'aggiunta di una 'aleph  inesistente nella sequenza della lastra e la mancanza del waw presente nella voce biblica (insomma un presunto  רבן starebbe per ראובן ). Così come del tutto inesistenti risultano le lettere successive che indicherebbero la voce 'sepoltura'. Per non parlare del residuo supposto lamed finale che 'probabilmente (sic!) accompagnava il concetto (sic!) Shalom'
6)       V. nota 4.    
7)       Sanna G., 2010, Il documento in ceramica di Pozzomaggiore; in Melis L., Shardana. Jenesi degli Urim, PTM ed. Mogoro, pp. 153 -168.
8)       Sanna G., 2014, Il nome di Tharros (THARRUSH) in un' iscrizione nuragica, etrusca e latina del III - II secolo a.C. Un Lars di nobile origine etrusca 'curulis' di Roma in Sardegna. In monte prama blog. com (27 aprile).
9)       Sanna G., 2012, Scrittura nuragica: gli Etruschi allievi dei Sardi (I); in Gianfrancopintore blogspot.com (14 giugno); idem, 2012, Scrittura nuragica: gli Etruschi allievi dei Sardi (II), in gianfrancopintore blogspot.com (15 giugno).
10)    Sanna G., 2009, La stele di Nora. Il Dio il Dono il Santo. The God the Gift the Saint, PTM ed. Mogoro.
11)    Sanna G., 2004, Sardȏa grammata. 'ag 'ab sa'an yhwh. Il dio unico del popolo nuragico, cap. 4, pp. 156 -158, tabb. 18 -19 - 20.
12)    Sanna G., 2007, Cenni sulle caratteristiche della divinità arcaica di Glozel-Pito. Il culto dell'oracolo di Pito- Delfi alla luce dei nuovi documenti. Ipotesi etimologica sul nome dell'Apollo storico; in  I segni del Lossia cacciatore. Le lettere ambigue di Apollo e l'alfabeto protogreco di Pito, S'Alvure ed. Oristano, cap. 7, pp. 159 -175.
13)    'Sin dalle origini' intendiamo  il momento in cui giunsero, con ogni probabilità, in Sardegna, non sappiamo quando (XVI secolo?), perché e come,  i famosi 'Nefilim' cananei dei quali parla la Bibbia (Gen. 6,4), i figli cioè della divinità yh. Nel passo biblico, molto oscuro, si legge : ' In quel tempo [al tempo dei primi uomini della discendenza di Adamo] c'erano sulla terra i Giganti e ci furono anche in seguito quando i figli di Dio si unirono alle donne degli uomini ed ebbero da loro dei figli'. Di essi noi abbiamo, con buona probabilità,  le cosiddette 'statue stele' (le famose 'statue' del Sarcidano) che, secondo noi,  altro non sono che delle epigrafi mortuarie nelle quali essi giganti si vedono già appellati figli del 'padre 'toro uccello' o toro celeste. L'ideologia dei nobilissimi figli del Dio (in seguito veri e propri 'faraoni') parte da quel periodo molto lontano e da quello ha origine il cosiddetto 'protocananaico' in Sardegna, ovvero la scrittura religiosa, un sistema del tutto organico al culto della divinità 'unica' e a quello dei suoi figli in terra. Le statue monumentali di Monte ‘e Prama e i sigilli cerimoniali di Tzricotu di Cabras  costituiscono gli emblemi del momento, forse  di maggior splendore, dei Giganti (la dinastia dei Giganti). Gli archeologi, sulle orme del Lilliu e della civiltà guerriera cantonale, totalmente ciechi, si affannano inutilmente a dare alle statue patenti di 'laicità' chiamandoli ora 'principi' ora 'signori', quando invece tutto (proprio tutto) denuncia con estrema chiarezza la loro precisa identità, la loro straordinarietà in quanto uomini 'dei' o semidei. Gli attuali scavi, ripresi  dopo decenni e decenni di quasi totale disinteresse, stanno cominciando a far capire che a Monte Prama c'era un grandioso santuario  se non  una vera e propria  'città' santuario che doveva il suo essere soprattutto al culto dei Nefilim o dei Faraoni Giganti della Sardegna. Una ‘città’  la cui economia ruotava verosimilmente sulla potenza della 'reggia' e 'santuario' nello stesso tempo.
14)    Sanna G. 2009, La stele di Nora. Il Dio il Dono il Santo cit., cap.3.5. pp. 107 - 116).
15)    Per il valore di questo numero e degli altri due si veda più avanti  e, quindi,  la nota 25.           
16)    Sanna G., 2011, Yhwh in 'immagine pittografica' . Gilmour G.: per la prima volta a Gerusalemme? No, in Sardegna e con intrigante scrittura 'shardan'; in Monti Prama. Rivista semestrale di cultura, n° 61, pp. 27 - 42.
17)    Sanna G., 2014, Ardauli conserva e salva Norbello. Tre codici alfabetici e un Norb principe sardo a 'farfallino'! E la storia si vendica degli irriverenti a caccia di ...'farfalle'. (II). Nella pietra di Ardauli il praenomen NRB (casa della luce), senza vocale,  è associato al praenomen del padre che invece è scritto NORBELO (con la/le vocali).
18)    Sanna G., 2014,  Scrittura e lessico nuragici. I simboli monografici che accompagnano la voce NUR per notare la divinità YHWH (II); in monteprama blog (15 marzo).
19)    Della necropoli si dice, nella didascalia del museo arborense, che è 'tardo romana'.  Ora, lungi dal dubitare sul dato temporale archeologico,  questa iscrizione sembrerebbe però non essere del periodo 'tardo romano'. La tipologia delle lettere romane c'è ma la 'scrittura' in generale non può, stando alle nostre conoscenze, attribuirsi a quel momento. La pietra allora potrebbe essere stata, in qualche modo, riciclata da una necropoli sardo - romana più antica, di religio ancora nuragica.  A meno che, attraverso questa insperato reperto archeologico,  non ci troviamo di fronte a qualcosa che sa però  di incredibile. Cioè alla capacità di resistenza e alla notevole continuità della scuola scribale nuragica  dato l'uso della scrittura in mix e 'obliqua'; resistenza non venuta meno neppure quando erano venuti a cessare tutti i presupposti, politici e religiosi, che l'avevano fatta nascere e prosperare per tantissimo tempo. Forse l' iscrizione 'nuragica' tharrense in mix dell'etrusco LARS funzionario di Roma potrebbe spiegare e testimoniare, con la sua recenziorità indubitabile, di questa continuità che risulterebbe,  se vera, davvero impressionante. Ma ci sembra doveroso aggiungere che detta continuità forse la potrebbe testimoniare, qualora qualcuno si prendesse la briga di studiare a fondo e di datare  la facciata di cultura prettamente nuragica (con il sole toro capovolto, con le tre Tanit semitiche sarde e con gli evidenti orientamenti astronomici) della chiesetta cosiddetta di S'eremitanu di Narbolia.
20)    Si veda non da molto anche Angei S., 2014, Il volto di Maymoni; in maymoni blog (24 aprile).
21)    Con ogni probabilità, data l’arte scrittoria che impreziosisce di tanto la pietra,  si tratta di un nobile nuragico. Della antica dinastia dei Giganti o Nephilim?    
      22) Il nuragico, soprattutto nei bronzetti scritti, si serve dell’acrofonia consonantica, ma servendosi dell’aspetto o dell’idea che può suggerire la persona , la cosa o  l’animale. Per esempio l’atteggiamento di ostilità  oppure di festa di un cane, l’essere di una coda di un toro, il  ‘doppio’  di un flauto o di una lira, la distinzione  per qualche cosa, la decorazione, ecc.).      
      23)  Sanna G. , 2015,  Marcello Madau. Amuleto di Nurdole: prodotto fenicio e con grafemi senza significato. Davvero davvero?
     24) Sanna G., 2914, Stele di Avele Feluskes. I nobili etruschi figli di Tin e di Uni. Scrittura e lingua dei documenti funerari.     L'acrofonia sillabica e non, la numerologia e la chiara dipendenza dell'etrusco dal nuragico (II); in Monteprama blog (28 novembre).
     25)  Tale seconda lettura è prevista, come sappiamo, nel sistema nuragico di scrittura. In questo specifico caso essa, ampliando di non poco il senso iniziale, tenderebbe a specificare l’immortalità del dio  e nel contempo a caratterizzare yhwh (citato nel testo con la sola ‘y’) come dualità sessuale padre - madre. La rinascita del figlio nella salvezza della luce ha bisogno di entrambi i genitori immortali.  Se così è non ci resta che sottolineare che praticamente tra la scrittura  dei sarcofaghi etruschi (fig.2)  e quella della pietra cultuale della necropoli di Tharros non passa  molta differenza. Già a partire dal fatto che negli uni e nell’altra  compaiono due scritture: una con le lettere lineari standard e quindi subito manifesta e una seconda invece molto più nascosta.


35 commenti:

  1. Benché vada fuori tema, mi ha colpito il termine "clan" = figlio in etrusco, che ritroviamo in lingua gaelica con significato simile, ad indicare un gruppo di persone unite da gradi di parentela, discendenti da un antenato comune.

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  2. In gaelico mi pare però che sia 'cland' e non 'clan'. Anche il Pittau e altri ancora (generalmente coloro che si sforzano di dimostrare che l'etrusco è lingua di ceppo indoeuropeo)hanno accostato i due termini sia per sequenza fonetica che per contenuto. Ma di gaelico non so proprio nulla. Quello che sappiamo invece è che la voce 'clan' (pl. clenar) è tra le più comuni (e tra le pochissime sicure per significato) della lingua etrusca.
    Una domanda per coloro che sono agguerriti circa gli scavi delle tombe della necropoli di Monte 'e Prama. Quante sono le tombe dei 'giganti' che hanno mostrato sul capo del defunto la lastrina quadrata?

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    1. In effetti in gaelico è "cland" al nominativo singolare. Da : https://www.openstarts.units.it/dspace/bitstream/10077/3915/1/storia%20della%20lingua%20gaelica.pdf. Però in gaelico irlandese è clann, ma forse è meglio fermarsi qui altrimenti ci impantaniamo visto che all'interno del "clann" il figlio quale membro della famiglia è "Mac", da: http://gaelicoirlandese.blogspot.it/2014/02/la-famiglia.html.

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  3. Sandro, tu sai qualcosa sulle lastrine quadrate trovate nelle tombe della necropoli di Monte 'e Prama?

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    1. In "Le sculture di Mont'e Prama - Contesto, scavi e materiali", sono descritte queste lastrine litiche poste a protezione dell'inumato. https://books.google.it/books?id=F_7zBwAAQBAJ&pg=PA156&lpg=PA156&dq=monte+prama+lastrine+quadrate&source=bl&ots=2tbWtSmAtI&sig=KFLyUBCmkx103tO6ViMslTJsOwk&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwif1LDjvMfKAhVFYQ4KHQnSAmoQ6AEIWjAN#v=snippet&q=lastrine&f=false

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  4. Se ho ben capito la lastra è il “sigillo” che garantiva al defunto la vita eterna e la scritta inclinata restituiva per acrofonia la voce “testimonianza”, per tanto siccome le lastrine “quadrate” nelle tombe di Monte prama furono poste nei pozzetti a protezione del defunto e quelle lastre furono poste in modo particolare, ossia inclinate in direzione nord sud, se ne deduce che le lastre stesse, benché prive di iscrizione hanno lo stesso significato della scritta obliqua, ossia “testimonianza” ed essendo di forma quadrata restituiscono il significato di: testimonianza della forza. In conclusione il significato della modalità di inumazione delle tombe di Monte prama è lo stesso dato dalla lastra recante l’iscrizione, ossia: la lastra lapidea indistruttibile è segno di garanzia della immortalità e della rinascita del figlio defunto.

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    1. A riguardo delle lastrine delle tombe di Monte prama, resta da vedere se quelle erano/sono inclinate volutamente (per tanto ben appoggiate in quella posizione) o essendo appoggiate sul capo dei defunti hanno seguito nel loro disfacimento gli inumati posizionandosi in modo casuale con diverse inclinazioni, quali le hanno trovate gli archeologi.

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  5. Così a me pare. Ma stupisce il fatto che quella scritta 'nuragica' sia di un periodo così tardo e ancora per quel 'figlio' per la morte del quale si scrive un epigramma così elaborato e complicato. Escludendo, a mio parere, che possa trattarsi di un 'figlio' generico (tutti in fondo sono 'figli' di Dio) ho pensato ad un nobile tharrense. Forse della stessa stirpe dei 'Giganti'. In Etruria ho scoperto (come sai) che i nobili, i nobili in generale di tutte le città, si fanno fare i sarcofaghi scrivendo in maniera nascosta che essi hanno la garanzia della protezione APACATIC (e del padre e della madre: TIN/UNI). Questa moda dei sarcofaghi, da quello che so, durò a lungo, anche quando ormai la civiltà etrusca era stata assimilata completamente dai Romani, cioè il primo secolo a.C. o al massimo il primo d.C.. Ma il periodo 'tardo romano' della pietra tharrense (necropoli tardo romana) mi sembra eccessivo. Se così fosse davvero, vorrebbe dire che la 'religio' nuragica durò molto più a lungo di quella etrusca e che quindi la stessa scrittura scribale accompagnò ovviamente culti e riti dei nuragici. Io non so cosa tutto abbia inserito il prof. Pala per far accettare dalla Commissione scientifica internazionale il concetto di 'nazione' applicato alla Sardegna, ma questo resistere della scrittura 'nuragica', il rispetto delle norme antichissime (quasi duemila anni!)mi sembra 'carne', una delle prove della non completa assimilazione della nazione sarda a quella romana. I Sardi non abbracciarono il politeismo romano e veneravano ancora un solo Dio. I nobili sardi si facevano inumare, a quanto pare, con la lastrina alludente alla protezione di quell'unico Dio che era stato dei Giganti di Monte 'e Prama.
    Comunque, sempre più mi rendo conto che la forza della religio e della cultura scribale dei nuragici fu notevolissima nel mondo antico. Gli scribi Etruschi sono i parenti stretti e talora strettissimi degli scribi sacerdoti nuragici. Si può dire che accolgono tutti i requisiti presenti in quella che conosciamo come 'griglia di Sassari'. Ma di ciò intendo parlare in alcuni post specifici che intendono proseguire quanto da noi detto sugli 'Etruschi allievi dei Nuragici'.

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  6. Ricordo che le due righe di scrittura sulla pietra di Corongiu de Meurra, che io stesso segnalai, erano oblique, vale a dire convergenti sulla parte sinistra e mostravano i segni in altezza decrescente, nella prima riga da dx a sx, nella seconda al contrario. Benedetto sia lo scriba che compose la scritta,ma maledetta la sua astuzia: che almeno ci mandi un segno nel sonno, se non a me, almeno a Sandro Angei!

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    1. Francu, mi manca solo di fare l'aruspice. già mi hanno classificato come "geometra fantasioso" per avere lanciato una ipotesi legata ad un contesto reale, figurati se mi lancio nell'interpretazione dei sogni!

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    2. Non affannarti dietro le critiche: è tutta invidia per chi è capace di vivere due o tre vite parallele da parte di chi non si raccapezza neanche con quell'unica che gli è stata concessa.

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  7. per capirci: a sinistra della pietra, dunque a destra di chi la guarda.
    Oggi mi sento mancino (non Mancini, che è altro).

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  8. Caro Gigi, forse si era già discusso tra noi, sul blog, di come aggiungere vocali mancanti tra i suoni consonantici mi convinca (in linea generale) fino a un certo punto, dal momento che lascia la possibilità a diversi solutori di buona volontà di trovare altre vocali che magari dividano in altro modo le parole nella frase, tanto più se l’una può essere d’una lingua e l’altra d’un’altra.
    L’obliquità, però, è un fatto, qui e altrove. Così come sono “fatti”, qui, le progressive difformità di grandezza dei segni e di grossezza dei tratti.
    Una domanda è, allora: vi sono, altrove, precedenti? Possono stabilirsi paralleli con altre lingue e con i loro codici scrittori? È così nel protocananaico? E, seguendo le tracce di possibili persistenze delle supposte scuole scribali in Sardegna (aperte a tutti i nuovi alfabeti e le nuove lingue), può dirsi che in Sardegna (come dovrebbe aspettarcisi?) vi siano, a differenza che in altre regioni, scritte romane, per esempio, ma “sardamente” oblique?

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  9. Di questa obliquità di forme e contenuti è ben salda nella documentazione dei documenti pitici di Glozel. Cosa nornale questa in quanto sono le lettere del Lossia (l'ambiguo) che formano i documenti. Ma l'obliquità sembra (dico sembra) mancare nell'etrusco e, ovviamente, nel latino, sistemi più soggetti al gusto dell'armonia di cui parlavo nel post e con cui ho tentato di spiegare il motivo 'profondo' dell'essenza della divinità. Quanto a come si può dividere la frase è il tormentone delle scritture in semitico. Tanto è vero che la Stele di Nora, per chi non cura la filologia della documentazione interna e va per...vocabolari, è un rebus con mille interpretazioni. Io ho detto e scritto, ho riportato quella scritta al nuragico per dei motivi non arbitrari ma legati sempre al modus scribendi dei nuragici e alla particolare religio dei nuragici che guarda guarda riguarda persino le lastrine quadrate trovate sulla testa degli inumati di Monte 'e Prama. Se poi altri riesce ad infirmare quella mia lettura generale e particolare non ha che da farsi avanti. Io ho detto che è addirittura ridicolo pensare all'ebraico maiuscolo con un nome inesistente se non prendendo a schiaffi quell'iscrizione. Intervengano gli altri e dicano. Tu stesso, che ormai ne sai più di tanti epigrafisti della domenica, cerca di dare un altro significato a quel documento. Vedi, caro Francesco, quando si parla di archeologia (e persino di archeostronomia) i commenti si sprecano. Quando invece si tratta di sottoporre a critica i dati epigrafici che presento c'è un rinculare generale. Ma una cosa vorrei dirti: stai attento, ma molto attento all'etrusco perché i due sistemi di scrittura tendono l'uno ad illuminare l'altro. Sono entrambi due sistemi a rebus dove il punto debole della loro forza ermetica sta nella numerologia. I due sistemi usano i numeri convenzionali per usare lessico. Soprattutto hanno entrambi l'ossessione per il numero 'tre'. Lo vedrai in tanti altri bei documenti e nuragici ed etruschi.

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  10. Ops! Togliere 'nella' e mettere 'la'.

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  11. La didascalia, come ci riferisci, parla di (lastra di basalto con) iscrizione ebraica, quindi devo porti la domanda più stringente: ci sono, che tu sappia, esempi di scrittura ebraica con tali caratteristiche di obliquità, o di (progressiva) difformità di grandezza dei segni, o di (progressiva) difformità di grossezza dei tratti? Ovvero: su questa lastra, dati questi aspetti, starebbe un unicum epigrafico quanto al Mediterraneo (Glozel a parte)? Perché, se così fosse, qui verrebbe assai male parlare di indigeni che scimmiottano altrui scritture senza capire; qui si tratterebbe comunque (se unicum dovesse risultare) di una scrittura quantomeno in salsa sarda.

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  12. No, da quanto so nessun documento ebraico presenta la 'obliquità', almeno l'obliquità formale perché quella di contenuto invece è presente. L'oscurità o l'ambiguità sono stati sempre caratteristica fondamentale delle scritture mediterranee arcaiche legate al culto santuariale. Quella che tu chiami 'salsa' è salsa molto antica. La stele di Nora è del X _IX secolo a.C. e i documenti di Tzricotu sono di qualche secolo prima, mentre il coccio del Nuraghe Alvu può essere del VII -VI secolo a.C. e la lastra di GIORRE UTU URRIDU del V -IV secolo a.C. Non si tratta quindi di un 'unicum'. La lastra va rapportata alla LOXOTHS adoperata da secoli e secoli dai nuragici. Semmai può essere un unicum per il periodo tardo dell'iscrizione (III -II secolo d.C.!).
    Comunque stavolta il mio interesse non va solo all'epigrafia ma anche all'archeologia e gradirei che Aba o altri mi dicessero qualcosa di più sulle lastre poste sulle teste degli inumati (siano della necropoli di Monte ' Prama o di altri siti del Sinis. In particolare su quella 'obliquita' con cui sono collocati, testimoniata dai registri di scavo. Mi stupisce davvero che secoli e secoli prima non si registri nessuna lastra scritta. Questo sì che sarebbe un 'unicum'!

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  13. In genere uso molte parole per evitare, appunto, i fraintendimenti, ma a volte non bastano lo stesso. Qui parlavo di eventuale "unicum" rispetto alla scrittura anzitutto ebraica (muovendo dalla didascalia museale) e magari rispetto ad altre del mediterraneo, ma non certo rispetto a una scrittura (o alla scrittura) sarda. E non lo facevo certo per rinforzare i tuoi convincimenti presso di te, ma le tue teorie presso gli altri, aiutandoti per quanto riesco a sottolinearne gli indizi se non le prove.

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  14. Ho capito. E avevo sospettato. Ma anch'io ho scritto, cogliendo la palla al balzo, per far ricordare o far capire agli altri (che non sempre ci seguono).

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  15. Ho letto, sbirciando qui e là, che il sasso posto nella tomba ebraica ricorderebbe l'uso degli ebrei nel deserto che ricoprivano le sepolture con sassi perché le salme non fossero facile preda degli animali selvatici. In realtà non c'è niente di scientifico in tutto ciò. Solo qualcuno accenna al fatto della immortalità della pietra. E penso che abbia ragione. Non è quindi un'usanza ebraica ma, stando alla testimonianza nuragica cananaica, un uso ben precedente. Forse la lastra quadrata era all'origine del tutto. Col tempo bastò simbolicamente l'uso di una qualsiasi pietra per indicare la 'forza' insita nella natura stessa di essa. Ma questo può voler dire anche che si smise di usare un certo tipo di scrittura che non era solo simbolica ma fonetica a motivo del significante ideografico (l'idea di 'forza'). Piuttosto metterei l'accento sui bigliettini che si trovano spesso sotto le pietre, perché il simbolo pietra è accompagnato dalla scrittura. Quasi che il simbolo solo non basti.

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    1. Vengo appresso a questo tuo interesse per le pietre e pietruzze sulle tombe: ho imparato (nella sinagoga di Budapest, ma ovviamente potrà impararsi in altri modi e in altri luoghi) che nell'ebraismo tra i princìpi fondamentali vige che ciò che è morto non può stare con ciò che è vivo. Questo si traduce, quanto alle sepolture, nel fatto che le stesse non possono stare in un ambiente normalmente frequentato dai vivi (è il caso della sinagoga principale di Budapest, dove eccezionalmente le salme dei morti entro il ghetto furono e ancora rimangono sepolte nelle pertinenze della sinagoga); e si traduce inoltre nel fatto che fiori e piante, in quanto natura viva, non possono stare sulle tombe. Le pietre, ovviamente, sì (e trovatemi un segno meno animato).

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  16. Caro Gigi, sulle lastrine quadrangolari di copertura a Monte Prama le notizie non sono molte, e neppure sistematiche. Non sono presenti in tutte le tombe, non so neppure se lo siano nella maggioranza di esse. però so che sono in calcare e che misurano tra i 20 e i 40 cm di lato (secondo quanto riporta Bedini).

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  17. Forse il motivo può dipendere dal fatto che il simbolo sta già nella lastra quadrata tombale. Potrebbe però significare 'doppia forza'. Nei sarcofaghi etruschi il coperchio registra, attraverso il simmbolico 'pulvinar' questa doppia forza che è sia quella del padre che quella della madre. Ma stranamente anche nei coperchi dei sarcofaghi non c'è sempre il 'doppio sostegno', ovvero il doppio 'pulvinar'.

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  18. Dimenticavo di aggiungere che la doppia forza (il doppio quadrato) si trova nella brocchetta nuragica con la famosa svastica con i simboli di scrittura nuragici. http://monteprama.blogspot.it/2012/12/croci-o-svastiche-filistei-o-nuragici.html?zx=354ab6c4c7d33882.

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  19. Salve a tutti!! Questo è solo il mio secondo commento in questo Blog e non è mia abitudine parlare in internet.
    Volevo complimentarmi per questo Blog ma sopratutto per questo affascinante articolo per chi , come me, è totalmente ignorante ma affamato di conoscenza in materia. Volevo quindi approfittare dell'inerenza e postare anche qui un mio commento (purtroppo rimasto senza risposta) che ho già pubblicato tempo fa sul profilo Fb di in Vostro abituale "nemico" , il Signor Salvatore Dedola. Spero comprenderete come questo mio post non sia provocatorio ma cerchi solo qualche risposta ai dubbi che in tanti hanno come me che navighiamo nel buio della memoria Sarda. Nonostante il commento sotto fosse originariamente indirizzato al Signor Dedola mi piacerebbe lo facessero loro anche il Signor Sanna e Tzoroddu in quanto menzionati dalle mie domande.
    Grazie
    Maurizio Cossu
    segue...

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  20. Mio Commento
    "Salve a tutti! sono nuovo nella pagina del Sig Dedola e vorrei approfittare di questo post per fare alcune domande inerenti questo tema ma da profano e totalmente ignorante in materia. Prima però vorrei dire che sono nato a Roma da genitori Sardi e che nella mia città son sempre stato chiamato "il Sardo" mentre in Sardegna da sempre vengo considerato "il Romano". Insomma sono l'emblema dell'assenza di una identità che sento molto forte sopratutto riguardo le mie origini Sarde. Epppure ho sempre creduto e sento che questo "vuoto"di memoria , nonostante la censura storica, "prema" psichicamente con la "forma" di ciò che è stato "occultato" e cerchi risposte....una specie di "forma del nulla" mi piace chiamarla, un pò come le famose campane sottovuoto artificiale che si facevano a scuola nell'ora di scienze.....Insomma lcredo che la sete di conoscere la propria storia troverà una strada nonostante in apparenza sia stato distrutto e occultato tutto proprio grazie a questa "ossessione" psichica di un vuoto che prende proprio la forma di ciò che si è voluto occultare e che si sta manifestando attraverso l'opera di molti studiosi in discipline diverse.
    Tornado al post non capisco una cosa
    Lei Signor Dedola afferma ""..io sostengo le stesse tesi del dottor Stiglitz circa l'assenza materiale della scrittura prima della Stele di Nora...." , subito dopo ".. che al tempo dei Nuraghes i Sardi conoscevano alla perfezione la scrittura. Ho le prove scientifiche. Sono PROVE ETIMOLOGICHE SCHIACCIANTI, INOPPUGNABILI...""
    Mi sembrano due affermazioni contrastanti a meno che ...non si conosca alla perfezione la datazione della stele di Nora.
    Non trovo info a riguardo di questa datazione, quale si pensa che sia? Scrivevano o no i Nuragici?
    Mi piacerebbe poi tentare di capire in cosa differiscano le prove di questa scrittura tra Lei ed il Signor Sanna . La mia non è una domanda provocatoria ma solo il tentativo di comprendere. Ho conosciuto Lei Signor Dedola (attraverso la sua opera "Grammatica della lingua Sarda Prelatina") a Settembre in modo del tutto casuale ma contemporaneamente ad un libro di Tzoroddu Mikkelj che mi è stato regalato ed alcuni scritti di Sanna che ho trovato in rete. Prima di Settembre ignoravo la Vostra esistenza poi....avete folgorato e solleticato questo mio "vuoto". Eppure spesso leggo di profonde divisioni verbali e "virtuali" tra di Voi e non ne capisco il motivo considerato che siete tre luminari in discipline diverse. Il fulcro di tante diatribe poi mi sembra essere sempre la Stele di Nora . Eppure non è certo l'unico argomento che avete trattato.
    Grazie della pazienza e del lavoro che state facendo. Voi tre (Lei, Tzoroddu e Sanna) ad oggi siete gli unici (a mio parere) che stanno illuminando con serie argomentazioni questa farsa dei "Fenici" e rendendo un pò di giustizia alle tristi didascalie dei musei che riportano oramai due sole definizioni per qualsiasi reperto : "Oggetto di uso comune"..."oggetto di culto". Una vera offesa anche per menti ignoranti quali la mia"

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  21. Il mio commento sopra era la risposta a questo post del Dedola:
    "...Qualcuno ha postato in questo mio sito (vedete qualche riquadro più sotto) una lettera che l'archeologo Alfonso Stiglitz scrisse nel 2008 a propria difesa, rivolgendosi a una dottoressa in fisica la quale sostiene al calor bianco le tesi di Gigi Sanna circa le origini CERTE E CERTIFICATE della scrittura in Sardegna.
    Fra pochi giorni consegnerò all'Editore la mia "Enciclopedia della Civiltà Shardana", dove c'è anche un capitolo sulla Scrittura dei Nuragici.
    In quella sede io sostengo le stesse tesi del dottor Stiglitz circa l'assenza materiale della scrittura prima della Stele di Nora. Quelle tesi di Stiglitz sono serie, e non possiamo mandare a ogni pie' sospinto i nostri archeologi sotto le Forche Caudine.
    Al contempo (e mi dispiace per Stiglitz che considero amico) me la prendo con gli archeologi in generale. Ma prima di prendermela con loro, io li capisco. Essi, avvelenati dal fatto che le Università sarde e italiane hanno distrutto la Scienza Glottologica, rendendola inaffidabile, FANNO TUTTO DA SOLI, dimenticando che alla Facoltà di Lettere Antiche sfornano tre tipi di laureati: Archeologi, Glottologi, Storici, i quali dovrebbero essere destinati ad andare a braccetto e consultarsi, facendo lavoro di squadra.
    Ma vediamo che non esiste alcun lavoro di squadra. Gli archeologi la fanno da padroni - GIUSTAMENTE - perchè non vedono alcun tipo di apporto scientifico, specialmente da parte dei Glottologi. Se poi mettiamo nel conto anche le tavolette di Tzricottu, allora per la Glottologia siamo costretti ad usare l'algebra, e mandarla sotto-zero, addolorati per un suo probabile ricovero alla Neuro-Deliri.
    Mi spiace molto di essere stato il primo glottologo al mondo ad aver certificato, sempre nella mia Enciclopedia d'imminente pubblicazione, che al tempo dei Nuraghes i Sardi conoscevano alla perfezione la scrittura. Ho le prove scientifiche. Sono PROVE ETIMOLOGICHE SCHIACCIANTI, INOPPUGNABILI.
    Ma capisco gli archeologi, i quali non si fidano più dei glottologi, specialmente di uno come me che non ha insegnato all'Università. Inutile dire che non tutti gli archeologi insegnano all'Università, eppure io li rispetto. Inutile dire che il 999 per mille degli ingegneri non insegna all'Università, ma vengono rispettati. Così è per medici, avvocati etc. Destino gramo per Glottologoi-sine-cathedra-universitatis.
    In ogni modo, sono a disposizione degli archeologi per una conferenza unitaria, nella quale dimostrerò SCIENTIFICAMENTE le mie tesi.
    So che la mia disponibilità lascia il tempo che trova. Nessun problema. Sono abituato alla spocchia altrui. Io lavoro per la Sciernza, non per lo stipendio...."

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  22. Se trovate totalmente fuori luogo ciò che ho scritto cancellate pure le parti fuori luogo, non ne vorrò a nessuno
    Grazie della pazienza e a chi vorrà rispondermi (con parole semplici!) :))

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  23. Vedi, Maurizio, ti sei stupito per le contraddizioni che hai colto nell'omelia di Dedola.
    Fai male! Dovresti indignarti o sghignazzare, tanto non c'è rimedio.
    Dice che al tempo dei Nuraghes i Sardi conoscevano benissimo la scrittura. Per non stupirci troppo, ha tralasciato di scrivere che scrivevano anche i Siculi e persino Romolo e Remo di sicuro, la Lupa forse.
    Il tempo dei Nuraghi, secondo Lilliu, è durato dal 1800 al 300 a. C., cioè ben un millennio e mezzo.
    Dedola afferma allora che i Sardi conoscevano la scrittura sin dalla prima metà del secondo millennio, o l'hanno imparata nella seconda metà del quarto secolo, giusto quando le legioni di Roma facevano capolino nel golfo degli Angeli?
    Avranno imparato a leggere le insegne con quel SPQR?
    Magari farà bene a mandare le bozze della sua ENCICLOPEDIA(?) direttamente all'Accademia Reale Svedese delle Scienze di Stoccolma, così non perdono tempo prezioso a scovare chi per primo nell'universo mondo ha acquisito la verità con inoppugnabili prove etimologiche schiaccianti (scusate il minuscolo). Ma chi schiacceranno le sue prove?
    Maurizio? Meglio farsi da parte!

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  24. Caro Maurizio (ma sei la stessa persona che svolgeva mansioni “dirigenziali” nel gruppo Archeologia della Sardegna?),
    mi sono imbattuto una sola volta col Dedola (nel Blog di Bolognesu un paio d’anni addietro) e da tutto l'insieme, compreso "l'aere" che avvolgeva l'ambiente a lui dattorno, comprese soprattutto sue esternazioni (ed io solo quelle mi putai di recepire interrogandolo nel merito, il quale egli non riuscì a delucidare) prive di fondamento storico (mi ricordo ebbe l'ardire di evocare una "Ugarit fenicia"), pur nella certezza che posso correre il piacevole rischio di sempre imparare da chicchessia, mi par corretto ch’io dica che, con gli innumeri progetti in essere e quelli da programmare beh, Maurizio, non correrei a perdifiato in libreria a comperare un testo del signor Salvatore!
    mikkelj

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  25. Intanto grazie delle cortesi risposte!! No no, non ricopro nessun incarico dirigenziale o qualunque cosa abbia a che fare con Archeologia!....sono solo un Tecnico Tv di Roma con origini Sarde che ha ricevuto in prestito dalla propria sorella (Infermiera del Policlinico Gemelli di Roma) due libri , a sua detta, regalategli personalmente dal Signor Tzoroddu.
    Mettetevi nei miei panni.....mi sento un apolide senza memoria e senza una cultura specifica che mi permetta di comprendere a fondo studi più approfonditi di settore e quindi...dopo anni del pur interessante Leonardo Melis e altri autori più dubbi mi ritrovo con "Kircandesossardos" e "I fenici non sono mai esistiti" in un momento in cui necessitavo novità e approfondimenti con linguaggio accessibile anche al "volgo". Da li cerco altre notizie sul Signor Tzoroddu in rete ed approdo a questo fantastico Blog ma anche ad altri link nei quali noto le schermaglie virtuali con il Dedola, il cui libro "Grammatica della lingua sarda prelatina. Dalle origini arcaiche alla grammatica attuale" fù un acquisto spinto dal caso in una magnifica e fornitissima Libreria di Oristano.
    Ed i miei dubbi nascono qui! Sempre premesso che ho pochi strumenti culturali per confutare questo o quell'altro studio ho l'insano e vetusto vizio di perdere tempo a leggere un intero libro cartaceo per farmi l'idea su un autore anzichè poche righe su qualche forum in rete.
    E leggendo le sole prime 40 pagine del libro di Dedola i Fenici (pur chiamati sempre con questo nome) ne escono demoliti nella loro stessa esistenza quanto e come il libro del Signor Tzoroddu.
    Quindi da ignorante mi chiedo in cosa consistano realmente le Vostre diversità e conclusioni su alcuni temi se ho l'impressione che ogni schermaglia sia nata tra persone che mai hanno letto l'opera dell'altro e viceversa? Tutto nasce solo da poche righe fuorvianti(questa la natura degli stringati commenti sul Web) scritte sul web da personalità dal carattero forte e scontroso? Perchè , e lo di con con infinita simpatia e nessuna malizia, anche Lei Signor Tzoroddu ha un bel caratterino :)
    Insomma leggendo i Vostri Libri , una persona poco preparata come me, ha l'impressione che state dicendo molte cose uguali con linguaggi diversi....ed i commenti in rete, critici o no, non aiutano a dipanare la questione
    E comunque al di fuori di autori che propongono nuove tesi come Voi rendetevi conto che esiste il nulla di una Archeologia che anche ad un ignorante come me puzza di marcio , ma sopratutto esiste un mondo sempre marcio e sempre pronto ad additare come "complottista" ogni voce fuori dal coro di stato....
    Grazie della pazienza!

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    1. Che bello signor Maurizio,una persona di origine sarda che è affascinato dalla Sardegna ed è pronto ad appprendere,con modestia,le ricchezze archeologiche sarde e le lunghe diatribe linguistiche,sopratutto quelle nuragiche.Lei ha portato una ventata di freschezza.Questi sardi hanno un bel caratterino vero?

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    2. Grazie.
      Sinceramente credo siano molte le persone che , in ogni campo, cercano risposte diverse dalle non-risposte attuali. Questa esigenza psichica di riempire un vuoto (nel caso Sardo creato radendo al suolo, dimenticando e negando una cultura ne più ne meno del genocidio Tibetano o degli Indiani D'America...ridotti noi come loro a sfornare teatrini e ricette per Turisti)io la trovo realmente dolorosa a livello fisico: scoppiano le tempie a leggere trite e ritrite non-risposte che negano una cultura che urla da ogni pietra la sua esistenza e che io stesso ,pur non del campo, avverto.
      Prima di essere una esigenza culturale è prettamente fisica: far sparire una pressione che lacera e non si sa bene da dove parta ma che sicuramente preme le tempie! Ma viviamo tempi strani dove o sei Archeologo o Fantarcheologo, o con Noi o Contro di Noi, o Status QUO oppure Complottista....e si negano le sfumature ed i tentativi ed i fallimenti che precedono ogni costruzione verbale e non...bha.... Tempo fa lessi il recente , pur se schierato politicamente , "Tracce di memoria (Franciscu sedda) " ed il più datato ma attualissimo "Quali Banditi(Ugo Dessy)". Credo li ci si riconoscano, senza sapere bene perchè, intere generazioni. Ecco il Vostro lavoro và proprio nella direzione di portare luce, verità, novità e giustizia a questo vuoto che ancora oggi urla un possibile genocidio passato

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  26. Appo cumpresu!
    A settembre stetti sei giorni al Gemelli. La caposala, dott.ssa Cossu (non ricordo il nome), era figura professionalmente rimarchevole che riusciva a star fuori dal fumoso tran tran!
    Effettivamente mi offrii di donarle i miei due testi cartacei. Ti prego di portarle i miei saluti eprego te di passare al "tu". Ciao, mikkelj.

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  27. Cossu Ilaria.....un mulo da lavoro nel caos....e quindi Cossu anch'io, de ABAS (in Italiano ALES sich!)
    Presenterò!
    A rileggerVi.....Ti ;)
    Maurizio

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