lunedì 26 febbraio 2018

L'ipogeo di San Salvatore di Sinnis 1°



di Sandro Angei 
Santu Srabadoi prim‘e Jesus

Fig. 1

Il 17 febbraio 2016 pubblicammo su questo blog un articolo relativo alla interpretazione del bilittero RF presente sulle pareti dell’ipogeo della chiesetta di San Salvatore di Sinnis. In quell’occasione postammo una immagine nella quale comparivano due esemplari della scritta RF con annessa didascalia esplicativa.
   Le immagini furono tratte da “Guide e itinerari – L’ipogeo di San Salvatore – D. Donati, R. Zucca – Delfino Editore.

   Nell’opuscolo gli studiosi descrivono l’intero edificio e il suo contesto, approfondendo lo studio con l’analisi puntuale di tutte le sue caratteristiche. Non manca la spiegazione delle scritte dell’ipogeo e… ” E’ rilevabile sulle pareti anche un curioso monogramma, costituito dalle lettere RVF, scritto almeno otto volte, in punti e sostanze diverse, sovrapposto o mescolato ad altri elementi, aggiunto a caso e in modo tale da non rientrare in nessun piano organico di sistemazione nell’ambiente. Fra le varie versioni del nesso si notano molte varianti di esecuzione: sono utilizzati pennelli di passo diverso; le lettere si incastrano l’una nell’altra in maniera differente e sono distanziate fra i loro e riempite con piccoli tratteggi obliqui. Per questi motivi si può escludere che il monogramma sia stato tracciato, nelle varie versioni, in una sola volta e da una sola persona. La più semplice spiegazione del nesso sarebbe quella di interpretarlo come un nome di persona, Rufus, ma riuscirebbe difficile spiegare la presenza di questo nome, ripetuto tante volte all’interno dell’ipogeo. Una recente interpretazione collega questo nesso con il radicale semitico resch-pe-aleph (rp’), cui va attribuito, secondo i lessici, il valore di “ guarire, salvare, dare salute”: in un’area che fu, come quella del Sinis, per lungo tempo collegata alla colonizzazione punica, si può anche pensare che malgrado i molti secoli passati dalla fine della frequentazione del sito da parte di persone parlanti una lingua semitica una invocazione rivolta alla divinità venisse ancora mantenuta nella vecchia formula, traslitterata con lettere latine, anche se non più capita. Non mancano esempi di questo fenomeno, anche in tempi recenti, soprattutto legati al formulano liturgico.

 La studiosa tralascia l’ipotesi relativa al nome di persona Rufus, optando per un inquadramento in ambito semitico del monogramma, inteso quale invocazione col significato di “cura” o “guarisci”; ma va del tutto fuori strada allorché inquadra la scritta in ambito punico, come scriveva nei commenti dell'articolo già citato, il Prof. Sanna.
   Naturalmente la studiosa non si pone il problema di inquadrare la tipologia delle lettere mediante il raffronto con tipologie repertoriate, tant’è che ritiene (implicitamente) di non rilevare il modo del tutto anomalo di scrivere la F di RF; che per tanto (sempre implicitamente) sarebbe del tutto normale!? Non si avvede di alcuni caratteri di scrittura, definendoli “altri elementi” (e non poteva che essere così in mancanza della giusta chiave di lettura) all’interno di una composizione scrittoria familiare, molto familiare per un latinista: una tabula ansata che si presume di chiara derivazione romana; che tratteremo nella seconda parte dell’articolo.
Le otto attestazioni del monogramma RF nell'ipogeo
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   Era molto tempo che questo articolo sonnecchiava in una cartella del mio PC.
   La sigla RF mi tormentava per via di quella F anomala; tanto anomala da sembrare una sorta di mostro scrittorio per quanto sproporzionate le due componenti, ma non abbastanza mostro da essere considerato grafema sconosciuto[1].

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   Mi domando per quale motivo quello scriba, che forse componeva formule per richieste salutifere per conto terzi, abbia scritto RF in quel modo così strano: R agglutinata in legatura con la F, che però non è una F canonica... come volesse “mostrare” qualcosa.
   Fisso quel monogramma, che quasi gli occhi girano in tondo a furia di guardarlo alla ricerca di una soluzione. Il cervello dal canto suo funziona come una sorta di calcolatore, senza emozioni, alla ricerca della combinazione giusta, con pazienza; naturalmente scarta gli accostamenti impossibili e si concentra solo su quelli graficamente validi; va alla ricerca di segni alieni agli alfabeti: latino, greco, etrusco, fenicio e infine trova una chiave di lettura; sarà quella giusta?
A parte la R inconfutabile, la F, diventata il mio cruccio, con quella forca ad arco rivolta a destra, che tanto mi ha dato da pensare, sembrerebbe uno he, appiccicato lì  a bella posta. Uno he nuragico, come quello della pietra di Aidomaggiore (Fig. 2), o quella di Santa Maria Navarrese (Fig.3), ed almeno altre undici attestazioni (Fig.4).

Fig. 2 Pietra di Aidomaggiore[2]


 
Fig. 3 Altare di Santa Maria Navarrese


Fig.4
dato tratto da questo blog: articolo di G. Sanna del 01 gennaio 2018

   Naturalmente, siamo consci di essere in un posto sacro, o meglio: un “pozzo sacro; quello dell’ipogeo della chiesetta di San Salvatore del Sinnis; pozzo che diede inizio al culto lì praticato; in ragione di ciò, facendo ricorso alla scrittura nuragica e alle sue regole, potremmo forse trovare la soluzione al rebus.
   Infatti il presunto monogramma bilittero sembra nascondere un rebus. Potrebbe essere un eccezionale monogramma trilittero agglutinato in legatura e in nesso.
   Le prime due lettere R e F (Fig.5) sono ben distinte ma legate assieme e la F è tanto “mostruosa” da nascondere una doppia natura; vuol sembrare una F ma nasconde  uno he. Per tanto dobbiamo leggervi non RF ma RFh.
 

Fig. 5

    La scritta RFh non ha alcun significato lessicale in latino, ma di sicuro lo ha in ebraico.
Il lemma RFh, scritto in ebraico [3] רפה, alla stregua del lemma רפא, ha il significato di “guarire” (a tal proposito suggeriamo la lettura della nota esplicativa 3, di fondamentale importanza per la comprensione del rebus scrittorio).
   Il bilittero RF lo troviamo nel muro della chiesetta di S'Eremita Matteu di Narbolia e nel tempietto di Santu IACCI di Riola Sardo.
   Le due attestazioni sono entrambe notevoli in quanto la prima la troviamo in un tempietto dedicato al culto di IACCI (yhw) recante uno straordinaria scritta in mix di lingue; l'altra nella chiesetta dell'Eremita Matteu di Narbolia, in mix di lingue e mix di caratteri alfabetici; unite entrambe dalla caratteristica di essere composte secondo gli usi della scrittura nuragica a rebus.
 Ci sembra, inoltre, che il lemma sia registrato nella chiesa di Santa Chiara in Oristano (Fig. 6), scritto in lettere latine: Rfa. Proprio così, con R maiuscola e “fa” in minuscolo posato. Se ciò risultasse vero, come sembra, si potrebbe asserire innanzi tutto che il termine era ben conosciuto perché trascritto, in caratteri latini, nel modo giusto e canonico; e per tanto con cognizione di causa rispetto al significato; in secondo luogo dimostra che la formula,  elaborata in ambiente nuragico, arrivò intatta al periodo del Giudicato di Arborea, visto che la chiesa di Santa Chiara risale al XIV-XV secolo.

Fig.6 Chiesa di Santa Chiara in Oristano


   Ma come giustificare il bilittero RF senza “aleph” o “he” finale (come risulta nel lessico ebraico) che troviamo, come già detto, nella scritta dell'eremita Matteu o nel tempietto di Riola Sardo, ma anche nella prima camera a sinistra dell'ipogeo di San Salvatore, recante una scritta a rebus davvero sofisticato? (Fig.7)


Fig.7 – Il monogramma della prima camera a sinistra dell'ipogeo.



   Le giustificazioni plausibili potrebbero essere tre: la perdita col passare del tempo dell'usus scribendi ma non del significato, dovuta al decadimento d'uso di quel rebus; ma ciò mi sembra piuttosto improbabile, almeno per il bilittero di Fig.7; oppure quest'ultima e quelle di Narbolia e Riola S., sono ancora attestazioni in rebus scrittorio, dove nella f o F, ancora vi è celato lo “he” semitico; indizio di ciò può essere il modo di scrivere lo “he” che troviamo nella pietra di Aidomaggiore, nell'altare di Santa Maria Navarrese e nel sigillo di Sant'Imbenia, dove lo “he” lunato non è un semplice segno arcuato ma una linea composta da due tratti estremi curvilinei, legati da una linea curva molto, molto aperta, quasi rettilinea. L'ipotesi è un po' ardua; ma nulla, proprio nulla dobbiamo tralasciare nel tentare di dare una risposta ad un dubbio, che però è più di carattere formale che sostanziale.


 




  La terza ipotesi, che poi potrebbe essere la più congeniale, se non la più probabile, è che RF sia abbreviazione di RFa o RFh, come in uso nelle epigrafi latine[4]; tant'è che A. Donati nel bilittero RF non trova alcuna difficoltà, in ambito latino, nel leggervi Rufus quale nome di persona; benché scarti immediatamente l'ipotesi per motivi legati alla reiterazione del lemma.

    Solo dopo secoli ( XIV-XV secolo d.C.) si traslitterò in modo leggibile quel lemma, forse ad opera di un erudito ecclesiastico di quel periodo, che la scrisse in modo del tutto leggibile, essendo quell'invocazione indirizzata al nostro Dio Cristiano, non a quel yhw nuragico geloso e nascosto.

Considerazioni finali
   Il titolo di questa prima parte dell’articolo può risultare provocatorio: non lo è per nulla.
   Il sito "moderno" di San Salvatore è realizzato sopra e attorno ad un pozzo sacro nuragico dove si celebravano riti salutiferi e di guarigione. I pellegrini affetti da un qualche malanno, si avvicinavano al luogo sacro, sicuri che esso fosse un pozzo sacro salvatore.






[1]   A proposito di questa anomalia, vorrei cogliere l’occasione per chiedere al Prof. Francesco Cesare Casula, esperto di paleografia, se nei repertori latini ricorra una F scritta nel modo che vediamo in Fig. 1.

[3]  רפה è allografo di רפא. Vedi: Luis Alonso Schökel – Dizionario di Ebraico Biblico – Edizioni San Paolo  https://it.scribd.com/document/280963821/Luis-Alonso-Schokel-Dizionario-di-ebraico-biblico. In questo contesto potrebbe essere inquadrata la nostra scritta. In particolare, per quanto riportato nel dizionario suddetto, possiamo dire che il termineרפא ha il significato di: guarire, curare, risanare, trattare, medicare; anche: medico, guaritore; ed ha il suo allografo in רפהPer contro abbiamo il termineרפה che ha il significato di: venir meno, consumarsi, indebolirsi; calmarsi, cadere, declinare; afflosciarsi, infiacchire; desistere, cedere, recedere. Ma anch'esso ha il suo allografo in רפא. Per tanto il significato dei due lemmi è dettato sicuramente dal contesto. In ragione di ciò possiamo asserire con una certa sicurezza, dettata solo dalla logica, non certo dalla nostra profonda conoscenza dell'ebraico; che il termine  רפה da noi interpretato equivale al termine  רפא, col significato di guarire, curare.

[4]    D'altronde nelle iscrizioni latine sono state repertoriate 850 abbreviazioni, senza contare quelle legate a ordini religiosi e congregazioni.

3 commenti:

  1. Penso anch'io che sia un trilittero e non un bilittero. Quella F romana (?) non convince per nulla dal punto di vista paleografico. Ho pensato però ad altre due ipotesi:
    a. che la scritta possa essere tutta nuragica con agglutinamento e cioè: R Y H
    b. che il crittogramma alluda a due voci e non a una sola.

    Infatti, RYH può essere variante (attestata) del più comune RWH (abbeverare, dissetare). Voce che sarebbe organica, come invocazione, alla funzione del 'pozzo sacro'. Voce ancora che sarebbe a posto anche dal punto di vista paleografico 'nuragico' perché non solo si avrebbe la 'he' lunata, ma anche la 'yod' 'fallica' e la 'resh' schematica (attestata, come sai, nell'incipit SHRDN del coccio del Nuraghe Alvu di Pozzomaggiore).
    Ma il trigramma potrebbe essere anche RFH e alludere quindi anche al 'guarire'. Un lusus scrittorio che alluderebbe organicamente al rito che si svolgeva nel pozzo dove si invocava la guarigione attraverso il bere, il dissetarsi con il liquido della fonte sacra (e questo direbbe non poco sulla funzione dei pozzi sacri nuragici!.
    In ogni caso, hai fatto bene a mettere l'accento su quel crittogramma dove le lettere sembrano essere proprio tre e non due. Ci vorrebbe l'intervento di qualche semitista per sapere bene come si conciliano (sempre che ci siano) formalmente (grammaticalmente) le due invocazioni.

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  2. Avevo anch'io paventato l'ipotesi che la F nascondesse il nome divino yh; però non sono andato oltre, non avendo pensato alla Sua ipotesi: RYH ma a RFYH. Solo ora mi rendo conto che il monogramma potrebbe contenere la doppia valenza: RPH e RYH.
    Se così fosse (sempre a mali in cuore dobbiamo usare il condizionale; ma così è!), il rebus scrittorio si presenterebbe quale cartina di tornasole che evidenzia la profonda conoscenza dell'ebraico da parte degli scribi tharrensi... e non solo dell'ebraico come vedremo nel prosieguo dell'articolo.

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  3. Penso anche che la ripetizione del segno, di quel 'particolare segno', giochi a vantaggio del pregio linguistico di esso. Il nascondere la 'scrittura', anche per evitare il 'malocchio', comporre 'rebus'di notevoli difficoltà, era arte molto praticata dagli scribi nuragici (e quindi dagli Etruschi).

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