NOTA INTRODUTTIVA
Di seguito viene presentato ai lettori di questo blog uno dei progetti partecipanti al Concorso di idee bandito nel Luglio del 2011 dal Comune di Cabras “Finalizzato alle definizione dei contenuti architettonici e paesaggistici per la creazione di un polo museale con l’ampliamento del museo civico Giovanni Marongiu al fine della musealizzazione di una parte del patrimonio scultoreo dei giganti di Mont’e Prama”.
Il progetto ha ricevuto una Menzione con la seguente motivazione della Commissione giudicatrice:
“Il progetto si distingue per una sapiente e raffinata articolazione e sequenza degli spazi e per intuizioni linguistiche e sintesi formale”
Per una panoramica generale dei progetti premiati e partecipanti al Concorso si vedano i seguenti link:
Autori del progetto:
Arch. Pasquale Conzinu (Bitti), Arch. Claudio Desteghene (Olbia), Arch. Angelo Ledda (Nuoro), Arch. Laura Pisanu (Nuoro); Ing. Marco Scampuddu (Olbia),
"Frammento, nella lingua italiana significa un piccolo pezzo staccato per frattura da un corpo qualunque.
E con ciò esprime una speranza, ancora una speranza.
E come tale non conviene con rottame, che esprime una moltitudine o un aggregato di cose rotte”
(A. Rossi)
Foto 1: vista concettuale CONSIDERAZIONI GENERALI |
Un
museo archeologico è convenzionalmente un luogo che conserva ed
espone reperti più o meno antichi, per la maggior parte rinvenuti o
estratti
dal suolo e fino a quel momento sepolti o dimenticati.
Esporli
al pubblico, specialista e non, significa affidarli alla memoria
collettiva
e proiettarli nella contemporaneità. Depositarli in un museo
comporta un obbligo
alla lettura e alla interpretazione e tale operazione non può che
appartenere alla sensibilità del presente.
Per
dirla con le parole di Aldo Rossi significa considerarli frammenti
(dotati
di speranza) piuttosto che rottami
(cose
rotte).
Pensare
un museo archeologico come entità
statica o esclusivo deposito
di “cose rotte” sarebbe
profondamente errato. Se
questo può valere in generale, ancor più lo é nel caso specifico
di Monte Prama dove gli studi sono ancora agli inizi (nel 2011, data
del concorso, era in corso il restauro e gli scavi non erano ancora
ripresi).
Un
museo contemporaneo deve
prevedere
insieme alla tutela, all'esposizione e alla conservazione, uno spazio
e una gestione museale che accompagnino e promuovano la ricerca, la
didattica, le relazioni pubbliche, il marketing e la formazione
continua.
Soltanto
partendo dal presupposto che l'ampliamento del museo di Cabras non
possa rispondere esclusivamente alle domande specifiche
dell'esposizione museale ma inserirsi in uno scenario ben più ampio,
sarà anche possibile ordinare e coordinare le sempre più numerose
tracce archeologiche del territorio del Sinis in un parco
archeologico a cielo aperto,
con il Museo di Cabras a rappresentarne la porta.
IL
MUSEO CIVICO DI CABRAS: LO STATO ATTUALE
FOTO 2, 3, 4:
Il Museo Civico allo stato attuale; l'infilata prospettica delle porte che ricostituisce l'unità dello spazio espositiva frammentata dai setti murari e a destra le sale espositive dotate di lucernari
L'attuale
Museo Civico “Giovanni Marongiu” progettato da Enzo
Magnani, sito lungo la Via Tharros che conduce a San
Giovanni di Sinis in un'area prospiciente lo stagno di Cabras,
insiste in un'area che si presenta in uno stato di parziale abbandono
e di indefinizione sia per la marginalità rispetto al tessuto
urbano, sia perché prospiciente ad un'area di grande sensibilità e
delicatezza quale è la laguna.
L'edificio
esistente, oggi visitabile, è costituito da due corpi di fabbrica
principali, dei quali uno destinato a servizi e laboratori e uno alle
attività espositive.
Quest'ultimo
si configura come aggregazione di otto
“blocchi” ciechi in trachite rossa disposti intorno ad un
patio centrale e legati tra loro da “giunti” in calcestruzzo
armato a vista, provvisti di aperture che inquadrano il paesaggio
della laguna (foto
2).
Il percorso espositivo
procede in senso circolare intorno al patio centrale (che oggi
non è purtroppo percepibile a chi visita il museo) servendosi di uno
strumento antico ed efficace, ossia l'infilata prospettica delle
porte (foto 3),
che ricostituisce l'unità dello spazio espositivo, frammentata dai
setti murari.
IL PROGETTO:
il percorso di "rapida percorrenza"
FOTO
9:
vista della “sala della ricostruzione” a sviluppo orizzontale.
I Giganti sono elementi partecipi della costruzione dello spazio
bianco astratto e in piena luce.
|
FOTO
10:
vista della “sala della ricostruzione” e in fondo il “vestibolo” della galleria con la grande apertura verso la laguna e
le sedute laterali.
La
sala che ospita i Giganti e i “modelli di nuraghe” restaurati,
proprio per il suo contenuto, è l'unica che non invade la galleria e per accedervi occorre varcare una soglia. Una sala
pensata tipologicamente come un “tempio ad antas”, con un vestibolo
affacciato sullo stagno e due sedute ai lati.
Il
trattamento materico e cromatico scelto per l'intero edificio viene
qui a mutare radicalmente e lo spazio si presenta totalmente
bianco, astratto e in piena luce, segnato da tre fasci luminosi in
copertura che corrono per tutta la lunghezza della sala.
Ai
fini del concorso è stata indicata una soluzione flessibile che
potesse trasformare l'allestimento qualora la ricerca scientifica
portasse elementi che ne richiedessero una variazione.
Si
è comunque voluto suggerire ed esporre le statue pensandole come
elementi architettonici, facenti parte integrante di una struttura
architettonica (ad oggi sconosciuta alla ricerca archeologica ma di
cui esistono alcuni indizi).
Allineandole
come un colonnato che suddivide tre navate viene privilegiata la
visione paratattica e frontale delle statue, seppure resti garantita
la visione a 360 gradi per una analisi di dettaglio, rafforzata l'immagine “bidimensionale” e l'ossessiva ripetizione del tipo (almeno nel caso
dei cosiddetti “pugilatori”).
Poiché
nessuno dei Giganti risulta completamente integro, l'allineamento
rende possibile il completamento “virtuale” e nel percorrerle con
lo sguardo il pezzo mancante di una statua può essere ritrovato in
quella successiva consentendo di coglierne le differenze e le analogie tipologiche. Le variazioni di altezza,
il basamento e il controsoffitto radunano con un unico segno le
statue preservandone la visione d'insieme e il tratto monumentale.
GLI SPAZI DI RELAZIONE
FOTO
11, 12:
La parte conclusiva della galleria espositiva con l'uscita
verso la laguna.
A destra l'atrio con il lucernario quadrato;
La
nuova ala del museo si conclude con un volume destinato a raccogliere
le attività di bookshop, caffetteria, sala didattica al piano primo e gli spazi di
servizio. In questo modo è possibile completare il percorso
espositivo senza necessariamente ripercorrere il museo a ritroso lasciando l'edificio da una porta d'uscita aperta sul fronte
stagno (foto 11) ma anche isolare gli spazi pubblici e di servizio al museo,
consentendogli una vita indipendente dall'orario di apertura delle
sale espositive.
A radunare questi
spazi è un atrio di pianta quadrata con un grande lucernario (foto 12) che può avere usi
polivalenti (sala lettura, sala espositiva d'arte contemporanea,
spazio per rappresentazioni teatrali, aula di discussione, ecc.). Un
esempio che può essere portato qui a riferimento è l'allestimento
realizzato da Francesco Venezia a Palazzo Grassi in occasione della
Mostra dedicata a "Gli Etruschi", nel quale l'architetto creò "frammenti di paesaggio con ferro ossidato" e in particolare l'atrio di ingresso che
ospitava una scultura di Henry Moore.
Lo stesso trattamento materico e cromatico (o se si vuole “atmosfera”) insieme al concepimento dei volumi in “sottrazione” sono stati un riferimento per l'ampliamento del museo qui proposto.
FOTO
13, 14:
L'atrio dell'esposizione temporanea dedicata a “Gli
Etruschi”,
progettata da Francesco Venezia nel Palazzo Grassi di
Venezia nel 2000.
L'ampliamento
- in continuità con i “giunti” della parte preesistente - è
concepito in calcestruzzo bianco, privo di apparati decorativi o
elementi applicati.
FOTO
15, 16: Viste esterne sulla Via Tharros e dalla laguna
'L'ampliamento - in continuità con i “giunti” della parte preesistente - è concepito in calcestruzzo bianco, privo di apparati decorativi o elementi applicati'
RispondiEliminaNon sembra proprio pensarla così lo stilista incaricato di dare il 'look' al nuovo progetto. Si parla già di pannelli o riquadri esterni con simbologie della 'Grande Madre' che, in quanto tale, abbraccerebbe il tutto. Che c'entra la Grande Madre con il periodo dei Giganti dell'età del bronzo finale e del primo ferro? Che c'entra con tutta la documentazione epigrafica e architettonica che ad abundantiam fanno vedere una divinità androgina, cioè una 'casa del toro' padre -madre? Se lo stilista è proprio intenzionato a fare un falso storico così clamoroso gli consiglio allora la realizzazione di un ingresso enorme a 'utero' di una 'domus de jana'. E naturalmente i Giganti della Jana disposti nella più assoluta oscurità del grembo liquido palustre della madre. Devono ancora nascere ed esistere. Vedere la luce del sole. Lo sanno tutti. I simboli forti sono simboli forti e alcuni di essi sono graditissimi se alludono a penombre, ombre e oscurità assoluta. Vero, incalliti cultori della 'legge della mortificazione'?
Emozionante la tua sala dei frammenti, nella quale ci piacerebbe sostare, noi che, a volte sbadatamente, frequentiamo questo blog, per il senso di provvisorio, non cristallizzato, ancora in divenire che essa ed esso suggeriscono. Dove ci si sofferma, crediamo, per confrontarci o, chissà, per lasciar cadere come petali avvizziti sprazzi di narcisismo sotto orme lievi, prima di riprendere la strada o il tuo percorso lineare “di rapida percorrenza”.
RispondiEliminaGrazie mille Ergian, mi fa piacere. Ci tengo a sottolineare che la paternità (o maternità) del progetto è di tutto il gruppo e non solo mia!
EliminaPerfettamente d'accordo con te: affascinante quella stanza. Ma mi piace molto, moltissimo, anche l'aspetto esterno: ha un che di austero ed essenziale, mi ricorda un tempio in qualche modo. Gigi ti ricordi la nota 170 a pg. 91 della Stele di Nora, quando citi Pesce riguardo Nora? "Ci troviamo quindi in un luogo sacro di tipo cananeo, di austera, disadorna, selvaggia semplicità". Mi ricorda anche quando sono andata ad Arad, nel Negev.
RispondiEliminaPeccato che non abbia vinto!
No, non la ricordavo. E' proprio così riguardo alla concezione del 'nostro' per quel Museo. E io ora tremo per le elucubrazioni di uno stilista che non sa e non pensa minimamente a storicizzare. E spero di aver capito male.
RispondiEliminaL'ha ricordato qualche giorno fa Sandro. 'Non vince il migliore, vince il più forte'. Il che non vuol dire che quest'ultimo sia un disonesto.
RispondiEliminaIo ebbi già modo di dirti, Angelo quanto mi fosse piaciuta (pure a me) la sala dei frammenti, perciò qui vado oltre e ti chiedo (nell'intento, se e per quanto possibile, di elevare la nostra consapevolezza riguardo alle cose, ad alcune cose almeno, dell'architettura): fermarsi a trovare bella quella sala (dei frammenti), o anche solo mettere questa osservazione in cima al proprio giudizio (come, ripeto, ho fatto anch'io), è, diciamo, da fruitori "pop"? È quello che un competente si aspetta dal grande pubblico, mentre sa che altri sono i pregi che quel pubblico non coglierà? O può dirsi anzitutto un caso fortunato in cui l'Alto (senza doversi per questo "abbassare") è ben fruibile anche dal Basso?
RispondiEliminaTi so molto rispettoso di tutti, quindi temo che risponderai negando per principio legittimità a giudizi di serie A per sé stessi migliori di supposti giudizi di serie B. Ma una risposta che possa stimolarci sarebbe più generosa di una che solo ci blandisca. E ti so anche generoso.
In pratica il progetto vincitore riprende l’idea dell’attuale percorso museale, con le statue immerse nell’oscurità delle pareti.
RispondiEliminaL’idea possiamo spiegarla in termini di contrasto tra il bianco delle statue e il nero dello sfondo, che da visibilità alle prime, creando contorni netti, tanto netti che le parti mancanti risaltano e feriscono l’occhio del visitatore. Sfondo nero: galleria nera che il visitatore percepisce come spazio di morte, dell’oltretomba. I giganti non erano “dentro” le tombe, ma sopra esse, esposte certo a tutte le intemperie ma sempre e comunque alla luce del sole e della luna. Luce che inonda la sala e i giganti nella proposta del team di Angelo; tanto da non capire se sono i giganti ad essere illuminati o sono loro che illuminano la scena, di certo però si specchiano in un pavimento che restituisce il loro doppio. E sia il simulacro lapideo che il suo doppio specchiato, immersi in quella luce risultano quasi integri alla vista, nulla manca delle loro membra, la luce ricostruisce ammorbidendo i contrasti, le parti mancanti e noi siamo lì attoniti guardando questo spettacolo… proiettato dalla nostra mente purtroppo solo guardando una simulazione tridimensionale.
RispondiEliminaVi ringrazio tanto...é bello leggere di come un progetto viene letto e percepito. La sala dei frammenti è stata ragione di profonde discussioni e ragionamenti, forse la parte più sofferta! Ci interessava il contenuto, lo spazio della ricerca e della discussione, forse anche uno spazio rumoroso che voleva contrastare invece con lo spazio dei giganti ricostruiti. Non a caso è lo spazio che anche dall'esterno risulta riconoscibile, quasi come un faro, alto quanto tre piani di un normale edificio. Volevamo una sintesi ma dentro una complessità...e la somma dei vostri punti di vista mi fa intendere che questo aspetto è espresso...e quindi per rispondere a Francesco, che devo ringraziare per la bella domanda, potrei aggiungere, ma solo aggiungere, che penso all'architettura come alla disciplina madre dello "spazio" e della relazione! Un "contenitore di vita"...e quindi, sottolineerei di provare, come dentro un film, ad attraversare e percorrere l'edificio e il complesso di volumi guardando in tutte le direzioni, immaginare le sequenze, le relazioni e i contrasti tra gli spazi, farne insomma esperienza spaziale (le contrazioni e le dilatazioni, le variazioni e i contrasti, le chiusure e le aperture - anche verso l'esterno- l'ombra e la luce)... ecco, forse, ma lo dico davvero senza presunzione, si avrà la sensazione di attraversare un pezzo di città, un frammento di paesaggio. A voi decidere se è un bel paesaggio o una bella città! A noi di prenderne atto, nel bene e nel male...
A distanza di anni, apprendendo la notizia sicuramente positiva del recupero di una idrovora da destinare alla conservazione ed esposizione dei frammenti e reperti in attesa di ricomposizione e restauro -con un pò di orgoglio - voglio ancora sottolineare che il progetto prevedeva uno sforzo sicuramente maggiore rispetto al previsto, ma significa anche che la "sala dei frammenti" oggi sarebbe stata necessaria!
RispondiEliminaMi riferisco alla seguente notizia: http://www.linkoristano.it/prima-categoria/2016/01/15/al-comune-di-cabras-un-finanziamento-regionale-per-il-recupero-dellex-idrovora/
EliminaQuesto museo è veramente bello ma la sala dei frammenti è veramente stupefacente,l'ho guardata e riguardata,ne sono rimasta incantata.Complimenti davvero.
RispondiEliminaGrazie mille Grazia, mi fa piacere!
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