parte 1 parte 2 parte 3
parte 4
OTHOCA
OΘOΚA
Il nome di Othoca, diversamente da Thirša e Tharroš, non lo troviamo nella Geographia di Claudio Tolomeo, benché in una pubblicazione dal titolo “Santa Giusta – Othoca. Ricerche di archeologia urbana 2013”[1] si dichiari a più riprese che il toponimo vi compaia nella forma «Othaia polis». A dar credito a quanto asserito, nel testo greco di Tolomeo avremmo dovuto trovar scritto «Oθαία πόλις». Ma nella versione greca della Geographia troviamo scritto
«‛Oσαία
πόλις» traslitterato in caratteri latini «Osaia polis». Per sicurezza cerco
nella traduzione latina e trovo perfetta corrispondenza col greco
«Osæa
ciuitas» (così traslitterato probabilmente per effetto della pronuncia
reuchliniana che prevede per il dittongo “αι” la pronuncia in “e”); mentre
nella traduzione in italiano trovo«Osea
città», pure in perfetta sintonia.
Tolomeo trascrive il toponimo con “spirito
aspro” che denota un’aspirazione iniziale, per tanto con pronuncia greca precisa.
In ragione di ciò si può escludere sin d’ora un errore dello studioso Greco,
tanto più che per quanto riferitomi da un esperto professore di greco antico, a
cui ho chiesto un parere,[2]
una sibilante «σ» non può diventare di certo una dentale aspirata «θ».
Perché, allora, in quell’articolo si
traduce «Othaia polis», visto che nessuno dei traduttori dal greco fa questo?
Di certo non è questa la sede per fare polemica (non è questo il mio intento),
ma sarebbe il caso di approfondire l’argomento visto che nell’articolo della
nota [1] si ostenta per ben quattro volte la sicura correlazione di
‛Osea (riportata Othaia), con Othoca, con quella che ritengo una forzatura che
sostituisce il sigma con un tetha.
Una rapida ricerca su internet m’informa
che il toponimo Osea è riferito ad un paese precursore di Terralba, per tanto
un centro abitato che nulla ha a che fare con Othoca, distante circa 18 Km.
L’equivoco nasce in seguito alla pretesa dei commentatori di Antonino (Simlero
e Wesselingio), di riconoscere nella città di Othoca, quella ‛Osea
riportata nella Geographia di C. Tolomeo[3].
Avendo chiarito che sicuramente Othoca
non è ‛Osea, ed avendo appurato
che non trova riscontro nei lemmi del greco antico, ritengo di poter indagare
il lessico in ambito semitico, così come ho proceduto per Thirša e Tharroš.
***
Il toponimo «Othoca» in grafemi semitici è
scrittoche
letto da destra verso sinistra ètraslitterato
«’ak‛oth‛o».
Isoliamo il trigramma iniziale «’ak‛o».
In nuragico abbiamo attestata la parola «’ak → toro»; ma apprendiamo che
in Sumerico il segno “Aga” significa “corona”, in Accadico “Acu”
significa pure “corona”, in Ittita “Aga/Acu” ancora significa “corona”,
mentre in Greco gli “Agoi” sono i capi.[4]
Da qui se ne desume che, da quanto esplicato nell’articolo del blog della nota
(4), il nostro trigramma «’ak‛o» o «’ak‛u» significa capo,
comandante.
Il grafema teth, come già ampiamente
spiegato significa “buon segno”.
Il grafema ‘ayin ha il suo
significato originario di “occhio”, per tanto può significare “vedere,
guardare, controllare”.
In ragione di ciò possiamo decifrare il
lemma nel seguente modo:
’ak‛o teth
’ayin → Comandante buon segno (di yh) guardare.
Per
tanto il significato sarebbe: (città) comandante a guardia del buon segno di
yh, ossia: Capitale a guardia del Thirša.
Considerato che Othoca era a stretto
contatto con la foce del fiume sacro, di fatto era pure lei sotto gli auspici
divini, chiaramente evidenziati dal “teth”, per tanto capitale a guardia
del Thirša per legge divina.
Naturalmente anche questo lemma nel
rispetto di quanto rilevato nello studio di Thirša e Tharroš era scritto in
nuragico da sinistra verso destra[5],
per tanto era scritto «’ak‛oth‛o» che letto normalmente in semitico
sarebbe stato «Othoca».
Abbiamo
appurato che Othoca non è elencata nella Geographia di Tolomeo, forse perché
quando il geografo redisse la sua opera, Othoca ormai non era più una grande e
influente città, soppiantata per importanza da Tharroš. Non di meno fu però già
da tempi antichissimi città importantissima, forse già in età neolitica per via
del commercio dell’ossidiana. Città, Othoca, in posizione strategica al centro del golfo
di Oristano, lì dove il sacro fiume Thirša si getta in mare. Quel fiume che
sicuramente sin da quei tempi remotissimi fu importante punto strategico per le
genti Sarde, che lungo il suo corso stabilirono il pacifico confine,
naturalmente invalicabile, dei loro territori. Ecco che allora alla città che
lì vicina sorse, non a caso, gli fu imposta una funzione di comando su quel
territorio. E’ possibile che perse la sua influenza quando si trovò a
confrontarsi con Tharroš, forse nel cruciale periodo di cambio di strategie commerciali
(perdita di interesse per la commercializzazione dell’ossidiana), ma
sicuramente per la posizione di quest’ultima, posta “in prima fila”
all’imboccatura del golfo di Oristano, a sbarrare il passo, eventualmente, a
chi entrava e usciva da quel golfo. Ecco che in questo contesto, acquista un
senso logico il significato dei due toponimi Tharroš e Othoca, entrambi
assoggettati al Thirša, ma non contemporaneamente nella storia: prima l’una:
Othoca, poi l’altra: Tharroš che tolse a quella il primato di capitale del
territorio e di sorvegliante del sacro fiume.
***
In fine tre considerazioni
1.
In questo studio il significato
di Thirša, Tharroš e Othoca, potrebbe sembrare scaturito da un’ipotesi di
lettura bizzarra, non supportata da prove concrete (se non nel caso dello šin
di tharroš), ma solo da congetture. Questo potrebbe essere vero se avessi
tentato la decifrazione di uno solo dei nomi, ma averli decifrati tutt’e tre ed
aver trovato di tutti, col medesimo metodo, le radici semitiche che ben
concordano coi significati e i significanti (la situazione geografica dei
luoghi), ritengo che possa avvalorare questa mia ipotesi; tenendo in debito
conto l’ambito in cui prendono vita i tre toponimi, che hanno in comune
l’immancabile rebus scrittorio dettato dalla valenza sacrale che li definisce “segni
della divinità” per via di quel soffio divino “th”.
A ben vedere
non a caso tutt’e tre i toponimi furono volutamente scritti da sinistra verso
destra, perché essi erano tutt’e tre affidati alla tutela della divinità e per
tanto, come già detto, non potevano e non dovevano essere pronunciati da bocca
umana nella giusta sequenza della formula divina, ossia ’ašryth, š’arr’ath,
’ak‛oth‛o.
Una
obiezione mi è stata rivolta a riguardo del toponimo Tirso (per altro in via
ufficiosa lontano dall’ufficialità del commentario del blog); in
quell’occasione mi si oppose l’obiezione a riguardo della trasformazione della
“o” finale in “a”, che io ritengo del tutto legittima
nell’inquadramento della tesi da me proposta, in quanto sostengo che il
toponimo arrivò a Tolomeo per via verbale e non scritta. Tenuto conto del fatto
che il trilittero ’šr ossia ’aleph-šin-reš che è parte del
nome Thirš’a letto al
contrario, inizia appunto con lo ’aleph, che è una leggera aspirazione
consonantica, alla quale può essere associata qualsiasi vocale; come del resto
può associarsi allo ‛ayin la vocale a,
tant’è che il nome della divinità b‛l → bet-‛ayin-lamed,
è pronunciata ba‛al, e ciò non desta comunque confusione per il fatto che
la differenza tra ’aleph e ‛ayin non è data dalla vocalizzazione
ma dall’aspirazione: debolissima per lo ’aleph, che nasce dalla gola e
si forma nel cavo orale; forte di gola e di petto per lo ‛ayin.
Il fatto che
nella spiegazione dell’idronimo abbia usato la vocale a finale è dettata solo dall’associazione di questa allo
’aleph consonantico, che in definitiva, almeno dal punto di vista
grafico, da quest’ultimo è originata, ma nulla vieta di pronunciare:
Thyršo e
comunque sia ho già spiegato nella trattazione del toponimo (parte 2), che
quella “o” potrebbe derivare dalla equiparazione del genere a quello
normalmente usato in greco per i fiumi, ossia terminazione in “o” e
flessione, quale sostantivo neutro, nella seconda declinazione.
Sempre a
proposito di Thyršo, ritengo di dover puntualizzare che, a supporto di quanto
affermato nella nota 31 relativa alla trattazione del nome Tirso (parte 2),
dove ho scritto che “…in questo contesto scrivere in caratteri latini “th” o
ht” è perfettamente identico in quanto esso è la traslitterazione del grafema
semitico”, non
intendevo dire che scrivere generalmente th o ht è la stressa
cosa, ma intendevo dire che il grafema preso nella sua interezza è identico sia
letto da sinistra verso destra, ossia → th, che letto da desta verso
sinistra, ossia ← ht, tant’è che per ovviare a qualsiasi dubbio e
comparalo al grafema semitico, nonché greco, possiamo traslitterare il suono th
con questo grafema compositocreato ad hoc.
2.
Potrà sembrare una
forzatura, però nel toponimo Tharroš (trattato nella parte terza),
ritengo di poter individuare una sorta di legatura “vocalica” di grafemi (cara agli
scribi nuragici quella grafica). Come si può notare nella traslitterazione del
nome in caratteri di tipo fenicio secondo l’uso scrittorio da me ipotizzato:, il taw legato a
quell’aspirazione finale della parola semitica r’ah, nella pronuncia
(secondo la lettura canonica da destra verso sinistra), rendeva comunque un
suono simile al teth, benché falso, nella proposta di rebus nuragico di
quel nome al contrario, che di fatto sanciva la sacralità del nome stesso.
Sicuramente Tolomeo, o chi per lui, apprese il toponimo solo per via orale, da
persone che pronunciavano il nome con la taw senza successiva
aspirazione: Tarroš. Altri è probabile che lo pronunciassero aspirato
per via di quello “he” e questo dimostra, a parer mio, che il toponimo
Tharroš è arrivato fino a noi per altre vie rispetto al testo di Tolomeo; come
dimostra appunto il ritrovamento del rammentato cippo miliario e come
testimonia di fatto la scritta di cui alla nota 10 della parte terza (studio
del toponimo Tharroš), che in modo inequivocabile restituisce un teth,
benché falso[6].
Una difficoltà potrebbe palesarsi nel
collegare «Th’arr‛oš» con «Tršš»,
attestato nella stele di Nora, ma a ben vedere la medesima difficoltà la
riscontriamo tra quest’ultimo e l’attestazione del concio di B.M. dove troviamo
scritto Tharruš. Indubbiamente la spiegazione di Porf. Sanna
(nell’articolo relativo alla scritta di B.M.), ha la sua valenza e la pronuncia
avvenuta per caduta del primo šin e conseguente raddoppiamento del reš potrebbe
aver modificato nel tempo la traslitterazione del nome da «Tharšuš» a «Tharruš»,
ma a questo punto lo domanda passa da un lemma all’altro: cosa significa Tharšuš?
Ha una significante valenza «th’rš‛š» sezionato in «t - h’r - š‛š»,
oppure «th - ’r - š‛š» o ancora «th - ’rš - ‛š»? Oppure al
contrario da destra verso sinistra: «š‛š - r’h - t» oppure «š‛š - r’
- th» (inteso th come unico grafema), ovvero «š‛ - š r’ th»?
Qui mi
fermo in attesa di eventuali possibili traduzioni alternative, che io stesso
potrei trovare. Con questo non voglio smentire o inficiare questo mio lavoro,
voglio solo dire che quando si cerca di indagare questi campi, l’azzardo è
d’obbligo, chi non percorre strade sconosciute, non arriverà mai a conoscere
cose nuove e se per caso o negligenza o esuberante avventatezza si imbocca un
vicolo cieco, è necessario, se non un obbligo, tornare sui propri passi; non
facendolo si rimane coscientemente imprigionati e il vicolo cieco diventa il
nostro mondo; per tanto, con lo spirito di chi vuole arrivare alla verità dei
fatti, non avrei alcuna difficoltà a fare marcia in dietro se solo trovassi una
spiegazione concreta e significante del termine Tharšuš. Ma fin quando
ciò non avverrà, io ritengo di aver estrapolato un significato verosimile.
3.
Fin’ora i tentativi di
decifrare questi toponimi sono falliti, perché essi (i toponimi), vanno oltre i
linguaggi comunemente usati in ambito accademico per la loro traduzione, tant’è
che Massimo Pittau si ferma al Greco per decifrare “Tirso” e comunque non va a
sezionare il toponimo nei suoi elementi e nessuno, a quanto ho potuto appurare,
lo fa per Tirso né per Tharros, tantomeno per Othoca: e come se volessimo
interpretare la parola “poliglotta“ senza badare che di per se è composta da
due radici ben distinte, avvalendoci solamente di quanto acquisito dai
dizionari della lingua italiana dove leggiamo “persona che conosce e parla più
lingue”, senza avvederci del fatto che
quel “più” della definizione è dato dal prefisso “poli” dal greco
polys col significato di molto, prefisso che compone svariate
altre parole usate in molteplici campi: poliedrico, policromo, polivalente,
poligrafo, poligono, polimorfismo, politeismo, poligamia, ma anche polipo, ma
non policlinico che viene da “polis = città” e così
tantissime altre parole composte con radici per lo più greche e latine, che
sicuramente comunque, hanno a loro volta avuto origine da chissà quale radice
più antica. Per contro non verrebbe in mente a nessuno di cercare un diverso
significato nel toponimo “Neapolis”, senza cadere nel ridicolo, così
pure per Cartagine ovvero qrthdšt, che sempre “città nuova” significa,
la prima in greco, la seconda in punico; e se Neapolis e Cartagine hanno un
significato ben preciso, sicuramente anche Tirso, Tharroš e Othoca hanno il
loro preciso significato.
L’utilizzo del metodo scaturito dallo studio della scrittura nuragica,
con tutte le sue implicazioni regolamentari e di carattere religioso, che
impongono una lettura quanto mai criptica, danno modo di arrivare, almeno
sembra (ne sono convinto a meno di eventuali plausibili obiezioni che possono
essere addotte e che accoglierò di buon grado), a traduzioni verosimili e qui
mi pare di averne dato prova.
[1]
Da: http://www.fastionline.org/docs/FOLDER-it-2014-312.pdf pag. 1, 3, nota n°20 e pag. 5.
[2] Il parere è
stato chiesto, vista la statura culturale dei redattori l’articolo di cui alla
nota (1)
[5] Con questa
affermazione non si vuole intendere che ci fosse una epigrafe o quant’altro con
su scritto il nome della città, ma che gli scribi nuragici detentori della
scrittura e del sapere diedero il nome alla città, magari anche trascrivendolo
su qualche supporto, ma solo per reiterarlo al contrario e divulgarlo alle
genti in modo quanto mai criptico, similmente all’escamotage Ebraico che elude
il nome di Dio con appellativi che mai danno modo di intravedervi il
tetragramma divino.
[6] La trasformazione del T+H in TH potrebbe essere avvenuta in seguito alla pronuncia di chi sapeva leggere il nome in lingua semitica, da destra verso sinistra, pronunciando similmente al teth quella sequenza taw+he; chi ascoltava associava il suono al teth e nell’uso vocalico fu tramandato fino all’età romana, durante la quale fu scritto come teth.
[6] La trasformazione del T+H in TH potrebbe essere avvenuta in seguito alla pronuncia di chi sapeva leggere il nome in lingua semitica, da destra verso sinistra, pronunciando similmente al teth quella sequenza taw+he; chi ascoltava associava il suono al teth e nell’uso vocalico fu tramandato fino all’età romana, durante la quale fu scritto come teth.
Ma nel Sinis c'era anche l'enorme complesso/città di Monte Prama, chissà quello cos'era, spero che ci aiuterà a chiarire questa ed altre faccende.
RispondiEliminaMi piace pensare che Sinnis sia stato un tempo il nome di quel santuario; ma è solo un mio volo pindarico.
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