Un
altro singolare pozzo (sacro?) del
Sinis con vera ad incastro. E (guarda guarda)
con la (nota) scrittura in mix.
di
Sandro Angei, Gigi Sanna e Stefano Sanna.
Fig.1 (foto
di Stefano Sanna)
1. Premessa.
anzi modernissima (dagli
epigrafisti della domenica)? Ricordate le bugie e le amenità a getto continuo
sulla inesistenza (addirittura!) di quella
scrittura ritenuta (sino a convenienza) un falso da parte della signora
Anna Ardu (un falso, per giunta, fatto dagli 'amici' per Gigi Sanna)? Ricordate
l'intervento e la dichiarazione 'coram populo',sempre della magnifica Ardu
'barcellonese', a proposito dell'archeologo esperto (rigorosamente anonimo) suo
amico che considerava, dall'alto della sua segreta dottrina, quel pozzo 'antico' ma non 'antichissimo'? E
ricordate ancora i tentativi continui di vero e proprio sciacallaggio circa
quella scritta, difesa solo da 'epigrafisti acrobati'? E ricordate infine i
tentativi di supersciacallaggio messi in essere dal solito attempato giacobino
diffamatore da dietro il muretto e ripresi, proprio in questi giorni,
dall'ineffabile principe dell'epigrafia allo sbaraglio nonché ideologo dell'
archeologia 'nobile', vera e santa, resistente in trincea e cioè quella di
Rubens D'Oriano?[1]
Ebbene oggi una serie di pozzi[2] con vera ad
incastro (dei quali si parlerà via via in questo blog), alcuni scritti e altri,
stando all'apparenza[3],
anepigrafici, ci consente di sapere molto di più di un prodotto davvero singolare
dell'architettura tardo nuragica. Molto di più rispetto a quello che eravamo
riusciti a dire[4] sulla base
di un'unica documentazione sia per quanto riguarda la scrittura sia per quanto
riguarda la tipologia costruttiva.
Ad alcuni chilometri dal suddetto 'pozzo
della discordia', non molto tempo dopo dal giorno dell'escursione del 21 Giugno
del 2013 che portò, tra l'altro, l'archeologa Caterina Bittichesu a sostenere
(mai smentita -da quanto sappiamo - in seguito da nessuno) davanti agli
studiosi e agli appassionati che quella costruzione ad incastro, proprio per le
caratteristiche dello stesso, non poteva essere che ascrivibile
all'architettura nuragica, abbiamo scoperto un altro interessantissimo pozzo
con la vera in arenaria componibile. Non solo; questa risultava ugualmente scritta sulla superficie superiore dei
blocchi, nello stesso preciso modo con cui risultava scritta quella rinvenuta
precedentemente. Solo con un particolare, o meglio, con una fortuna notevole in più: stavolta i grafemi non erano di
ardua e, perlopiù, di disperata lettura, perché consumati dal tempo, ma tutti o
quasi tutti facilmente visibili ed interpretabili, come vedremo tra poco.
2.
Descrizione del pozzo e della vera.
Il pozzo si presenta come un piccolo ma leggiadro manufatto, come
quello che è adornato da una vera ad incastro che al tempo della sua
realizzazione si doveva presentare, naturalmente, perfetta; quasi splendente
con i blocchi in arenaria (v. fig. 4),
materiale che risulta dello stesso tipo di quello adoperato e
scolpito nel primo pozzo, ovvero quello
precedentemente scoperto. Le misure, come si può vedere dalla fig. 2 sono nella parte più lunga (blocchi A e C), con
perfetto orientamento 60° rispetto al nord,
di m. 1,54 e 1,56 e di circa m
1 nella parte più corta (blocchi B e
D). La struttura dei blocchi e tutte le parti componenti l'incastro in origine
dovevano essere precisi come misure e pertanto le leggere variazioni che oggi
si registrano[5] sono
dovute alla continua erosione prodotta da parte degli agenti atmosferici
nell'arco di due millenni e non di secoli,
dato che il pozzo, come vedremo dai dati scientifici epigrafici, non può
che risalire, a nostro parere, se non al periodo tardo repubblicano romano o ai
primi anni del periodo imperiale. Per rendersi meglio conto della forma intera
del pozzo e della tipologia identica a quella di Mistras 1 (d'ora in poi lo
chiameremo così per motivi che si capiranno in successivi articoli) si vedano
ancora le figg. 3 e 4.
Fig. 2
fig. 3
fig. 4
3.
La scritta
fig. 5 (foto
di Stefano Sanna)
Come
si può vedere la scritta insiste solo su due dei blocchi della vera: su di uno
dei due blocchi più lunghi (blocco A di fig. 2 e fig.3) e su di uno dei blocchi più
corti (blocco B di fig.2 e fig.3). Si tratta di 14 lettere alfabetiche in tutto,
disposte ad intervalli abbastanza regolari di 3 cm circa l'una dall'altra,
profondamente incise tutte e tutte individuabili perfettamente tranne la
seconda e la sesta del blocco A. Di queste la prima mantiene ancora
visibile buona parte della traccia, la seconda non mostra alcun appiglio
grafico per una sua certa identificazione.
La tipologia delle lettere sarebbe da
ascriversi ad una sorta di scrittura lapidaria romana se non fosse
che alcuni segni, con ogni probabilità,
romani non sono. Infatti la scritta del blocco A reca incisa come
seconda lettera una 'V' che risulta del tutto differente dalla 'V' (terza
lettera a partire dalla sinistra) del blocco B e, soprattutto, reca,
riportata in modo inequivocabile, la lettera 'resh' dell'alfabeto semitico di
tipologia “fenicia[6]”.
Quest'ultimo dato risulterebbe davvero sconcertante se noi non avessimo la
testimonianza di altri documenti tardo - nuragici che riportano il
caratteristico mix di segni, ora antichi ora più recenti, ora di un alfabeto
ora di un altro, come si può vedere chiaramente dalla scritte di B.M (Sinis),
di Aidomaggiore e soprattutto della cosiddetta 'Sala da ballo' di San
Giovanni del Sinis (v. figg. 6 -7 -8) dove a lettere di tipologia
pittografica nuragica (di ispirazione addirittura anche protosinaitica) si
alternano lettere manifestamente latine[7].
Fig.6 (Foto di Stefano Sanna)
fig.7 (foto di Mario Atzori)
Fig. 8 (foto di Stefano Sanna)
Come possiamo vedere dalle figg. 2 e 5, i
segni riportati sulla superficie piana della vera, una volta traslitterati
(fig. 9), sono i seguenti: C CUSOR P
/ DVRIC(?)S. Calcolando quindi le (note) abbreviazioni del romano,
il testo va sicuramente completato e letto così: C(uravit) CUSOR P(osuit)
DV/ORICOS. C'è scritto cioè che [Il pozzo] lo curò e lo realizzò materialmente
il 'cusor' (il coniatore) e lo fece collocare in quel luogo la persona di
Du/orico[8].
Fig. 9
4. Il 'cusor'.
Se dunque il senso sembra essere, in linea
generale, del tutto pacifico (con la menzione dell' esecutore materiale
dell'opera architettonica e del proprietario del fondo di sistemazione di essa)
e non offrire difficoltà di sorta, invece
nel particolare l'iscrizione sembra creare qualche difficoltà a motivo dell'uso
del lessico in quanto la voce 'cusor', attestata insieme alla concorrente 'excusor' (Tertulliano), significa
propriamente 'coniatore di monete' e proviene, così come il sostantivo
CUSIO/NIS, dal verbo ' CUDERE' o EX-CUDERE (il battere i metalli, i cereali).
Infatti, ci saremmo aspettati per un semplice pozzo una voce come
'lapicida' , 'lapidarius' e simili e non quella di un artigiano di profilo ben
diverso, con compiti sicuramente più specialistici e tecnicamente più raffinati
di quelli di uno scalpellino.
Perché dunque questo termine e non quello
più modesto di intagliatore e adattatore di pietre? Forse la spiegazione
potrebbe stare nel fatto che il pozzo (tutti i pozzi ad incastro, quindi) non
siano pozzi, per così dire, 'comuni', cioè fruibili come normale fonte di
approvvigionamento dell'acqua per gli uomini e per gli animali o per l'
irrigazione, ma pozzi di valenza superiore e cioè 'sacra'; composti in modo del
tutto particolare, con simbologie nascoste ma molto mirate in quanto
riferentesi alla natura e alle qualità dell'acqua e all'orientamento
astronomico del manufatto. Sulle simbologie criptate abbiamo già cercato di
dire9, compresa quella dell'orientamento. Ma ora, per fortuna, si ha
quella molto più sicura offerta dalla presenza della scritta che, in tutta
evidenza (ma questo lo si vedrà meglio con un terzo pozzo a vera ad incastro )
tende a rendere 'scritto' il pozzo e non solo per ipotetici simboli. Solo così,
con una lettura non parziale ma completa dei significanti del pozzo (simbologie
architettoniche e quelle più propriamente grafiche), può comprendersi una voce
come quella di 'cusor' che ha ragion
d'essere, a nostro giudizio, proprio nella professionalità dell'esecutore che abbina l'arte del
battere, dell' incidere e del 'comporre' a quella dello scrivere con efficacia
e giustezza (ad es. con il ricorso alle abbreviazioni, quelle e non altre,
tipiche dell' arte della concisione e della 'brevitas' del coniatore di monete).
5. Un quindicesimo segno? Una scrittura 'tripartita'?
Fig.10 (foto di Stefano Sanna)
Per esaustività descrittiva resta da dire che sul dentello esterno del blocco C, quello che
serve per l'incastro del primo blocco scritto, si trova un segno profondamente
inciso nella parte superiore, formante un arco che, nella parte sinistra di chi
guarda, sembra prolungarsi in una linea o asta verticale. Nello stesso modo sembra
proseguire anche nella parte destra ma
con minor certezza di linea dal momento che la pietra risulta notevolmente
deteriorata e corrosa in quel punto.
Sembra però intravvedersi, a metà del segno, anche una piccola incisione curva
che potrebbe suggerire la chiusura di un semicerchio. Se così fosse andrebbe a
formare la consonante romana ' P'; consonante del tutto simile (anche per
grandezza) a quelle che si trovano nella prima parte della scritta.
Pronunciarsi con certezza pertanto non è
possibile ma se il segno nascondesse davvero la consonante 'P' essa potrebbe
spiegare il complemento diretto ovvero 'puteum' sia del verbo 'curavit' sia del verbo 'posuit'. Il dettaglio, naturalmente, non cambierebbe nulla circa il significato e
la forma (il complemento sottinteso non sarebbe certo difficile da capire)
dell'intera espressione della vera. Ciò che muterebbe invece è la forma e
l'andamento della scrittura che diventerebbe 'tripartita' e, si direbbe,
'serpentiforme', ingenerando un certo
sospetto circa la sussistenza di ulteriori segni simbolici[9] di un pozzo sacro nascostamente aggiunti dal
'cusor'. Certo è che risulta abbastanza facile rilevare che, se quest'ultimo
solo avesse voluto, c'era nella lastra
superiore tutto lo spazio scrittorio sufficiente per far precedere il primo
segno ovvero la 'C' di 'C(uravit)' dalla 'P' iniziale del complemento diretto.
Tanto più che, se si osserva, la 'P' di ' 'P(osuit) risulta molto vicina e
quasi attaccata alla 'R' di CUSOR.
In ogni caso, rimandiamo alle considerazioni
che faremo su di un terzo pozzo scritto (con caratteri romani dello stesso
periodo) che 'stranamente' si trova non in un campo qualsiasi ma vicinissimo ad
un sito archeologico che mostra una chiara frequentazione cultuale.
6.
Considerazioni
finali.
Se si va per analogia il secondo pozzo ci
dice, dunque, che Mistras 1, scritto in tutta la vera (compresi i
dentelli finali per l'incastro), riportava, con buona probabilità, anch'esso
delle lettere di tipologia o interamente romana o semitica oppure romana-semitica in mix. E c'è da ritenere
che in essa ci dovesse essere il nome
del ricco proprietario del fondo agricolo che lo fece edificare, così come nel
nostro secondo pozzo c'è il proprietario Do/uricos, nome questo che, tra
l'altro, risulta interamente scritto e non riportato per sigla.
Niente quindi osta, sulla base di questi
dati sicuri, a che si dica che ci fosse il nome YBLYN'A e che il pozzo fosse
chiamato con quel nome. Non ci sono evidentemente scritte né una data
(1942) né una sigla (SV) che in un pozzo di tale antichità risulterebbero
evidentemente solo un assurdo.
Certo, si può anche sostenere, elucubrando
e procedendo con ostinazione, che in una parte della vera scritta, rimasta
magari anepigrafica, possa essere stato aggiunto molto, ma molto più tardi, un
qualcosa di differente rispetto al resto del messaggio scritto. Ma è facile
replicare a questo punto, anche per i motivi di natura strettamente epigrafica
che sono stati esposti da coloro che con i loro occhi hanno osservato e visto e
con le loro mani toccato i segni della scritta (Bittichesu, Masia ed
altri ancora), che la seconda lettera non può essere assolutamente un 4 e,
soprattutto, l'ultima non può risultare un 2, simbolo numerico mai trovato
scritto in quel particolar modo. Ammettiamo pure, data la difficoltà di
lettura del terzo segno a partire dalla sinistra e l'ambiguità di alcuni
segni, che possa esserci scritto anche
dell'altro (ma ci chiediamo cosa) nella sequenza grafica (per altro in 'lectio
continua'), ma una data no. Essa è da escludere completamente. Per le suddette
ragioni dunque, per delle prove che adduciamo e che crediamo non possano
essere messe in discussione da nessuno (data la chiarezza epigrafica del pozzo
con la voce 'cusor' e l'antroponimo
'Do/uricos'), riteniamo che possano restare ancora validamente in piedi sia
l'interpretazione simbolica della, non certo comune, vera ad incastro del pozzo
(sacro?) con i conci a 'T' o 'taurini',
sia l'ipotesi che essa possa riportare 'in quel punto' (il resto risulta
purtroppo del tutto illeggibile) un nome di persona.
Vedremo, tra non molto, di parlare delle
altre numerose vere ad incastro del
Sinis, una delle quali, come si è già detto, scritta con lettere di tipologia
ancora romana; la stessa precisa tipologia del pozzo or ora mostrato e preso
qui in esame. Anticipiamo con il dire che nessuna delle vere, quelle che si
sono potute studiare perché non nascoste, con il cemento o con altro, dagli interventi successivi, mostra date né
sigle recenti né recentissime.
Riteniamo dunque che, se un insegnamento
si può trarre da tutto ciò, esso sta nel fatto che prima di trinciare giudizi
definitivi circa la proposta ermeneutica, da parte di altri, di questo o quel
documento scritto, contando solo sulle apparenze (apparenze che si giudicano
addirittura 'verità' a scommessa), e
soprattutto prima di tentare scioccamente di cogliere in fallo e mettere alla
berlina qualcuno, bisognerebbe avere la cautela, quanto meno, di rimandare o
sospendere il giudizio. In attesa, ovviamente, di ulteriore probante
documentazione. Altrimenti sulla base della scientificità assoluta ad
'occhiometro' di un presunto 1942 si possono fare delle meschine figure: ultime
quelle dello squallido personaggio conferenziere del deserto sahariano di
Orroli o arringatore delle 'aule minime' (o scantinati che dir si voglia) per
imitatori di Zelig in quel di Olbia.
Come si suol dire, è davvero sempre l'ultimo che ride con maggior gusto.
Note ed
indicazioni bibliografiche
[1]
Di questo prestigioso quanto affidabile
predicatore per nobili crociate della scienza contro la 'fantarcheologia' si veda, nel volume Phoinikes B SHRDN
(1997, p. 233), la seguente perla di scienza epigrafica: 'Sembra trattarsi di
un prodotto nuragico ad imitazione di quelli orientali. Ed, infatti, i segni
grafici paiono lettere alfabetiche
fraintese. Non è facile dire se l'oggetto avesse un uso pratico per marcare
prodotti, cosa che avrebbe notevoli ripercussioni sulle innovazioni
dell'organizzazione economica del villaggio'. Tre righe e quattro autentiche
castronerie! Si veda la risposta di G. Sanna (1994), Sardōa Grammata. 'ag 'ab sa'an yhwh il dio unico del popolo
nuragico, S'Alvure ed. Oristano, pp. 290 - 292).
[2] Il numero
dei pozzi con tipologia di vera ad incastro, scavati nella roccia o con tamburo
in fila di pietre, ad ogiva o non, non è ad oggi quantificabile. Quello che si
comincia a comprendere è che detta tipologia sembrerebbe una vera e propria
caratteristica architettonica del Sinis, del tutto sconosciuta nel resto
dell'isola.
[3] Alcuni dei
pozzi non sono chiaramente 'leggibili' a causa di successivi interventi (in
genere recenti o molto recenti) che
hanno nascosto, spesso quasi completamente, la vera ad incastro originaria. Si
dà anche il caso di qualche pozzo la cui bella vera è stata di non poco elevata
rispetto al piano precedente e quasi sostituita da una anonima e brutta vera
quadrata realizzata con materiale vario e cemento.
[4] G. Sanna
(2014), Mistras di Cabras. Il
magnifico pozzo (באר) sacro scritto di Yabal Yan'a Torodella Luce; in Monte Prama blog spot.com (4 giugno 2014) .
[5] Dopo duemila
e, forse, più anni i perfetti lastroni in arenaria hanno ceduto, dove più e
dove meno, lasciando talvolta il varco all'acqua e al vento che hanno così
mutato di non poco le loro fattezze originarie. L'umidità e i licheni hanno
contribuito a deteriorare ancor più il manufatto sia nelle spallette in
superficie sia nei conci a 'T' interni.
[6] Il segno è
inconfondibile. E' il 'resh' che si
impone, con quella tipologia, forse a partire dal IX secolo a.C., ha una vita
lunghissima e termina nel I, II secolo d.C. (v. per un certo repertorio, anche
se invecchiato, G. Garbini, 1988, La questione dell'alfabeto; in I
Fenici (a cura di S. Moscarti), pp. 93 -97). La quantità dei segni per
formare il mix sembrerebbe essere irrilevante. Potrebbe bastarne anche solo uno
o due. Ognuno può notare che nella lastra di B.M. del Sinis sulla prima linea
di scrittura insiste un solo segno (ancora una volta di tipologia semitica: il
pittogramma arcaico 'aleph')
discordante rispetto agli altri che sembrano essere tutti romani. Nella seconda
linea i segni 'anomali' , cioè non strettamente romani, sono il 'theta
quadrato' e la 'shin' finale ('esse' di
Tharrus).
[7]
G. Sanna, 2014, Il nome di Tharros (THARRUSH)
in un' iscrizione nuragica, etrusca e latina del III - II secolo a.C. Un
Lars di nobile origine etrusca 'curulis' di Roma in Sardegna; in Monte
Prama blog spot.com (27 aprile).
[8]Durikos
o Doricos è nome (antroponimo) greco. Potrebbe essere quello di un liberto,
forse di un commerciante di Tharros, proprietario del fondo agricolo.
[9] V. nota 4.
Il Sinis...un pozzo senza fondo ...di meraviglie !
RispondiEliminaLa rivincita di Maym Amon ;)
RispondiEliminaSì li ha, così come li ha un documento in caratteri ugualmente romani, in pittografia nuragica e in lingua greca rinvenuto nel Sulcis. Ma anche il prossimo documento con la vera ad incastro, che pubblicheremo più in là, mostra la terminazione delle lettere 'apicata'. Ma in forma diversa.
RispondiEliminaMa da quando la "U" esiste in epigrafia romana? è un segno alfabetico tardo medievale, sconosciuto in antichità......
RispondiEliminaFrancesco, spero che tu non metta in dubbio l'autenticità della scritta. Se non è una U mi vuoi leggere quella sequenza? Sai, noi siamo aperti a tutti e a tutto. Se la scritta fosse tardo medioevale mi devi leggere anche quel 'resh' semitico e riportarlo per coerenza al medioevo.
RispondiEliminaNon metto in dubbio il graffito, che dubito sia stato fatto con photoshop o graffito qualche giorno fa, dubito che sia antica proprio perché ha elementi comunque recenti. Lettere tracciate in maniera imprecisa possono essere mal interpretate: per esempio esistono molti casi di "delta" graffiti come la "A"......
RispondiEliminaPuò essere. Ma, non è come tu dici. Guardati la U/V della lastra di B.M. con il V/U con il valore vocalico di U (THARRUSH). Al massimo lo potremmo leggere THARROSH. Quella lastra è del periodo tardo repubblicano romano mica tardo medioevale. Quelle lettere della vera poi sono tracciate tutte in modo molto preciso. E una A in quella sequenza (DURICOS) mi sembra improponibile. C'è da aggiungere ancora che per testimoniare l'esistenza del segno si può addurre il documento del Sulcis che ho citato . Comunque, ti ringraziamo perché sulle scritte delle vere dei pozzi di Mistras sembra proprio che non ci si metta d'accordo. Ma forse ora ne sappiamo di più.
RispondiEliminaPremesso che è doveroso sollevare un ciglio e magari commentare quando si pubblicano reperti inediti e contenuti sostanziosi (che si impongono, almeno a chi voglia vederli), il momento richiede senz’altro di mettere da parte lecite ubbie rispetto alla gestione di aspetti più quotidiani e certamente relativi affrontati (o non affrontati), qui, in queste ultime ore.
RispondiEliminaAncora in premessa potrei dire che ben altri sarebbero i commenti che questo articolo merita e, spero, meriterà; intanto sarebbe il minimo tornassero a confrontarsi sull’argomento i fieri scettici già scesi in campo, intendo Mauro P. Zedda e Franco Laner.
Con la mia “sostanziale inconsistenza specifica” sottolineerei l’impressione che si stia parlando di qualcosa come l’Australia: ho sentito di censimenti di pozzi nell’area che hanno impegnato archeologi da ben prima della “scoperta” del Mistras 1; quindi, in seguito a questa scoperta (onore a Stefano), la campagna esplorativa di Sandro guidato dal Dio dei Pozzi e i suoi post ad arricchire il quadro (da immaginarsi Sandro e Stefano che si incontrano in mezzo al Sinis: “Mr. Sanna, I suppose”); in ultimo (l’unione fa la forza?) l’ulteriore scoperta dei pozzi che oggi si iniziano a rendere pubblici, a cominciare da un gemello architettonico (che non sarebbe l’unico) di Mistras 1 (Mistras 1 che faceva parlare di unicum). Voglio dire: stiamo esplorando l’Australia? Quanto è grande e ignoto questo Sinis?
Siamo dunque chiamati ad attendere le prossime rivelazioni, ma già possiamo considerare che l’insieme compone una bella rivincita quanto alla serietà delle ipotesi e degli studi e dell’impegno, presenti da una parte, verso lo sbraco dall’altra (mi limito a un sintetico “sbraco”, nella speranza, chissà, di un più sereno futuro).
Oltre queste non piccole soddisfazioni, non smetterà certo di interessarci un nocciolo (se non il nocciolo) delle nostre questioni: posto che questi pozzi non sono moderni, ci testimoniano davvero (come certo ci piacerebbe fosse e, in quel caso, ci piacerebbe provare) una cultura sarda-sarda prima che “fenicia” o punica o romana o vandala o bizantina, architettonica e magari, facendoci fare tombola, scrittoria?
Quanto a questo nuovo pozzo scritto pare vi sarebbe da aggrapparsi a quella possibile “resh fenicia intrusa”, ma dire (come fate nel testo) che è “una resh inequivocabile” lascia dei dubbi quando, correttamente, la stessa ricostruzione grafica, in rosso per i tratti marcati e in blu per quelli sfumati (e/o ipotizzabili?), dà conto della possibilità che proprio in quel punto la prosecuzione del tratto inferiore sinistro di una A sia stata cancellata dal tempo. Che poi intendere una A complicherebbe l’interpretazione della scritta, io, non saprei granché obiettarlo (serve dire che solo a digitare DVAICOS su Google qualcosa, che non so capire, salta fuori?), ma non mi sembra una prova così forte finché almeno non si escluda che qualcun altro può interpretarla proprio con quella A.
Resta però, e non mi sembra affatto poco (nell’attesa degli altri pozzi), che i pozzi non sono moderni e che quindi quelle scritte su Mistras 1 non saranno moderne; e se non sono moderne (e tantomeno false) è proprio su Mistras 1 (a oggi) che grafemi arcaici (pre-fenici?) e in mix paiono sempre più convincenti. A questo proposito, non sarebbe l’ora di intervenire a correggere l’interpretazione grafica data del famigerato 4 (nel famigerato 1942) come lamed sull’articolo originale (cui anche questo articolo, inevitabilmente, rimanda), per assimilarlo più correttamente a quel grafema a sgabello “non ugaritico (sardo?)” del sigillo/nuraghetto di Uras (come in diversi, avete ricordato, l’abbiamo poi visto)? E già che lo si stesse riprendendo, si potrebbe anche accostare il famigerato 2 al grafema rappresentato (2 volte) sulla tavoletta PH-1 in lineare A trovata accanto al disco di Festo (osservazione di Ergian45, mi consta).
Sperando, poi, di stimolare (ce ne fosse bisogno) l’interesse dei nostri esperti in costruzioni, mette curiosità nella bella ricostruzione in 3D (se sbaglio a chiamarla così, sbaglio con Atropa) l’altezza di 110 cm relativa, si direbbe, al corpo della vera e … di un monoblocco cilindrico in calcare? A prestar fede al disegno, infine, appare chiaro che qui, a differenza che in Mistras 1, la vera ha una superficie interna (qualcosa mi dice che sbaglierei a parlare di calibro) maggiore della luce (del calibro?) del pozzo. Vedremo gli altri.
RispondiEliminaE siccome mi accorgo di non averlo ancora detto chiaro: complimenti!
Il primo dato che trovo interessante è che il pozzo di Mistras 1 non è un “unicum” né per la sua tipologia costruttiva né per il suo essere scritto, ma nemmeno per le sue dimensioni quasi identiche con il Mistras 2.
RispondiEliminaSolo il lato lungo del Mistras 1 pari a 145 cm differisce di una decina di centimetri dai 154 cm del Mistras 2, mentre i lati corti pari a 102-105 cm e l'altezza degli elementi lapidei intorno ai 40-45 cm. sono sostanzialmente di dimensione uguale in entrambi.
La differenza che invece sembra sostanziale è nell'orientamento.
Sarebbe utile sapere a questo punto come è fatto il “pozzo” (il camino del pozzo) del Mistras 2, cioè se presenta analogie formali, costruttive e dimensionali con il Mistras 1.
Questo perchè nel caso del Mistras 1 la mia impressione era che il pozzo vero e proprio (il camino) e la vera non fossero tra loro contemporanei, non costruiti nel medesimo tempo (poco o tanto tempo dopo è altro discorso), cioè che la vera fosse stata inserita successivamente, oppure - cosa che non può essere nemmeno esclusa vista la tipologia costruttiva più propria del legno - che questa sia stata sostituita in seguito e “pietrificata”.
Un indizio stava nel fatto che in Mistras 1 la vera quadrata inscriveva il "cerchio" del pozzo NON perfettamente (e credo volesse dire questo Francesco Masia), come se i due elementi non si parlassero del tutto.
Ma ora viene da chiedersi - anche in relazione ai pozzi che si preannunciano - che succede dal momento che le due “vere” presentano dimensioni tutto sommato uguali? Sono i pozzi a cambiare, come se ci fosse un adattamento di volta in volta? Si può parlare di una tipologia “codificata” (sia per tecnologia che per dimensioni) oppure è un semplice caso?
D'altronde le scritte non sembrerebbero parlarci di un medesimo esecutore, se non erro.
Sul Mistras 2 mi pare di capire che non sembrano intravedersi equivoci sul fatto che la scrittura possa essere non recente - seppure l'antichità della stessa sembra debba risultare dall'analisi più specifica di due lettere: la U (pomellata?) che parrebbe essere sconosciuta nell'alfabeto romano come scrive Francesco Carrera (tanto che è differente dalla V che segue) e il daleth fenicio (che si è obiettato possa essere anche una A).
Il lavoro per gli epigrafisti che volessero contestare o proporre tesi alternative c'è e forse, ci si augura, con maggiore tranquillità. Resta da sottolineare che la lettura di Gigi Sanna presenta un senso compiuto e logico nel contesto.
Rispondo a Francesco e Angelo.
RispondiEliminaLa ricostruzione in 3D restituisce una situazione che di fatto non esiste, nel senso che l’involucro esterno del cilindro è virtuale, quella che si vede come faccia esterna del pozzo, è la delimitazione del cavo, per tanto nessun “monoblocco”. Per quanto riguarda la profondità del pozzo, nulla si può dire se non che al momento attuale i sedimenti limitano la profondità a 1.00 m dal bordo superiore della vera; è una incognita anche il suo diametro, in quanto il livello dell’acqua è al momento a 45 cm dalla parte superiore della vera stessa, per tanto soli pochi centimetri di spazio libero tra quest’ultima e la parete circolare e trattandosi di acque ferme, contaminate da chissà quale carica batterica, di certo non vien voglia di bagnarsi le mani, tanto meno immergerle per misurare il diametro del pozzo; questo sembra scavato interamente nella roccia, ma date le condizioni di non perfetta visibilità, il condizionale è d’obbligo. Naturalmente ci saranno altre occasioni per visitarlo nuovamente e si cercherà allora di effettuare tali misurazioni.
D’altronde mi impegnai con Franco Laner ad integrare le schede dei pozzi da me pubblicate con precise misurazioni e disegni, che verranno esposti in un lavoro unitario.
"... pozzi che, stando alle risultanze, per ora si trovano solo nel territorio del Sinis" (dall'odierno commento delle 9,42 di Gigi) è già più adatto del testo nella nota 2: "Quello che si comincia a comprendere è che detta tipologia (di pozzi) sembrerebbe una vera e propria caratteristica architettonica del Sinis, del tutto sconosciuta nel resto dell'isola."
RispondiEliminaPerché quello che si può cominciare a comprendere, una volta di più, è che soprattutto si trova (quando c'è) quello che si cerca; il che implica che ci sia qualcuno che lo cerca e che questo (il cercatore) sia in grado di riconoscere ciò che cerca. Questo tipo di pozzi ci insegna che siamo passati dalla loro non esistenza (al punto che un autorevole esperto di costruzioni in pietra tendeva a liquidarne il primo riscontro come probabile bislaccata di un campagnolo del '900) all'eventuale unicum alla "categoria" nel giro di neanche un anno in cui, appunto, qualcuno ha preso a cercarli: erano stati cercati nei secoli precedenti? E sono stati cercati, anche solo con la metà dell'impegno speso nel Sinis (ancora onori a chi ce lo ha regalato), nelle altre zone della Sardegna?
Quindi, chissà, magari tra qualche anno diremo più pacificamente che la nota 2 ci aveva preso, ma per ora restiamo, direi, sulla maggiore cautela espressa nel commento.
Nel frattempo si potrebbe lanciare una semiseria campagna intitolabile "adotta uno Stefano": Stefano Sanna (l'originale, per cominciare) ospitato con vitto e alloggio per ogni dove in Sardegna in cambio del suo sguinzagliarsi per le campagne.
Inizio a parlarne in famiglia
Ti ringrazio Francesco , sempre gentilissimo, prossimamente in questo blog , come già preannunciato dal Prof . Gigi Sanna, saranno pubblicati gli altri numerosi pozzi ,presenti nel territorio del Sinis, dalle stesse caratteristiche , ci tengo a precisare, che ogni pozzo è stato puntualmente segnalato alle autorità competenti
RispondiEliminaMi riallaccio al commento di Prof. Sanna.
RispondiEliminaScrive Prof. Sanna: “Il pozzo potrebbe avere una qualche attinenza con la 'religio', la scritta no“ e scrive bene usando il condizionale relativamente alla sacralità del pozzo, perché sarebbe stato facile gridare a gran voce che il pozzo è orientato astronomicamente all’alba del solstizio d’estate, supportando così la valenza sacrale, avendo io appurato che i blocchi A e C sono orientati con un angolo di 60° rispetto al Nord; non ci siamo minimamente azzardati a farlo e i motivi sono due: manca innanzitutto il contesto epigrafico religioso, che potrebbe supportare il dato empirico e al momento nessun altro pozzo con la vera simile è orientato astronomicamente in modo preciso come questo, per tanto se valenza sacrale può avere il manufatto, non la ha certamente per il solo orientamento astronomico. Ben diverso è il caso della “Sala da ballo” e del volto di Maimoni, dove il contesto suggerisce sacralità e l’orientamento astronomico lo ribadisce.
Guardando le scritte della fig.5 come le può guardare un profano e con la doppia cautela imposta dall’osservarle solo in fotografia e non dal vero, colpiscono due apparenti anomalie:
RispondiElimina1- la differenza di altezza delle lettere graffite sulla traversa chiamata nell’articolo B (esempio la S molto slanciata e lunga quasi il doppio delle lettere contigue) e, forse ancor di più, sulle ultime lettere a destra dell’elemento A in fig.2
2- Nella prima lastra le ultime due lettere ( da voi identificate come R, ultima lettera di cusor e P ) appaiono entrambe traslate verso l’alto, non giacendo sulla stessa linea delle precedenti, quasi volessero fare corpo a sé. La R si potrebbe scambiare per la lettera greca beta, avendone la forma. Nella seconda lastra avviene una traslazione inversa, questa volta verso il basso, di nuovo delle ultime due lettere (e davvero sembra difficile poterci leggere os). Mi domando se non sia stato un gesto intenzionale dell’autore scrivere a blocchi, prima di spingermi a dire che scriveva male.
E bravi, bravi davvero tutti!
RispondiEliminaOra, se una rondine non fa primavera, un pozzo non faceva storia. Ma se i pozzi poi sono due, tre, e altri a seguire, fanno davvero una nuova storia.
E questa nuova storia, quella che da sempre cerchiamo perché siamo stufi e nauseati dalle storie slealmente raccontateci sino a qui, passa anche per i pozzi del Sinis i quali esistono alla luce del sole e sotto gli occhi di tutti non solamente "a insaputa" di chi avrebbe dovuto conoscerne l'esistenza, ma "a dispetto" di essi.
Questi pozzi, queste bellissime vere in arenaria, costituiscono ulteriori manrovesci sugli attoniti musi dell'archeologia mitomane che procede, continua a procedere non ostante i Giganti, col paraocchi orientali per sentieri inventati, che sarebbero stati battuti da chi non è mai esistito, come direbbe Mikkelj.
Si pesat unu bentu tebidu dal Sinis, che sa di Sarditudine, gonfia le vele delle navi nuragiche, e i cuori di chi ci crede, verso traguardi di amicizia e di pace.
E per favore, non lasciamo prendere dalla "Sindrome isilese" per dare una patente astronomica a ogni pietra lavorata.
Tutt'al più, lasciamo una porta socchiusa.
Francu, il mio ultimo commento voleva rimarcare proprio questo, tant’è che nell’articolo è stato dato solo l’angolo di orientamento nudo e crudo, non c’erano i presupposti per collegare il dato all’evento astronomico. Stai tranquillo, certamente misuriamo gli angoli di orientamento dei manufatti, ma non vediamo solstizi ed equinozi ad ogni piè sospinto!
EliminaC' è un macroindizio, nel pozzo di Mistras 1, che secondo me è stato un pò trascurato e che sicuramente indizia anch'esso l'antichità dei conci utilizzati nella vera: le due bellissime coppelle. Non credo proprio che Zio Anotniccu ne sia l'esecutore, tanto più che sono nella faccia interna. Sono come quelle di "Monte Sirai. Stele nuragica con coppelle dalle strutture del Mastio. Da: P. Bartoloni, Monte Sirai, C. Delfino ed. 2004".
RispondiEliminaLa datazione di una coppella, non conoscendone la funzione, sembra essere, tuttavia, un terreno molto scivoloso. Interessante sarebbe confrontare la presenza di coppelle in contesti simili e in altre regioni per trovare eventuali aggregazioni ( esempio presenza di coppelle in territori etruschi o in ambiti liguri piemontesi o altri che certamente si potranno trovare). Queste due del pozzo di Mistras 1, trovandosi su un paramento verticale, complicano ulteriormente il quadro. Solo pensare che la traversa sia stata estratta da un blocco in cui le coppelle esistevano già, potrebbe rassicurare.
RispondiEliminaE' vero bisognerebbe fare così, però non mi sembra davvero un'attività degli anni '40 il coppellismo (magari mi sbaglio).
RispondiEliminaQuanto al verticale, le coppelle sono così anche nella "stele" di Sirai, pubblicata da Bartoloni. Non spiega perchè la consideri nuragica, semplicemente la mostra e scrive quella didascalia: di più non so dirti.
Non sto usando le coppelle per datare il pozzo, sto solo dicendo che mi pare improbabile la loro fattura da parte di Zio Antoniccu, e che ne conosco almeno un esempio di epoca o cultura nuragica, citato in letteratura. Tutto qui.
Ma che la vera del pozzo non sia recente, lo penso da appena l'avete pubblicata. Ha la patina del tempo. E spesso ho sorriso sulla lettura della data 1942. Da poco inoltre, mi sembra di aver anche rintracciato ben due volte quel segno, certo antico, che un 2 non è.
RispondiEliminaSulle rocce dell’acropoli di Susa, la città della valle omonima, prima celtica o gallica e poi romana, in provincia di Torino, si trovano molte coppelle unite da canaletti. Qualcuno sostiene possa trattarsi di un altare sacrificale: i sacerdoti druidici, a seconda del percorso seguito dal sangue delle vittime, traevano gli auspici. Pare non vi siano pareri concordi che le vittime fossero solo animali o anche…
RispondiEliminaMa, nelle immediate vicinanze, si trova un pozzo.
Il 4 giugno 2014 viene pubblicato sul blog Monte Prama l’articolo di Gigi (del Prof. Sanna) sul pozzo di Mistras, a oggi “pozzo di Mistras 1” e, direi, pozzo del Sinis 0“ (http://monteprama.blogspot.com/2014/06/mistras-di-cabras-il-magnifico-pozzo.html?m=1).
RispondiEliminaA questo punto, riordinando le date, correggerei (meglio tardi che mai) quel 2013 confusivo della visita a Mistras 1 con la dottoressa Bittichesu: naturalmente era il 21 giugno 2014.
Il 9 ottobre 2014 si annunciano quindi articoli (“in pillole”) su altri (“sacri”) pozzi, almeno potenzialmente interessanti, rinvenuti nel Sinis (http://monteprama.blogspot.com/2014/10/i-sacri-pozzi-in-pillole-viaggio-nel.html?m=1).
Dal 10 ottobre 2014 (pozzo numero 1) all’8 gennaio 2015 (pozzo numero 15) compaiono, sempre sul blog Monte Prama, le 15 “pillole” su altrettanti pozzi ad allora non portati all’attenzione (i numeri 11, 13, 14 e 15, mi provo a riassumere, mostrano vere con conci isodomi usati come travi, similmente al primo pozzo di Mistras; il 15o, in particolare, fortemente suggestivo di incastri a T).
Si arriva così al 13 maggio 2015, quando viene pubblicato sul “nuovo” blog (Maymoni) questo articolo che ora torno a commentare, che rende noto il rinvenimento di un nuovo pozzo con vera ad incastro e conci scritti nell’area della laguna di Mistras (pozzo di Mistras 2) e si direbbe annunciare il rinvenimento di una (nuova?) serie di pozzi con vera ad incastro (alcuni scritti e altri, stando all'apparenza, anepigrafici) sui quali sembra si annuncino sullo stesso blog successivi articoli (che ci consentiranno “di sapere molto di più di un prodotto davvero singolare dell'architettura tardo nuragica”).
Ora mi chiedo, dopo 3 anni, se avevo frainteso qualcosa (magari tra pozzi in pillole sul blog Monte Prama e pozzi annunciati sul blog Maymoni?) o se sia sopravvenuto qualche imprevisto (e so bene che siamo tutti volontari, per cui anche gli eventuali impegni sarebbero relativi).
Tutte cose, ritengo, che potremmo bene chiarire/raccontarci.
Non credo, francamente, di essermi perso qualcosa ... Non sarà?
Se non pensassi di esagerare un po’, la definerei una sconfitta collettiva. Non si accetta più la discussione, non si ascolta volentieri chi dissente, si finisce presto in rissa, si scrive sempre di meno o si scrive di cose meno certe su argomenti ostici ai più. O ci si perde in interminabili discussioni su identità vere o presunte di un popolo. Non si scava più nel sito più promettente dell’intera Sardegna. Tutto sembra congelato in un inverno interminabile. Forse dovremmo proprio ripartire di qui, dai reperti pur controversi, dalle vere dei pozzi come dallo spillone di Antas o dal sigillo di Sant’Imbenia. Come già anticipava con acume molti anni orsono Gianfranco Pintore, il popolo di Internet non può più aspettare.
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