Caro Mauro Pili stavolta nella pagina dell'Unione Sarda non hai centrato. La storia della statuaria di Monte 'e Prama non coinvolge solo l'affidamento assurdo degli scavi alle cooperative rosse e ora, si dice, a delle 'società' calabresi. Non c'entra solo la Sovrintendenza cagliaritana e, se si vuole, la cecità (?) del Barrecca. C'entra anche e soprattutto la lentezza e la freddezza iniziale di Lilliu. E c'entra, secondo me, tutta l'archeologia sarda che, 'more solito', minimizzò, ora per timidezza congenita ora per sudditanza psicologica (
la Sardegna sempre 'minima' per contributi e le civiltà 'superiori' sempre 'superiori'). Ma forse anche per il timore 'politico' dell'impatto della scoperta sulla coscienza autonomistico/indipendentistica dei Sardi (più tardi questo timore, espresso come reale, si palesò in una ormai famosa lettera a Sergio Frau da parte della dott. Bietti Sestieri funzionaria dell'Istituto Italiano di Storia e Protostoria di Firenze).
Le pp. 397 - 401 del cap. 10 di
Sardoa grammata.
Quando scrivemmo (v. supra) il cap. 10 di SARDOA GRAMMATA (Il tempio nuragico a 'colonne solari' di Monti Prama di Cabras e i sacerdoti guerrieri figli del dio yhwh, pp. 395 - 411) erano passati cinque anni dal momento in cui col compianto Gianni Atzori, dopo un fugace sopralluogo sulla collina, ci eravamo resi conto del come ancora si trattava la 'quaestio' Monte 'e Prama. Cioè con evidente, assurda 'indifferenza', senza il brio e lo slancio accademico delle 'occasioni archeologiche' uniche e irripetibili, senza che nessuno studioso si decidesse a fare semplicemente quello che andava fatto: 'gridare' al mondo con tutti i mezzi e tutti i modi, della scoperta enorme, davvero sensazionale, fatta in Sardegna. 'Gridare al mondo' perché si trattava di un fatto legittimo, in quanto il dato di scoperta non era circoscritto e limitato ad un'isola, ma veramente mondiale, attinente cioè alla cultura storicamente seguita e sempre sotto la lente d'ingrandimento della scienza di tutta l'umanità.
Si lasciò così che pezzi di statue e di parti templari (v. nostre fotografie del 1999 in SAGRA alla p. 57) giacenti ancora nel terreno, scarto evidente di scavi clandestini di quegli anni, restassero a far persino da muretti a secco di un sito (l'agro della Confraternita dal Rosario) senza tutela alcuna, dato addirittura in concessione per lavori di semina.
La nostra indignazione si sfogò in qualche telefonata a degli archeologi e soprattutto in una intervista rilasciata a Radio Cuore, allora una emittente seguitissima nell'Oristanese e non solo. Risultato: nessuno. Interesse zero o quasi. Silenzio di tomba. Oggi non sappiamo se quei pezzi, trovati fortuitamente, furono raccolti e catalogati. Né se mai siano arrivati a Li Punti per il restauro della statue. Ma una cosa sappiamo: che ci fu, nel corso degli anni ottanta e novanta, per colpa di quell'assurdo tiepido (chiamiamolo così) interessamento, una dissennata corsa privata popolare al 'banchetto' archeologico, a causa del quale non pochi in Cabras fecero impunemente incetta di 'teste', di 'braccia', di 'gambe', di pezzi di 'archi' e di 'scudi' e di quanto potesse essere ritenuto, in qualche modo, 'pezzo' con significato (commerciale).
Il 'vero museo' delle statue, si diceva, non era in Cagliari ma nelle case private di Cabras e, forse, di Oristano. La testa più bella in assoluto di un Gigante, finì nelle mani di un segretario di scuola e da lì, come 'regalo' di nozze, ad una coppia di 'torinesi'. Lo confessò al sottoscritto e a Gianni Atzori il detto segretario in un incontro tenutosi in casa sua. In Cabras era nella bocca di tanti che i pezzi delle statue venissero asportati dal 'monte' nottetempo addirittura con i carrelli di trattore. E si diceva ancora che un carico era finito nello stagno, scaraventato in tutta fretta dagli scavatori clandestini impauriti per un improvviso controllo dei carabinieri o dei barracelli.