Gigi Sanna
dedicato a Francesco Cesare Casula
1. Prefazione
Lo scarabeo di Sardara insieme a quello di S’Arcu ‘e is Forros di Villagrande Strisaili (1) è stato oggetto di uno studio specifico da parte dell’archeologa Cinzia Olianas. In esso è presente inciso, anche se non ben marcato sempre nelle linee, un toro che occupa la parte mediana ed inferiore dell’oggetto. E’ stato interpretato come simbolo di Hathor Isis nelle paludi di Buto. Interpretazione rafforzata, secondo la studiosa, dal fatto che davanti alla testa del toro si trova un qualcosa di non chiaramente identificabile ma che potrebbe essere la prua di una barca e ancora dal fatto che dietro o sopra il toro sarebbero presenti probabili fiori di loto.
Uno scarabeo ‘egittizzante’ dunque e giunto (l’ennesimo) in Sardegna attraverso la mediazione fenicio- punica. Uno dei tanti scarabei che sarebbero ascrivibili sempre alla categoria degli oggetti con tematiche egiziane ma non egiziani.
A questa interpretazione si è opposta (2) con fermezza Atropa che ha fatto alcune obbiezioni assai pertinenti alle quali, da quanto so, non è stata mai data, chissà perché, una risposta. La professoressa di Parma esordisce esponendo alcuni sospetti già sull’iconografia del toro che mostra una curiosa e particolare coda ad S e ancora sul fatto che davanti al toro ci sia un segno che richiamerebbe la lettera ‘lamed’. Sospetta cioè la presenza di segni di scrittura che potrebbero estendersi anche ai segni di difficile interpretazione presenti sopra il toro (i presunti fiori di Loto della Olianas). Ma le obbiezioni maggiori vengono fatte sull’identità del toro che potrebbe essere piuttosto simbolo del Faraone Nebmaatre stante il fatto che è quello che si trova scritto nell’amuleto di Nurdole, ‘espressione tangibile del sincretistico yhwistico – amunico’. Toro inoltre che potrebbe tranquillamente essere nuragico dal momento che nello stesso sito del pozzo sacro e del tempio di Santa Anastasìa il Taramelli rinvenne una protome taurina che faceva parte del tempio (3). Quindi oggetto nuragico di culto. Toro ancora, aggiunge la studiosa, che risulta sempre presente nell’iconografia nuragica sino alla serie monetale del periodo di Amsicora dove esso è significativamente raffigurato come animale simbolico protettivo, rappresentativo della ‘religio’ dei Sardi nella guerra contro i Romani.
Insomma la studiosa parmense è di tutto altro parere rispetto alla Olianas e termina la sua disamina affermando: ‘La mia tesi è che quello sia uno scarabeo di produzione sarda, che esprime un forte legame con l' Egitto del Nuovo Regno, senza mediazione punica, e nello stesso tempo esprime il culto sardo, millenario, di una divinità taurina e androgina che, alla moda egizia, ha dei figli in terra e che si continua fino all' epoca tarda (come si vede dalla serie monetale del toro del 216 a.C.).
A questa interpretazione si è opposta (2) con fermezza Atropa che ha fatto alcune obbiezioni assai pertinenti alle quali, da quanto so, non è stata mai data, chissà perché, una risposta. La professoressa di Parma esordisce esponendo alcuni sospetti già sull’iconografia del toro che mostra una curiosa e particolare coda ad S e ancora sul fatto che davanti al toro ci sia un segno che richiamerebbe la lettera ‘lamed’. Sospetta cioè la presenza di segni di scrittura che potrebbero estendersi anche ai segni di difficile interpretazione presenti sopra il toro (i presunti fiori di Loto della Olianas). Ma le obbiezioni maggiori vengono fatte sull’identità del toro che potrebbe essere piuttosto simbolo del Faraone Nebmaatre stante il fatto che è quello che si trova scritto nell’amuleto di Nurdole, ‘espressione tangibile del sincretistico yhwistico – amunico’. Toro inoltre che potrebbe tranquillamente essere nuragico dal momento che nello stesso sito del pozzo sacro e del tempio di Santa Anastasìa il Taramelli rinvenne una protome taurina che faceva parte del tempio (3). Quindi oggetto nuragico di culto. Toro ancora, aggiunge la studiosa, che risulta sempre presente nell’iconografia nuragica sino alla serie monetale del periodo di Amsicora dove esso è significativamente raffigurato come animale simbolico protettivo, rappresentativo della ‘religio’ dei Sardi nella guerra contro i Romani.
Insomma la studiosa parmense è di tutto altro parere rispetto alla Olianas e termina la sua disamina affermando: ‘La mia tesi è che quello sia uno scarabeo di produzione sarda, che esprime un forte legame con l' Egitto del Nuovo Regno, senza mediazione punica, e nello stesso tempo esprime il culto sardo, millenario, di una divinità taurina e androgina che, alla moda egizia, ha dei figli in terra e che si continua fino all' epoca tarda (come si vede dalla serie monetale del toro del 216 a.C.).
Ma aggiunge ancora qualcosa di molto interessante per tutto o quasi tutto quello che diremo, dal punto di vista epigrafico e interpretativo. Sarà utile riportare tutto il brano per intero: ‘ E qui arriviamo ad un'altra e bruciante questione: quel sigillo è scritto? E se sì cosa c'è scritto? E' forse il sigillo di un principe-faraone sardo? Una cosa è certa: il corpo del toro è appena graffiato sullo scarabeo, mentre saltano all' occhio, incisi molto più profondamente, dei "segni" che sono, quanto meno, sospetti. E non è certo condivisibile quello che scrive Cinzia Olianas sul "perchè": "I particolari anatomici del bovide sono resi in modo essenziale: il capo è di forma pressochè triangolare, al centro del quale compare un grande occhio[..] Questo genere di rappresentazione molto elementare è tipica degli scarabei in steatite sui quali spesso veniva praticata solo una semplice incisione, trattandosi di una pietra problematica da lavorare in modi più raffinati, anche in ragione della qualità del materiale non particolarmente resistente (la steatite veniva cotta proprio per accrescerne la durezza). Questo scarabeo infatti è in steatite, ovviamente, portata ad alta temperatura: così facendo la pietra diviene da tenerissima (valore 1 nella scala Mohs, da 1 a 10) a dura o durissima (valore 5 o 6 della scala Mohs, dipende dalla temperatura di cottura). Tant'è vero che è il tipico materiale dei raffinati scarabei egizi del nuovo regno, ed anche di molti sardi: tra cui quelli, non certo resi per tratti essenziali, di Monte Sirai (figura 5) (3b, 7). Non è quindi sostenibile che l'essenzialità dei tratti bovini sia ascrivibile al materiale. Quindi? E’ forse un modo per "far saltare agli occhi" di chi vuole e sa guardare, qualcos'altro, dei segni di scrittura che rendano un nome o attributo divino e/o il nome di qualche importante personaggio sardo?
Queste
dunque le non poche osservazioni e le obbiezioni di Atropa sia sulla lettura
data dalla Olianas e la tesi da lei avanzata sulla natura di quello scarabeo.
Ma dal momento che sull’argomento scrittura ed epigrafia la studiosa aveva… ‘lasciato
la palla’ al sottoscritto vediamo ora se è possibile onorare quell’invito
al ‘gioco’ e la fiducia che in qualche modo potessi riuscire ad avere il
sopravvento sulla indubbie difficoltà interpretative sotto quel particolare
aspetto. Non è stata una cosa facile, anche perché l’occhio e l’intuito della
studiosa con quel suo riferirsi all’impianto
grafico simile a quello dello scarabeo di Villagrande Strisaili, mi hanno indotto a riflettere a lungo e ad
esaminare continuamente e simultaneamente gli oggetti e dal punto di vista epigrafico e da quello
paleografico. Ma, aggiungo, anche dal
punto di vista del senso. Però sullo scarabeo di S’Arcu e is Forros (un originalissimo capolavoro artistico quanto
quello che qui si esamina), assai illuminante anche per potere sostenere con
maggiore vigore quanto con questo
articolo cerchiamo di rendere obiettivo e scientifico con la forza dei dati
empirici osservabili, diremo tra qualche giorno.
Ma è tempo di entrare in argomento:
Lo scarabeo si compone, in tutta evidenza, di ben tre parti (o settori) scritte e non di una sola.
La prima è costituita dalla parte in bronzo che contorna in parte, sostiene e fissa lo scarabeo:
Ma è tempo di entrare in argomento:
Lo scarabeo si compone, in tutta evidenza, di ben tre parti (o settori) scritte e non di una sola.
La prima è costituita dalla parte in bronzo che contorna in parte, sostiene e fissa lo scarabeo:
La seconda è data dallo scarabeo, osservato verticale, dalla
parte del dorso:
La terza parte è offerta dallo scarabeo visto nella parte
inferiore, la più ricca di segni e, praticamente, quella sola che è stata oggetto di attenzione ermeneutica
da parte degli studiosi.
Chiameremo per comodità le tre parti A B C.
3. I tre tori.
Ora, più volte,
già a partire dalla pubblicazione del nostro volume del 2004, abbiamo avvertito
che il codice di scrittura nuragico è metagrafico (4) e che esso si serve anche del supporto per
dare il senso complessivo della scrittura. Bisogna quindi osservare
attentamente ed essere in grado di
‘leggerlo’, e leggere, in questo caso, sia la parte in bronzo deputata a
sostenere lo scarabeo sia il dorso dello scarabeo medesimo che risulta essere,
a sua volta, supporto per la scritta sottostante. Ciò è necessario anche perché
bisogna sospettare e calcolare preventivamente che le letture potrebbero essere
non una ma più di una. Aspetto questo, della
scrittura con più letture, assai frequente nel nuragico. Si osservi pertanto che non solo la parte da sempre
ritenuta la sola importante per la lettura (quella esaminata dalla dott.
Olianas e da Atropa) possiede
dei segni
che bisogna interpretare. Anche le altre ne possiedono e non pochi. Infatti, si nota innanzitutto che
sia la parte A che la parte B dell’oggetto intendono riportare, in
modi differenti, il segno fondamentale ovvero
quello del toro; il macrosegno subito (o quasi subito) comprensibile e visibile nella parte C (v. tab. 1). Il solo e apparentemente
assoluto che attira l’attenzione ermeneutica. Quindi abbiamo il dato,
abbastanza sicuro, che nell’oggetto non c’è un solo segno taurino ma ve ne sono
tre (5).
tab.1
Queste
immagini taurine, tutte e tre, ci sono familiari e fanno, numerose volte,
parte, del tutto identiche o simili,
dell’iconografia nuragica in documenti, ormai noti, di scrittura. Si vedano ad esempio il
cosiddetto doppiere di Tergu (6), il
segno esterno a ‘T’ (7) alla sinistra della
scritta della Sala da ballo di San
Giovanni del Sinis, il bovide del cosiddetto ‘brassard’ di Is Locci Santus di San Giovanni Suergiu (8).
fig. 3
fig. 4
fig. 5
4. Il significato della presenza dei tre
tori nel contesto segnico.
Che significato
però assumono questi tre segni taurini?
Lo comprendiamo se ci rendiamo conto che essi non sono isolati quanto a segni ma
si trovano in specifici contesti di altri
segni ancora. Infatti, nella parte A
il toro rende ideograficamente il concetto di sostegno e, ancora, mostra d’essere formato da delle corna con le
punte ‘decorate’, alla moda di non pochi bronzetti nuragici (fig.6 e 7) (9).
fig. 6
fig.7
Sostegno a sua
volta sormontato da un altro sostegno (taurino) ancora, che è quello bronzeo che regge lo
scarabeo. Quindi si ha, in lettura ideografica, acrofonica e numerologica, il doppio
sostegno del doppio toro:
- doppio
(numerologia)
- il /lui (acrofonia di hdrh ornamento, sem. הדרה ).
- sostegno (ideografia).
- toro (ideografia).
Il motivo per cui c’è questo doppio sostegno taurino (10) lo vedremo più avanti. L’interessante è, per ora, l’aver capito e ottenuto una prima sequenza di senso (il senso del supporto) nella parte iniziale del manufatto riguardante, quindi, non solo lo scarabeo.
Nella seconda parte il segno taurino a T si trova al di sotto di un altro inequivocabile strano disegno (ottenuto per incisione) che sostituisce la testa dello scarabeo: un particolare apparentemente decorativo composto da una forma lenticolare, con ogni probabilità un occhio, con tre puntini sotto. Detto segno resterebbe del tutto enigmatico e impossibile da decifrare se noi non possedessimo una ricca documentazione sia nuragica che etrusca (11) sul valore del tre (o del sei) in iconografia. Il numero è segno metonimico del sole e della luna assieme, degli astri che con il loro ritmo ternario ciclico danno vita al creato. Se così è, abbiamo, insieme al segno a T, partendo con lettura dall’alto: occhio (luce) tre toro e cioè ‘toro della luce del tre (sole e luna)’ . A questa sequenza però dobbiamo aggiungere ancora ( come nel caso di A per il toro), la voce RA (12) data dal valore ideografico logografico dello scarabeo letto come supporto.
- Ra: (ideografia dello scarabeo)
- il/lui: (ideografia di decorato, decorazione: l’occhio e i tre puntini)
- occhio/luce (ideografia)
- tre /sole - luna (numerologia).
- toro (ideografia).
Quindi in questa seconda parte abbiamo la seguente sequenza di senso: L’occhio di Ra toro del tre (sole e luna) . Stiamo dunque cominciando a comprendere che le due parti A e B suggeriscono:
Il motivo per cui c’è questo doppio sostegno taurino (10) lo vedremo più avanti. L’interessante è, per ora, l’aver capito e ottenuto una prima sequenza di senso (il senso del supporto) nella parte iniziale del manufatto riguardante, quindi, non solo lo scarabeo.
Nella seconda parte il segno taurino a T si trova al di sotto di un altro inequivocabile strano disegno (ottenuto per incisione) che sostituisce la testa dello scarabeo: un particolare apparentemente decorativo composto da una forma lenticolare, con ogni probabilità un occhio, con tre puntini sotto. Detto segno resterebbe del tutto enigmatico e impossibile da decifrare se noi non possedessimo una ricca documentazione sia nuragica che etrusca (11) sul valore del tre (o del sei) in iconografia. Il numero è segno metonimico del sole e della luna assieme, degli astri che con il loro ritmo ternario ciclico danno vita al creato. Se così è, abbiamo, insieme al segno a T, partendo con lettura dall’alto: occhio (luce) tre toro e cioè ‘toro della luce del tre (sole e luna)’ . A questa sequenza però dobbiamo aggiungere ancora ( come nel caso di A per il toro), la voce RA (12) data dal valore ideografico logografico dello scarabeo letto come supporto.
- Ra: (ideografia dello scarabeo)
- il/lui: (ideografia di decorato, decorazione: l’occhio e i tre puntini)
- occhio/luce (ideografia)
- tre /sole - luna (numerologia).
- toro (ideografia).
Quindi in questa seconda parte abbiamo la seguente sequenza di senso: L’occhio di Ra toro del tre (sole e luna) . Stiamo dunque cominciando a comprendere che le due parti A e B suggeriscono:
- la presenza di un doppio ‘sostegno taurino’
- la presenza di una divinità RA/HORUS ugualmente taurina datrice di esistenza e potenza alla lampada solare e lunare (l’occhio diurno e notturno di RA, le due luci assieme).
Vediamo ora
cosa ci dice la parte C dell’oggetto
ovvero una ulteriore scritta a rebus, assai
difficile pertanto da vedere e da intendere, enigmatica come e forse più delle
altre due. Infatti essa si mostra, tra
le tre, come la più articolata e la più ricca di
simboli e quindi ritenuta in tutta evidenza la più importante nella
composizione generale dell’oggetto.
Un esame
accurato epigrafico mostra che essa è organizzata ancora, come le precedenti,
secondo gli espedienti dell’acrofonia, della ideografia e della numerologia. Innanzitutto, osserviamo la
coda dell’animale che risulta molto appariscente e indicativa, come quella che
fa subito sospettare (così come ancora un presunto segno
finale inteso a lamed) della presenza
della scrittura. Infatti quella coda è manifestamente enfatizzata come ‘segno’
in quanto in forma di S. La forma è
proprio quella, ma non si tratta di una S (esse)
bensì di una nun in quanto quello
specifico segno in nuragico (v. ad
esempio le figg. 8 - 9 -10), spesso completamente
travisato (13), allude alla ‘enne’ acrofonica di serpente (nchs נחש in semitico).
fig.8. S della pietra scritta di Aidomaggiore fig.9. S della fiasca scritta del pellegrino fig. 10. S della barchetta dell’Antiq.arborense
Forma di coda a
serpente e ‘atteggiata ad ira’ che si
trova ad abundantiam nella ricca
serie (14) dei
bronzetti nuragici raffiguranti tori e torelli ( v. ancora figg. 6 e 7). Serpente,
si badi, che per convenzione significa immortale/immortalità
עולם;
aspetto ideografico da ‘leggere’ sempre, soprattutto quando si è in presenza
delle voci semitiche nuragiche NR נר e ‘AYN
עין (occhio) che
significano sempre luce (luce immortale,
occhio immortale).
Resa dunque chiara la natura del segno, dobbiamo ora vedere se l’ipotesi della presenza di una nun ideografica e quindi di una partenza di lettura da sinistra verso destra (15), possa avere fondamento. Essa lo ha se si hanno occhi buoni (e intuito) nell’analizzare la sequenza dei segni che si trovano al di sopra del toro e che seguono alla detta consonante nasale. Lo scarabeo presenta la difficoltà di avere incisioni ora ben marcate ora appena avvertibili (16) ma si può comunque notare che lo scriba ha reso la già ardua lettura ricorrendo ad un espediente assai comune, molto sfruttato nella scrittura nuragica ovvero quello della legatura (17). Infatti, dopo la nun si trovano agglutinati i segni fonetici protocananaici lamed + yod e lamed + ’aleph seguiti da una gimel e da un’altra ’aleph, ma stavolta pittografica (la testa del toro) e non schematica come la prima. Infine precede la ’aleph il segno, ugualmente pittografico, dato dall’anello ornamentale (a collare) e segue la medesima consonante l’ultimo segno (apparente), costituito da una beth. Per comodità si veda la nostra trascrizione dei segni alla figura seguente.
Resa dunque chiara la natura del segno, dobbiamo ora vedere se l’ipotesi della presenza di una nun ideografica e quindi di una partenza di lettura da sinistra verso destra (15), possa avere fondamento. Essa lo ha se si hanno occhi buoni (e intuito) nell’analizzare la sequenza dei segni che si trovano al di sopra del toro e che seguono alla detta consonante nasale. Lo scarabeo presenta la difficoltà di avere incisioni ora ben marcate ora appena avvertibili (16) ma si può comunque notare che lo scriba ha reso la già ardua lettura ricorrendo ad un espediente assai comune, molto sfruttato nella scrittura nuragica ovvero quello della legatura (17). Infatti, dopo la nun si trovano agglutinati i segni fonetici protocananaici lamed + yod e lamed + ’aleph seguiti da una gimel e da un’altra ’aleph, ma stavolta pittografica (la testa del toro) e non schematica come la prima. Infine precede la ’aleph il segno, ugualmente pittografico, dato dall’anello ornamentale (a collare) e segue la medesima consonante l’ultimo segno (apparente), costituito da una beth. Per comodità si veda la nostra trascrizione dei segni alla figura seguente.
fig. 11
6. La beth
con i tre occhielli. Come
interpretarla?
Abbiamo visto come lo scriba, con il suo
deliberato proposito di rendere il tutto oscuro, difficilmente leggibile (se
non del tutto illeggibile), ricorre a diversi stratagemmi. Se si esamina
attentamente quella beth finale (segno certamente assai difficile da interpretare e inteso dalla
Olianas, addirittura, per la prua di una barca egiziana!) si noterà che la
consonante labiale sonora è resa non
attraverso un occhiello solo ma da tre occhielli, il più stretto dei quali,
come si sa, appartiene all’alfabeto tardo del cosiddetto fenicio (18). Una
scritta, sicuramente nuragica, incisa profondamente (19) in un masso basaltico del Nuraghe Cannevadosu di Cabras, a un centinaio di
metri da Monte ‘e Prama, fa vedere
l’uso della beth ad occhiello stretto e a tratto assai allungato (fig.12)
Fig.
12. La scritta del Nuraghe Cannevadosu con i caratteristici resh e beth tardi e la
scritta ŠRBLR (signore di Balar?).
Lo scopo, con ogni probabilità, è quello
di ottenere criptato il numero tre,
numero fondamentale in nuragico perché, così come il tre (che si è visto prima
con i tre puntini) in B, sottintende
la ciclicità astrale sia del sole che della luna assieme. Pertanto alle sequenza dei segni lineari e pittografici
dobbiamo aggiungere quello ottenuto per numerologia ovvero il tre celeste.
7. I
segni fonetici arcaici (e non) presenti nella faccia inferiore dello scarabeo.
Esame particolareggiato. Ipotesi di datazione.
I segni
alfabetici fonetici sono in tutto nove.
Della nun iniziale si è detto, anche per quanto riguarda i
riscontri formali documentari. Degli
altri otto segni, quattro sono di
tipologia lineare arcaica o molto arcaica: la lamed orientata a
sinistra (retrograda), la yod a forcella (20), la lamed ancora retrograda, la gimel
orientata a destra (progressiva), la ’aleph testa del toro. Una
(il collare ornamentale), ossia la hē
è ottenuta per acrofonia ovvero הדרה. Due invece sono di tipologia abbastanza recente: la ’aleph
assai schematica e la beth, come si è detto, ad occhiello
tondeggiante e a tratto verticale allungato. E’ lampante che questo codice si rifà, in particolare, al
noto modo di scrivere in ‘protocananaico’,
cioè a quello del mix che si realizza attraverso segni di tipologia recente misti
ad altri antichi e talora molto più antichi (21). Si osservino ad esempio le due ’aleph, una assai
schematica e l’altra assai pittografica, dove il toro, se abbiamo individuato bene
la traccia dei segni, risulta addirittura muggente (22). Offriamo
due riscontri delle due tipologie di lettere nella documentazione nuragica. Uno dato dal succitato brassard di Is Locci Santus (fig. 5) che ci fa
vedere la ’aleph pittografica arcaica
e l’altro dato dalla pietra
scritta del Nuraghe Pitzinnu di
Abbasanta dove compare invece, per due volte, quella schematica (23) di Santa Anastasìa (fig.13).
fig. 13. Pietra Nuraghe Pitzinnu di Abbasanta Trascrizione
Naturalmente nessuna
sorpresa in ciò. Il nuragico ci ha abituato a questa tipologia ‘protocananaica’ di scrittura, di durata così lunga che, nel periodo più tardo
dell’uso del caratteristico codice nuragico, lettere protosinaitiche convivono,
addirittura, con quelle etrusche e romane! Datare quindi un documento nuragico
è sempre molto difficile (24) a meno che non intervengano dei segni
alfabetici di cui si è sicuri o abbastanza sicuri circa la loro periodizzazione.
Certe lettere romane ad esempio o etrusche o greche portano a datare,
ovviamente, alcuni documenti nuragici dal V - IV secolo a.C. in giù. Ad esempio
nella scritta parietale della Sala da
ballo di San Giovanni (fig. 14), una
‘erre’ romana del IV - III secolo a.C. si trova a convivere con lettere (una rarissima e di
controversa fonetizzazione) che sono della prima metà e forse della seconda metà del secondo Millennio a.C.
Fig. 14
Pertanto, secondo noi, con l’ausilio della paleografia si può datare lo scarabeo del pozzo sacro di Santa Anastasìa ma con molta approssimazione. Con una forbice che riteniamo di un paio di secoli (VI - V secolo a.C.)
8. Ulteriore lettura della scritta della terza parte dello scarabeo con presenza di senso. La potenza עז luminosa del dio.
A questo punto si direbbe che la
lettura della terza parte scritta dell’oggetto sia conclusa. Il senso è chiaro
perché risulta scritto NL YL ’AG H ’B
TRE: immortale luce di IL toro lui padre del tre. Ma è un senso che ancora non è
completo in quanto, se continuiamo a procedere interpretando bene,
completamente, tutti i segni presenti e ricorrendo ancora all’ideografia ma
anche all’acrofonia, otteniamo dell’altro e non di poco momento. Infatti la
lettera di partenza, ovvero la ‘nun’ non è solo a ‘serpente’ e non offre solo
il senso dell’immortalità: è manifestamente, come si è detto sopra, ‘atteggiata ad ira’. Se, in base a questa
osservazione, noi mettiamo in atto l’espediente scrittorio acrofonico abbiamo
ZNB (coda) זנב +
‘BD עבד
(irritato, irritarsi) che ci fa ottenere una delle voci più comuni (25) del
nuragico semitico e cioè ‘Z עז (potenza,
forza), avremo infine:
Potenza
della luce immortale di IL toro padre del tre (sole e luna). Quella luce è
dotata di potenza in quanto è anche essa a garantire il risultato del
sostegno taurino.
Lo scarabeo si configura quindi, anche in questa parte, come un oggetto, commissionato da un anonimo, per ottenere la protezione continua celeste di una divinità, quella nuragica YL , fonte (padre) di luce solare e lunare (26).
9. Il dio IL (YHWH) nella documentazione
nuragica. I documenti scritti di Pozzomaggiore e di Aidomaggiore. Lo scarabeo si configura quindi, anche in questa parte, come un oggetto, commissionato da un anonimo, per ottenere la protezione continua celeste di una divinità, quella nuragica YL , fonte (padre) di luce solare e lunare (26).
La divinità solare e lunare, paterna e
materna e androgina (27) dei nuragici è indicata in due modi: ora con Y (la
cosiddetta lettera a forcella), YH,
YHH, YHW, YHWH ora con IL o ILI. Non è il caso di parlarne ancora qui dal
momento che abbiamo scritto e detto tanto su di essa. Basterà solo ricordare
e citare due documenti molto chiari, da noi da tempo commentati
(28),
attestanti la voce del dio scritta. Il primo è quello della scritta della
pietra di Aidomaggiore di fig. 8 con la dicitura
NR YHWH (YHWH in crittogramma). Il secondo è quello della scritta del coccio
del Nuraghe Alvu di Pozzomaggiore che
riportiamo qui sotto (fig. 15) che reca nell’incipit
(prime due righe) la dicitura iniziale ŠRDN ’K ILI IIII (forza di Ili toro signore
giudice).
fig. 15. Coccio del Nuraghe Alvu
di Pozzomaggiore (con particolare)
A nessuno, credo, potrà sfuggire,
nella lettura della scritta del coccio
del Nuraghe Alvu, la sequenza ‘forza di ILI
toro’ come quella che richiama perfettamente quella dello scarabeo del
pozzo sacro di Sardara. ILI/IL, dio nuragico, è il dio taurino della luce, sia
nell’uno che nell’altro documento.
10. L’impianto scrittorio e la strategia
compositiva dello scarabeo. Il raddoppio della potenza protettiva divina.
L’impianto
scrittorio dello scarabeo è finalizzato a ciò che lo scriba si prefigge: realizzare un amuleto magico di garanzia e di protezione.
Ma è fatto per realizzare un amuleto - come dire - ancora
più magico di quello che è di norma uno scarabeo di cultura egiziana di per
sé. Il possessore di quell’oggetto deve godere, attraverso tutta la sofisticata
simbologia e la ‘molta’ scrittura assai nascosta, di una protezione e di un
sostegno ancora maggiore. Ciò si ottiene in maniera molto semplice anche se non
subito visibile: sommando sincretisticamente la potenza di due divinità diverse
ma di analoga qualità luminosa, come sono lo Ra egiziano e lo IL nuragico.
Questo espediente di raddoppio della potenza protettiva divina non è affatto nuovo.
Lo si è visto chiaramente in altri scarabei e amuleti sardi (29) scritti, in egiziano e in sardo
semitico, come quelli di Monte Sirai
di Carbonia e di Nurdole e di Orani
(fig.16 e 17)
fig. 16 fig. 17
La scrittura criptata e a rebus naturalmente provvede a far sì che le due divinità taurine celesti non siano individuate (se lo fossero cadrebbe o verrebbe in crisi il 'magico' dell’oggetto) da chi non conosce certe convenzioni del codice comunicativo espressivo. Da chi non sa ad esempio che scrittura si può ottenere dallo stesso supporto, oppure non sa che i numeri possono stare per convenzione al posto di certe voci e tanto meno sa che il lessico di una lingua si può ottenere per via acrofonica. Ma lo scriba non procede a caso nel comporre, va con ordine. C’è una rigida logica ternaria di lettura che governa il tutto e che parte dalla scrittura del supporto dove si dice velatamente di un doppio sostegno taurino. Ad esso segue l’esplicitazione di quel doppio sostegno che è resa attraverso le due parti scritte (facce) dello scarabeo, quella superiore con lettura ideografica per il dio RA egiziano e quella inferiore, ugualmente ideografica, ma anche numerologica e acrofonica, per il dio IL sardo. Si veda la tab. n. 2 che mostra in sintesi tutto l’impianto scrittorio e la strategia per realizzare il fine della presenza di due divinità assicuranti sostegno e protezione con la loro straordinaria potenza taurina celeste.
La scrittura criptata e a rebus naturalmente provvede a far sì che le due divinità taurine celesti non siano individuate (se lo fossero cadrebbe o verrebbe in crisi il 'magico' dell’oggetto) da chi non conosce certe convenzioni del codice comunicativo espressivo. Da chi non sa ad esempio che scrittura si può ottenere dallo stesso supporto, oppure non sa che i numeri possono stare per convenzione al posto di certe voci e tanto meno sa che il lessico di una lingua si può ottenere per via acrofonica. Ma lo scriba non procede a caso nel comporre, va con ordine. C’è una rigida logica ternaria di lettura che governa il tutto e che parte dalla scrittura del supporto dove si dice velatamente di un doppio sostegno taurino. Ad esso segue l’esplicitazione di quel doppio sostegno che è resa attraverso le due parti scritte (facce) dello scarabeo, quella superiore con lettura ideografica per il dio RA egiziano e quella inferiore, ugualmente ideografica, ma anche numerologica e acrofonica, per il dio IL sardo. Si veda la tab. n. 2 che mostra in sintesi tutto l’impianto scrittorio e la strategia per realizzare il fine della presenza di due divinità assicuranti sostegno e protezione con la loro straordinaria potenza taurina celeste.
Poniamo ora (v. tabella seguente)
tutti i segni in ordine delle tre parti e avremo il risultato ermeneutico
definitivo:
cioè: Doppio sostegno taurino/ dell’occhio
di Ra toro del tre/ della forza della luce immortale di IL toro padre del tre.
11. Conclusioni.
Lo scarabeo del pozzo sacro di Santa
Anastasìa di Sardara è molto complesso e molto carico di senso, tanto che
sospettiamo che forse ci sia sfuggita ancora qualcosa, soprattutto in fatto di
simbologie che vanno considerate anche se, forse, non lette. Alludo ad esempio
allo stesso uso del materiale, il bronzo e la steatite, che ci inducono a pensare
che non siano stati abbinati a caso. Infatti, sia il bronzo che la steatite,
cotta questa ad alte temperature (invetriata), sono estremamente durevoli nel tempo e quindi
immortali. Cosa questa che ci rimanda al poco pregevole (ma assai significativo
perché solo simbolico) corredo con senso di eternità/immortalità
degli oggetti (scarabeo, collana di bronzo, cristallo e altri oggettini ugualmente in
bronzo) rinvenuti nella famosa tomba n. 25 dei re giudici sardi (ŠRDN) sepolti
in Monte ‘e Prama.
In ogni caso, il significato particolare e generale dell’oggetto apotropaico mi sembra un dato abbastanza sicuro e acquisito. Non c’entra per nulla dunque l’egiziano con Hathor Isis, i fiori di loto, la palude di Buto, la barca e quant’altro. E tanto meno c’entrano i fenici ‘mediatori’ dato che lo scarabeo mostra e dimostra d’essere un oggetto pensato e realizzato in Sardegna. Un oggetto, come si è visto, in perfetta sintonia con altri scarabei ancora della Sardegna, realizzati da scribi sardi a fini apotropaici con la iterazione del sostegno e della protezione di due divinità luminose (o dai figli di questa: si pensi alla ipotesi della possibile presenza criptata nell'oggetto di un faraone 'santo') luminose. C’entra invece (e tanto) la particolare scrittura, la fantasiosa scrittura, la grandiosa scrittura degli scribi nuragici; quella sospettata subito dalla studiosa parmense la quale e dall’analisi e dalla sua conclusione finale, azzecca moltissimo circa la natura ed il senso dello scarabeo, nonostante il fatto che tentativamente ne abbia interpretato all'incirca un terzo solo. Però anche in questo terzo il suo fiuto è risultato eccezionale, tanto che la tesi sua conclusiva può essere, come tutti possono vedere e giudicare, tranquillamente la mia.
In ogni caso, il significato particolare e generale dell’oggetto apotropaico mi sembra un dato abbastanza sicuro e acquisito. Non c’entra per nulla dunque l’egiziano con Hathor Isis, i fiori di loto, la palude di Buto, la barca e quant’altro. E tanto meno c’entrano i fenici ‘mediatori’ dato che lo scarabeo mostra e dimostra d’essere un oggetto pensato e realizzato in Sardegna. Un oggetto, come si è visto, in perfetta sintonia con altri scarabei ancora della Sardegna, realizzati da scribi sardi a fini apotropaici con la iterazione del sostegno e della protezione di due divinità luminose (o dai figli di questa: si pensi alla ipotesi della possibile presenza criptata nell'oggetto di un faraone 'santo') luminose. C’entra invece (e tanto) la particolare scrittura, la fantasiosa scrittura, la grandiosa scrittura degli scribi nuragici; quella sospettata subito dalla studiosa parmense la quale e dall’analisi e dalla sua conclusione finale, azzecca moltissimo circa la natura ed il senso dello scarabeo, nonostante il fatto che tentativamente ne abbia interpretato all'incirca un terzo solo. Però anche in questo terzo il suo fiuto è risultato eccezionale, tanto che la tesi sua conclusiva può essere, come tutti possono vedere e giudicare, tranquillamente la mia.
Tra qualche giorno spero di poter pubblicare
la mia lettura dello scarabeo di S’Arcu
‘e is forros di Villagrande Strisaili che, sotto molti aspetti, fa il paio
(si stenterà a crederlo) con quello di
Sardara. L’uno sembra commentare e spiegare l’altro, la forte nuragicità
simbolico - scrittoria dell’uno è anche
quella dell’altro.
Note ed indicazioni bibliografiche
- Olianas Cinzia, 2013, Uno scarabeo inedito dall’area del pozzo sacro di Sant’Anastasia di Sardara, presentazione a Sulcis 2013, VIII Congresso Internazionale di Studi Fenici e Punici, Carbonia - Sant'Antioco 21-26 ottobre.
- Atropa Belladonna, 2013, I Tori di Santa Anastasìa, in Monte ‘e Prama Blog (9 Novembre).
- Taramelli A., 1984, "Il tempio nuragico di S. Anastasia", in Scavi e scoperte: 1918-1921, Collana Sardegna archeologica. Reprints, a cura di A. Moravetti, Carlo Delfino Ed.
- Sanna G., 2016, I geroglifici dei Giganti. Introduzione allo studio della scrittura nuragica, PTM ed, Mogoro; in part. 7, pp. 147 - 167.
- Il ‘tre’, numero sacro e magico, è un vero e proprio faro della scrittura nuragica in tutta la sua storia e la sua evoluzione. Lo testimoniano decine e decine di documenti. Primi tra tutti i sigilli bronzei di Tzricotu di Cabras, i minuscoli manufatti nei quali lo scriba produce delle autentiche opere d’arte con una segnica che talvolta risulta inferiore al millimetro. Una microscrittura con la quale, nello spazio di qualche centimetro quadrato, si compiono operazioni funambolesche al fine di mantenere sempre coerente il sistema basato sul tre, il mai trascurabile numero divino (v. Sanna G., Sardōa Grammata. ‘ag ‘ab sa’an yhwh. Il Dio unico del popolo nuragico, S’Alvure ed. 2004; idem, 2009, La stele di Nora. Il dio, il dono, il santo. The God, the Gift, the Saint, PTM ed. Mogoro). Il ‘system’, in un periodo non precisabile (forse tra l’VIII e il VII secolo a.C.) passò agli Etruschi che se ne servirono praticamente sino al loro tramonto, cioè al II - I secolo a.C. Non c’è oggetto e aspetto funerario (piattelli, sarcofaghi, urne, pittura, elementi architettonici, ecc.) che prescinda dalla composizione, in un modo o nell’altro, del tre. Il motivo della sacralità del numero l’abbiamo spiegato numerose volte . E’ dovuto alla magia di quel tre degli astri che si verifica ciclicamente, giorno dopo giorno, ad opera dell’incessante loro sorgere, distendersi in cielo e tramontare. Il tre immortale finisce così per essere il numero perfetto e santo, la stessa divinità. I tre tori allora sono il simbolo della triplice forza luminosa che rende immortale la vita. Sono simbolo della rinascita continua.
- Lilliu G., 2008, Sculture della Sardegna nuragica (riedizione del testo del 1966 con saggio intr. di A. Moravetti): Doppiere liturgico con testine umane e segni simbolici (museo Nazionale di Cagliari), n. 261, pp. 460 -462). Per una nostra interpretazione di tutto il manufatto si veda Sanna G., 2016, Scrittura nuragica: il doppiere di Tergu e il rebus delle due fonti di luce del Vecchio Testamento (Gen 1,14). Scrittura ‘metagrafica’ e scrittura ‘lineare’; in Maymoni blog (30 settembre).
- Monte Prama Blog, 2014, Le iscrizioni della sala da ballo di San Giovanni del Sinis in TV ( 22 giugno).
- Sanna G, 2004, Sardōa grammata. ‘ag ‘ab sa’an yhwh, ecc. cit., 6.4, pp. 256 - 261.
- Lilliu G., 2008, Sculture della Sardegna nuragica, ecc. cit. n. 194, p.398 e n. 204, pp. 406 - 407.
- Si tenga presente però che il ‘tema’ del doppio sostegno da parte di due divinità (Tin/Uni) fu ripreso, con variazioni, dalla scrittura metagrafica etrusca. Nei sarcofaghi ad esempio il ‘doppio’ sostegno è reso attraverso il ricorso al ‘doppio’ cuscino sul quale nella κλίνη si appoggiano, idealmente, i nobili defunti (v. Sanna G., 2017, Scrittura metagrafica dei sarcofaghi etruschi. Le varianti ideogrammatiche. Fantasia e organicità; in Mayimoni blog , 8 febbraio).
- Sanna G., 2016, Tarquinia. L’ancora della salvezza e il sostegno della luce di Tin/Sole e di Uni/Luna. Il greco - cipriota? Non c’entra nulla. Semmai il semitico nuragico di Barisardo; in Maymoni Blog (15 Dicembre).
- Lo scarabeo, accompagnato spesso all’occhio di Horus, era universalmente inteso, tra i popoli che lo adottarono (Sirii, Sardi, Fenici, Cartaginesi e gli stessi Greci), come simbolo del sole (in egiziano RA). Si chiamava Kheper, nome che in egiziano ha valore di ‘nascere, rinascere, divenire’. Era spesso posto sul petto del defunto (v. più avanti) come amuleto protettivo per il viaggio nell’aldilà e come augurio di novella vita nella luce del Dio.
- E’ noto che Raimondo Zucca (prendendo, sulla scorta dell'interpretazione sbagliata del Lilliu, letteralmente fischi per fiaschi), intese la S puntinata come sigla del nomen romano (Sextus). Essa ed il resto della sequenza (il semitico NR!) sarebbe stata fatta fare dal proprietario romano a cui, a dire dello studioso, apparteneva la barchetta (V. Zucca R., 1996, Inscriptiones latinae liberae rei publicae Africae, Sardiniae e Corsicae. In l’Africa romana, atti dell’ 11 Convegno di Studio, 15 -18 dicembre 1994, ed. Il Torchietto, V, 3, pp. 1425 -1489 ; Sanna G., 2010, Serpentelli di tutti i nuraghi unitevi!; in Gianfrancopintore blog (16 gennaio); Stella del Mattino e della Sera, 2013, SEE …SEE …SExtus! Salute professore; in Monte Prama blog, 11 marzo).
- Lilliu G., 2008, Sculture della Sardegna nuragica, cit., pp. 398 - 400 - 402 - 403 - 404 - 405 - 406 -407 - 408 -– 409 - 414 .
- I nuragici, come sappiamo, scrivevano indifferentemente da destra verso sinistra e da sinistra verso destra. V. Sanna G.,2004, Sardōa grammata. 'ag 'ab sa 'an , ecc. cit. passim.
- Atropa Belladona, 2013, I tori di Santa Anastasìa, cit.
- Sanna G., 2016, I geroglifici dei Giganti, ecc. cit. 4, pp. 91 -109.
- V. Garbini, 1988, La questione dell’alfabeto, in I Fenici (a cura di S. Moscati), Bompiani, Milano, p. 94 (iscrizione di Abu - Simbel del 590 a.C.).
- E’ stata una fortuna che la scritta fosse graffita sul masso in modo molto profondo perché altrimenti l’acqua (che ristagna appena al di sopra delle lettere quando piove) avrebbe cancellato il tutto.
- Il segno, identico, si trova nell’anello di Pallosu di San Vero Milis. V. Sanna G., 2004, Sardōa grammata. ‘ag ‘ab sa’an, ecc. cit., 6. figg. 31 e 32, nonché tab. 3.
- Amadasi M.G., 1998, Sulla formazione e diffusione dell’alfabeto; in Scritture Mediterranee tra il IX ed il VII secolo a.C. Atti del seminario (a cura di G. Bagnasco Gianni e F. Cordano). Università degli studi di Milano. Istituto di Storia Antica (23 -24 febbraio); Attardo E. , 2007, Utilità della paleografia per lo studio, la classificazione e la datazione di iscrizioni semitiche in scrittura lineare; in Litterae Caelestes, Center for Medieval and Renaissance Studies, 2 (1) pp. 149 -202.
- Il toro muggente fa parte dell' iconografia nuragica sia dei bronzetti (Lilliu G., 2008, Sculture della Sardegna nuragica ecc., cit. pp. 397- 417) sia di quella delle scritte di Maymoni di Cabras (Angei S., 2015, Il volto di Maymoni; in Monte Prama blog, 2 marzo) e di Murru Mannu (Tharros) di San Giovanni (Sanna G., Scrittura nuragica. Tharros (Murru Mannu): a tanta architettura sacra tanta scrittura sacra. La Porta Santa (sha‘ar sa‘an) e i segni del sublime nascosto).
- La ’aleph del nostro documento è orientata a destra rispetto a quella della scritta del Nuraghe Pitzinnu di Abbasanta ma la tipologia è la medesima. Sappiamo bene, anche per la scrittura protocananaica siro - palestinese, quanto la consonante aspirata subisse variazioni d’orientamento. La protome schematica taurina è forse quella che, più di tutte le altre, mostra d’essere soggetta alla variazione di direzione (anche in uno stesso documento), o per capriccio dello scriba o per motivi che ancora non si riesce a capire.
- V. Sanna G., 2016, I geroglifici dei Giganti. Introduzione, ecc. cit., E’ possibile datare la scrittura nuragica? 8, pp. 169 -181.
- Sanna G., 2015, Complesso nuragico di 'Sedda 'e sos carros' di Oliena: scudo bronzeo nuragico in miniatura (Lo Schiavo, Fadda). Sì, ma la scrittura? E il significato? in Maymoni blog (22 giugno).
- ‘IL’, naturalmente, è il più comune YH (Y YH YHH YHW YHWH) cananaico. Può essere scritto ILI come ad esempio nella scritta dell’architrave del Nuraghe Aidu Entos di Bortigali: ILI NUR IN NURAC SESSAR (cioè la luce di ILI nel Nuraghe SESSAR). Nome della divinità confuso a lungo dagli epigrafisti, dagli archeologi, dagli storici e dai linguisti (Zucca, Mastino, Blasco Ferrer, ecc.) come abbreviazione di ILI(ENSIUM). Il nome YLI è presente, tra l’altro, nella scritta dell’anfora di S’Arcu ‘e is forros di Villagrande Strisaili. V. Sanna G.,2012, Anfora con scritta di S’Arcu ‘e is Forros. Garbini: in filisteo - fenicio. No, in puro nuragico; in gianfrancopintoreblog spot .com. (10 settembre).
- Abbiamo parlato più volte in diversi articoli dell'androginia della divinità nuragica. Anche in riferimento ad altre divinità androgine (greche pitiche ed etrusche). Si veda, tra gli altri, Sanna G., 2013, Tresnuraghes (Sardegna) e Pito (Grecia). Uno stesso dio androgino con uno stesso simbolo: la rete da caccia (II); in Momte Prama Blog (7 novembre).
- Atropa Belladonna, 2013, Gli scarabei sigillo della Sardegna e la scrittura segreta del dio nascosto; in Monte Prama Blog (26 ottobre).
Eh, caro Gigi, tu sai come mettermi in crisi!
RispondiEliminaHai detto, anche in fb, che questo è il tuo regalo di Natale per tutti noi.
E noi, anzi e io con che cosa contraccambio?
Ho pensato a una mantide religiosa da sistemare nel presepe insieme agli altri animali, visto che prega ed è pure devota. Ho pensato a un grillotalpa, che è più brutto dello scarabeo e sa come si vive sotto terra. Poi m'è venuta in mente una coccinella septempuntata che almeno ha qualche riferimento nuragico numerico (santo) e poi porta bene.
Qualcuno penserà: ma perché Gigi perde tre mesi su una barca e non pensa a usare quei lunghi giorni a studiare sassi scritti, vecchi scarabei e graffiti su avanzi di terracotta?
So che risponderai che non di solo profitto vive l'uomo, ma di quanto serve a liberare un amico dall'ipocondria e dall'ossessione da mitopoiesi cronica.
Grazie dunque del regalo, importante e ben impacchettato.
A te (anzi a voi, perché non sei solo) i miei migliori auguri; auguri anche a tutti gli altri, per la parte che avanza.