domenica 4 marzo 2018

L'ipogeo di San Salvatore di Sinnis 2°

Vedi: L'ipogeo di San Salvatore di Sinnis 1°


Di Sandro Angei

Seconda parte

A San Salvatore di Sinnis
il sincretismo va contro corrente
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Fig. 0

La scrittura esposta all'attenzione del lettore occasionale, quale che sia il luogo e il motivo che presiede alla formulazione di un testo, non può prescindere da una forma e da un segno grafico tali da qualificarne l'immagine. Questa infatti serve ad attirare l'attenzione sul messaggio proposto e ad accrescerne il suo prestigio, per prolungare nel tempo l'efficacia dei contenuti.
Sono parole di G. G. Pani, tratte dal suo saggio “LA TABVLA ANSATA E IL SUO SIGNIFICATO SIMBOLICO (*)” 1.

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Chiedo al lettore di volermi dare tutta la sua pazienza nel leggere questa lunga trattazione; in cambio spero di dare arricchimento ed entrambi ricevere gratificazione.
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Nella prima parte dell'articolo dedicato all'ipogeo di San Salvatore di Sinnis abbiamo studiato e tentato la decifrazione del monogramma RF... o meglio RFh. In questa seconda parte prenderemo in considerazione una composizione scrittoria che a prima vista sembra di carattere prettamente romana ma che nei dettagli, come vedremo, riporta alla scrittura nuragica. Stiamo parlando di quella che in campo epigrafico latino è definita “tabula ansata” e che abbiamo individuato, negletta, nell'ipogeo. Negletta perché, non un cenno ad essa da parte di chi studiò il sito. D'altronde, per quanto ci risulta, solo G. G. Pani, ha studiato con dovizia di argomentazioni il particolare supporto scrittorio. Ciò non giustificherebbe comunque la mancata notazione dell'elemento; ma è probabile, al pari di altri segni “notevoli”, anch'essi ignorati, sia stato relegato al rango di semplice “decorazione”. Comunque sia il libretto a firma di A. Donati e R. Zucca, intitolato “L'ipogeo di San Salvatore” C. Delfino Editore, non aveva quale obiettivo quello di studiare l'intera schiera epigrafica del monumento; per tanto consideriamo pure giustificata la mancata segnalazione.

Significato della tabula ansata
In bibliografia leggiamo che la tabula ansata fu usata in principio in ambito militare2; poi si estese al tema votivo e funerario, non mancando esempi in campo edilizio nella marcatura di laterizi, e in campo commerciale per mera pubblicità. Quest'ultimo utilizzo delle tabulae lo riscontriamo nel c.d. Piazzale delle corporazioni a Ostia “dove si è voluto sottolineare l'aspetto propagandistico che i corpora e le associazioni dei navicularii et necotiantes avevano dato alle immagini riprodotte nei mosaici.3 .
   Sembra che la tabula ansata fosse in origine una sorta di cartiglio, in metallo o legno, ad uso militare. In sostanza all'interno del riquadro rettangolare vi era scritto il nome distintivo della legione o della coorte; ma non solo, in certe occasioni, quale quella celebrata nei rilievi dell'arco di Tito (Fig. 1: trionfo per la vittoria nelle guerre giudaiche), essa veniva esposta “forse nell'intento di aggiungere alla rappresentazione della vittoria sul nemico il potere espressivo della scrittura.4

Fig. 1

La tabula ansata (come ci è stato spiegato dall'amico Matteo Corrias), similmente alle cosiddette “tesserae hospitales”, veniva ostentata per essere riconosciuti.
Questa similitudine, suggerita da Matteo, potrebbe legare in modo stretto e vincolante tabulae ansatae e tesserae hospitales? In sostanza potrebbe l'una derivare dall'altra?
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A questo punto è necessario aprire una parentesi a riguardo delle tesserae hospilates.
Vediamo cosa scrive in proposito il filosofo Virgilio Melchiorre nella introduzione al suo studio “L'immaginario simbolico”5: “...σύμβολον indicava, com'è noto, una tessera ospitale in cui si riconosceva il legame tra famiglia e famiglia, tra città e città: un oggetto spezzato, due metà che gli ospiti ricomponevano e nella cui riunione accertavano, pur dopo lunga assenza, una comunione e un patto amicale (tesserae hospitales)”, allo scopo di intendere, a livello filosofico “l'insieme ricostruito, come l'unità ritrovata delle due metà.” Da questa introduzione si percepisce l'essenza filosofica delle tesserae hospitales e di conseguenza delle tabulae ansatae, se effettivamente le une discendessero dalle altre.

Le tesserae hospitales servivano, per tanto, a suggellare un patto di ospitalità tra individui, famiglie o comunità allo scopo di avere buona accoglienza e ospitalità. Portiamo il caso rilevato in “Las tesserae hospitales latinas de Hispania. tipologia, distribucion y fatronazgo”6 dove la tessera hospitale suggellava un patto di ospitalità tra il municipio romano di Cauca e l'insediamento di Amallobriga (134 d.C.).
Se osserviamo le tesserae riprodotte in fig. 2 (tratta dalla pubblicazione in nota 6), spiegate nella loro funzione dal Prof. Virgilio Melchiorre (vedi nota 5), ci si rende conto che le tesserae, essendo composte da due parti spezzate o da due gemelle, per adempiere alla loro funzione dovevano essere unite o avvicinate per suggellare il patto di ospitalità.
Alcune tipologie di queste tesserae erano fornite di manici (anse) per poter essere esposte (sicuramente i n° 17, 18, 19 di Fig. 2).

Fig. 2 – Immagine tratta dall’articolo di nota (6) pag. 533
Chiusa parentesi.
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   Il concetto su riportato potrebbe essere alla base della forma delle tabulae ansatae, che però non manifestano il significato pratico di “ricongiungimento”, come nelle tesserae, ma esprimono chiaramente quello intenzionale di esposizione ed enfatizzazione della scritta7. Possiamo dire però che se riusciremo a dimostrare che le tesserae hospitales originarono le tabulae ansatae, sarebbe insito in queste ultime il concetto filosofico di “ricongiungimento”. Significato filosofico, spiegato (e già detto) per le tesserae hospitales dal Prof. V. Melchiorre, che possiamo facilmente trasporre nella tabula ansata, specialmente quella a carattere funerario, dove di fatto l'esposizione celebrerebbe, sotto gli auspici divini, il “ricongiungimento” del defunto con chi, nel luogo ultra terreno, lo attende.
Da quanto leggiamo nei vari testi consultati, si ha l'impressione che la tabula ansata sia scaturita dal nulla a partire dal 1° secolo a.C., in quella forma già compiuta e definitiva. Ma alla base di quella forma, per quanto scrive nel suo saggio, G.G. Pani vede “il motivo della tabula ansata, non più come oggetto a sé stante, ma quale segno e immagine di scrittura. Il valore simbolico, pregnante, prende il sopravvento sull'aspetto tecnico e pratico dell'istrumentum”. Prosegue scrivendo che nel corso dei secoli fino all'età moderna “si è continuato ad applicare un titulus con le anse là dove era necessario dare un valore particolare al messaggio scritto esposto all'attenzione”. A tal proposito il Pani continua: “Per esemplificare e ridurre all'essenziale il tutto, consideriamo un esempio, il più significativo: la targa di bronzo affissa sotto un donario di Antas, in Sardegna [omissis]. La dedica è la seguente: Sardo Patri / Alexander / Aug(usti) ser(vus) / regionarius / d(ono) d(at) [vel d(edit)]. L'oggetto è databile ai primi decenni del III sec. d. Cr. L'istrumentum epigrafico di cui ci si è serviti per accompagnare il dono alla divinità è la tabula ansata. ...”. Il Pani poco dopo continua scrivendo che “E' evidente comunque, nel donario di Antas, la funzione didascalica della tabula. Essa costituiva parte integrante dell'oggetto donato, in quanto esplicava e rendeva manifesta la divinità alla quale era dedicata l'offerta, il dedicante con la sua qualifica, e l'azione del dono. Nello stesso tempo forniva un'immagine ufficiale della scrittura, che veniva a costituire agli occhi del lettore un quid di immateriale che prendeva forma e contenuto attraverso l'istrumentum epigrafico.” In modo sorprendente il Pani sembra descrivere la tabula ansata dell'ipogeo di San Salvatore di Sinnis che, come vedremo più avanti, con tutta evidenza manifesta quel “quid di immateriale” attraverso i logogrammi all'interno delle anse.

L'epigrafe di Antas è un dono alla divinità, in ragione di ciò ci sentiamo autorizzati a credere che, almeno nei contesti di carattere templare, la tabula ansata rimarcasse l'importanza del dono elargito dal fedele.
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Il dono è ciò che si da ad altri volontariamente, senza esigere prezzo o ricompensa, né restituzione; eventualmente solo un contraccambio in termini di predisposizione alla benevolenza della controparte; esso è alla base della reciprocità; uno scambio gratuito che apre le porte all'alleanza, all'amicizia, al tributo amorevole. In ragione dell'alleanza, dell'amicizia, forse anche della sottomissione volontaria ad una entità superiore, il dono non è mai anonimo. All'interno dell'istrumentum è scritto il nome del donante, del dono e del recettore. In questa accezione possiamo intravvedere quale “dono” l'iscrizione su tabula ansata in ambito funerario. Il defunto viene consegnato (donato) alle anime benevolenti (Dei Mani). Nulla viene chiesto in cambio se non in termini di benevolenza nei confronti del defunto e di chi, rimanendo su questa terra, auspica benevolenza nel momento del proprio trapasso. Stesso discorso vale per la tabula di Antas. Per quanto riguarda l'uso in campo bellico, similmente a quello funerario, è verosimile che la tabula esponesse il nome della coorte d'appartenenza del singolo militare, in modo tale che egli non perdesse la vita in modo del tutto anonimo, ma fosse riconoscibile per la sua appartenenza ad un "gruppo" e in tal senso, celebrato.
Da ciò rileviamo un aspetto antropologico legato al soprannaturale, che potrebbe essere scaturito da semplici sentimenti umani di mutua amicizia e ospitalità, traslati nella sfera della sacralità. Qui entra in gioco la tessera ospitale e la sua carica filosofica, così come ci è stata spiegata per sommi capi dal filosofo Virgilio Melchiorre.

   In ragione di ciò è molto probabile che sin dall'origine la forma della tabula ansata fosse dettata non da mera praticità funzionale, come nel caso delle tesserae hospitales, ma da un significato simbolico legato alla esposizione di un dato: fosse questo il nome di una coorte in battaglia8, del defunto in una urna funeraria o del fedele in un donario. In sostanza, e detto terra terra, il messaggio era: “Questo sono io” sotto gli auspici divini di amicizia9, ricongiungimento e ospitalità.
Torniamo a quella che era la funzione originaria di quella forma “con anse” o, come le chiamavano nel mondo anglosassone, senza troppi giri di parole: “handles”, ossia tavole con “maniglie” (come suggerito da Matteo). Evidentemente se trasliamo la funzione delle maniglie delle tesserae in quella delle tabulae, anche in queste ultime, benché in senso figurato, sarebbero servite a “sosteneresimbolicamente la tabula inscritta. Vocabolo: “sostenere”, del tutto legittimo se inteso quale approvazione e certificazione divina.
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Datazione della tabula ansata
Come detto, nella ricerca di dati ci è parso di capire che la tabula ansata sia comparsa all'improvviso nello scenario storico (metà del 1° sec. a.C) e ciò ci pare inverosimile; ma per quanto ci siamo sforzati di cercare, abbiamo trovato una sola attestazione, che potrebbe asseverare la tabula ansata ad un periodo antecedente la Roma imperiale10. Il dato è stato trovato in una citazione all'interno di uno studio di Giovanni Colonna11, nel quale in nota 3 di pag. 651, che rimanda alla tavola di Fig. 7 (di quello studio) con relativa lista di riferimento bibliografico a pag. 655, scrive che: “... il n° 25 (della lista da lui riportata), inciso su di un kantharos di bucchero certamente ceretano per lo stile delle raffigurazioni, di cui l'iscrizione, inserita in una sorta di tabula ansata, è parte integrante;...” (mio il sottolineato ndr). Da notare che il kantharos menzionato è ascritto al 630 a.C.. L'iscrizione è documentata in Pallottino – Testimonia Linguae Etruscae edizione 1968 (TLE2), dove troviamo i necessari riferimenti12. In sostanza in virtù di questo documento (Fig.3a) si affaccia l'idea che il periodo di utilizzo della “sorta di tabula ansata” non risalga all'inizio della Roma imperiale ma almeno, in ambito etrusco, a 600 anni prima.
 Fig. 3a - kantharos etrusco da Metropolitan Museum New York

Fig. 3b

Nel kantharos l'iscrizione recita: “MINI SPURIAZA [TEITH] URNAS MULVANICE ALSAIANASI”. In pratica il kantharos è un dono. Se dovessimo dar retta a quanto scritto da Valter Bianchi nel suo saggio: “L'interpretazione comparativa della lingua etrusca con saggi interpretativi di iscrizioni di dedica ed appendice comprendente i saggi d'interpretazione dei maggiori testi13 l'iscrizione si dovrebbe leggere: “MINI SPURIAZA TEITHURNAS MULVANICE ALSAINASI” col significato di “Dovendosi esternare l'intenzione di (buon) vicinato (un dono) è stato apprestato dagli Alsiani”, si potrebbe ravvisare una connotazione alquanto stringente tra significato del testo etrusco ed il supporto nel quale esso è inserito. In sostanza, con estrema cautela, dettata dalla nostra totale ignoranza nel valutare l'attendibilità della traduzione proposta da Valter Bianchi, possiamo avanzare l'ipotesi che nel kantharos custodito al Metropolita Museum di New York non sia incisa una tabula ansata, ma una tessera hospitales. Questa precisazione restituirebbe il giusto significato a quella singola “maniglia” (ansa), che ha dettato l'interpretazione riportata da Giovanni Colonna “sorta di tabula ansata” (vedi nota 11); che sin dall'inizio non pochi dubbi ha provocato in me per via della forma d'incertezza (sorta) usata nella sua descrizione. Ma al di la della interpretazione giusta o erronea di Walter Bianchi; il kantharos è un dono che potrebbe essere stato veicolo, a doppio senso, di ospitalità.

   Un secondo indizio vogliamo qui portare a sostegno della nostra ipotesi temporale. Un reperto che potrebbe addirittura essere l'archetipo sia delle tesserae hospitales che delle tabulae ansatae.
   Nel Museo Archeologico Nazionale di Firenze è custodita la cosiddetta “tavoletta di Marsiliana”, che secondo l'interpretazione datane, sarebbe “una tavoletta destinata alla scrittura: le lettere venivano incise con uno stilo sulla cera spalmata nella parte incassata del supporto. Sul bordo reca un alfabeto di 26 lettere, scritte da destra verso sinistra” (Fig.4). La tavoletta Etrusca è datata al 675-650 a.C.14.
   In sostanza la tessera e le tabula altro non sarebbero se non l'evoluzione della tavoletta scrittoria; la cosiddetta tabula rasa15. Se ciò risultasse vero, ancor di più le maniglie sarebbero funzionali all'uso. Nella tabula rasa etrusca potremmo intravedere il germe filosofico che ha dato origine alle tesserae hospitales e alle tabulae ansatae, dal momento che quella primitiva “macchina per scrivere” dava modo di esternare il pensiero umano, relegato nell'ignoto e insondabile mondo dello spirito (cervello), legato in qualche maniera al volere divino.

   La tabula rasa diventa archetipo della "tessera ospitale" allorquando la divido in due parti lungo l'asse mediano più corto, in modo da avere due parti fornite di maniglie atte a sostenerle per accostarle in futuro; vi scrivo sopra il mio messaggio (dono), trattengo una delle parti, l'altra la consegno quale garanzia e auspicio di mutua amicizia e ospitalità.


Fig. 416

   Queste considerazioni potrebbero sollevare Roma imperiale dalla paternità sulla tabula ansata, ma di certo sono necessarie altre acquisizioni per poter asserire questo con certezza.

La tabula ansata di San Salvatore

Fig. 5

   Se ora trasferiamo i dati sopra enunciati nella tabula ansata dell'ipogeo di San Salvatore, nulla vieta, anzi incoraggia, una lettura in quel senso di questo istrumentum.
Lo scriba tardo-nuragico, che compose l'epigrafe, usò quel simbolismo romano (?!) per comporre una formula salvifica legata al suo credo religioso. In sostanza le due anse “triangolari” (taurine?!), recanti al loro interno due simboli forti del credo nuragico, altro non significherebbero se non: “doppio sostegno”.
Doppio sostengo di chi?
Doppio sostegno di colui che è “luce” e tutto “vede” (occhio raggiato17 nel triangolo di sinistra di Fig. 5) e di colui che è “sorgente di vita” (albero della vita18 nel triangolo di destra), capace di “guarire” (RFh) chi a lui si rivolge per il tramite dell'acqua salutifera e salvifica del pozzo sacro.
   Quel “doppio sostegno” ricorda e rimanda alla scrittura metragrafica etrusca che ormai da tempo il Prof. Sanna ha scoperto e pubblicato a più riprese in questo blog. Scrittura metagrafica che, guarda il caso, ritroviamo nei bronzetti nuragici, tale e quale a quella etrusca, con la sola differenza religiosa. Il bronzetto nuragico di Cavaluppo (Vulci) diventa chiave di lettura della statuaria nuragica, secondo quella che sembra essere la prassi etrusca. Ma questa prassi siamo sicuri sia davvero nata in Etruria? Gli Etruschi almeno dal punto di vista temporale (non volendo alludere alla discendenza biologica), sono “figli” dei nuragici; come sostiene il Porf. Sanna e non solo lui, visto che altri ricercatori, benché per altri motivi, lo sostengono.
   Torniamo ancora per un momento alle due anse laterali per dire che, come accennato in nota (17), il triangolo di sinistra di fatto ha il significato di occhio divino oppure: occhio del toro solare (è lo stesso), e se ciò è vero, similmente l'ansa di destra avrebbe il significato di “toro sorgente di vita” dettato dall'albero della vita. Per tanto colui che “sostiene” è il toro solare sorgente vita. Possiamo aggiungere che il doppio sostegno è sicuro perché tiene ben ferma la formula di invocazione; perché non basta il sostegno; è necessario garantire la stabilità. Il primo (il sostegno) è garantibile con un solo elemento (maniglia) posto ad un solo lato della tabula (o sotto di essa, come nel kantharos etrusco) “con una sola mano che regge”; ma due mani che reggono sono garanzia di stabilità e fermezza19. In questa idea possiamo ritrovare il principio di congiunzione di due tesserae hospitales che darebbero forma alla tabula ansata. In sostanza, in modo del tutto metaforico, le anse sono mezzo di sostentamento e garanzia di congiunzione (rapporto) tra l'uomo e l'entità divina salvifica, sotto la protezione del suo paredro, il toro solare androgino vivificante. Chiaro esempio di ciò lo abbiamo in ambito latino con la adprecatio agli Dei Mani, ai quali era affidata l'anima del defunto; per la quale si auspicava il ricongiungimento presso i propri cari defunti; similmente al ricongiungimento di due persone o famiglie legate da vincolo di amicizia e quindi di ospitalità sotto la protezione divina.
   Per tanto il doppio sostegno sicuro, perché fermo20, garantisce ciò che è scritto all'interno della “tabula”, dove troviamo una composizione anch'essa peculiare: Rfh a sinistra + nome del malato + tre volte Rfh a formare un triangolo virtuale (il terzo21), a destra. Leggiamo per tanto: “guarisce + nome del malato + guarisce Lui.
In sostanza ritroviamo tutti i segni che riconducono alla scrittura geroglifica nuragica:
  • simboli logografici: il sole e l'albero della vita all'interno di triangoli “taurini”;
  • polisemia data dal sole all'interno del triangolo, col chiaro significato di occhio divino;
  • il riquadro/supporto tripartito, simboleggiante sicuro sostegno all’infermo;
  • le scritte lineari agglutinate in legatura e in nesso;
  • la numerologia: tre triangoli, tre lingue: latino, nuragico, ebraico
  • Infine, però non ultimo, ma addirittura primo segnale che denota il rebus nuragico: l'obliquità della tabula ansata (Fig. 5) che suggerisce attenzione alla lettura nascosta.

Infine leggiamo l'intera sequenza così organizzata:
  • lettura del supporto: doppio sostegno sicuro del toro
  • lettura dei logogrammi presenti nelle anse: occhio luminoso sorgente di vita
  • lettura della formula salvifica: guarisce «nome dell'infermo» guarisce Lui.

doppio sostegno sicuro del toro, occhio luminoso sorgente di vita, guarisce «nome dell'infermo» guarisce Lui.

   Nella tabula ansata di San Salvatore ritroviamo i tre elementi distintivi peculiari delle tabulae rasae e della tesserae hospitales ed infine delle tabulae ansatae. Elementi distintivi enunciati sopra a proposito del donario di Antas: nome del donante, dono e recettore. Le due figure: donante e recettore, non sono blindate; ognuna di esse ammette la controparte, in un clima di reciproco rispetto e donazione dettato dall'amicizia. Per tanto il donante è pure recettore e viceversa; altrimenti il messaggio è inutile e il patto alla base della tesserae hospitales sarebbe infranto. Il meccanismo è semplice: io scrivo sulla tabula, tu leggi il mio messaggio e da ciò che suscito in te, ho una risposta in termini reali, con una azione contraccambiante, o semplicemente con l'arricchimento intellettuale di chi riceve il messaggio, che già di per se è azione contraccambiante, perché motivo d'orgoglio del donante (è il caso tipico del maestro che insegnando, dona al suo alunno la sua esperienza, per ricevere in cambio un domani, un uomo istruito e capace). In sintesi donante e ricevente si specchiano l'uno nell'altro.
   Si da per avere e si chiede per ottenere. Sono due concetti alla base dell'azione religiosa votiva e donante. Sembrerebbero due concetti molto distanti tra loro, ma in fin dei conti rispondono alla stesso bisogno. Non scodiamoci dell'aspetto “umano” che traspare dalla figura biblica del Dio israelitico, che ha bisogno di un popolo per esternare la sua potenza divina. Ha bisogno di suggellare con esso un patto di alleanza: tu mi dai assoluta fiducia e rispetto dei miei comandamenti, io ti prometto... etc. etc.
Nella tessera ospitale, il donante e il ricevente sono funzionalmente intercambiabili: ognuno dona e riceve amicizia e ospitalità nel momento del bisogno.
Nella tabula ansata, il donante e il ricevente sono pure intercambiabili. Nella iscrizione di Antas, Alexander dona al Sardus Pater una dedica; evidentemente per avere qualcosa o dopo aver avuto qualcosa in cambio: lui e solo lui, l'individuo Alexander.
In campo militare e funerario il moto è identico; è l'individuo che da e/o riceve.
La tabula di San Salvatore non fa eccezione. La divinità taurina solare nuragica dona la guarigione al fedele che a lui in qualche modo si è invocato. Il fedele, guarito, contraccambia scrivendo, mediante una dedica pubblica e perpetua, quanto grande sia il suo dio, che ha accolto la sua preghiera di guarigione. Lui, uno tra innumerevoli creature umane, è stato oggetto di attenzione da parte della potenza divina salvifica.

Parliamo ancora di cronologia
In ogni modo, dati i caratteri latini, la scritta di San Salvatore non possiamo spostarla nel tempo più indietro del periodo romano. Come non possiamo ascrivere la maggior parte dei reperti sardi, recanti la tabula ansata (ne abbiamo trovato una decina)22, ad una cronologia anteriore a quella di San Salvatore; sempre per il fatto che esse riportano iscrizioni latine. Solo un reperto, di ignota origine, potrebbe varcare quel limite temporale. In: G. Sanna – La stele di Nora, pag. 92, è riportato un cippo (forse in arenaria) nel quale, sopra la raffigurazione di un tempietto in antis a sei colonne, è incisa una tabula ansata appunto. Una tabula ansata del tutto particolare, che non solo sembra anepigrafica ma reca le due anse in modo estremamente preciso, ben distinte dal corpo del riquadro: sono due triangoli, come quelli dell'ipogeo di San Salvatore di Sinnis, nei quali non è difficile vedervi un logogramma di carattere taurino.
Fig.623
Il condizionale, al proposito dell'anepigrafia di quella tabula, a mio avviso ha una doppia valenza. La prima è relativa alla considerazione che, guardando la figura, sembrerebbe che essa (la tabula) non rechi alcun segno di scrittura al suo interno. La seconda, rettorica, allude alla possibile scrittura metagrafica insita nell'oggetto stesso. In sostanza la tabula ansata di cui si parla, essendo anepigrafica nel senso comune della parola, di per se potrebbe essere segno di scrittura; alla stregua del “pugnaletto gammato” e della “Tanit”. E se il pugnaletto gammato ha il significato logografico di “Toro abi che da la vita” e la Tanit ha il significato, pure logografico, di determinativo “Lui/Lei” inerente la divinità androgina taurina soli/lunare; la tabula ansata potrebbe avere, almeno, il significato di “doppio toro che sostiene” se non quello più ampio di “doppio toro che sostiene e dona” la vita, evidentemente, visti i due alberelli posti ai lati del tempio (Fig. 6).
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   Per quanto riguarda la possibile ascendenza della tabula ansata ad un periodo nettamente più antico di quello imperiale romano (che inizia, come noto, nel 1° secolo a.C.), possiamo avanzare, per quanto esposto, solo congetture indiziarie. Ciò non ostante emerge dalle considerazioni di questo nostro studio che lo scriba, che a San Salvatore realizzò la tabula, fosse cosciente dell'intimo significato di quella figura geometrica e in ragione di ciò creò la formula salvifica.
Chi insegnò allo scriba di ascendenza nuragica: i Romani oppure gli Etruschi? Oppure...
Come possiamo auspicare dalla Fig.1, già nel 71 d.C., a Roma la tabula ansata viene esposta secondo il suo utilizzo di carattere pubblicitario, visto che le “maniglie” non servivano alla ostentazione dell'insegna; questa (l'ostentazione) avveniva, in quella particolare funzione, tramite una lunga asta sovrastante l'altezza dei legionari. Parimenti le “maniglie” delle tabulae a carattere funerario, non avevano anch'esse la funzione originaria derivante dalla tabula rasa, essendo scolpite nel marmo, disegnate con tessere musive o altro. Anche in questo contesto è probabile che il supporto fosse legato solo alla esibizione enfatica del dato scritto, tant'è che la dedica agli Dei Mani era eseguita in posizione arbitraria, ora nelle anse, ora nel riquadro rettangolare, altre volte sopra di esso. Solo in quale caso sporadico si registra quello che in effetti era la funzione delle anse; uno di questi è il sarcofago di Audasia Cales, che mostra nel fronte del sarcofago una tabula ansata sorretta da due amorini.24 Si registra inoltre un secondo reperto, che per altro abbiamo avuto modo di incontrare in questo studio, che dimostrerebbe indirettamente l'importante funzione delle anse. Ce lo fa notare ancora G. G. Pani nel suo saggio dove scrive, quale esemplificazione, a riguardo della tabula ansata del tempio di Antas: “... I fori mediante i quali essa (la tabula ndr) era assicurata alla base del donario non sono stati praticati al centro delle anse ma nello stesso corpo della targa, uno al di sopra e uno al di sotto del testo. Si sono volute forse risparmiare le anse perché non garantivano solidità, oppure si sono lasciate volutamente intatte queste «superfici espanse» del titulus? Il carattere simbolico che esse probabilmente rivestivano, in quanto «esponenti» della scrittura, «fattori moltiplicanti» del suo valore, potrebbe trovare in questo esempio una giustificazione.” L'esempio ci pare illuminante ed avvalora la nostra tesi a riguardo della “lettura” simbolica delle anse delle tabulae. Importanza simbolica elevata alla massima magnificenza in quella di San Salvatore, nella quale le due anse sono di primaria importanza, perché non solo, sono attributo della divinità; ma alludendo alla loro primitiva funzione, sono il mezzo tramite il quale, e in modo metagrafico, la divinità esplica il suo potere di guarigione.25
Non abbiamo voluto forzare il lettore, costringendolo, a leggere tutto quel che ci premeva esporre, demandando per tanto alle note in calce parte di questo compito; ciò non di meno vogliamo invitarlo a leggere la nota (25), che riassume per grandi linee il saggio di G.G. Pani, per dire, infine, che le anse di tutte le tabulae pottrebbero avere il significato elementare, quanto di primaria importanza, di “fermo sostegno”.

Conclusioni
La scritta dell’ipogeo di San Salvatore, a primo acchito sembrerebbe la manifestazione di un sincretismo religioso al contrario; ossia la religione nuragica che usa simboli propri della Roma imperiale (tabula ansata) per utilizzarli nel magnificare e chiedere aiuto al proprio dio; ma dalle pieghe di questo studio emerge il dubbio che gli scribi Sardi conoscessero il preciso significato di quel particolare supporto scrittorio e lo usarono quale scrittura metagrafica nascosta, ben prima dell'arrivo dei Romani in Sardegna.
Del significato primordiale di quelle “anse” si è persa la memoria in ambito romano, non in quello sardo evidentemente, dato il fatto che a San Salvatore di Sinnis, Antas e S. Antioco (vedi nota 19) quelle anse hanno ricevuto il loro giusto riconoscimento.

continua

1G. G. Pani - “La tabula ansata e il suo significato simbolico” Saggio pubblicato in “Decima miscellanea greca e romana – fascicolo XXXVI – Roma 1986 – Studi pubblicati dall'Istituto Italiano per la storia antica.
L'asterisco nel titolo fu apposto da G.G. Pani e rimanda ad una citazione di un famoso scrittore italiano. Citazione che qui ci piace riproporre: «Ecco come si sfruttano, in tempo di errori e di ozii nazionali, le menti che vedono giusto e lontano, e le forze che non consentono di poltrire! … I loro affetti, la loro attività si sprecano a rianimare le mummie; non potendo migliorare le istituzioni e studiare ed amar gli uomini, scavano antiche lapidi, macigni frantumati, e studiano ed amano quelli. E' il destino quasi comune dei nostri letterati!». I. Nievo, Le confessioni di un italiano, Milano-Napoli 1952, pp. 816-8147.

2Vedi supra nota 1 G. G. Pani seguendo pedissequamente le notizie consolidate nel tempo ritiene, benché in modo dubitativo, che la tabula ansata abbia avuto origine in ambito militare.
3Vedi supra nota 1 pag. 437

4Vedi supra nota 1 pag. 431

6Àngel Rojo Rincón – Las tesserae hospitals latinas de hispania. Tipologia, distrbucion y fatronazgo,

7Non a caso abbiamo citato all'inizio dell'articolo, l'incipit del saggio di G.G. Pani (vedi nota 1).

8G.G. Pani è di altro avviso, infatti avanza l'ipotesi, con molta prudenza, che “L'instrumentum può dunque aver trovato la sua prima applicazione, se non la stessa invenzione, nell'ambiente militare, ...” Vedi saggio nota 1 pag. 431.

9Amicizia intesa nel senso più ampio e filosofico del significato, quale sentimento di comunione tra due o più persone, unite da affetti e da interessi, ispirata da affinità di sentimenti e da reciproca stima.
Da: Treccani Dizionario di Filosofia: Il termine amicizia, in greco φιλία, si incontra nella filosofia greca dapprima come concetto fisico in Empedocle con il significato di forza cosmica, e insieme anche di divinità, che spinge in armonica unità gli elementi (aria, acqua, terra, fuoco).

10La ricerca sul WEB di documentazione inerente la tabula ansata ha dato risultati piuttosto deludenti. In sostanza traspare da alcune considerazioni, didascalie e spiegazioni, allorquando si avanza una datazione, che la forma della tavola sia presa dagli studiosi quale sicuro  terminus non ante quem. Per tanto un reperto di tal fatta non viene quasi mai riportato ad un periodo anteriore alla Roma imperiale. Nei pochi casi in cui mi sono imbattuto non ho avuto la possibilità di verifica. Mi sono imbattuto in particolare nella descrizione della tabula ansata in Wikipedia in lingua tedesca che recita: “La più antica tabula ansata è stata trovata a Larisa in Grecia . È un'iscrizione votiva al dio Enyalios del VII secolo a.C.. Del 6 ° secolo aC . è noto un bronzo inginocchiato da Olympia”. Di queste due attestazioni non ho trovato alcun materiale di studio, né immagini sul WEB.

11Giovanni Colonna - Una nuova iscrizione etrusca del VII secolo e appunti sull'epigrafia ceretana dell'epoca in “Mélanges d'archéologie et d'histoire, tome 82, n°2, 1970.” http://www.persee.fr/doc/mefr_0223-4874_1970_num_82_2_7609

12Il kantharos è rubricato in Rivista di Studi Etruschi XXXIV pag. 403 ed è custodito presso il Metropolitan Museum di New York. La dedica con tutta evidenza è scritta all'interno di quella che sembrerebbe proprio una tabula ansata sorretta da una figura umana con un cervo nelle vicinanze. Sarà un caso ma il cervo, che sembra brucare vicino ad un alberello “della vita” sembrerebbe, piuttosto, aiutare l'uomo nel reggere, con le sue possenti corna, la tabula in corrispondenza del “manico”. A ben vedere qui troviamo il concetto di “doppio” sostegno suggellato dalla presenza e aiuto del cervide.

15Se l'interpretazione data al reperto etrusco fosse veritiera, dobbiamo togliere un altro primato ai Romani, ai quali in tutti i libri di storia viene attribuita l'invenzione della tabula rasa o tavoletta cerata.

17 Il sole all’interno del triangolo è simbolo universalmente noto dell’occhio di Dio che tutto vede, interpretato in tal senso anche dal Prof. Sanna a riguardo della lastrina in osso di Monte Sirai, su http://monteprama.blogspot.it/2015/03/f-barreca-lastrina-ossea-con-divinita.html .
Quale reperto di carattere prettamente nuragico segnaliamo il concio di trachite del pozzo sacro di Genoni, il quale reca all’interno del triangolo una spirale , chiaro segno di “divina luce immortale”.


18 logogramma attestato nella scrittura nuragica ad esempio nella pietra della capanna di Perdu Pes di Paulilatino. Nel nostro caso l'alberello è inteso in senso logografico/ideografico: in segno una parola o un concetto.


19Lo stesso concetto sembra sia espresso nel kantaharos ceretano del Metropolitan Museum di New York. Vedi nota 12.

20In: A. Taramelli Scavi e scoperte Vol.4 pag. 53. C. Delfino Editore. Troviamo una epigrafe davvero significativa con tabula ansata. Questa è posta in un ipogeo con sepoltura giudaica della necropoli di S. Antioco. La tabula ansata reca al suo interno una scritta in caratteri latini; mentre all'esterno, affianco alle anse è riportata una scritta in caratteri ebraici con progressione da sinistra verso destra. La scritta di sinistra, su tre righe, recita: “šalom ˁal yšrˀael” “pace su Israele”. La scritta di sinistra, composta su due righe ripete la parola: ˀamen ˀamen. Come al solito siamo andati a consultare un dizionario di ebraico biblico e alla voce אמן leggiamo quale primo significato: Essere fermo, resistente, solido, consistente; essere stabile, costante, duraturo, durevole, perenne; essere fedele, affidabile, degno di fiducia; essere sincero, verace, veridico, attendibile, autorevole; cronico, accanito, persistente; sostenersi, mantenersi, durare. Con grande sorpresa l'iscrizione giudaica reca l'intimo significato delle anse della tabula. Quella fermezza, stabilità, costanza, immortalità e affidabilità; nonché pace, amicizia e ospitalità, che ritroviamo quale peculiarità di tutte le tabulae ansatae e in tutte le tesserae hospitales.

21 Si notino i tre triangoli, due evidenti e uno virtuale


22Claudio Farre – Geografia epigrafica delle aree interne della Provincia Sardinia – Sandhi Edizioni 2016.

25G.G. Pani nel suo eccellente saggio riesce a dare una chiara e vivida immagine di quella che era nella Roma antica la funzione e il simbolismo legato alla tabula ansata. Tabula che col passare del tempo, però, diventa una sorta di insegna, simile a quelle del nostro mondo consumistico. Riesce a cogliere il significato simbolico dato da quel particolare cartello scritto, intuisce l'importanza di quelle due maniglie, però non riesce ad individuare il motivo che sostanzialmente ha dato origine alle due anse (forse ciò esulava dal compito prefisso). Per tanto concentra tutti i suoi sforzi su ciò che “appare”; ossia le tracce evidenti, lasciando inesplorata la strada che conduce ai motivi originali di quel particolare supporto scrittorio. In questa atmosfera scrive il Pani, e ad una lettura superficiale, egli è convincente nelle sue asserzioni, tant'è che la frase che ho riportato all'inizio di questo studio è di primaria importanza nella comprensione del significato simbolico della tabula ansata, ma non è esaustivo.

6 commenti:

  1. Angei, questa cosa è seria assai.

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    1. Mi scuso per il ritardo ma causa di forza virale mi costrinse al giaciglio.
      Caro Francu, vedo un tuo commento stringatissimo ma eloquente, che mi da quel “quid” di energia gratificante che non guasta mai. Di certo ripensando a quanto scrivesti nel mio primo componimento: ricordi su Monte Prama “Poi il buio”? Il commento più o meno fu: Sembra scritto in italiano col traduttore di Google!” 30 aprile 2014 ed è passata tanta acqua sotto i ponti. Allora non pensavo di studiare per scrivere. Ora l'esigenza di scrivere è dettata dallo studio... sempre più invadente nel mio scrivere. Forse questo scrivere non somiglia più al risultato di Google traduttore, ma sicuramente impegna chi vuole capire, a leggere per forza le note, perché il testo è quasi tutto risultato di quelle.
      Grazie Francu

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    2. Non ricordavo quel mio commento. Ti assicuro però, allora come oggi, è quello che pensavo. Solamente un'opinione, comunque.
      Vedo che ti ha stimolato a curare l'esposizione delle tue argomentazioni.
      In fondo, sono rimasto un povero maestro di scuola cun su focili, come l'asinello che gira intorno a sa mola.

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  2. Abbiamo già ricordato che sul frontone dell’Accademia (la scuola di Platone) si dice fosse scritto: “Nessuno entri che non sia geometra”.

    Queste parole si sono prestate altre volte a elogiare articoli di Sandro, ma ancora (avviso) mi piacerà ricorrervi per nuovi studi che ci vorrà regalare, quando saranno altrettanto ricchi e profondi (qual'è 'l geomètra che tutto s'affige per misurar lo cerchio) e non mi lasceranno altro da aggiungere.

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    1. Caro Francesco, dopo questo tuo commento tutti i geometri del mondo saranno orgogliosi di essere tali. Vero è che, se alla scuola di Platone potessero entrare solo i geometri, ci sarebbe ben poco da filosofeggiare in quella Accademia! D'altro canto la nostra Accademia il geometra, non solo non lo fa entrare al suo interno e non ci parla; ma forse neppure lo vede! Però, forse lo legge; perché in fin dei conti anche questo articolo segue la rigida legge della tabula rasa, quella ospitale e quella ansata: “tra chi scrive e chi legge si instaura un mutuo rapporto che arricchisce tutti... a prescindere!”
      Francesco, tu menzioni Dante?! Io menziono Toto'!

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    2. Si racconta che la prima cosa che impressionava di Platone fosse la misura dei suoi piedi. D'altra parte, in tempi andati le cose si misuravano in palmi, in braccia, in piedi o in passi.
      Platone dunque era uso misurare gli spazi coi suoi piedi enormi: avrebbe dovuto scrivere sul frontone dell'Accademia che erano ben accetti quelli che avevano strumenti straordinari per la misurazione del terreno, ma ripiegò sul termine più concettuale di "Geometra" al posto del bitorzoluto "Piedone".
      Dice un mio amico ingegnere che l'essere geometra non è una professione ma una filosofia di vita: quando parliamo, tutti usiamo le congiunzioni quando, sebbene, purché e altre; il geometra vero userà sempre e comunque dove.

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