venerdì 30 settembre 2016

Scrittura nuragica: il doppiere di Tergu e il rebus delle due ‘fonti di luce’ del Vecchio Testamento (Gen 1,14). Scrittura ‘metagrafica’ e scrittura ‘lineare’.

di Gigi Sanna


Fig.1 (da Lilliu)
Nel VT ci sono due maniere per esprimere la parola luce. La prima si trova nel celeberrimo ‘Dio disse: sia la  luce. E la luce (אור) fu’ (Gen 1,3). Più avanti (Gen 1,14) il VT riporta: ‘Dio disse: ci siano fonti di luce (מארת) nel firmamento del cielo per separare il giorno dalla notte’. Due sono quindi le voci adoperate: una per indicare la luce in generale, indivisa, e una per indicare la fonte che emana quella luce. Non a caso la versione dei Settanta reca per le due fonti di luce  la voce greca φωστῆρεϛ (1). 
Il ‘doppiere’ di Santa Maria di Tergu di Castelsardo, custodito oggi presso il Museo Nazionale di Cagliari,   è così detto perché riporta due ‘fonti di luce’, due lampade. Ma l’oggetto, in forma chiaramente taurina, nei due bracci o meglio ‘corni’, non riporta come ‘segni’ solo due lampade ma anche la decorazione di esse, quattro piccoli lacci  per parte  e, sul muso stilizzato del toro, ‘due’ faccine contrapposte. Per l’ampia descrizione di queste ultime, così come di tutto l’oggetto, si veda il Lilliu (2) che, ‘more solito’ descrive con grande attenzione il doppiere, non solo annotando l’aspetto bovino dell’oggetto, ma respingendo sostanzialmente  (con garbo ma con fermezza), l’ipotesi bizzarra del collega pisano Ferri circa l'esistenza di una  ‘elsa ad antenne di una lunga spada’ (3) Per il Lilliu l’oggetto è per forma assai ‘singolare per la Sardegna e la civiltà paleosarda’. In effetti è così e solo ipotizzando, sulle orme dello stesso Lilliu, come vedremo, un significato diverso, non solo funzionale, da quello di oggetti simili (4), si può capire perché l’artigiano scriba nuragico abbia realizzato il manufatto. Infatti, la ‘singolarità’ del prodotto bronzeo si spiega con l’uso cultuale (forse liturgico come sostiene il Lilliu) del doppiere che agli occhi di un nuragico (scriba), abituato a leggere oltre la superficie, dice molto di più sia simbolicamente che foneticamente. I simboli, per quanto si  resti ancora scettici (nonostante le molte prove) circa l’esistenza di una scrittura metagrafica (5), sono quelli che, per convenzione di scuola, danno e parole (logogrammi) e suoni che, per acrofonia, rendono altre parole ancora. Si prendano ora i singoli segni, stando attenti a non trascurarne nessuno, e li si metta su di un piano (un foglio), come se fossero in scrittura lineare, così  come appresso nella tabella.  Si otterrà un risultato sorprendente.    

   

 Come si è ottenuto il significato in detta tabella? Usando (e rispettando) i criteri e  le regole della convenzione di scrittura 'metagrafica' che permettono di usare pittogrammi - logogrammi (nr ‘lampada’ per due volte)), acrofonia (’aleph), numerologia (il doppio ‘quattro’ e le due ‘faccine’, che rendono in quanto ‘due’(6) la lettera ‘b’). Lo scriba sa bene che il rebus dell’oggetto scritto può essere risolto da un suo collega (non pensiamo da altri) se fosse rimasto nella regola scrittoria delle convenzioni metagrafiche che ti consente d’essere molto libero nell’inventare la forma dell’oggetto (ma anche di un monumento) scritto ma tenendo ben presenti  logografia, acrofonia e numerologia. E’ la stessa regola generale che prendono in prestito e si danno per tanto tempo gli scribi etruschi per poter consentire la soluzione del rebus, per riuscire a decifrare un certo ‘prodotto’ artistico religioso che a prima vista non offre senso se non quello superficiale (7).
   Ora, per convenzione acrofonica si ha la h di hdrh הדרה, per pittografia logografica (un segno una parola) si ha nr נר scritto due volte, ‘oz עז scritto due volte e, ancora per convenzione acrofonica,  si ha la  ’a di ’aleph אלף ed infine,per convenzione numerologico - alfabetica (la seconda lettera dell’alfabeto), si ha la lettera ‘b’.
  La (per noi probabile) soluzione del rebus ci fa capire, e avrebbe fatto capire al Lilliu, che l’oggetto è proprio ‘cultuale’ come sostiene con vigore da par suo adducendo tutte le prove possibili a sua disposizione; ma ‘cultuale’ (e forse ‘liturgico’) lo è di certo solo in virtù dell’epigrafia e non dell’archeologia che, come abbiamo detto non poche volte, è muta e sostanzialmente permette da sola solo elucubrazioni, ipotesi cioè più o meno campate per aria, in attesa di verifiche continue. Ci vogliono tre pagine fittissime (e dottissime per riferimenti e comparazioni) dello studioso per tentare di capire la natura del ‘doppiere’, mentre tramite la scienza epigrafica occorrono solo otto segni per afferrarla agevolmente. Ma l’oggetto di culto astrale ci fa comprendere soprattutto una cosa: che i nuragici possedevano, con ogni probabilità, riportato in delle διφθέραι (8) il testo ‘cananaico’ del VT dove nella Genesi stava scritto, così come in quello purgato,  che il dio yh era il ‘padre’, il creatore della forza delle due fonti di luce, delle due lampade, una maggiore e l'altra minore,  diurna e notturna, chiamate più spesso (forse esclusivamente) in nuragico sia l’una che l’altra NuR; voce che nello stesso VT (9)  significa ‘lampada’, oggetto da cui proviene la luce. E non è certo un caso che la voce NuR in nuragico (non solo nei toponimi) si sprechi e che sia stata tramandata in modo così ‘forte’ sino a noi. A partire da NR - ‘AK - HE (Lui toro della luce, così come nel doppiere: v. più avanti), la parola nuragica più nota della cultura architettonica dei Sardi dell’età del bronzo e del ferro.

Ma c’è un’altra prova che ci suggerisce che la lettura del doppiere non può essere che metagrafica: quella della ‘scrittura lineare’, sulla quale (v. fig. 1 e fig.2),  con fiuto notevole ma non del tutto sufficiente,  si sofferma Giovanni Lilliu. Vediamo e sentiamo le sue parole, che ci sembrano quanto mai significative: ‘Ben strana e di significato oscuro è la grafia decorativa simbolica del fusto del candelabro. Sicuramente vi si riconosce il tipo del pugnaletto ad elsa gammata per cui v.i nn.345 -346. L’altra forma di segno è di lettura incerta. O si tratta di un oggetto rituale forcuto per cui convergono i riscontri coll’insegna a corna bovine di Tergu sopra accennata e con l’asta terminale lunata stretta da una figurina in rilievo su vaso fittile da S.Anastasia di Sardara, arnese pure questo religioso cultuale’.

Fig.2 . Segni di corna taurine su bastone e di pugnaletti scritti a puntinato 

   Già: ‘grafia decorativa simbolica ‘, ‘forma di segno’ , ‘insegna a corna bovine’. C’è, nella sostanza,  il linguaggio dell’epigrafia, ma lo studioso o non se ne avvede o fa finta di non comprendere. Di non comprendere che quella ‘grafia’, quei ‘segni’, quelle ‘corna bovine’ costituiscono  scrittura ‘lineare’, sia pur espressa nella superficie dell’oggetto in simboli fonetici che solo apparentemente sono ‘decorativi’. Noi, per nostra fortuna, sappiamo da tempo (10), che il pugnaletto ad elsa gammata è scritto ed è scrittura, tant’è che si trova  - com'è noto - tra altri segni del codice nuragico in mix di scrittura fonetica consonantica nell’ormai famosa ‘barchetta fittile di S’Urbale di Teti’ e nel coccio d'anfora di tipologia cananaica di S’Arcu ‘e is Forros di Villagrande Strisaili (figg. 3 -4)   


                                                                        
                      Fig. 3                                                                     Fig.4
   Il segno ‘pugnaletto gammato’ gode di due letture.  Una assoluta, dell’oggetto in sé e cioè hy (che dà la vita) + ’ag (abi) : toro api che dà la vita. Una acrofonica (l’ornamento, l’ oggetto di distinzione, lo  hdrh tante volte presente nella piccola bronzistica) inserita nella catena fonetica. Qui, con ogni probabilità, il segno vale ‘hê’ reiterato per quattro volte,  così come per quattro volte è reiterato il bastone con le corna bovine. Bastone (gml) + taurino (‘aleph) danno la comunissima voce ’ag e cioè toro. Quindi ’ag hê (toro lui) ripetuto per quattro volte, numero che, per convenzione (quante volte lo si è visto ormai!) sulla iterazione logografica, rende doppia la voce ‘oz (forza, potenza) . L’espressione Lui toro della doppia forza  si trova così realizzata  in modo lineare attraverso l’ acrofonia, la pittografia e la numerologia e va, evidentemente,  a completare quella criptata a rebus e riportata metagraficamente con gli stessi precisi criteri della convenzione scribale. ‘Completare’ perché se è vero che Lui (yh) è padre della doppia forza della  doppia lampada, Lui (yh) è anche la potenza taurina che spinge la forza doppia delle due lampade (NR), cioè il sole e la luna. Dio è sempre per i nuragici immensa forza generativa e creativa (padre toro) ma è anche immensa energia taurina ciclica che sostiene e muove. La scrittura lineare del doppiere, da questa lettura, non risulta quindi accessoria o ‘a parte’ o addirittura decorazione espressa per ‘horror vacui’ (11),  ma necessaria per una definizione più precisa della natura del Dio taurino celeste. La natura di yh che fa nascere (dà la forza della vita) e che fa muovere (rende continua, eterna, la vita). Le due lampade divine della Genesi non sono create per star ferme ma per compiere, in virtù del toro (quello non a caso riportato schematicamente ma enfatizzato (12) in entrambe le tipologie di scrittura),  un’incessante corsa nel firmamento per illuminare e vivificare, l’una di giorno  e l’altra di notte.

Note ed indicazioni bibliografiche.

1. In greco φωστήρ significa ‘corpo luminoso’, ‘astro lucente’. La parola semitica m’rt מארת viene resa dai traduttori, oltre che con ‘lampada’, anche con ‘luminaria’. 
2. Lilliu G., 2008, Sculture della Sardegna nuragica, Ilisso, bronzetto N° 261 (Doppiere liturgico con testine umane e segni simbolici),  pp. 460 - 462, (dello stesso v. anche la bibliografia).
3. Lilliu G, 2008, Sculture della Sardegna ecc, cit. p.461
4. Si veda il dotto excursus comparativo del Lilliu nell’opera su cit. alle pp. 461 -462.
5. Come ultima prova da noi addotta v. Sanna G, 2016, Scrittura nuragica. Come si scrive ‘Dio (yh) c’è’? Variamente: in modo ‘lineare’ ma anche con una rete da caccia ed un uccellatore. O magari con un nibbio appostato su di un ramo: in Maymoniblogspot.com (19 settembre).
6.  Questo modo di riportare, per estensione di senso, la labiale sonora in nuragico l’abbiamo spiegato numerose  volte, già a partire dal nostro testo del 2004 (Sardôa grammata). Si veda da poco Sanna G., 2016,  Scrittura nuragica. I numeri dall’uno sino al dodici. Il loro valore simbolico convenzionale nei documenti della religiosità. L’iterazione logografica sulla base di quel valore; in Maymoniblogspot.com ( 2 luglio).
7. Sanna G., 2014, Stele di Avele Feluskes. I nobili etruschi figli di Tin e di Uni. Scrittura e lingua dei documenti funerari. L'acrofonia sillabica e non, la numerologia e la chiara dipendenza dell'etrusco dal nuragico (II); in Monteprama  blogspot.com, (28 novembre). 
8. Le pelli conciate per la scrittura (i rotoli) dei popoli ‘barbari’ di cui parla nelle sue Storie  (I, 194) Erodoto di Alicarnasso. 
9. Es 25,37; Prv 31,18. 
10.  Sanna G., 2004, Sardôa grammata.’ag ’ab sa’an yhwh. Il dio unico del popolo nuragico, S’Alvure ed., Oristano, cap. 5.3, pp. 193 -196. Si tenga presente che quando scrivevamo circa l’ipotesi della ‘metagraficità’  dell’oggetto non si avevano ancora le scoperte epigrafiche della ‘barchetta di S’Urbale di Teti’ e del coccio d’anfora di S’Arcu ‘e is Forros di Villagrande Strisaili. E si tenga presente ancora che quella scoperta sulla scrittura a rebus  ha fatto capire con chiarezza, essendo il pugnaletto uno dei ‘segni’ tra i segni frequenti dei bronzetti, che questi ultimi nascondessero scrittura ‘con’( o ‘metagrafica’ che la si voglia chiamare).  
11.  Così il Lilliu alla p. 460 del suo volume.
12. Con la scrittura metagrafica  forse ancora di più. Sarà stato un caso di forgiatura  ma sembra che i due bracci (le corna del toro)  del doppiere siano asimmetrici. Naturalmente se giriamo il doppiere asimmetrico ci diventa il corno sinistro. 

25 commenti:

  1. Ero certa che prima o poi saresti riuscito a decifrare questo magnifico oggetto; relegato al museo di Cagliari in una buia vetrina dove per vedere i segni bisogna fare equilibrismi. E' solo la luce che te ne può rivelare la presenza, altrimenti risultano invisibili: la finezza del puntinato è essa stessa qualcosa di eccezionale.
    Nel suo lavoro del 1948 (ristampato in: G. Lilliu, 2008, D'un candelabro paleosardo del Museo di Cagliari, In: Sardegna e Mediterraneo negli scritti di Giovanni Lilliu : vol. 2, A cura di: Moravetti Alberto, pp., 487-519 (estratto da Studi Sardi, 1948) Carlo Delfino ed.) parla di segni, grafia, ideogrammi. Pur definendoli una "barbarica sintesi" è molto esplicito; parla di un linguaggio a noi incomprensibile e vi dedica non 8, ma oltre 20 pagine. In seguito smusserà parzialmente il lessico, ma è chiaro che avesse capito che lì c'era scrittura.

    Sul 2 e sui pugnaletti: ti ricordo un reperto, purtroppo frammentario ma molto bello: è l'ansa di brocca askoide dal nuraghe Piscu di Suelli, con "con due pugnaletti incisi a puntinato sotto due bozze mammillari". Lo trovi qui, come prima figura: http://monteprama.blogspot.it/2013/04/i-documenti-ufficiali-della-sardegna.html

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  2. Mi fa piacere che la decifrazione sia di tuo gradimento. Diverse volte hai sottolineato (nel tuo blog) l'imbarazzo di Lilliu su quei segni che non riusciva ad addomesticare (né prima né dopo). Lilliu non era in grado, per pregiudizi e mancanza di preparazione epigrafica adeguata, di capire le due scritture a rebus. Ed era lontano mille miglia dal comprendere perché quel candelabro era taurino così come erano taurini quattro dei segni in scrittura lineare. Si, hai ragione, avrei dovuto citare, circa la scrittura a rebus dei pugnaletti, anche i due a puntinato dell'ansa di brocca nuragica di Piscu di Suelli. Ma intendo trattarne a parte quanto prima. Una cosa mi sembra certa: il pugnaletto è segno fondamentale per la scrittura nuragica:uno dei segni 'indicatori' più forti sia da solo che nella catena fonetica. Lo paragonerei per importanza allo schema della cosiddetta 'tanit'. Entrambi sono riportati come oggetto singolo (lettura in sé) e come 'segno' da affiancare ad altri segni. I 'negazionisti' solo da questa considerazione avrebbero dovuto capire almeno qualcosa circa l'esistenza delle due scritture del codice nuragico.

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  3. Caro Gigi, riconosco una bella lezione, in diversi sensi.
    Ma anzitutto: perché mi contraddico alla prima occasione e, dopo quanto scritto solo pochi giorni fa, sono qui a commentare il tuo primo nuovo articolo sulla scrittura metagrafica (sempre consapevole di non esserne all'altezza)? Perché questa bella legna non la metto in cascina, rispettosamente, e basta?
    Perché, è la risposta, di questo articolo non posso non apprezzare cose che vanno oltre il pur rispettabile azzardo della interpretazione per acrofonia. Per cominciare, qui non si tratta di un manufatto “qualsiasi”, per esempio il bronzetto di una figura senza sproporzioni particolari o dettagli originali nel quale la ricerca di acrofonie per lemmi semitici “ordinari”, condotta dall'alto verso il basso, ci ottenga una stringa di grafemi analoga a una delle note formule già interpretate su diversi documenti attraverso la scrittura alfabetica (operazione i cui risultati continueranno, credo, a lasciarmi perplesso). Qui si ragiona su un oggetto unico (e quanti sono intorno al nuragico gli oggetti unici, a cominciare da questo e dal modello di nuraghe trilobato in pagina oggi, pezzi unici che tu e Atropa avete allineato in due giorni ...), un manufatto appunto già significativamente notato dal Lilliu, con anche segni di scrittura alfabetica (tra i quali i pugnaletti) e con raffigurazioni che per foggia e numero possono non difficilmente ritenersi simboli intenzionali. E qui, inoltre (per quanto può spingersi a dire chi di Semitico non sa niente), si ricorre a lemmi semitici non “ordinari”, non cioè magari scovati tra le pieghe di un vocabolario semitico (dei quali noi, poveri, nulla sapremmo dire, tanto meno quanto alla frequenza d'uso in antico); non si corre quindi il rischio di sembrare aspiranti poeti che cerchino sul rimario la rima che serva. Qui ci si rifà a lemmi (fortunatamente?) centrali in un libro altrettanto centrale (il primo) delle sacre scritture del monoteismo. Il tutto, perciò, certamente conforta nel trovare che lo sforzo interpretativo è appropriato e meritevole, fin da subito, della considerazione nostra e, soprattutto (magari), altrui.
    Quindi belle lezioni qui la tua calma, la tua perseveranza e subito, nella discussione, la conferma della inossidabile fiducia di Atropa.
    L'assenza fin qui di altri commenti farà risaltare ancor più i miei rovelli, forse indicativi delle difficoltà con cui almeno qualcun altro farà i propri conti. Comunque sia, tu sai che io ritengo preferibile, per tutti, venga espresso il dicibile, anche in barba al fatto che possa sembrare di contraddirsi (contraddirsi che è misura di quanto si resti aperti a ciò che potrebbe sempre affinare le nostre idee, fino anche a farcele cambiare).

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  4. Una domanda semplice semplice, Francesco, che ti so sempre vigile e 'pierino' pierone. Pensi che un documento nuragico come il doppiere (un bronzetto come tutti i bronzetti) sia epigrafico e gli altri non lo siano? Che il metagrafico sia stato usato di quando in quando ed ad arbitrio degli scribi? Che il pugnaletto sia scrittura solo nella tipologia 'lineare'? Che il toro (la protome taurina) abbia valore acrofonico fonetico solo in questo documento? Io penso di no. Ma il punto che a te sta tanto a cuore per perplessità, ovvero a come si ottiene il risultato usando la tecnica metagrafica (scovando tra le pieghe del vocabolario), voglio contestarlo subito. Se c'è una cosa che ho detestato e detesto negli epigrafisti della domenica (mi sono fatto molti nemici, quasi mortali, per questo)è il fatto che interpretino sulla scorta dei vocabolari. Quello che è nella loro testa quello 'deve' essere nel vocabolario. Puerile. Questo è stato il modo ed è ancora (da quanto vedo anche a livello internazionale) di strapazzare, si stiracchiare e di tormentare all'infinito la stele di Nora che va interpretata non in base ai repertori (semitici o altri che siano) ma solo in base ad altri documenti nuragici riportanti lessico uguale o identico. Filologicamente insomma. Stessa cosa si deve fare sui documenti metagrafici: anche altri, tanti altri, contemporanei e non, devono sottostare alle stesse regole che sono quelle della convenzione. Se è vero, ad esempio, che l'aspetto con base acrofonica sembra valere in uno bisogna vedere se vale in altri. Altrimenti 'picche'! Se il supporto di un bronzetto con base 'doppia' (soprattutto quando essa non ha alcun senso logico) ci offre la 'b', per formare ad esempio la voce bbh (pupilla), bisogna sincerarsi se in tutti i bronzetti con questa caratteristica riportino la 'b' nella catena fonetica finale. Ma non è detto che la 'b' sia sempre riferibile alla stessa voce bbh, perché (per farti un esempio abbastanza sicuro) può essere la 'b' che serve per znb (coda, fine). Insomma devi cercare di capire le 'stranezze' dell'oggetto (che lo scriba sottolinea quasi sempre), capire il rebus (dove ci vuole grande capacità di osservazione: che si affina con l'esercizio e con il tempo) e poi ricorrere (ma per ultimo) ai repertori. In una cosa però siamo (o sembriamo) agevolati: il linguaggio formulare che, in quanto tale, non è composto da molte parole. Detto questo però non posso scrivere qui di tutte le difficoltà che s'incontrano con la scrittura metagrafica a rebus. Non hai idea di quante volte mi trovo a fare marcia indietro e a dubitare fortemente circa le decifrazioni. Sul bronzetto del suonatore itifallico (che ri-vedremo), torno e ritorno, da anni sulla base di nuove incredibili acquisizioni. Ma a questo punto mi preme dirti quello che maggiormente m'interessa e forse può interessare tutti: il problema che abbiamo davanti non è quello della esattezza decifratoria ma quello di far capire, una volta per tutte, che i bronzetti (tutti i bronzetti) sono scritti, che esiste, adoperatissimo, come in egiziano, il codice metagrafico. Se io in un bronzetto leggo una voce in modo sbagliato o se addirittura lo fraintendo tutto, che monta? Se esso è scritto, con l'andar del tempo, affinando gli strumenti interpretativi e 'allenandosi' con i rebus, una squadra di studiosi non tarderà ad interpretare in modo esaustivo e forse definitivo. Io non credo che nessuno si serva più delle sole prime intuizioni e interpretazioni dello scopritore della scrittura geroglifica egiziana. Quello che è stato determinante è il fatto che qualcuno abbia convinto con alcuni esempi circa i cartigli che quelli disegnati non erano simboli e decorazioni ma segni fonetici. Lo stesso è avvenuto per altri codici di scrittura. Conta l'input iniziale, quello che spingerà (se spingerà) altri a percorrere tribolando la nostra stessa strada scivolosa e piena di spine e di trabocchetti.

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  5. Grazie Prof., quando ti apri in queste risposte mi rendi contento di averti stimolato, perché mi sembrano cariche di elementi che ogni volta è come arricchissero, aggiornandolo, una sorta di paratesto utile a chi voglia conoscerti meglio, sentire come lavori, in che clima, con quali difficoltà e quali progetti, per inquadrare meglio la tua persona e i tuoi studi. Potrei limitarmi a questo, non so quanto davvero ti interessi la risposta alla domanda che mi poni (se il metagrafico sia stato usato solo di quando in quando, ad arbitrio degli scribi: il sempre, come il mai, sono rigidità davanti alle quali tendo sempre a concepire almeno delle eccezioni). Ma ora potrei sentirmi di risponderti (ripetendomi, col cuore però più leggero) che se anche fosse tutto o quasi tutto scritto partirei certamente con l'obiettivo solo relativamente più modesto di convincere anzitutto che esiste la scrittura alfabetica sarda antica e quindi che, come nell'Egitto col quale si era certamente in rapporto, non poco depone in favore di un codice metagrafico ancor più difficile da interpretare. Col cuore leggero, ho detto, perché mi piace constatare che in base a quanto hai finito per scrivere qui sopra non sembriamo pensarla, in ultima analisi, troppo diversamente.
    Mi riprendo invece del Pierino (Pierone) se sto a puntualizzare che questo doppiere per qualche aspetto non sembra riducibile a un bronzetto proprio come tutti gli altri? In fondo hai detto chiaramente tu per primo, qui, che è un pezzo unico anche perché presenta, pure, segni di scrittura (ed è ragionevolmente per questo che Giovanni Lilliu gli ha dedicato tante più pagine che ad altri "bronzetti come tutti gli altri").
    Con tutto questo e per tutto questo, ancora ti ringrazio.

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  6. 'Bronzetti' per me sono tutti i prodotti in bronzo, i manufatti realizzati per la 'religio'. Un 'pugnaletto votivo', come una 'tanit', una 'cane che ascolta' come un 'popolano orante', un toro come un capo tribù, uno spillone come uno 'sgabellino' cultuale. Ma il collante per parlare di 'categoria' mi sembra proprio la scrittura metagrafica. Perché tutti quegli oggetti non esistono per i nuragici se non hanno il suono, la parola. Creare un oggetto sacro vuol dire dargli una identità linguistica. Senza di essa non esiste. Mi sembra che anche qui i nuragici (gli scribi) avessero ben presente l'atto della creazione divina del V.T. Creazione e conseguente parola (acqua, terra, cielo, terra, notte, giorno, uomo, donna, ecc.. Quanto a cosa si debba far credere prima o dopo della scrittura è del tutto strumentale, interessato e non interessa la scienza. La vera scienza (per me). E' come se uno mi suggerisse che devo insistere sul nuragico per far capire poi l'etrusco. Vado dove mi porta l'intuito, il fiuto e la somma delle acquisizioni. Non faccio il ragioniere diplomatico della scienza. Questo, senza presunzione, lo facciano altri per me. Protosinaitico, protocananaico, agglutinamento, mix di scrittura, acrofonia ecc.ecc.....ne ho le balle piene!

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  7. Il doppiere sarà anche un pezzo unico come del resto lo è ogni bronzetto. Come lo era del resto ogni scarabeo egizio; ma non lo è certo il pugnaletto come segno-simbolo, io e Romi ne abbiamo fatto una bella collezione. E men che meno lo è il segno a "forcella", della cui ripetitività sono consci TUTTI gli archeologi che si occupano di nuragico, è divenuto un vero e proprio "mantra" geroglifico nuragico. Spero che basti per crederci questo piccolissimo post: http://monteprama.blogspot.it/2014/11/l-inedito-di-monte-prama.html con le necessarie citazioni.
    Entrambi i segni sono attestati anche a Monte Prama, e non lo dico io, ma lo dicono gli archeologi. Vincenzo Santoni quelli a forcella di MP li ha mostrati-almeno in parte-nel libro del 2014 sulle sculture (tomo I). Ugas ne parla diffusamente in Tharros felix 5 e lista anche il pugnaletto SCOLPITO tra gli ideogrammi (tabella II), assieme ad altri e innumerevoli oggetti. Tharros felix 5 è una pubblicazione dell'università di Sassari, quindi se si vuole un riconoscimento della scrittura nuragica, c'è ed è più che ufficiale: ancora non riescono a pronunciare questa espressione "scrittura nuragica", perchè gli viene un crampo alla lingua, ma ormai questo non pronunciamente fa ridere tutti; tranne te, Francesco, che ancora sei ossessionato dalla approvazione UFFICIALE: che stai certo, non verrà mai finchè Gigi vivrà.
    Ma perchè, il seppellimento dello spillone di Antas sotto la voce "grafemi senza significato" non fa ridere prima di tutto chi lo ha scritto? secondo me sì, e dovrebbe anche far vergognare: ma sulla Sardegna si può scrivere di tutto, senza vergognarsi; è il rifugium peccatorum. Pensa che nella pagina prima dello spillone l'epigrafista fa vedere due segnacci rinvenuti in Spagna su una ceramica locale, segnacci che potrebbero essere stati tracciati da un gorilla, tanto son brutti: però quella è scrittura, per un unico motivo plausibile: è in Spagna, non in Sardegna.

    Se si vuole fare apparire Gigi come un pazzo visionario perchè legge gli oggetti e Ugas invece solo "audace" perchè legge (o meglio vorrebbe farlo, ma non ci riesce) pintadere, fiaschette miniaturistiche,nuraghetti, asce, navicelle ecc. (tutti oggetti 3D nella sua lista di ideogrammi) AMEN! penso che la sua psiche -di Gigi- reggerà benissimo a questa differenziazione; Ugas è uno dei loro, non lo tratteranno mai come un pazzo deficiente. Ma cosa dicono poi di tanto differente? I nuragici avevano una scrittura lineare e anche scrivevano con oggetti. Lo dice Ugas, lo dice Gigi Sanna.

    Eh sì Francesco, puoi dirmi oggi in tutta tranquillità che sono aggressiva: perchè di queste discussioni sulla opportunità o meno di certi studi e mostrarli, ne ho piene le scatole. Uno studioso studia, un ricercatore ricerca, non può farne a meno: come disse Gugliemo da Baskerville nel Nome della Rosa :"Nessuno ci impone di sapere, Adso. Si deve, ecco tutto, anche a costo di capire male".

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    1. Quello che può ossessionare, davvero, cos'è?

      Forse è che ci sia un gruppo di persone (in maggioranza sarde di Sardegna e “disterrate”, ma qualcuna nemmeno sarda e nemmeno dalla Sardegna) che in perfetta buona fede procedono a studiare o leggere e vedere e confrontare e discutere su una cultura materiale ma anche linguistica e religiosa degli antichi Sardi in connessione col mondo (Cananaici ed Egizi anzitutto), un gruppo sicuro di avere già spiegato abbondantemente e ormai alla nausea le basi concrete dei propri convincimenti, sicuro di avere accumulato e di mettere a disposizione di tutti ogni prova necessaria, tanto stanco di batterci sopra da guardare ormai anzitutto avanti sulla propria strada piuttosto che a quanti ancora non sappiano o non credano. Può ossessionare che all'infuori di questo gruppo tutto sembri fermo e sostanzialmente indifferente, che tutti gli altri liquidino quello che si agita sotto quello che per loro è un indistinto polverone (nel quale non vale la pena addentrarsi per capire, tanto non ci si fida dei propri filtri) come a beghe tra fanatici e accademia, o magari tra frange indipendentiste e fisiologica reazione. Mentre basterebbe che l'accademia giunga ad ammettere che quanto sopra è serio perché tutti si fidino e guardino, leggano, capiscano, collochino meglio le radici culturali della propria terra tra le radici di una cultura che è sempre arrivata loro come semplicemente riversata e di ultima mano.

      Può ossessionare, o semplicemente può dispiacere molto, che nel suddetto gruppo (o chiamatelo come volete, occasionale convergenza di variamente interessati alla materia) vi siano personalità eccellenti nello studio e nella ricerca (strada sulla quale è buono e giusto che proseguano liberamente, mi toccherà sempre precisarlo), ma che tutto quanto queste accumulano ancora non si riesca tra tutti a tradurlo in spinta decisiva verso una seria considerazione dell'accademia, della “scienza ufficiale” (potrei dire perciò che non ce l'ho con voi, Gigi e Atropa; se “ce l'ho” ce l'ho con tutti, soprattutto con quelli che vi stiamo vicino).

      Può dispiacermi che mia figlia inizi quest'anno il Liceo Classico, che i suoi insegnanti partano meritoriamente da lezioni sulla cultura nuragica, e però non si spingano (non si possano spingere) a parlare di lingua, di scrittura, di religione, di un solco oggi leggibile che possiamo seguire fino alla maturazione consequenziale di quella cultura greca e poi latina su cui tanto studieranno, e che sembrerà anche alla loro generazione (con una spolverata di vaga cultura materiale nuragica, scollegata da tutto, tra i ricordi di cui non sapranno mai bene che farsi) la vera e sola cultura apprezzabile, a noi inoltre pervenuta (come sopra) di ultima mano. Può dispiacermi pensare che se andassi a parlarne con i suoi professori al 99% mi prenderebbero anche loro (come sopra) per indipendentista e/o fanatico (per questo finisco per non farlo, già grato che loro inizino comunque dal nuragico il loro programma). Può dispiacermi che anche a parlarne ulteriormente con mia figlia, ragionevolmente i suoi piccoli filtri in formazione opporrebbero tacitamente una sana sordina.

      Magari proporre ai suoi professori il link a questa discussione ...

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    2. Ma scusa e noi che possiamo farci, concretamente, che possiamo farci? Proprio nulla.

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    3. "Cosa possiamo farci, noi, concretamente" dovrei intenderla una domanda retorica, quando subito ti rispondi da sola "proprio nulla". E lasciarla qui come domanda retorica sarebbe comodo, perché non mi sfiderebbe davvero a proporre idee risolutorie, che non ho.
      Ma mi sembra si possa essere d’accordo sul fatto che le opzioni, almeno in teoria, siano sostanzialmente due: si può lasciare che la barca vada e stare a vedere che succede mentre ognnuno fa quel che più gli piace; oppure si può cercare di avvicinare un (nuovo e più costruttivo) confronto con esponenti dell’accademia. La seconda tra le suddette alternative potrebbe perseguirsi (sempre in teoria) cercando figure dell’accademia o validi tramiti per esse e tessendo così trame di un dialogo rispettoso (rispettoso delle idee degli altri e certamente delle proprie). Sappiamo che le relazioni, per gli screzi di ormai tante stagioni, non si presentano le più favorevoli, ma o si prova o (appunto) non si fa nulla.
      Io non ho contatti utili in tal senso, ma spero che se qualcun altro osasse proporsi, fiutatolo per benino, non risulti impensabile l’idea di dargli la fiducia e la disponibilità necessarie, liberi dal pregiudizio che qualsiasi approccio con sentore di diplomatico sia non solo sospetto ma addirittura da scansare.
      Se provo a spingermi qualche passo in avanti, mi viene da immaginare la disponibilità di un benedetto esponente dell’accademia ad avviare un confronto con Gigi, magari dichiaratamente mosso dall’intento di segnalarne gli errori; e mi viene da immaginare la sua richiesta di un confronto che sia però anzitutto riservato. Quindi mi chiedo (e non è una domanda retorica, al contrario la risposta mi interessa molto): un confronto che si avvii riservatamente Gigi potrebbe accettarlo? Ne ha avviati in passato? E se già ne aveva sperimentati, le conoscenze e i dati accumulati da allora a oggi non potrebbero rendere le sorti di un nuovo confronto diverse dalle precedenti? È perfettamente inutile, insomma, che Gigi dichiari o rinnovi la sua disponibilità a confrontarsi anche riservatamente con quello che giudichi un accettabile recensore?
      Se poi mi direte, come è probabile, che non può funzionare così (perché Gigi ha già messo nero su bianco tutto ciò che potrebbe spiegare riservatamente, quindi qualsiasi confronto deve svolgersi per la via canonica degli articoli scientifici ed è davvero nell’iperuranio chi immagina altre vie), allora non ci sono alternative reali e (da capo a dodici) non resterà che guardare dove andrà la barca.

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    4. In realtà qualcos'altro da poter fare ci sarebbe, e starebbe nel parlare quanti sappiamo dei fondamenti della scrittura nuragica in tutte le occasioni disponibili. Per far questo sarebbe di molto aiuto (spero) il manuale che Gigi dovrebbe riuscire a pubblicare immagino ormai a breve. Promuovere la diffusione di una utile pubblicazione divulgativa sarebbe certamente, per quel che possiamo fare, qualcosa di concreto.

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    5. Ma scusa, pubblichiamo tutto in modo accessibile a tutti, abbiamo cercato la discussione e il confronto mille volte- Gigi che ha molta più pazienza di me 10000 volte. Tutte le volte che lo abbiamo fatto ci è piovuta addosso indifferenza nel migliore dei casi, sterco nella regola. Io non cerco davvero più niente, studio e basta. Dopo l'esperienza del convegno di Cabras del 2015 non verrò più in Sardegna a tenere conferenze o lezioni, chi me lo fa fare? E pensa che in quell'occasione ho parlato solo di datazioni al C-14 (sapere comune e certificato dallo scorso millennio) e di un possibile legame con l'Egitto, peraltro chiaro come il sole e che bisogna essere ciechi per non vedere. Non ho parlato di scrittura neppure lontanamente. Eppure apriti cielo! è bastato l'annuncio della mia presenza per scatenare l'inferno. No grazie, io mi sono stufata di essere presa a badilate; manco sono sarda. Vacci pure tu a parlare coi potenti, ma ti prego di non fare il mio nome. Se vogliono venire a discutere con me mi sta benissimo, ma io da loro non ci vado. Ti sei forse dimenticato che mi hanno lasciato sbranare per ANNI sulle pagine di fogne mediatiche senza muovere un dito, senza mai dissociarsi da metodi obbrobriosi e che nulla hanno a che fare con la dialettica? bene, io no, non l'ho dimenticato. E con questo la chiudo qua, davvero di strategie comunicative con persone che vorrebbero solo la mia eliminazione dal fronte Sardegna non ho voglia di parlarne.
      Tua figlia e i ragazzi della sua età troveranno la loro strada nella storia dell'isola, ne sono certa, basterà farli viaggiare per musei, torri e anche blog. Oggi non è difficile: la storia non si fa più solo nelle aule di scuola (dove del resto Roma e la Grecia la fanno da padroni da sempre).
      Ovviamente io parlo per me, Gigi farà ciò che crede: non c'è neppure bisogno di dirlo.

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  8. Già 'anche a costo di capire male'. Ma bisogna sempre dire il 'perchè' quando un altro 'capisce male'. Noi lo facciamo. Sempre. Altri no. E ciò è deprimente per la ricerca scientifica.

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  9. Il segno a 'forcella'? E perché non si chiama come Dio voleva che fosse chiamato? E perché allora la 'he' protocananaica di Barisardo non la chiamiamo segno a 'pettine'?E perché le centinaia di Yod a trattino obliquo o verticale non li chiamiamo 'segni a stanghetta'? E perché le 'nun' non le chiamiamo 'segni sinuosi'. Perché la zayn della barchetta di Teti non la chiamiamo 'segni a doppio trattino'. Che cosa brutta che è non chiamare le cose con il loro nome! Anche se si capisce bene il perché della reticenza: ostinata, puntuale, goffamente reazionaria.

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  10. Comunque dobbiamo ammettere che è una bella risposta a Yh 'c'è. Y non 'c'è'. Li possino... E che Y li perdoni!

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  11. Chi più chi meno,per un motivo o un altro abbiamo avuto tutti a che fare con l'arroganza del potere.Nei piccoli paesi non ti fanno vivere in tutti isensi,non per questo si deve mollare.Certo non è facile per voi studiosi essere sminuiti e derisi dai bravi asserviti al potere,il sistema è quello,lo gestisce lo stato mi sembra evidente.Non dare per scontato Belladonna,che I ragazzi troveranno la via giusta,il nulla avanza e se viene a mancare l'altra informazione allora si che è finita............Concordo con Francesco e aspettiamo con grande curiosità il libro di Gigi.Un saluto a tutti

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    1. Guarda che personalmente non sono stata sminuita o derisa: è stato fatto un tentativo multiplo di eliminarmi e distruggermi, a favore di una ben determinata categoria professionale; categoria che poteva dissociarsi, pubblicamente, dal venire difesa con questi metodi, ma non ha detto una parola.
      L'altra informazione non verrà a mancare-sarà sempre libera e disponbile- ma l'aperitivo con olive e salatini no, non fa per me.

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    2. Per inciso ti faccio notare che io sono parte di quel sistema che menzioni, ci sono dentro all'accademia. E quello che mi è successo scusami sai, ma col cavolo che è normale!

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    3. Forse non mi sono spiegato,"è normale"per loro fare fuori la gente in questo modo.Se non sei allineato ciaooooo,ti ritrovi isolato.

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  12. Insomma, per rientrare nella normalità delle cose, servirebbe uno che beve l'aperitivo con un accademico e che, tra un'oliva e un salatino, getti l'amo del confronto?
    Il tentativo è possibile, da parte di chi sta ancora all'aperitivo.

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    1. Meno male abbiamo qui Atropa a rappresentarci plasticamente (suo malgrado) come di accademici ce ne saranno di variamente diversi. Quindi, Francu, non chiamarti fuori, perchè ci sarà l’accademico da aperitivo, ma anche quello da funghi e asparagi, da pesca e da caccia, da vendemmia e da frantoio. Perciò, a ben vedere, potresti avere tante possibilità proprio tu, che tra l’altro a gettare ami te la cavi benissimo ;-)

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  13. Una cosa capisco. Parlereste diversamente (e con più cognizione di causa) se conosceste la mia corrispondenza privata. Che non userò ovviamente. Quella usata mi è servita, eccezionalmente, per far capire il grigiore ed il basso livello morale di alcuni (pochi per fortuna) esponenti 'giacobini' dell'Università che sapevano bene chi era il sicario che da dietro il muretto sparava contro di me e, soprattutto, contro Aba. E capisco anche che le cose sono andate tanto avanti sotto l'aspetto conoscitivo ( o scientifico) che si è 'nervosi' per come non vanno avanti le dette cose circa un dibattito (almeno quello) sereno sulla esistenza e la 'caratura' di quella che chiamiamo 'scrittura nuragica'. Francesco sbatte il muso sulla necessità di diplomazia ma Aba gli ha fatto capire in mille salse che sebbene questa sia stata messa in atto non è servita proprio a nulla. Tant' che scoraggiata sul non 'dialogo' scientifico con l'accademia sarda ci ha messo una grossa pietra sopra e pensa di dialogare proficuamente con il mondo e non con quattro gatti che non ne vogliono sentire, per i più svariati motivi, di cambiare idea. Io faccio lo stesso e non è una caso che i due pareri coincidano. Si va avanti e la 'barca va', come solo può andare. Ho riflettuto molto sul fatto che Francesco inizi a dare il benestare alla scrittura metagrafica: se lo fa Francesco, se certi dubbi vengono meno, vuol dire che non è solo lui a farlo (e non da oggi). L'interpretazione del doppiere di Tergu forse costituisce una svolta sull'esistenza della scrittura (non solo epigrafica) della Sardegna antica. Ma anche l'interpretazione in chiave fonetica dei coperchi dei sarcofaghi etruschi forse sta servendo alla 'svolta', perché indirettamente testimoniano della scrittura metagrafica (così come i documenti 'francesi' di Pito. Ma servono ancora prove su prove, documenti su documenti. Nessuno se ne rende conto come me. Si 'vince' forse solo se qualcuno che conta si incazzerà e sbatterà i pugni sulla cattedra e dirà finalmente 'ora basta! Si può essere critici e scettici quanto si vuole, ma c'è un limite che la scienza, perché oggettiva, non intende trascurare'. E allora servirebbe un 'sano' e leale confronto all'interno delle facoltà deputate in Sardegna alla ricerca specifica (l'Università di medicina per quanto prestigiosa non basta).

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  14. Gradirei però che non si dimenticasse che il confronto scientifico il sottoscritto lo ha già avuto all'estero (alla Sorbona di Parigi e alla facoltà di Lettere di Aix en Provence). E' stato proficuo (come i testimoni sanno bene). Ne ho parlato, più volte. E ho detto sempre d'essere stato invitato in quelle facoltà e di non aver mai fatto pressioni in nessun luogo per parlare di scrittura nuragica. Figurarsi se cerco 'amici' qui che mi aiutino a fare la proscinesi ad alcuni vecchi cialtroni incompetenti quanto spocchiosi. Me lo si lasci dire: Sardoa Grammata è opera di ricerca pura, di una persona libera e orgogliosa mica di un timoroso questuante. Vado fiero sia della libertà sia dell'orgoglio. Anche se so che in genere chi vanta questa fierezza e la libertà non viene accolto volentieri da chi forse non sa minimamente cosa di bello esse siano. Nascerà qualcosa per superare una situazione insostenibile? Non lo so, né me lo chiedo più di tanto. Forse sì. E quel forse è mosso da quello che posso trarre dalla corrispondenza privata o dai colloqui personali. Ma né gli uni né gli altri posso metterli in piazza. L'ho fatto, con infiniti tentennamenti, solo per 'denunciare' doverosamente i cialtroni dell'Università che sull'identità di un 'delinquente' molto sapevano e nulla dicevano. Da 'balentes' di prima fascia. Il mio nuovo libro? Sta quasi per vedere la luce (forse prima di Natale) ma non illudiamoci. Non servirà per quello che si può pensare, cioè un dibattito e un confronto. Data l'assenza attuale del chiasso pornofonico esiziale di un nuovo Ainis, asenza che proseguirà con dispiacere di alcuni ambienti, ci sarà il solito silenzio. Quasi mortale anch'esso. E chi mi darà una qualche udienza sarà scomunicato. Ma il mio moto, ormai noto (penso), forse da ingenuo, è sempre lo stesso. 'Non fare mai la gara di un giorno'.

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  15. Francesco mio, mi fai un san Pietro redivivo, un pescatore di uomini, mentre io, caratterialmente, aborro la folla.
    Più di qualcuno sa dei miei rapporti con Gigi e, quando uno di quelli che tu ritieni che potrebbero abboccare m'incontra, si mette i guanti di lattice, la mascherina sul viso e le cuffie per non sentire. Per portarlo a casa, dovrei comportarmi come usa con un cinghiale.
    E se io insisto a gesti a farmi avanti, la prima cosa che chiedono è: Quel Sanna della scrittura nuragica?
    E dovresti sentire il tono!
    Con pazienza ho esplorato su quanto siano informati sulla materia e ti dico che non leggono neanche i giornali, quando qualche volta ne parlano. Hanno solamente in testa il pensiero dominante della casta e a quello si attengono acriticamente.
    Così vanno le cose. Oppure, provo a mettermi nei tuoi panni spirituali - quelli materiali mi vanno stretti di sicuro! -, hanno ragione da vendere e io torto.
    Un torto enorme che nessuno comprerà e non potrò neppure smaltire se non come rifiuto organico tossico. A pagamento, insomma.

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