sabato 25 dicembre 2021

Buon Natale

 Buon Natale


Buon Natale a tutti noi che in un modo o nell'altro stiamo combattendo, giorno dopo giorno, una battaglia contro i pregiudizi, i paradigmi obsoleti, le ingessature mentali e i Farisei.

Buon Natale a Gigi, Francesco, Stefano, Aba, Caterina, Marina.... e  quanti altri... tanti.

Buon Natale a chi ci sostiene e, con fiducia, ci segue. Sarebbe lungo l'elenco, e di certo non esaustivo.

Buon Natale a tutti coloro che in un modo o nell'altro, pensando di ostacolarci, cercano di scalfire il nostro entusiasmo. Grazie di cuore, perché proprio questo è il carburante che ci rende più vigorosi e imperterriti nei nostri studi.

Buon Natale alla verità storica che giorno dopo giorno stiamo rievocando con le nostre scoperte.

Ma ci pensate che dopo 3000 e passa anni, possiamo rifesteggiare la nascita del torello il 21 di dicembre; possiamo rifesteggiare il 21 di aprile, possiamo rifesteggiare dei riti, presunti "pagani", che di pagano hanno solo il punto di vista. Ci pensate che possiamo rileggere (dissacrandole ne siamo consci) formule apotropaiche e inni privati alla divinità. 

Buon Natale. Buona "Rinascita".



3 commenti:

  1. Che bello! Scopro che posso pubblicare commenti qui dallo smartphone (cosa che da ormai qualche anno mi risultava impossibile), perciò approfitto per incollarne uno scritto stamane in una discussione su Facebook con scettici in merito all’uso della scrittura tra gli antichi Sardi. Nulla di nuovo, specie su questo blog, ma mi sembra abbastanza utile come cornice e traccia per chiunque si accosti al tema (nessun sardo scriveva?) e per proporre un confronto (con gli scettici, appunto). Sempre a proposito, inoltre, della battaglia contro i pregiudizi e i paradigmi obsoleti (e le ingessature mentali e i Farisei).

    Nelle università (veniva opposto nella discussione, intendendo ci fosse da fidarsi di questa valutazione) nessuno crede che gli antichi sardi sapessero scrivere.
    Ora, l’ultima seria pubblicazione accademica sull’argomento resta il saggio del Prof. Zucca, risalente a prima della divulgazione (invero minima) dei risultati della termoluminescenza sulla barchetta di Teti (sapremo, qui, di cosa stiamo parlando). In seguito il professor Zucca ha pubblicamente dichiarato la sua ritrattazione: il reperto é autentico e le incisioni precedono la cottura, quindi è da giudicarsi attendibile la stima archeologica al IX-VIII secolo a.C.; la presenza tra i grafemi di un segno a pugnaletto nuragico rende il reperto, realizzato nel cuore della Sardegna, assolutamente da prendere in considerazione, insieme ad altri (molti o pochi) che potrebbero non lasciarlo un unicum.
    Il progetto, da prima della pandemia, era quello di studiarlo e studiarli, insieme al professor Perna, nel CIRCE di Oristano (Centro Internazionale di Ricerche sulle Civiltà Egee. È evidente che l’Accademia ha i suoi tempi (ma, potremmo dire, anche le sue resistenze).
    Di fatto, non avere ancora dubbi sulla validità del dogma secondo cui i Sardi non utilizzavano la scrittura prima dei Fenici in Sardegna dovrebbe giudicarsi oggi una posizione non aggiornata.
    Questo dogma poteva sembrare fondato quando si riteneva che i nuraghi fossero stati progettati da Dedalo, che i Sardi non navigassero e che i bronzetti fossero stati realizzati dai Fenici (nemmeno escluderei che le più belle Domus de Janas venissero attribuite agli Etruschi): Ora si dovrebbe sapere che Dedalo sarebbe vissuto quando già i nuraghi lo salutavano; che i Sardi navigavano almeno dalle coste del Portogallo (a Occidente) fino a tutto il Mediterraneo orientale (che le Domus de Janas vengono due millenni prima degli Etruschi). E i bronzetti, chi si crede ce li abbia regalati, oggi?
    Dovrebbe quindi ormai apparire più “strana” (improbabile?) la possibilità che i Sardi, avanzati come sappiamo quanto al resto (senza dilungarci: architetture), fossero davvero estranei alla scrittura, quando avevano tutte le relazioni che oggi (grazie agli archeologi) conosciamo con popoli che certamente la utilizzavano.
    Protosinaitico e Protocananaico sono due antiche scritture (coeve alla antica Civiltà sarda) riconosciute dall’epigrafia internazionale, nonostante ancora indecifrate e basate su un corpus di reperti molto ridotto (raccolto inoltre e acquisito, pare, senza andare troppo per il sottile): é certamente un riconoscimento aiutato dal fatto che si tratta di scritture storicamente e geograficamente tra Geroglifico e Fenicio.
    Il punto sembra allora che la Sardegna debba ancora trovare il suo autentico posto nella geografia e nella storia antiche, processo ritengo avvicinato (nonostante le spinte uguali e contrarie suscitate) dalle riletture dei dati di Frau (quanto, per semplificare, alla geografia; tsunami a parte) e del Prof. Ugas (identificazione, tra i Popoli del Mare, quantomeno con gli Shardana).

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  2. Caro Francesco mi domando quale impedimento possa ostacolare l’acquisizione del dato, ormai accertato da una miriade di prove, che vuole la scrittura essere appannaggio anche della civiltà nuragica.

    L’impedimento si chiama, a mio parere e mi limito a questo: “applicazione sbagliata del paradigma consolidato” che vuole la scrittura quale veicolo del “solo” scambio di informazioni di pari livello, tale che i soggetti coinvolti sappiano agire di conseguenza.

    Facciamo un po’ di chiarezza, perché vi è la convinzione da parte di alcuni (molti) tra le altre, che qui si voglia sostenere che la scrittura sia stata inventata in Sardegna e utilizzata in modo diffuso da chicchessia.

    Vediamo di rispondere ad alcune domande.
    Quello sardo era un alfabeto inventato in Sardegna? NO
    Quella sarda era una scrittura ad ampia condivisione? NO
    Quella sarda era una scrittura laica? NO
    Quella sarda era una scrittura sacra? SI

    La risposta affermativa all’ultima domanda può togliere di mezzo tutte le perplessità.

    Nel momento in cui la scrittura è dedicata alla sola stesura di messaggi a senso unico tra l’uomo e la sua divinità (vedremo più avanti che non è esattamente così) è lecito pensare che nessun essere umano estraneo alla formula sacra dovesse conoscere il significato di quelle parole. Era, quella, una corrispondenza del tutto privata e per tanto nascosta agli occhi di persone potenzialmente malvagie. Ecco che in un contesto simile è necessario escogitare tutti quegli espedienti atti a nascondere il più possibile la formula apotropaica (perché di queste sostanzialmente si tratta).

    Come si poteva fare; e perché si doveva nascondere ma non impedire in senso assoluto la lettura del testo?

    Per quanto riguarda la segretezza del messaggio, di certo i depositari della scrittura/lettura erano sostanzialmente quei personaggi deputati a veicolare le formule sacre; ossia i sacerdoti. Essi potevano di certo escogitare un loro personale metodo cifrato, noto solo al singolo e alla “divinità”, e tramite quello confezionare delle formule apotropaiche per proprio conto o richieste dai fedeli. Questo di certo era il metodo più sicuro di confezionare queste frasi, perché in fin dei conti, avendo certamente individuato tra le tante caratteristiche della divinità, quella di essere onnisciente, di certo Ella, la divinità, non aveva alcuna difficoltà a leggere quel messaggio cifrato. Per tanto lo scriba avrebbe potuto utilizzare qualsiasi sotterfugio per nascondere la formula sacra usando, ad esempio, solo ideogrammi, oppure solo segni astrusi comprensibili solo a lui o entrambi i metodi. In questo modo vi era l’assoluta garanzia che la formula segreta non fosse letta da altri se non dalla divinità.
    In una siffatta situazione però, si correva il rischio di perdere, almeno, la comprensione di quel messaggio.

    Mi si dirà: poco male, tanto il messaggio doveva arrivare solo alla divinità?! Eh già! Però qualche manufatto poteva recare una formula maligna, e se quella fosse entrata senza controllo a far parte, col suo supporto, del corredo di un luogo sacro, avrebbe scatenato forze malvagie; e questo perché proprio nel luogo sacro o addosso alla persona, la formula apotropaica esprimeva tutto il suo potere e la sua validità positiva o negativa che fosse.
    Ecco perché era necessario che i codici scrittori fossero condivisi dai detentori della scrittura/lettura sacra. A loro, gli scribi, era demandata la scrittura delle formule, ma anche la lettura di formule altrui e quindi la loro certificazione.
    Per tanto era necessario introdurre delle regole codificate, quelle regole individuate dal Prof. Gigi Sanna in quella da lui chiamata: “griglia di Sassari”.
    Questo vale per la scrittura nuragica, quanto per quella metagrafica etrusca.
    Ecco che il supporto essenziale e naturale delle formule apotropaiche è necessariamente il rebus: una scrittura sotto gli occhi di tutti ma palese solo a chi conosce la chiave di lettura, in un contesto nel quale l'uomo è "nudo" davanti al suo dio e pone la propria vita nelle sue mani.

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