di Gigi Sanna
dedicato a Franco Pilloni scrittore e (ex) cacciatore
(In camminu s’accontzat su carrigu)
Si dice che la lingua etrusca è ancora, per svariati motivi, un enigma e un 'rebus'. Ciò si sostiene, naturalmente, sulla base delle grosse difficoltà che insorgono nel cercare di capire di essa molti degli aspetti lessicali, morfologici e sintattici. In realtà, a mio parere, il 'rebus' sussiste e resiste nel tempo non 'solo' per motivi di carattere grammaticale e linguistico, ma anche e soprattutto perché si stenta a considerare un aspetto essenziale dell'etrusco: che la scrittura è criptica, cioè organizzata e strutturata di proposito con il rebus. E' realizzata per non essere capita se non da pochissimi. Per tanto nella misura in cui si comprenderanno i meccanismi, spesso sofisticati, del rebus, posti di norma in essere dalle scuole scribali dei santuari, si comprenderà la lingua etrusca. Essi sono simili e spesso gli stessi usati dagli scribi dei templi greci e nuragici. In particolare quelli inventati dagli scribi di questi ultimi.
Sono trascorsi ormai tre anni (1) da quando per la prima volta, durante la ricerca sul metagrafico etrusco, impiegato per scopi funerari, si è cercato di dare una (provvisoria) interpretazione (2) della statuina in bronzo raffigurante un cagnetto rinvenuta (pare) in agro di Cortona, oggi custodita presso il Museo Nazionale di
Firenze.
Allora, sulla base del dato ideografico e dell’ipotesi che per via
acrofonica greco -latina potesse essere celato nel codice un ‘apac atic’ (sia
il padre che la madre, ovvero Tin e Uni) avevamo ‘tradotto’ la singolare
scrittura, presente nel manufatto, con ‘ aiuto e del padre e della madre’. Inoltre si era pensato che la scritta in
caratteri etruschi S: CALUSTLA riportato sul fianco sinistro della bestiola indicasse
il nome del proprietario dell’oggetto. Oggi sulla scorta della lettura e della
interpretazione di un numero assai maggiore di documenti si è capito che in
realtà il ‘documento’ cortonense possiede molto più di senso e che l’apac
atic’, per quanto suggestivo e in nulla pregiudicante la corretta
interpretazione generale (3), è da scartarsi in quanto
l’acrofonia è data invece dalla voce ‘canis’ (oppure la voce greca kίων) che rende così la
consonante C (il numero tre) che si sposa, verosimilmente, con
l’acrofonia organica (4)
di ‘cirratus’ (5).
Invece il tre, sempre C etrusco, che è ideogramma numerale della
luce, del ritmo ternario del sollevarsi, del distendersi e del curvare della
luce sia solare che lunare, si unisce al segno del tre inciso (v. i tre puntini
alla fig. seg.), non certo a caso, tra il collo e la zampa sinistra del
cagnetto.
Si ha dunque:
canis
(kίων) - cirrata
(C C)
tre
-tre (C C)
Il doppio CC (il doppio
tre) però ripetuto due volte, per motivi legati al magico (alla presenza
continua del numero magico ‘sei’ (doppia luce /TIN/UNI) non è possibile.
L’etrusco nel suo system funerario, come dimostrano i documenti, lo scarta e
ripete il sei più volte a partire dal tre (6).
Dal momento che la statuina di
per sé non sembra offrire né ideograficamente, né numerologicamente né
acrofonicamente altri doppi ‘tre’ (doppio CC) sorge il sospetto che esso
sia presente nella scritta, per nulla chiara linguisticamente, apposta sul
bronzo. Proviamo ad analizzarla.
Essa si compone, considerando
anche la puntuazione, di 10 segni. Numero che ovviamente non interessa il
numero SEI, il ‘doppio tre’. Ma anche se dovessimo non calcolare il segno di
puntuazione avremmo nove segni che per nulla potranno interessare il detto
‘doppio tre’. Proviamo allora di capire la scritta dal punto di vista del
significato linguistico inserendola nel chiaro contesto del cane in ferma,
cercando di vedere se e cosa ha a che fare con esso. Partiamo dal segmento
consonantico vocalico ‘CALV’ e ipotizziamo che esso sia il greco ‘καλῶ’(7) che significa ‘chiamo,
avverto, richiamo, attiro l’attenzione’. La voce sembra riferirsi
all’atteggiamento del cane in ferma che ‘chiama, avverte’ il padrone. Procediamo
quindi, cercando di capire l’unica consonante che precede il καλῶ, il segno ‘S’ della
sibilante dell’alfabeto etrusco, e le quattro lettere (STLA) che lo seguono. Scartando
l’ipotesi che ci troviamo di fronte al nome del proprietario (8),
pensiamo invece alla possibilità che l’incisore della scritta l’abbia
volutamente rendere enigmatica adoperando non una sola lingua ma tre in mix (9).
Pensiamo alla possibilità che abbia quindi, per dare la magia al manufatto,
usato altre due lingue oltre a quella che abbiamo individuato e cioè quella
greca. Restano ovviamente l’etrusco e il latino. Se intendiamo la ‘S’ seguita
dalla vocale ‘I’ avremo ‘SI CALV (se avverto). Se, sempre su base
vocalica, intendiamo la sequenza STLA come ‘SETLA’ derivata a sua volta da S(E)T(E)LA,
la intendiamo voce etrusca rispetto a quelle latina e greca’ possiamo pensare
che essa significhi, su base radicale SIT/SET + LA, il ‘fissa’
dell’atteggiamento di ‘ferma’ (10). Il senso della scritta in caratteri lineari sarebbe allora ‘Se avverto in ferma)…, significato ovviamente monco perché la frase condizionale, con la sola protasi, si completa ovviamente con una apodosi. Resta allora solo da pensare che la
scritta in caratteri lineari si completi con la scritta metagrafica di cui già
sappiamo circa i due tre (C C). Questa potrebbe avere il verbo
suggerito dal cane, che fungerebbe da ideogramma per dire’ aiuto’ perché il
cane aiuta il padrone, il cacciatore, a individuare ciò che sta
nascosto, che c’è ma non si vede (11). Aggiungiamo allora questa voce e la coppia
dei due tre (C C) alla protasi. Si ha: SI CALU SETLA aiuto (12) CC (la doppia
luce) CC (la doppia luce) e cioè ‘se avverto in ferma sono d’aiuto
alla doppia luce, doppia luce. Espressione che si muta in ‘ Se avverto in ferma aiuto la doppia luce continua’. Ultima parola che si ottiene dal e per il fatto che l’espressione in caratteri lineari si compone di tre parole
espresse in tre lingue diverse. E’ questo il doppio tre (CC) nascosto
che cercavamo per unirlo agli altri due. Esso, una volta individuato, consente di alludere ad una
ripetitività (13):
canis - cirrata
(C C)tre (ideogramma astrale: sollevarsi - distendere - curvare) - tre (numerale, i tre puntini) (C C)
tre (lingue) - tre (parole) CC
Il bellissimo bronzetto quindi, al di là del 'decus' (ornamento) assume, in modo del tutto originale, lo scopo fondamentale di offrire una scrittura
formulare nascosta, così come tantissimi oggetti del culto funerario etrusco; ha
lo scopo di ripetere, più volte, il numero magico della luce, numero che se si
nota è 'scritto' in modo totalizzante. Infatti la stessa ripetizione del SEI
non è riportata a caso ma tre volte. Senza contare che la stessa scrittura metagrafica è
improntata alla realizzazione del ‘tre’ sia con il ricorso alla acrofonia,
all’ideografia e alla numerologia sia con l’uso delle tre lingue (greca -latina
-etrusca). Insomma, tutto è pianificato per essere rigorosamente tre,
numero onnipresente, ossessivo che investe magicamente e rende sacro tutto il
manufatto che così diventa un certificato di luce, una garanzia assoluta
che l’aiuto divino consentirà la rinascita del defunto (14).
Resta da dire di un particolare,
quello del ‘mostruoso’ sesso, tanto grande che sembra quasi essere messo a contrasto
con la piccolezza e la statura della bestiola, così da suscitare un senso di avversione per la manifesta ridicola ‘esagerazione’. Questo aspetto indubbio dei
bronzetti ora ridicoli ora grotteschi ora osceni è caratteristico anche della
piccola statuaria nuragica e pitica (15). Ad esso va data, in qualche
modo, una spiegazione, perché è evidente che gli artisti scribi nuragici (16),
quelli pitici e quelli etruschi non raffiguravano piccole opere d’arte
improntate a ‘crudo’ realismo o ad altro che si possa pensare con mentalità
moderna o contemporanea. La spiegazione va ricercata, a nostro parere, in ciò
che si è detto circa la kylix del museo di Berlino contenente la
raffigurazione dell’etera urinante (17), cioè con il ricorso al ‘repellente’ al fine di distogliere lo
sguardo da una osservazione troppo puntuale circa il contenuto. Un accorgimento
contro il ‘malocchio’ nel caso del tentativo di ‘leggere’ e rendere vano il
contenuto positivo del talismano.
Se poi si volesse dare comunque
un significato linguistico ideografico anche alla raffigurazione ‘mostruosa’ del sesso del
cane, essa si può tradurre in ‘eccitazione’. E il senso della scritta
varierebbe leggermente nella protasi: ‘Se in eccitazione chiamo in ferma/ aiuto
la doppia luce continua (Tin/Uni)’.
Conclusioni
Il cane di Cortona è un oggetto funerario, uno dei tanti, di cui l'etrusco si serve per realizzare la formula salvifica dell'aiuto delle divinità della luce, Tin e Uni, perché il defunto possa scansare i pericoli nel suo viaggio verso l'aldilà. La novità assoluta del bronzetto consiste nell'uso particolare della scrittura che non è solo metagrafica a rebus ma anche lineare a rebus. Le due scritture si aiutano a vicenda per rendere una frase condizionale di senso compiuto criptata dove la scrittura lineare rende la protasi e quella metagrafica l'apodosi. E' inutile dire che ci rendiamo ben conto della portata di questa constatazione ai fini della comprensione delle scritte etrusche con il mix delle 'tre' lingue per evitare una facile comprensione del testo. Risulta evidente che difficilmente il mix della scrittura nel lineare può costituire un'eccezione, cioè si trovi in questo unico documento. Possono essere altri i testi in mix linguistico. Del resto, sulla presenza di questo mix trilingue ci siamo già pronunciati a proposito dei documenti 'etruschi' di Allai in Sardegna rinvenuti quasi trent'anni fa e ritenuti, a torto, dei falsi (18). Alcuni di essi mostrano in modo inconfutabile un testo organizzato con l'uso del latino, del greco e dell'etrusco (19). Espediente questo noto nel nuragico dove non poche iscrizioni, si presentano chiaramente trilingui (20).
Note ed indicazioni bibliografiche1.https://maimoniblog.blogspot.com/2017/04/uno-spettacolare-system-etrusco-di_11.html
2. Va da sé che il metagrafico, in quanto scrittura crittata, non di rado resa ostica e quasi inafferrabile, non si presta a vere e proprie ‘traduzioni’. Il mix di ideografia, numerologia e acrofonia non consente sempre di ‘comprehēndere’ sino in fondo. All’inizio è stato difficile far breccia sul system funerario e sull’articolazione ‘normativa’ di esso che fa sì che nella variazione notevolissima e continua delle raffigurazioni si celi comunque sempre lo stesso linguaggio formulare.
3. Ciò diciamo perché lo ‘Apac Atic’ nel tentativo iniziale di ‘interpretazione’ del codice funerario ci sembrava pertinente dal punto di vista numerologico (C C ) perché rendeva il SEI, numero questo che risultava da subito esistente, anche se nascosto, per indicare la divinità Solare/ Lunare e cioè Tin/ Uni. La stessa comparazione con il nuragico (e con il neolitico ideografico delle domus ipogeiche, di cui si dirà), con i documenti ‘etruschi’ di Allai, ritenuti assurdamente dei falsi, spronava a cercare (e ancora sprona) e individuare in quali modi il numero magico veniva espresso.
4. Sarà bene far presente e ripetere che l’acrofonia C C (difficile da capire talvolta nella sua realizzazione su base linguistica) deve sempre essere organica e riguardare una coppia di ‘cose’ in relazione manifesta tra loro. Per esempio, è nota la presenza ossessiva nei sarcofaghi della ‘patna’. La frequenza realizzativa dell’oggetto funerario per la libagione trova spiegazione nel fatto che esso si compone di una circonferenza e di un centro (sempre presente) che rende comodamente in acrofonia (sia greca che latina) la sequenza C C riguardante il sei della divinità astrale. Per ‘organicità’ delle sequenze si veda, tra gli altri oggetti con il system funerario da noi studiato, il recente nostro contributo https://maimoniblog.blogspot.com/2020/02/altes-museum-di-berlino-una-kylix-di_12.html
5. Il ‘cirrus’ (boccolo, ricciolo) è particolarmente espresso
nella raffigurazione metagrafica etrusca per rendere la ‘C’ acrofonica.
Si veda ad esempio il famoso sarcofago di Larthia Seianti di Chiusi.
6. Talvolta la ripetizione non c’è e quindi non c’è
l’ideogramma della ‘continuità’. Nel corpo della nota Hydria (manufatto che io
considero tutto scritto nell’apparente sola decorazione) contenente la scena
dell’accecamento di Polifemo (fig. seg.) il sei (C C) appare riportato
una volta sola (κΰκλωψ + il solito ‘sollevare, distendere e curvare). Molte volte
la ripetizione è data in numero di sei volte onde rendere magicamente tutto continuo
con il numero delle due divinità astrali Tin e Uni.
7. Come si sa sono
tutt’altro che infrequenti le voci del lessico etrusco che gli etruscologi
fanno risalire al greco (o al latino). Esse naturalmente vengono etruschizzate
dal punto di vista fonetico e quindi, il nostro CALV con la ‘V’ finale può
essere stato tranquillamente non riportato con l’omega, suono vocalico che l’etrusco non ha e che trasforma
regolarmente in ‘V’. καλῶ > calu.
8. Si è pensato che l'antroponimo Calustla potesse condurre alla
divinità Calu, un demone raffigurato nell’iconografia etrusca in guisa di lupo
(associato quindi al momento del passaggio del defunto verso l’aldilà). Sempre
la voce Calu si riscontra in alcune iscrizioni etrusche orvietane (TINIA CALUSNA). E si è pensato ancora che il
suffisso sarebbe composto da ‘S’ (genitivo) + ‘TLA’ (forma aggettivale). E infine
si è ipotizzato che l’enigmatica ‘S’ isolata e distinta dalla puntuazione
potesse celare l’abbreviazione del nome SETHRE. Le suddette ipotesi sono state
fatte nostre nel precedente iniziale breve intervento ermeneutico sul cagnetto cortonese.
9. Sul
mix sia nuragico che etrusco si vedano, tra gli altri nostri non pochi contributi,
10. La voce S(E)TLA ovviamente non può non richiamare il nome che si dà al tipo di cane qui
raffigurato ovvero quello di ‘setter’. Infatti, il setter attua di norma la
ferma nel modo in cui è raffigurato il nostro cagnetto: muso leggermente sollevato, zampa
protesa in avanti e più o meno piegata all’interno, posizione del corpo o
leggermente abbassato verso le zampe posteriori (come in questo caso) o seduto o sdraiato (si tenga presente che SETLA non è aggettivo ma sostantivo e indica l'aspetto del cane che sta in 'ferma', manifestandolo con tutte le parti del corpo). Lo
stesso pelo lungo ‘cirratus’ e non corto porta a rafforzare l’ipotesi che qui
si sia di fronte ad un cane setter e contemporaneamente a ritenere plausibile
che la sequenza ‘STLA’ abbia a che fare con la radice indoeuropea ‘SET/SIT (lat. sedeo /sido, ingl. to sit, ted. setzen). Ci
sono alcuni che fanno derivare la razza ‘setter’ dalla ‘spaniel’. Dalla Spagna
poi il setter sarebbe passato in Francia e da qui in Inghilterra. La
testimonianza etrusca (sempre che la nostra ipotesi su STLA sia giusta)
potrebbe però giocare a favore di un luogo d’origine italica e non spagnola della
razza.
11. Il nascosto sotto
ferma del cane allude al ‘negativo’ nascosto, al pericolo che corre il
possessore del talismano se il cane non avvertirà e darà l’aiuto a Tin e Uni
(la doppia luce) per poterlo scansare ed annullare.
12. Il termine etrusco per indicare ‘aiuto’ ovviamente non
l’abbiamo. Ma poco importa perché si sa che la scrittura per ideogrammi
prescinde da una lingua specifica. E' universale. Si può ‘tradurre’ in tutte le lingue senza detrimento
alcuno per il senso.
13. V. anche nota 6. In altri numerosi documenti, dove il 'Sei' è ripetuto in tutto sei volte, l'espressione sarebbe: 'se chiamo in ferma aiuto il Sei continuo Sei'. Ci sembra di capire che viene precisato che quel 'Sei', la 'doppia luce' rimane continuamente 'Sei', sempre all'infinito Sei, mai mutevole nel suo perfetto ritmo astrale eterno. Una sfumatura di non poco conto.
14. https://maimoniblog.blogspot.com/2019/05/perugia-ipogeo-dei-volumni-scrittura.html
15. V. Lilliu G., 2008, Sculture
della Sardegna nuragica (ried. dell’opera del 1966,Introd. di A. Moravetti),
p.324, n.139; p. 328, n.142; p. 344, n.154; p. 345, n.155; p.346, n.156; p.
349, n.159; p.379,n.183; p.382, n.185, ecc. Sull’osceno ed il grottesco nella
raffigurazione riguardante gli ἀναθήματα del santuario dell’Apollo
pitico, si veda Sanna G., 2007, I segni del Lossia Cacciatore. Le lettere
ambigue di Apollo e l’alfabeto protogreco di Pito, S’Alvure ed. Oristano,
ΑΝΑΘΗΜΑΤΑ 4, pp. 423 - 431.
16. Si ricordi che per
noi i bronzetti nuragici non costituiscono degli ‘ex voto’ come li reputa Giovanni Lilliu (Sculture
della Sardegna nuragica,cit.passim) ma ‘certificati’ magici
apotropaici infissi nella ‘tabulae defixionis'.
18. Su detti documenti, rinvenuti dal cartografo
della Regione Autonoma Sarda Armando Saba, si è scatenata da subito una durissima opposizione
preconcetta da parte delle Sovrintendenze sarde, senza valide basi di scientificità, se non il solo 'parere'
dell'etruscologo M. Rendeli dell'Università di Sassari. Opposizione sfociata addirittura in
una assurda denuncia per falso nei confronti del Saba, poi assolto dal tribunale di
Oristano per non aver commesso il fatto (sulla poco esaltante vicenda v. Masia F., 2016, Scrittura nuragica? Storia, problemi e considerazioni, Condaghes ed. Cagliari, pp. 62 - 66). A nulla è valso il nostro fermo
parere (anche in fase dibattimentale in qualità di periti) sulla loro genuinità; parere basato principalmente sul fatto che diversi dei documenti, già
a primo acchito, mostravano di spiegare, con la loro forma ed i contenuti,
alcuni aspetti presenti nei documenti etruschi d'Etruria. Oggi che abbiamo capito non
poco della scrittura metagrafica etrusca con le due impensabili CC
acrofoniche, ossessivamente presenti dappertutto, negli oggetti, nei coperchi e nelle casse
dei sarcofaghi, nelle raffigurazioni delle pareti tombali ecc., i 'ciottoli' di
Allai (talora chiamati così sprezzantemente) aspettano d'essere onestamente rivisitati con una perizia in laboratori scientifici (valida questa soprattutto per i documenti in ceramica) e
considerati attentamente nel loro grande valore documentario.
19. V. fig. seg: CC 3 M(A) VLTEC CC TINETIC (trad. lett.: le due CC con tre 'ma' salutate e le due CC onorate anche'
20. https://monteprama.blogspot.com/2014/12/scrittura-nuragica-gli-etruschi-allievi_10.html
Per quanto mi è dato di capire, la formula salvifica si completa con la parte acrofonica (spiegata nella prima parte dello studio pubblicato l'11 aprile 2017), dalla quale si ricava la natura divina “padre e madre”; che per tanto dovrebbe recitare:
RispondiEliminaSe in eccitazione, chiamo in ferma/ aiuto la doppia luce continua del padre e della madre.
Sì, ma(come dico nel saggio) pur non cambiando il senso oggi preferisco dire il 'doppio luminoso continuo'. E' 'linguisticamente' più corretto perché aderente al testo. Oggi dubito un po' che vi possa essere espresso 'e padre e madre': troppo 'macchinoso' per come l'ho ricavato.
RispondiElimina