SHARDANA, FENICI E ETRUSCHI
di Giancarlo Casula
pubias,
nesigas mannas e pitticas
pianellas
pintuladas e isteddas
pioleddas,
tirineddas e naìddas
Il color
porpora rievoca le vesti dei popoli che abitarono per primi la Sardegna
lasciandone i maggiori segni di civiltà come gli shardana ed i fenici che erano
riconosciuti nel mondo antico proprio per questo colore. Il rosso porpora che
caratterizza il costume di Desulo era anche il colore caratteristico delle
genti
nuragiche La produzione della tintura ottenuta era dovuta ad un mollusco
della famiglia dei gasteropodi, in sardo chiamato corra ed in italiano buccina.
Oggi sappiamo che i gasteropodi
rappresentano una classe vastissima, almeno trentamila specie viventi, anche se
non tutte dotate di quelle ghiandole grazie alle quali si produceva la porpora.
A Cornus antica città sarda località che ancora oggi viene chiamata Campu ‘e
corra, vicino all’attuale Cuglieri, sorgeva fin dall’antichità, un'autentica
industria per la produzione della porpora mediante lo sfruttamento del prezioso
mollusco. Il prodotto era poi conosciuto e venduto in tutto il Mediterraneo. In
pratica spaccando il murice, si toglieva la polpa che, spremuta e poi macerata,
costituiva il succo che veniva bollito per diverso tempo fino a assumere una
certa densità. Ecco realizzata la tintura che non svaniva più. I panni bolliti
con questo materiale mantenevano sgargianti il caratteristico colore. Occorreva
raccoglierne migliaia per avere un grammo del principio attivo per ottenere la
tintura dei capi d’abbigliamento e milioni di conchiglie per alimentare lo
sfruttamento industriale. I siti dove sorgevano antiche tintorie, nel corso
della storia, come Cornus, Tiro o Monte Testaceo in Puglie sono stati
individuati, dagli studiosi e dagli archeologi, per i cumuli di scarti di
lavorazione che, in quei luoghi, hanno prodotto intere colline. I panni
erano immersi nelle vasche dove marciva il succo sgusciato delle conchiglie con
aggiunta di acqua lievemente salata. In ammollo potevano stare anche altri
materiali o lane grezze, tinte anche prima della tessitura. Si producevano
cosi’ tessuti costosissimi o di poco valore a seconda dei vari passaggi di
bollitura e di tintura. La gamma di gradazioni portava ad una varietà di
colorazioni che scaturiva dalla diluizione della porpora con acqua e urina.
L’estrazione della tintura poteva essere utilizzata anche per altre
colorazioni. Lo stesso ziggurat di Monte d’Accoddi, che e’ anche chiamato monte
‘e Korra, era originariamente tinto in rosso.
Il termine kor sta ad indicare “rosso” sia nel Paleosardo che nel
paleobasco. Innumerevoli sono in Sardegna i riferimenti a piante, frutti e
località caratterizzate da questo colore.
Cora è la canaletta su cui scorre il sangue nei mattatoi. Cora anche
dove scorrono i reflui caratterizzati dal colore rossastro. Lo stesso core
(cuore) descrive forse quanto di più rosso possa esistere in natura.
Così come colorate di rosso pare fossero parte delle statue di Monti ‘e
Prama simbolo degli Shardana. Le tribù Shardana, in particolare, vengono
descritte da alcuni autori greci ed egizi con indosso vestiti color porpora.
Con lo stesso colore viene descritto anche l’abbigliamento di Ooliab, della
tribù shardana, in un passo della Bibbia. Gli Shardana, furono quel Popolo del
Mare che, approdando in Libano, rivelarono ai Cananei i segreti della
produzione di tessuti scarlati. I
Fenici furono poi identificati dai greci per il commercio del tessuto rosso
porpora. Foinikeos significa rosso, purpureo, scarlatto. La legenda greca sulla
nascita della porpora racconta che Eracle in compagnia di Tiro, ninfa fenicia,
vide il suo cane imbrattato di rosso porpora dopo aver divorato, lungo la
spiaggia, un mollusco. Tiro chiese una veste di quel colore rosso ed Eracle che
dovette raccogliere tanti di quei molluschi inventando così la porpora. Tra le
curiosità in greco antico vi è la parola sardux che significava rosso vivo. Ma
anche se i Fenici furono identificati dai Greci come gli inventori della
caratteristica tintoria dei tessuti, la storia ci dice che già da mille anni
prima questa produzione era presente a Ugarit, in Siria. Ne danno testimonianza
montagne di conchiglie sgretolate accanto alle antichissime tintorie. Nel
periodo degli etruschi, la storia ricorda che le vesti di porpora venivano indossate
agli inizi del I ferro dai personaggi illustri, in particolare dai re lucumoni,
che, per la loro origine, erano chiamati Sardi. Nell’età’ del ferro veniva
chiamata bamma sardianikon, quella porpora sardanica ottenuta con lo
sfruttamento dei murici trunculus e brandaris per colorare i tessuti. Plutarco
nel Romolos, nel descrivere la vittoria dei Romani contro gli Etruschi raccontò
che il capo dei Veienti fu vestito con una tonaca bordata di porpora ed esposto
al pubblico ludibrio al grido di “Sardi in vendita” facendo riferimento
all’origine sarda degli etruschi ed al
loro caratteristico vestiario.
Signor Casula,che descrizione precisa e dettagliata ci ha dato,veramente affascinante.Aspetto con gioia il proseguo del suo racconto.Grazie.
RispondiEliminaGiancarlo, hai scritto 'bamma'. Dal greco BABTO(o = omega). La testimonianza plutarchea che riporti è fondamentale per attribuire (forse) la porpora ai Sardi e non ai Fenici. Perché mai un greco avrebbe chiamato 'sarda' una tintura la cui origine non stava lontana dalla sua terra? Ma la testimonianza maggiore, secondo me, è quella di Aristofane (Acharnesi, 112) perché di diversi secoli prima. Sull'origine sarda (caspita quanto!) della cultura etrusca stiamo combattendo in queste pagine sul piano epigrafico. Ma figurarsi se Roma che ha tanto culturalmente di indiretto da parte dei Romani tollera anche lo 'indiretto' da parte dei sardi! La porpora romana con puzza di orina sarda! E' sempre la stessa storia! La stessa manipolazione nazionalistica 'italiana' delle nostre e altrui vicende storiche. E purtroppo questo i nostri figli bevono a scuola tutti i 'non santi' giorni! Persino nelle Università! E' un vero e proprio scandalo ma le cose stanno così!
RispondiEliminaβάπτω=tingo pf.p.βέβαμμαι
RispondiEliminaops.e.c. 'culturalmente di indiretto da parte degli Etruschi'.
RispondiEliminaCaro professore so bene quanto può essere difficile la solitudine intellettuale, politica e morale di chi ha scelto un percorso in antitesi al potere. Ma la risposta a tutte le difficoltà sta nel continuare a creare cultura.
RispondiEliminaIo parlando del mio libro spiego come le donne protagoniste trasformano i problemi, i luti e le gioie in segni che compaiono nei loro vestiti come in un rito sacrale e analogamente trasformano in poesia tutti i messaggi più importanti. Dagli attitidos alle ninna nanna, dalle discussioni ed i bisticci con i vicini ai canti amorosi. Con questo meccanismo il messaggio di donne comuni diventa immortale. Così sarà sempre ricordato o cantato.
Cantos de aligrìa e d’amargura, de amore e de lutu. Sa vena, de custas femminas, pìntada custu munnu, pru’ de onnia chistionu, cun colores e sonos e du faente arregodare po sempere. Este propriu custu ci mi pragede de sa poesia:
este s’unica trassa ci arrennessede a collunare sa morte.
Io credo molto nella cultura. Non quella urlata e sbandierata ma quella discreta e profonda proprio come una poesia o un segno nel vestito di una povera donna. I regimi cambiano ed i regnanti spariscono ma dopo aver avuto un potere assoluto il più delle volte di loro non rimane alcuna traccia. L’arte e la cultura invece, anche quella espressa dalla persona più umile o da quella più ostacolata, potrà essere ripresa domani, fra cento o mille anni rimanendo magari sempre viva ed attuale.
Già Giancarlo, produrre cultura. E poi...sa poesia est tottu, si nos animat cudd'impetu sinceru e nos faghet cun s'anima cantare
RispondiEliminaNe sono quasi certo: caro Giancarlo Casula, sei un romantico!
RispondiEliminaE come tutti i romanticosi, soffri di un male oscuro, che non è quel vizio assurdo che porta alla morte, ma un difetto altrettanto insensato che ti fa vivere la vita con gli occhi della mente fissi a un'icona sacra che, in questo caso, ha la forma di un piede o, se vuoi, di un sandalo.
A tuo conforto, ti dirò che, approdando in questo ritrovo, non ti sentirai solo: tutti insieme ruzzoliamo verso un rosso antico purpureo, quel kor che poi diventa cora, ovunque passi qualcosa di liquido, e coretta parallelamente alle strade che si rispettino.
E, visto che sei desulese e scrivi sempere come Montanaru, aggiungi pure una t ovunque ti paia giusto, lasciando perdere le insulse ragioni dei commissari del sardo cavolo.
Altrimenti finisce che i sardi parleremo tutti con la erre moscia, mentre sappiamo che non abbiamo di moscio né la erre, né la ti, e tantomeno altri caratteri che ci denotano come tostorrudos.
Caro Giancarlo, la cultura e le tradizioni antiche della Sardegna sono dei ricordi bellissimi e indimenticabili, soprattutto i costumi di Desulo molto belli e con dei fantastici colori, sa limba sarda è bello che venisse ancora parlata molto spesso come avveniva in passato quando era ancora in vita tuo nonno Montanaru, meraviglioso poeta
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