Is
circuìttus
un osservatorio astronomico
per l'infinito ciclo della vita
immagine elaborata e tratta da Google Earth
un osservatorio astronomico
per l'infinito ciclo della vita
immagine elaborata e tratta da Google Earth
di Sandro Angei
Il 16 dicembre 2009 Gianfranco Pintore pubblicava un articolo da
lui scritto, dal titolo: Circuitus batte l’osservatorio di TaoSi di 1300 anni: “...Caro
professore, sbaglia. Noi abbiamo in Sardegna un osservatorio astronomico,
quello di Circuitus nei pressi di Laconi, che è più antico di 1300 anni di
quello scoperto da lei”. Si riferiva al Prof. He Nu scopritore
dell’antico osservatorio cinese[1],
indicando quale data di costruzione di Is circuìttus il 3400 a.C.
Molto si è detto sul cerchio megalitico di “Is circuìttus” di
Laconi e molto si è detto contro la sua valenza astronomica, a volte anche in modo approssimativo,
rimanendo sulla superficie di quelli che sono gli interrogativi che questo
meraviglioso sito archeologico pone.
In SardegnaCultura si legge: - Il "cromlech", di forma
sub-circolare (diam. m 20 x 30), è costituito da grandi massi rotondeggianti di
pietre di diversa natura (trachite, granito grigio e bianchissimo quarzo)
trasportati anche da notevoli distanze. – Da quanto scritto si arguisce
che il circolo di Is circuìttus non è un circolo ma una sorta di ellisse; e in
effetti è possibile costruire tale figura geometrica che comprenda quattro dei macigni esistenti, ma risulta molto arduo dimostrare come
quelle genti abbiano potuto costruire geometricamente sul posto questa
ipotetica ellisse; comunque sia le misure indicate non hanno alcuna
corrispondenza in situ.
Su Wikipedia leggiamo alla voce “Sardegna megalitica § cromlech:
- Quello di Is Cirquittus, nel comune di Laconi, si suppone fosse un
calendario per calcolare durante i solstizi il sorgere ed il tramontare del
sole. La sua forma è ellittica con un diametro di 20 metri per 30, ed è formato
da sette pietre di natura diversa, disposte ad anello e provenienti da distanze
lontane. – Qui si riprendono sostanzialmente i dati di
“SardegnaCultura”, dichiarando in modo esplicito che la figura geometrica è
proprio quella di una ellisse, formata da ben 7 massi (?).
Qualche tempo fa, incuriosito, ho visitato il sito. Lungo il
tragitto è impossibile non notare il menhir che punta verso il cielo; a
sud di esso altri menhir giacciono a terra, abbattuti. Più avanti altri due
menhir giacciono abbattuti pure essi; nelle vicinanze due formazioni lapidee di
chiara fattura umana individuano, forse, due tombe a cista; proseguendo, altre pietre
sparse qua e la; infine arrivo ai macigni che definiscono il circolo
megalitico, ne conto quattro, altri due sono in posiziona tale che non è
possibile facciano parte del cerchio, altri tre sono nettamente dentro al
cerchio. Per tanto ho contato in totale 9 massi, ognuno (come vedremo) ha la sua
funzione.
Nel sito web http://web.tiscalinet.it/azuni/AL2000-2001/circolo-megalitico.htm#tabella
il Prof. Pino Calledda, pubblica uno studio archeoastronomico dedicato al sito
di Is circuìttus, datandolo lui o chi per lui al 2000 a.C.; individua i macigni
esistenti A, B, C, F facenti parte della
circonferenza; i massi D ed E all’interno del cerchio; il macigno
H, sempre all’interno del cerchio e 4 ipotetici massi: P, Q,
R ed S che non esistono in situ (saranno mai esistiti?) e
tralascia i due massi da me individuati.
Fig 1- riproduzione del cerchio disegnato dal Prof. Calledda
Proposta di studio
Partendo dall’ipotesi di studio del Porf. Calledda, mi accingo a
rivisitare il circolo megalitico di “Is circuìttus”, mettendo dei punti fermi:
-
Prenderò in considerazione solo i macigni esistenti ed in
particolare quelli che fanno parte del cerchio; ossia quelli identificati nel
disegno del Prof . Calledda (che qui riproduco in Fig 1), con le lettere A,
B, C, F (Foto e, f, g, h); prenderò in considerazione
anche il centro M non materializzato e tenterò di dare una interpretazione
ai macigni “D” “E” e “H”.
fig.
2
-
Valuterò la funzione della pietra “I” e della lastra “L”
(vedi fig.2).
-
Porterò la data di realizzazione della struttura al 3200 a.C., relativa cioè alla Cultura di San Michele di Ozieri, neolitico finale che
va dal 3200 al 2800 a.C., perché quella è la data che suggeriscono i menhir
ubicati li vicino; certamente la motivazione non può essere solo questa:
sarebbe puerile. La datazione me l’ha fornita una particolare pietra (masso “I”)
di forma quadrangolare che si trova adagiata affianco al macigno di granito “H”
(foto a e foto b), che sotto la luce radente mi ha mostrato una
serie di piccole coppelle, come quelle praticate nel menhir rimasto ancora
eretto, ubicato poco lontano (foto c).
foto a - il
macigno “H” con affianco il masso “I” con le coppelle
foto b - particolare del masso con coppelle |
foto c –
particolare del menhir dove sono visibilmente incise le coppelle.
foto
d - macigno “A”
foto
e – macigno “B”
foto
f – macigno “C”
foto
g – macigno “D”
Basandomi sui dati da me rilevati, prenderò in considerazione ed elaborerò alcune osservazioni fatte dal Prof. Calledda nel suo studio. Entrerò
solo per lo stretto indispensabile nel merito delle sue misurazioni.
Qualche tempo fa ho visitato il sito di “Is circuìttus” portandomi appresso la strumentazione topografica, con la quale ho rilevato i
punti caratteristici dell’insediamento e quanto all’orizzonte poteva interessare
al mio studio.
Una precisazione: in mancanza di evidenti segnali che possano
in qualche modo indicare sui macigni il punto esatto di traguardo, ho rilevato
la loro posizione in corrispondenza del loro massimo ingombro e in base a quello ho individuato il baricentro di ognuno di essi. In direzione di quello ho rilevato l’angolo zenitale relativo all’orizzonte locale nella direzione dei massi F-B (individuata dal Prof. Calledda), nonché quella della dei massi A-C ed altre direzioni ancora. In ragione
di questa precisazione è evidente che gli azimut rilevati con la precisione angolare di 2 secondi d'arco, sono stati approssimati in fase di studio ad 1 primo d'arco. Approssimazione più che sufficiente.
Fig. 3
Come si evince dalla fig. 3, l’azimut delineato
dai macigni F e B di 60° 30', si
discosta da quello calcolato dal
Prof. Calledda (58° 38’) di 1° 52'.
C’è da dire che l’azimut di 58° 38’ è quello del disco solare che all’alba del solstizio d’estate del 3200 a.C. era ad un’altezza all’orizzonte di 0° 14’, mentre con un azimut di 60° 30' il sole aveva un’altezza di 3° 01’; in quest’ultima direzione azimutale la linea dell’orizzonte locale si pone ad un’altezza di 4° 19’, per tanto il sole non era ancora visibile perché spuntava ad un azimut di 62° 27’ con un'altezza di poco differente. La differenza d’azimut di 1° 55’, rispetto all’allineamento dei massi FB, a parer mio non rientra nel limite d’errore di collimazione, essendo quell’angolo pari a più di 4 diametri apparenti solari. D’altro canto la misurazione nella direzione opposta; ossia 240° 60’ (tramonto al solstizio d’inverno), non da risultati migliori, in quanto il sole tramontava ad un’altezza dell’orizzonte locale di 5° 15’ ed un azimut di 232° 54’.
C’è da dire che l’azimut di 58° 38’ è quello del disco solare che all’alba del solstizio d’estate del 3200 a.C. era ad un’altezza all’orizzonte di 0° 14’, mentre con un azimut di 60° 30' il sole aveva un’altezza di 3° 01’; in quest’ultima direzione azimutale la linea dell’orizzonte locale si pone ad un’altezza di 4° 19’, per tanto il sole non era ancora visibile perché spuntava ad un azimut di 62° 27’ con un'altezza di poco differente. La differenza d’azimut di 1° 55’, rispetto all’allineamento dei massi FB, a parer mio non rientra nel limite d’errore di collimazione, essendo quell’angolo pari a più di 4 diametri apparenti solari. D’altro canto la misurazione nella direzione opposta; ossia 240° 60’ (tramonto al solstizio d’inverno), non da risultati migliori, in quanto il sole tramontava ad un’altezza dell’orizzonte locale di 5° 15’ ed un azimut di 232° 54’.
Dal macigno “A” inoltre si vedeva tramontare il sole al
solstizio d’estate, poco a sinistra della vetta del Monte Grighini, un piccolo
complesso montuoso poco a nord del Monte Arci, ai piedi del quale troviamo a
occidente i paesi di Siapiccia, Siamanna e Villaurbana. Quel giorno (solstizio
d’estate) il sole tramontava ad un’altezza dell’orizzonte locale di 1° 19’
ad un azimut di 300° 20’.
In ragione di questi due dati, possiamo ipotizzare che, la
direzione dell’alba al solstizio d’estate (azimut di 60° 30’) sia stata
individuata in funzione dell’azimut di 300° 20’ (tramonto al solstizio
d’estate), supponendo che quelle genti sapessero effettivamente come
funzionasse la meccanica celeste e conoscessero il rapporto che esiste tra questa
e la geometria del triangolo equilatero.[2]
Non si pensi che questa sia semplice speculazione da parte mia;
basta osservare il sorgere del sole per rendersi conto, ognuno di noi, che
quando lo vediamo sorgere al livello del mare (alt. 0°), il cielo si colora di
quelle spettacolari sfumature rossastre che tanto fascino trasmettono; invece
quando esso spunta da dietro una montagna relativamente vicina a noi, il cielo
è già di un azzurro intenso. Questo fatto di certo non sfuggì a quelle genti,
facendo capire loro che il sorgere reale del sole non era quello percepito in
quel dato luogo ma avveniva prima. In ragione di ciò, non avendo altre
possibilità di individuare la direzione dell’alba al solstizio d’estate, la
calcolarono in modo geometrico (Fig. 4), così come descritto nel
mio articolo di cui alla nota [2], forti del fatto che il tramonto di quel
solstizio avveniva proprio ad un azimut di circa 300°.[3]
Fig. 4
Ma andiamo avanti per mettere in evidenza la sconcertante coincidenza azimutale tra la direzione MA e la direzione FB rilevata dal Prof. Calledda.
Questo parallelismo è intenzionale, oppure è una semplice coincidenza? Io penso
che ciò sia sicuramente intenzionale. Certamente non possiamo essere sicuri che
quelle genti avessero concepito che due rette che collimano un punto
lontanissimo, sono pressoché parallele, ma l’intento di trasportare la
direzione MA nella direzione FB, è indizio che volevano collimare un punto ben preciso. Però solo questo indizio non basta, perché potrebbe esserci
una probabilità, se pur remota, che ciò accada per caso; ma sicuramente non è dovuto al caso che ci siano due coppie di rette parallele nel circolo di “Is
circuìttus”.
Le altre due rette “parallele” (questa volta individuate da me),
sono quelle relative alla congiungente i massi MF (azimut di 189° 55') e AC (azimut di 190° 27').[4]
Per quanto riguarda il metodo di esecuzione di tali
allineamenti, è abbastanza facile dimostrare che, sebbene in modo inconsapevole
(forse), quelle genti ebbero modo di individuare due rette pressoché parallele
con un metodo semplicissimo. Tutti sappiamo dalla geometria che due rette parallele si
incontrano all’infinito; ma senza arrivare a tanto, basta dire che prendendo
come punto di riferimento il sole da due punti distanti tra loro 20 m (ma anche
con distanze molto più grandi dell'ordine di decine di chilometri), quelle due rette sono ancora parallele; ma
avvicinandoci ancor di più possiamo dire con tutta sicurezza che, collimando un
punto distante 20 km, l’errore di parallelismo per due punti distanti 20 metri l'uno dall'altro è di soli 0° 3’ 26” ossia quasi
1/10 del diametro apparente del sole.
Nel nostro caso, vista la differenza rilevata di 0° 02’
tra le direzioni MA ed FB, non c’era alcun punto da traguardare
per tracciare la retta parallela, visto che probabilmente la direzione fu
costruita geometricamente sulla direzione Est-Ovest ricavabile
sperimentalmente.
Viceversa, l’errore di parallelismo tra la direzione MF e
la direzione AC, pari a 0° 32’, è dovuto probabilmente al punto
di traguardo individuato sulla cresta della collina posto a circa 1500 m.
Vesica piscis
Guardando il disegno di fig. 5, è difficile non notare
che i segmenti che uniscono i punti: AM e BF, MF e AC
disegnano una losanga con una sorta di coda. Questo a parer mio è indizio
importantissimo che indica l’intenzione di trasmettere un messaggio; non a noi
evidentemente, ma alla divinità secondo una sorta di rito iniziatico che
prevedeva il tracciamento virtuale del segno e il suo conseguente nascondimento
agli occhi dei profani e qui, benché in modo del tutto ipotetico, possiamo
pensare che ci sia “in nuce”, quella che millenni dopo, fu usata quale
scrittura sacra nascosta e per mezzo di cose (rebus), indirizzata alla
divinità unica nuragica.
fig. 5
Il simbolo della losanga è associato e con-fuso con la “vesica
piscis” che in definitiva identifica la vulva, ossia l’organo che da la vita. Non sto
qui a discettare sulla valenza di questi simboli, ma vado oltre e mi accingo a
presentare l’ennesima coincidenza. Le due direzioni “parallele”: MF e AC,
che abbiamo evidenziato, sono orientate al tramonto della stella Fomalhaut;
ossia la stella alpha della costellazione del pesce australe, che nel
3200 a.C. era visibile nel nostro emisfero, benché molto bassa. Dalla
simulazione effettuata con STELLARIUM, Fomalhaut si poneva per l’azimut di 190°
27’ ad un’altezza di 5° 22’. L’altezza dell’orizzonte locale per la
medesima direzione è stata da me misurata di 5° 03'; ossia una differenza di 0° 19’, per tanto la stella si accingeva a tramontare.
Il macigno "E"
A questo punto dello studio ho cercato una qualche funzione del
macigno “E” (foto “h”), posto vicino al masso "F".
foto h – macigno
“E”
Ho constatato che la linea che unisce il centro “M” del
cerchio virtuale al macigno “E” è quasi speculare (rispetto al nord
geografico), alla linea che unisce il centro “M” al macigno “F”;
ossia la direzione ME (azimut 173° 10'), dovrebbe individuare il momento in
cui sorgeva Fomalhaut.[5]
La levata di Fomalhaut avveniva ad un azimut di 173° 40' con l’altezza dell’orizzonte locale di 6° 01’; ossia una differenza azimutale di 0° 30’
rispetto a quella dell’orientamento dei macigni; in ragione di ciò il macigno “E”
sembrerebbe indicare effettivamente l’alba di Fomalhaut.
fig. 6
Penso che questi due azimut, di levata e calata dell’astro,
furono individuati da quelle genti per uno scopo ben preciso. Nel 3200 a.C. si
vedeva sorgere Fomalhaut alle ore 3:56 e tramontare alle ore 5:34 (durante
l’arco notturno), per la prima volta solo il 24 di aprile (ossia 34
giorni dopo l’equinozio di primavera[6]);
prima di tale data si poteva vedere l’alba (a partire dall’undici di marzo), ma non si
vedeva il tramonto. La visione di alba e tramonto aveniva fino al giorno 11 di
settembre (174 giorni dopo l’equinozio di primavera), giorno in
cui, per l’ultima volta si vedeva la levata alle ore 20: 19 ed il tramonto alle
ore 22:01. Di lì a poco si sarebbe verificato l’equinozio d’autunno (12
giorni dopo), ed è questo probabilmente uno dei motivi d’individuazione
della direzione di tramonto della stella.
IL 24 di aprile mi riporta alla mente la teofania da me
scoperta a Murru mannu (22 aprile) e dal Prof. Borut Juvanek nel pozzo
sacro di Sant’Anastasia di Sardara (21 aprile).
Questa è la terza concomitanza calendariale relativa al periodo
di accrescimento dei germogli e si fa prepotente l’ipotesi che questa data
fosse in effetti molto sentita da quelle genti già in periodo eneolitico.
La data dell’undici di settembre invece preannunciava l’equinozio, dal
quale computare un secondo evento, che tratterò quando prenderò in
considerazione il macigno “D”.
Per chi non lo sapesse “Fomalhaut” si pone al 18° posto nella
graduatoria delle stelle più brillanti del cielo, con una magnitudine apparente
di 1,15 e una magnitudine assoluta di 1,72[7].
Perché è stata scelta Fomalhaut e non un’altra stella per quel
particolare orientamento e perché l’orientamento dei macigni AC (parallelo a MF) è
rivolto al tramonto di questa stella e non all’alba?! Il motivo forse è da
ricercare nel significato del nome “Fomalhaut”, nel significato di quel preciso
momento (il tramonto) e nella funzione del sito di Is circuìttus, vista la
presenza delle tombe a cista.
Fomalhaut era conosciuta sin dall’antichità ed era considerata
una delle quattro stelle regali assieme a Regolo (alfa della costellazione del
Leone), Aldebran (alfa della costellazione del Toro), e Antares (alfa della
costellazione dello Scorpione) che dividevano (ancor oggi lo fanno) il cielo in
quattro parti.
Dall’enciclopedia Treccani apprendiamo che “la costellazione
del “Pesce australe” è una delle più antiche e si trova in Tolomeo. La sua
stella più luminosa (α) si chiama con il nome arabo di Fomalhaut (Fam al-hūt: la
bocca del Pesce)” (mio il sottolineato). L’etimologia del nome apre
uno spiraglio alla comprensione innanzi tutto di quella forma geometrica (la
losanga con la coda), in secondo luogo si comprende il motivo che portò a
individuare il tramonto di quella stella anziché la sua alba. Risulta del tutto
evidente che il momento della calata della stella fosse concepito come momento
di morte, per tanto il defunto entrava nella “bocca del pesce”, simbolo di
rinascita e fertilità in tutte le culture, per rinascere a nuova vita. Tanto
che la Bibbia, millenni dopo, riprendendo un mito più antico, descrive quanto
accaduto a Giona.
Il macigno "D"
foto i – macigno
“D”
Il macigno “D” è orientato con un azimut di 158° 03’;
in quella direzione ho misurato un’altezza dell’orizzonte locale di 4° 17’.
La simulazione ha messo in evidenza che la stella Regor o
Gamma Velorum, ossia la stella alpha della costellazione della
vela (benché indicata come "gamma"), sorge all’orizzonte locale di 4° 17’
con un azimut di 158° 08’.
Il tramonto di Regor invece non fu fissato in alcun modo; ma ciò
si può spiegare con la funzione di questa stella, data dalla sua caratteristica particolare. Regor
è posizionata nella volta celeste in un punto quasi diametralmente opposto a
Fomalhaut, per tanto essa sorge e tramonta rispetto a quest’ultima, con circa12
ore di sfasamento. Una simulazione con STELLARIUM ha dato il seguente risultato: il giorno 17 di febbraio (15.03.3200 a.C) avremmo assistito alla levata eliaca di Fomalhaut (ore 6:28 altezza all'orizzonte 4° 24’) e lo stesso giorno avremmo assistito alla levata acronica di Regor (ore 18:42 altezza all’orizzonte 6° 47’). Per tanto con
uno sfasamento di 12 ore e 14 minuti (soli 14 minuti dalla metà precisa).[8]
Cosa possiamo dedurre da questo dato? La risposta più plausibile
è che queste due stelle, con l’orientamento qui fissato, non furono individuate
certamente per dividere il giorno in due parti uguali (questo si sarebbe potuto
apprezzare solo il 28 gennaio e in ogni modo, non penso che quelle genti fossero
coscienti della quasi perfetta simmetria temporale giornaliera); ma furono
prese in considerazione perché dividevano l’anno solare in due semestri[9];
infatti se usiamo lo stesso metodo con il quale Fomalhaut individuava il
periodo dal 24 aprile all’11 di settembre, scopriamo che si vedeva sorgere e
tramontare Regor nello stesso arco notturno a partire dal 15 di ottobre
al successivo 10 febbraio. Computando i giorni che intercorrono dal 24
aprile (scandito da Fomalhaut), al 15 di ottobre (scandito da
Regor), otteniamo 174 giorni; per tanto alla metà esatta mancano 8 giorni (ma
non è questo il dato importante e comunque non si poteva chiedere di più alle
stelle!). Il dato di “vitale” importanza era quello di stabilire il periodo
esatto della concomitanza visiva di alba e tramonto, in quanto attorno al 15 di
ottobre si doveva procedere alla semina dei cereali;[10]
per contro individuare materialmente il tramonto di Regor, probabilmente non
era di alcuna utilità.
Questo a parer mio è il motivo fondamentale di questi
allineamenti: uno individuava il periodo relativo alla semina, l’altro il periodo
di accrescimento e maturazione del germoglio cerealicolo; date di grandissima
importanza per il sostentamento di quelle genti, come già ho avuto modo di
chiarire nell’articolo “Sincretismo religioso tra nuragico e romano”, relativo
alla Porta del sole di Murru mannu.[11]
Il macigno “H”
foto l – macigno
“H”
Il macigno “H” di duro granito (foto l - vedi anche foto b), reca segni evidenti di lavorazione in tutta la sua superficie.
Sembrerebbe sia stato lavorato a forma di “omphalos”, ma non si può escludere l'ipotesi che questo sia un simbolo solare (come afferma E. Contu per quello di Monte D'Accoddi [12]),
col lato rivolto a sud sud/est sezionato da un perfetto piano obliquo. Ho
rilevato la direzione alla base di questo piano obliquo, constatando che esso è
ortogonale in modo pressoché perfetto alla direzione che lo unisce al menhir
posto ad una distanza di 220 m (menhir X). Questo indizio spiega la
funzione del masso recante le coppelle che giace affianco al macigno stesso (foto
l – vedi anche foto a e foto b), coppelle simili a quelle del
menhir (foto c).[13]
Il macigno “A”
Ma ora andiamo oltre e prendiamo in considerazione il macigno A,
quello di bianca roccia quarzifera, che sembra abbia un ruolo di primaria
importanza nel circolo megalitico.
Come già detto, guardando dal
macigno A in direzione del tramonto al solstizio d’estate (300° 20’),
si vede all’orizzonte la vetta del Monte Grighini (azimut di circa 308°),
che dista in linea d’aria dal nostro sito circa 15 km.
Il Monte Grighini è caratterizzato da una evidentissima vena
quarzifera che lo attraversa dal piede della montagna fin verso la vetta. Sarà
solo frutto del caso che il nostro macigno sia di quello stesso materiale e che
da questo si veda proprio la vetta di quel monte, che guarda caso è vicino alla
direzione del tramonto al solstizio d’estate?
la vetta del
Grighini
Particolare di una vena di quarzo
Un macigno simile a quello di “Is circuìttus”
Particolare
Mi sono recato sul Grighini e già ai piedi del monte spuntano i
primi macigni di quarzo. La strada proseguendo, conduce infine ad una
meravigliosa parete di bianchissimo quarzo a quota 311 m slm. Ammirando quello
spettacolo mi sono chiesto dove quelle genti avrebbero prelevato il macigno
trasportato a Is circuìttus. La risposta è stata quanto mai semplice, suggerita
dal territorio circostante. Difficilmente quel masso fu cavato dalla parete
rocciosa da me visitata a quota 311 m, tanto meno fu cavata dalla vetta del
Grighini; è più verosimile che venne prelevato più giù dove ho incontrato i
primi macigni. D’altronde, a meno che non ci siano particolari circostanze
dettate dall’unicità dell’oggetto cercato, di norma si tende a spendere il
minimo delle energie...
E’ evidente che quel filone di bianchissimo quarzo sin dall’antichità
più remota suscitò interesse e curiosità se non rispetto e timor di dio.
Quel minerale risplende luminoso come il sole e nei dintorni, per decine di chilometri, non
si trovano altre emergenze di tal genere.[14] E’ probabile che il Monte Grighini per
questa sua particolarità fosse conosciuto in tutto il circondario, visto che da
Ovest è possibile individuarlo da grande distanza.
Carlo Alberto Della Marmora scrisse in Viaggio in Sardegna vol.3 pag. 79: «I filoni quarzosi sono visibilissimi da lontano, come mostra lo schizzo di questa montagna, che abbiam preso dall’alto del campanile della città di Oristano, distante verso l’ovest più di 20 chilometri». Per questa particolarità quel monte era conosciuto sicuramente da molte popolazioni tanto che, tutti annotarono la sua posizione, benché non da tutti i versanti fosse possibile individuare quella vena splendente e serpeggiante.
Carlo Alberto Della Marmora scrisse in Viaggio in Sardegna vol.3 pag. 79: «I filoni quarzosi sono visibilissimi da lontano, come mostra lo schizzo di questa montagna, che abbiam preso dall’alto del campanile della città di Oristano, distante verso l’ovest più di 20 chilometri». Per questa particolarità quel monte era conosciuto sicuramente da molte popolazioni tanto che, tutti annotarono la sua posizione, benché non da tutti i versanti fosse possibile individuare quella vena splendente e serpeggiante.
...Possiamo ben immaginare il percorso mentale di quelle genti. Dobbiamo innanzi tutto pensare al grande spirito di osservazione di quegli uomini, che probabilmente trovarono una singolare coincidenza tra la posizione del Grighini vista dalla collinetta di Cuccuru Mandareddu e il tramonto del sole al solstizio d’estate. Forse fu questo il motivo che spinse quelle genti alla creazione di un sito di grande valenza religiosa proprio lì dove l’evento astronomico si verificava, e visto che si teneva in grande considerazione quel filone quarzifero del Monte Grighini, se ne volle asportare una “reliquia” da trasportare proprio lì dove sarebbe sorto un complesso megalitico di grande valenza religiosa, mediante il quale avrebbero scandito il tempo delle stagioni per i vivi, auspicato la rinascita per i defunti.
Il macigno "L"
Come abbiamo visto, all’interno del circolo ci sono altri cinque
macigni, tre di essi sono stati ben evidenziati dal Prof. Calledda (massi D,
E, H), il quarto (masso I) ed il quinto (macigno L)
non vengono proprio presi in considerazione. Del masso I abbiamo già
parlato. E’ ora il momento di descrivere il macigno L che giace vicino
al masso I e al macigno H (foto m).
foto m
foto n
Questa è una lastra dal profilo
lunato, con il piano rivolto verso l’alto, pressoché orizzontale.
Vista la connessione del macigno H e del masso I
con il menhir X posto a valle, questa particolare roccia forse aveva
funzione di tavola per le offerte, come quella di Monte D’Accoddi; e similmente
a Monte D’Accoddi, ritroviamo (come già accennato), pure qui l’onphalos
(macigno H). Solo combinazione, oppure questi sono gli elementi materiali
di un medesimo culto praticato a Monte D’Accoddi e Is circuìttus?
Alla fine di questo studio mi sono persuaso del fatto che
probabilmente a Is circuìttus non fu mai realizzato un vero e proprio cerchio,
come ipotizza nel suo studio il Prof. Calledda, ma furono posti dei macigni in
posizione particolare lungo un cerchio ideale.
Il sole sta calando a “Is circuìttus”, mi metto in spalla tutta
l’attrezzatura topografica, e mi accingo a lasciare quel luogo. Non torno sui
miei passi, scelgo di fare un’altra strada…
foto o
foto p
...mi sfugge un sorriso al vedere
questa conformazione rocciosa, guardo indietro verso il circolo di pietre,
dall’altra il menhir eretto punta verso il cielo e mi suggerisce di guardar
bene sia l’uno che l’altra.
Invito il lettore che è arrivato fin qui, a rivedere, in caso
fosse sfuggito il particolare, la foto c.
Non vorrei passare per visionario: per me nel menhir è inciso
(l’ho ben guardato da vicino), una protome taurina con corna asimmetriche, col
corno sinistro più lungo: sempre lui, il corno che indica l’alba del solstizio
d’estate (foto q).[15]
foto o
Il simbolismo mi sembra palese: da una parte il menhir con
protome taurina, che punta verso il cielo, sede della divinità solare, sotto gli influssi dell'omphaols o pietra solare (H);
dall’altra la vulva ricavata direttamente nella essenza della madre terra.
Una riflessione mi impone di cambiar nome a questa particolare pietra: betilo è il nome più appropriato a parer mio, visto che il pittogramma ivi inciso lo identifica quale “beth-El”, ossia casa della divinità... taurina.
Una riflessione mi impone di cambiar nome a questa particolare pietra: betilo è il nome più appropriato a parer mio, visto che il pittogramma ivi inciso lo identifica quale “beth-El”, ossia casa della divinità... taurina.
Il betilo e la vulva
Giù nella valle, il betilo X (vedi figg. 7 e 8)
è l’unico rimasto in piedi di tre esistenti. Questi sono posti verosimilmente
lungo una linea retta orientata all’incirca nella direzione in cui sorgeva
Regor (azimut 158° 03’), e benché la direzione indicata dai betili X e Y
(156° 02’) non si discosti tantissimo da quell’azimut, ritengo che la
differenza sia eccessiva per rientrare nei limiti di tolleranza, tanto da dover
scartare questa possibilità, che oltre tutto sarebbe fuori contesto.
Alla ricerca di una qualche caratteristica dell’orientamento ,
ho verificato che la “vulva” scolpita sul banco roccioso (foto o
e p), giace sul prolungamento della retta che unisce i due betili
X e Y citati [16].
Stando così le cose, l’azimut da prendere in considerazione “forse” non è
quello di 156° 02’, ma il suo reciproco; ossia 336° 02’.
Il terzo betilo (Z),
per la sua posizione (base rivolta a est e punta a ovest), forse non era infisso sulla linea che unisce la vulva W ai betili X e Y, tant’è che la linea che lo unisce a quella (la
vulva W) è orientata con un azimut di 334° 38’.
Fig. 7
fig. 8
Non vado oltre, mi fermo al
dato puro e semplice in attesa di riscontri in altri siti archeologici,
che possano avvalorare l’ipotesi di orientamento che per il momento serbo per
me.
Alla fine di questa lunga dissertazione, al di la dei dati
topografici, astronomici e calendariali, è necessario puntualizzare l’aspetto
antropologico di questo meraviglioso sito.
Rivedendo tutte le fasi e tutti i particolari, ci si rende conto
che il sito è carico di simbolismo spirituale: natura e posizione delle pietre,
orientamenti e figure nascoste collegate a particolari astri, orientamenti di
macigni collegati ad altri macigni e ad altri manufatti, in una commistione di
riti legati alla vita e alla morte. Riti che si intrecciano e si completano
nell’augurio della rinascita.
Dedicato a Gianfranco Pintore
[2] Vedi mio
articolo Tanat panè Baal pubblicato su Maymoni blog a partire dall’8 settembre
2015, dove spiego in modo geometrico il rapporto esistente tra orientamenti di
equinozi e solstizi e il triangolo equilatero e spiego il metodo pratico di
individuazione della direzione Est-Ovest con mezzi rudimentali.
[3] Si noti che
il sole sorge esattamente ad un azimut di 60° alla latitudine di 36° 12’. Invito il lettore a vedere quali paesi sono ubicati a quella latitudine.
[4]
Questa trasporto di rette parallele ad altre, potrebbe interpretarsi in un
contesto religioso e superstizioso che vede il cerchio quale entità
magico-religiosa che ha nel suo centro il principio creatore; ossia il punto da
dove tutto ha inizio e che può essere associato solo alla divinità; per tanto
non poteva essere occupato da alcunché potesse rappresentarlo materialmente, se
non, forse, il sacerdote astronomo. In ragione di ciò vennero deputati alla
individuazione dell’alba al solstizio d’estate e del secondo evento, altri due
allineamenti dati da punti posti sulla circonferenza.
Ma è solo una congettura e come
tale è necessario accettarla.
[5]
Questa asserzione è dettata dal fatto che essendo praticamente speculare alla
direzione MF la bisettrice dell’angolo FME individua il mezzogiorno e di
conseguenza, essendo quella la posizione in cui la stella è al culmine della
sua altezza nel cielo è a metà tra alba e tramonto della stessa.
[6] Per verificare su STELLARIUM i dati riportati è necessario
posticipare le date riferite al 3200 a.C. di 26 giorni, per effetto del fenomeno della precessione degli equinozi.
[9]
Se constatare la divisione del giorno di 24 ore, in due archi temporali di
uguale durata poteva essere arduo, se non impossibile, non così era per la
individuazione di due archi temporali annuali, perché bastava tener conto dei
giorni da un evento all’altro, avendo come punto di riferimento uno degli
equinozi.
[10]
Ancor oggi il periodo ottimale di semina è raccomandato tra la seconda decade
di ottobre e i primi di novembre.
[12]
Così viene definito pure il macigno di forma ovoidale presente a Monte
D’Accoddi, del medesimo periodo (vedi in "Sardegna archeologica, guide e itinerari - Ercole Contu - L'altare preistorico di Monte D'Accoddi - Carlo Delfino Editore").
purtroppo il macigno ovoidale non è nella sua posizione originaria.
purtroppo il macigno ovoidale non è nella sua posizione originaria.
[13] Benché il menhir non sia visibile dal macigno “H”, perché posizionato in un avvallamento, non è difficile capire come abbiano potuto individuare la traiettoria. Un metodo semplicissimo è quello di usare un segnale di fumo in una giornata di calma atmosferica. Per quanto riguarda la pressoché assoluta perpendicolarità della superficie obliqua del macigno “H” rispetto all’orientamento dato, è facile dimostrare che: individuata la traiettoria scelta, basta individuare due punti su di essa e costruire con quelli una “vesica piscis” (vedi fig. 5); il segmento che unisce le intersezioni delle circonferenze è perpendicolare alla nostra traiettoria.
[14] In “Viaggio in Sardegna” volume 3° Alberto Della Marmora descrive il Monte Grighine (nel testo è nominato Grighini o Brighini) alle pagine 77-80.
[15] La protome taurina con corno asimmetrico abbiamo avuto modo di individuarla nel sito di Monte Baranta.
[16] Il betilo Y
è abbattuto con la base rivolta verso ovest; questa si discosta dalla linea ideale
congiungente il betilo X con la vulva, di soli 55 cm e tenuto conto che la base
del betilo ha una larghezza di circa 50 cm, se fosse stato in loco sarebbe
stato fuori allineamento di soli 25 cm.
Che dire? Un plauso per l'accuratezza con cui hai portato a termine anche il rilievo di questo sito, che mi era totalmente sconosciuto, e per le tue personali ed avvincenti conclusioni. Infine, una speranza sincera che tu sia nel vero.
RispondiEliminaIl rischio fa parte della ricerca. Ma c'è, naturalmente, ricerca e ricerca. Ci sono tante belle cose che illumini, caro mio. Come il quarzo del Grighini che non può non aver suggestionato quelle genti affascinate sempre dal luminoso. Per quanto riguarda poi gli orientamenti, le stelle e la volta celeste sappiamo bene che, sia pur im misura diversa, erano pane quotidiano per i 'lettori' antichi (sardi e non) del libro più misterioso e affascinante del creato. Oggi noi non lo leggiamo più, anzi lo ignoriamo e magari ci interessiamo di esso se con tristezza infinita fallisce una 'nostra' sonda spaziale, il nostro spericolato occhio alato lanciato sempre di più, con alterigia di pochi, negli spazi dell’infinito. Il firmamento non fa parte della cultura scolastica di massa odierna, neppure per 'cenni elementari' , e quindi sfugge a tutti bellezza e mistero assieme. Forse di Dio? Chissà! Già, lo 'stellarium', scientificamente comodo ma gelido come le notti siderali che scruta a comando. Chi è in grado oggi di individuare e di classificare le stelle con i propri occhi, se sono quarte o diciottesime o ventesime nella classifica della luce? Chi si costruisce a casa un piccolo osservatorio amatoriale per invitare gli amici a guardare religiosamente al di sopra del silenzio delle montagne? Chi mai osserva pietre di quaggiù e stelle di lassù? Sandro lo fa. Sente che lo deve fare per tentare di recuperare il sentimento degli antichi. E' il betilo (la casa di Dio) che, come pietra scritta, parla a lui per tutte quelle 'create' e organizzate dall'uomo arcaico per comunicare emotivamente con altri uomini. Oggi puntiamo sull'infinito con il cannocchiale elettronico, allora si puntava con i massi eterni, tanto più se portavano traccia con luce minore di una luce infinitamente maggiore. Questo. Sandro, per dirti che, in ogni caso, hai fatto bene a scrivere tutto ciò: se altri domani o dopodomani leggerà meglio di te, sulle spalle del tuo solitario 'studere', lo dovrà a te e al tuo entusiasmo nel ‘cercare’ e ‘scrutare’; lo dovrà ai tuoi occhi che hanno cercato di vedere e non si sono appagati del guardare. L'ho detto tante volte ma è bene ripeterlo e ripeterlo: moltissimi sono quelli che guardano ma pochissimi quelli che vedono. E non sanno, né mai sapranno, questo soprattutto si deve sottolineare, cosa si perdono.
RispondiEliminaChi ora mai se la sentirà di dire: I Circuitus? Solo pietre e solo fitto mistero. Davvero, davvero tutto tutto mistero? E tutto Tutto buio come prima?
Certo il rischio è grande nell’affrontare questi argomenti, ma quando ti trovi di fronte dei dati che null’altro possono essere se non quelli, allora ti lanci.
RispondiEliminaPerché ho individuato Fomalhaut tra decine di stelle di prima grandezza ed ho scartato a priori la possibilità che ci fosse di mezzo la luna o Venere o altri pianeti visibili?! Per un semplicissimo motivo: in quella posizione (un ventaglio angolare alba/tramonto di soli 50°), pochissimi altri oggetti celesti erano visibili a sud: Atria, stella alpha della costellazione del triangolo australe e la stella alfa della costellazione del pavone (entrambe fanno parte di costellazioni cosiddette “moderne”, ma ciò non toglie che fossero visibili e individuabili da quelle genti), ma erano posizionate nella sfera celeste in posizione tale da non poter assolvere, qui sulla terra, al compito assegnato a Fomalhaut; Peacock, perché troppo bassa, Atria perché a metà strada tra la nostra e Regor, con uno scarto temporale di 6 ore e 15 minuti.
Ma al di là della posizione nella sfera celeste, il puzzle “Fomalhaut” è composto da queste altre tessere: significato del nome, costellazione di appartenenza e pittogramma a rebus.
Bravo, Sandro!
RispondiEliminaLa tua forza sta nel credere che la casualità delle cose costruite dall'uomo è un regalo che non ci possiamo permettere.Il pensare che esistano le coincidenze fortuite fa lo stesso effetto al cervello umano di un meteorite che lo incoccia sulla nuca.
Non ho ancora capito bene quale sia la parte di campagna del laconese interessata a questi eventi, mentre ricordo bene come, al tempo in cui vi praticavo per caccia e per funghi, mi colpirono dei massi che parevano erratici e alcuni scavi clandestini di tombe, anche se non ero mai riuscito a collegare una cosa con l'altra.
Per te, e per quelli come te, il Maestro ha coniato una nuova ulteriore beatitudine: Beati quelli che hanno occhi per vedere, non solo per guardare.
Ma siccome sono invidioso e non mi voglio intruppare con i non beati, mi addosso la beatitudine che più mi s'addice: beati quelli che crederanno senza aver visto.
Infatti non mi chiamo Tommaso e mi astengo dall'affondare il dito nella piaga.
Il sito è nel territorio di Laconi ma è vicinissimo ad Asuni lungo la SP 40.
EliminaPer quanto riguarda la beatitudine: beh, spero di non arrivarci mai a tale fase, perché lo stato di soddisfazione piena e perfetta mente in condizione l’individuo di non cercare altri stimoli per appagare le esigenze dell’intelletto. Quando mi inoltro nel sentiero di una ricerca, alla fine del percorso mi rimane sempre una punta di insoddisfazione che mi spinge a cercare altro… sempre. Meno male!
Dici di voler esser tra i beati che credono senza aver visto e questo è atto di fede. Il guaio, caro mio, è che c’è una seconda categoria di beati: quelli che credono senza aver guardato! Quelli che si meritano un bel: beato te!
Cuddu c.! Io non sapea che voi 'loici' foste!
RispondiEliminaBeh, mio caro, noi neri cherubini abbiam le corna.
EliminaSe lo sono, non so di esserlo. Custu "loici", se è un complimento, non lo merito; se si tratta di un offesa, non me la prendo.
RispondiEliminaMa ita bolit nai custu "loici", o su professori? Deu mi seu firmau a "dioico".
Ho parafrasato un noto passo di Dante usando un po' dell'espressione e il termine 'loico' che ho reso al plurale. La risposta alla mia espressione l'ha data Sandro comprendendo che alludevo al 'cherubino nero' che, nel canto XXVII dell'Infreno, risponde al dannato Guido da Montefeltro con la famosa battuta 'Forse/ tu non pensavi ch'io loico fussi (forse tu non pensavi che io fossi un grande ragionatore, un maestro di logica). Il motivo della 'logica' riguarda il 'pentimento'. Guido non si è realmente pentito e pertanto deve andare all'Inferno tra i dannati. Non ci sono santi che tengano (San Francesco). Quindi, caro Franco tu e Sandro mi avete colpito con la vostra (divertente) logica serrata. Che non tollera contraddizioni.
RispondiEliminaTutto compresi or ora.
RispondiEliminaMa lo dico solo per farmi intelligente!