di Atropa Belladonna
Le statue di Monte Prama erano colorate?
L'archeologo Ercole Contu pensa di sì, come si legge in questo articolo, ma oltre l'opinione ci vogliono le prove. E qualcosa è
emerso dagli studi effettuati durante l'analisi chimico-fisica dei pezzi:
"Le finiture originali sembrano riconducibili, in alcuni casi, a una
decorazione pittorica realizzata con tecniche simili a quelle riscontrate nella
pittura antica, basata sulla stesura di uno strato fine compatto di caolino e,
quindi, nell’applicazione del colore, agglutinato con sostanze proteiche.
D’altra parte, la presenza di oli naturali in alcune patine nere compatte,
rinvenute in zone particolari dei frammenti, fanno anche ipotizzare l’uso di
miscele collanti o di successivi
interventi di protezione delle superfici a vista
dei manufatti." (1).
Figura 1: frammenti di gambe di statue da Monte Prama con tracce di colore rosso a
sin. nr. 1705, a dx. nr. 532.2. Da (2). Entrambi i frammenti non sono ancora
stati assegnati a nessuna delle statue restaurate.
Miglior fortuna si è avuta con le tracce
di pigmento nero, rivelatosi nero carbone molto fine. Ovviamente una
patina di color nero può derivare da diversi fattori (alterazioni biologiche da
funghi e insetti, residui di un incendio, minerali di ferro e calcite
secondaria ecc., (1)); tuttavia le analisi petrografiche e la spettroscopia
infrarossa a trasformata di Fourier (FTIR) delle patine hanno fornito in
qualche caso risultati molto interessanti (figura 2):
a. la presenza di
idrocarburi e esteri, che possono solo essere pertinenti "all'uso in
antico di un prodotto identificabile con un olio naturale" (nero dal
pube di "Bustianu")(1).
b. l'associazione di
proteine e caolinite (nero dal collo di "Balente") che rimanda ad una
tecnica antica di pittura: la stesura di uno
strato bianco, ancora più bianco del biocalcare usato per le statue, su cui veniva
applicato colore agglutinato con materiale organico (1).
c. vi sono tracce
consistenti di un incendio
La gamba di "Segundu"
invece, coperta dalla patina di restauro degli anni '80, non è riuscita a
fornire alcuna infomazione utile (figura 2)
Figura 2 (dal rif. 1)
Un'altra cosa interessante è l'aver
stabilito che il sale, NaCl per intenderci, è presente in alta concentrazione
solo a livello superficiale: l'acqua salmastra ha fatto danni sì, ma solo in
tempi recenti: quanto recenti non è chiaro, ma di certo non ha avuto il tempo
di intaccare l'interno della pietra.
Bianchi, sbiancati e decorati?
Le analisi fino qui non ci danno risposte certe;
l'acqua (anche salmastra), soprattutto essa - assieme alla parte
"bio" che si porta dietro- ha degradato superficialmente i frammenti
e ci vorranno altre analisi e tanta fortuna per dirimere la questione. Ma il
suggerimento del bianco del caolino è davvero suggestivo: il bianco della
pietra evidentemente non bastava agli artisti di Monte Prama.
I colori bianco, rosso e nero rimandano
direttamente ad un'altra statua sarda (più recente di qualche secolo), o
meglio a quella viene definita altorilievo di stile marcatamente egittizzante:
un signore dipinto da Sulcis nella necropoli punica. La tomba è anomala e
questa statua ha posto agli studiosi non pochi problemi interpretativi (figura
3).
Figura 3: dal riferimento 4, altorilievo
egittizzante e nella tomba numero 7 della necropoli di età punica di Sulcis, V
sec. a.C.
Si noti che il personaggio stringe nella
mano destra un oggetto di non facile identificazione, di cui abbiamo già
parlato (figura 4), tipica delle statue egizie di personaggi importanti.
Figura 4. a. mano destra della statua in calcare di
Hemiunu (regno di Cheope, ca. 26esimo sec.
a.C.).b. statua di Chefren in diorite (IV dinastia, ca. 2575–2465
a.C.);c. Particolare della statua in calcare di
Memi e Sabu (IV dinastia, ca. 2575–2465 a.C.) d. particolare della statua di Babaf (V.
dinastia, ca. 2400 a.C.). (Da: La realtà
autentica, oltre l' apparenza, http://monteprama.blogspot.it 18.05.2013; e: H.G. Fischer, An Elusive Shape within
the Fisted Hands of Egyptian Statues Metropolitan Museum Journal, 10 (1975),
pp. 9-21.)
Dal rif. 4: "La tomba, la numero 7
della necropoli punica di Sulcis, datata grazie al corredo ceramico entro
la seconda metà del V sec. a.C., è composta da un’unica grande camera a
pianta trapezoidale (cui si accede da un ampio corridoio gradinato) provvista
al centro di un pilastro. L’interno della cella, lungo la parte superiore
delle pareti, presenta «larghe fasce dipinte in rosso che inquadrano otto
nicchie costruite – due per ogni parete – ed una falsa porta; anche le facce
laterali e posteriore del pilastro centrale sono riquadrate da bande rosse».
Il nodo della decorazione è costituito da un altorilievo dipinto, ricavato
sulla parete anteriore del pilastro. L’immagine, di accentuata ispirazione
egiziana, rappresenta una figura maschile incedente, ritratta in posizione
frontale e vestita di un corto gonnellino; il braccio sinistro, portato al
petto, reca al polso un laccio cui è legato un piccolo contenitore, mentre il
destro, disteso lungo il fianco, presenta il pugno chiuso a tenere un
rotolo. Su entrambe le braccia è riportata una serie di tre bracciali, resi
attraverso pittura rossa; la stessa pittura e del pigmento nero sono ampiamente
utilizzati per sottolineare altri particolari dell’immagine, sia anatomici (le
labbra, la barba, i baffi, la capigliatura, le orecchie, i capezzoli), sia
inerenti all’abbigliamento e agli accessori (il copricapo, il gonnellino, il
diadema, il rotolo, il recipiente). Come suggerito da Bernardini, la tipologia
e l’iconografia del rilievo non sono certo ignote alle necropoli del
comprensorio sulcitano; il nuovo esemplare, infatti, va ad aggiungersi ad altre
due sculture affini presenti, l’una, nella stessa necropoli di Sulcis e,
l’altra, in un sepolcro della vicina Monte Sirai. Sul fondo della camera,
inoltre, in prossimità dell’angolo di destra, lo scavo ha permesso il recupero
dei resti di un feretro ligneo il quale, sebbene pervenuto in precarie
condizioni di conservazione, doveva recare sulla parte superiore una decorazione
a rilievo con la riproduzione di un’immagine antropomorfa simile, con buona
probabilità, al personaggio scolpito sul pilastro: si tratta di una produzione
che si lega alla tradizione egiziana dei sarcofagi in legno e cartonnage (noti
anche in ambiente cartaginese), demarcando nuovamente, assieme all’altorilievo,
la forte impronta egittizzante dell’intero contesto.[..] È noto che in
Oriente una simile corrente
artistica (fortemente egittizzante, ndr) si articola cronologicamente in due fasi: la prima si sviluppa nella madrepatria a partire dall’VIII secolo e comporta la diffusione di opere che imitano direttamente la statuaria
egiziana (ne è esempio il celebre torso di Tiro); l’altra, invece, che inizia
intorno al 600, pur riproponendo anch’essa i modelli egizi, trova la sua sede
primaria di elaborazione nell’isola levantina, «tanto da far pensare, in più di un caso, all’importazione da
Cipro delle stesse statue ritrovate in Fenicia o forse degli artigiani che le
produssero in loco». Se però nel territorio insulare questa produzione non scende
oltre l’età persiana, in Fenicia tali sculture sono ben documentate anche in
fasi più recenti (IV-III sec. a.C.), come mostrano alcuni esemplari da Sarepta
e da Umm el ‘Amed. Simili indicazioni potrebbero suggerire, pertanto, che i
modelli di derivazione dell’altorilievo di Sulcis non vadano cercati
direttamente in Egitto (che pure rimane
l’ambiente originario di mutazione del tipo), quanto nelle stesse aree
levantine, dove la ricchezza e la
lunga fase di sviluppo di questa produzione ne fanno una delle forme più
notevoli dell’arte scultorea locale.[..]Passando ora all’esame iconologico
del rilievo, ricordiamo che già nella pubblicazione della tomba P. Bernardini
ha sottolineato giustamente come l’identificazione della figura non sia né
semplice né immediata; l’immagine, infatti, può essere interpretata, per
esempio, quale rappresentazione «di un genio o demone ctonio, incaricato di
proteggere i defunti e il loro ultimo sonno o periglioso viaggio dell’anima,
secondo modelli di lettura applicati peraltro anche alle maschere e alle
protomi rinvenute in contesti funerari» Nonostante l’eventualità di un simile
riconoscimento, lo stesso Bernardini, tuttavia, preferisce vedere nella
scultura l’allusione simbolica al defunto eroizzato; secondo l’autore, tale
identificazione sarebbe indicata, tra l’altro, dalla pittura rossa, posta a
sottolineare alcuni particolari dell’esemplare e forse da legare a «riti di
preparazione del cadavere ben attestati nell’Africa punica e punicizzata»[..]. (4)
La colorazione delle statue di Monte Prama era simile? e se sì, davvero i paralleli dell'enigmatica statua di Sulcis vanno cercati fuori dalla Sardegna?
(1) Costantino Meucci, Frammenti lapidei da Mont'e Prama: studio della composizione, del degrado e dei trattamenti conservativi, In: Le sculture di Mont’e Prama–Conservazione e restauro" 2014, Gangemi editore, pp. 83-100
(2) Alba Canu, Gonaria Mattia Demontis, La diagnostica per il restauro delle sculture di Mont'e Prama, In: Le sculture di Mont'e Prama - Conservazione e restauro, a cura di: A. Boninu & A. Costanzi Cobau, Gangemi Editore, 2014, pp. 77-82
(3) Antonio Brunetti, Misure di fluorescenza ai raggi X sull'arciere n. 2, In: Le sculture di Mont'e Prama - Conservazione e restauro, a cura di: A. Boninu & A. Costanzi Cobau, Gangemi Editore, 2014, pp. 100-102
(4) G. Garbati, (2010) Antenati e “defunti illustri” in Sardegna: qualche considerazione sulle ideologie funerarie di età punica, In: Bollettino di Archeologia on line, Volume speciale A/A3/5, Atti del Congresso: International Congress of classical archaeology, Roma 22-26.09.2008, pp. 37-47
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