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lunedì 15 agosto 2016

Il nostro "modello standard" (e il rapporto tonni/sheqel)

di Francesco Masia

Pesi da rete durante lo scavo a Sa Osa - Immagine da questo link
Il 5 Agosto ho seguito almeno parte della conferenza su tonni e Fenici nel nuovo Museo della Tonnara a Stintino, relatori il Prof. Bartoloni e il dott. Guirguis (l'accento va sulla prima i). Mi sono perso l'inizio, credo il primo intervento del Prof. Bartoloni, ma la cosa per me ha avuto comunque, certamente, un senso. Ero particolarmente interessato perché l'associazione di tonni e Fenici mi riportava a uno dei pilastri (così io riassumerei) del primo libro del nostro Mikkelj (Kirkandesossardos, Sardegna, ricerca dell'origine, di Mikkelj Tzoroddu), che sostanzialmente appoggiava a un'industria del tonno sarda e (assai) pre-fenicia (pesca, macellazione, conservazione, commercio) le conseguenti deduzioni su attività cantieristica, produzione di sale, reti di traffici come già per l'ossidiana (e poi i metalli dalle miniere), a sorreggere un'economia capace di portare fasti tra l'altro architettonici e magari militari a una civiltà interrelata con i popoli sulle coste del Mediterraneo, nonché con l'interno e il nord dell'Europa (continentale e insulare). Avevo perciò ripreso il libro di Mikkely per appuntarmi le prove/indizi da lui addotti circa quanto sopra (volevo preparami a citare le sue fonti) e mi si è così chiarito, meglio di quanto fosse rimasto nel ricordo, che stando a quanto fissato sul libro del 2008 non si tratta di prove da potersi sventolare con la sicurezza che credevo. Questi indizi di una talassocrazia e, insieme, degli stretti legami con l'economia legata al tonno risalivano, per Mikkely, soprattutto a ragionamenti che per esclusione lascerebbero i Sardi principali indiziati di aver loro trasportato una certa ossidiana per 73 miglia di navigazione dalle sue cave di provenienza sull'isola greca di Melos all'insediamento presso la grotta Franchthi in Argolide (sulla terraferma Greca meridionale), circa nel 9.000 a.C.; insediamento dove è stata documentata (con prove archeo-zoologiche) l'attività di pesca di "tonnidi" (o di pesci di grossa taglia, meglio, senza certezze quanto a ulteriori specificazioni) e la loro lavorazione, risalenti più o meno al 7.500 a.C.. Da lì Mikkelj passa a considerare fonti classiche sull'apprezzatissimo e rinomato "pesce sardo" o "sardina" e allo studio di Alfredo Andrews (1949, The "Sardinian Fish" of the Greeks and Romans) per cui tale "pesce sardo" era riconducibile anzitutto al tonno (e solo successivamente, per soddisfare le esigenze di un target commerciale più basso e diffuso, appunto alla sardina): così Mikkelj attribuisce definitivamente ai Sardi il ruolo di principali attori nel Mediterraneo quanto alla pesca, alla lavorazione e al commercio di tonni e sardine; ma queste fonti classiche paiono tutte (ben) successive alla frequentazione fenicia perlomeno di Sulki, quindi (al di là di una ammissibile posizione di preminenza del prodotto effettivamente lavorato in Sardegna) nulla prova (ancora) che fossero stati i Nuragici ad aver impiantato questa attività ittica. E la documentazione di vertebre di "tonnidi" nella grotta Franchthi nel 7.500 a.C. fa casomai risaltare l'assenza (a oggi) in contesti nuragici di reperti archeo-zoologici aventi a che fare con i tonni (a precedere quelli emersi in contesti fenici tra i quali Sulki, documentati appunto nella conferenza di Stintino insieme ad immagini su un vaso, proprio da Sulki, che potrebbero essere il racconto della loro pesca).
È per questo che la mia domanda ai relatori si è dovuta limitare a chiedere se in contesti nuragici siano mai stati reperiti resti riconducibili alla macellazione dei tonni: la risposta è stata negativa; e questo, fin qui, direi sgonfi le ruote alla dottrina su un fiorente comparto ittico nuragico, primo volano di attività nell'indotto.
Anche ad attestarsi sulle posizioni ben argomentate da Mikkelj nel suo secondo libro (Kircandesossardos duos, i fenici non sono mai esistiti, Mikkelj Tzoroddu 2010), secondo cui Sulki (al pari di altri centri “pigramente” ritenuti di fondazione fenicia) è semplicemente un centro di fondazione nuragica dove circa dall'VIII secolo a.C. si sarebbero insediati, insieme ai già residenti, dei “Nuragici di ritorno” (magari provenienti, vorrà concederlo, proprio dalla cosiddetta area fenicia), resterebbe (al momento) che la pesca e la lavorazione del tonno in Sardegna risulta documentata in antico solo in questo centro “fenicizzato”, poiché evidentemente tali genti (se non Fenici, Nuragici fenicizzati) avevano appreso dai Fenici l'arte della pesca e della lavorazione del tonno come praticata in altri centri fenici (a Stintino direi si è parlato essenzialmente di Cadice, perlomeno dal momento in cui sono arrivato).

Ora mi chiedo quanto questo discorso sul commercio del tonno possa rappresentare, allo stato, un esempio delle puntuali ipotesi che costruiamo/sosteniamo sulla articolata grandezza della civiltà sarda genericamente pre-fenicia (anche molto pre-fenicia), una grandezza che in assoluto (finché si resta nel generico) pare più nessuno metta in dubbio. Direi che molti cercano apprezzabilmente di uscire dai limiti del generico (di una civiltà genericamente avanzata per il suo tempo, senza granché dettagli) e si impegnano a costruire ipotesi sugli elementi emergenti, sugli indizi, sui dati e sui reperti che altri si limitano ancora a considerare “isolati”, quindi non ancora affidabili a sovvertire teorie (apparentemente, fino a “ulteriori” prove contrarie) meglio consolidate (si rileggano le conclusioni di Minoja nel terzo volume della Gangemi su Monte Prama). Molti, quindi, si impegnano a costruire nuovi modelli esplicativi, in uno sforzo che mi chiedo quanto possa essere accostato, con tutte le differenze del caso (chiarito che siamo su tutt'altra scala nonché in diversissima disciplina), all'impresa che condusse tra gli anni '50 e '70 del secolo scorso alla messa a punto del modello standard delle particelle elementari; un modello che ha trovato solo in seguito, una a una, le conferme delle proprie previsioni (fino alla rivelazione del bosone di Higgs nel 2013 e fino al buco nell'acqua, giorni fa, della ricerca di una fantomatica particella 750 GeV che l'avrebbe invalidato, senza peraltro lo spettacolo di opposte schiere di sostenitori); e un modello che "nonostante la lunga serie di successi sperimentali" (prendo dalla quarta delle "Sette brevi lezioni di fisica" di Carlo Rovelli) "non è mai stato preso completamente sul serio dai fisici" ("fatto di vari pezzi di equazioni messi insieme senza un chiaro ordine", "lontano dall'aerea semplicità delle equazioni della relatività generale e della meccanica quantistica", un modello che abbisogna di una "rinormalizzazione" grazie alla quale "funziona nella pratica, ma lascia in bocca un sapore amaro per chi vorrebbe che la natura fosse semplice"; semplice, aggiungerei, quanto un flusso di civiltà "pettinato" nell'antico sempre da oriente a occidente).
Ecco, se posso stare su questo accostamento, vi chiedo quanto il percorso di raccolta di prove e conferme intorno al modello di una Sardegna protostorica con la sua grandezza definita (fatto di tanti possibili tasselli: dalla identificazione con gli Shardana; a scrittura e religione in rapporto con Egitto e Canaan da una parte e poi Etruschi dall'altra; alle posizioni di preminenza quanto ai comparti agricolo, estrattivo, di trasformazione, commerciale e militare; fino eventualmente ad antichi apporti di civiltà "controcorrente", verso oriente) possa dirsi oggi in un punto grossomodo analogo agli anni '60 del suddetto modello standard. Le prove e le conferme che ancora abbisognano, come abbiamo visto, sono anche difficili da imporre (si pensi alla datazione della navicella di Teti, o a quella degli inumati di Monte Prama e quindi delle statue dei “giganti”). Ogni tanto, insomma, avverto il bisogno che si faccia il punto per orientarci su dove stiamo, su quanti tasselli prendano consistenza e quanti stiano al palo o, peggio, scricchiolino.
Per cui sottolineo: resti di tonno in siti nuragici (non fenicizzati, aggiungiamo) non risulterebbero ancora mai dimostrati, mentre se ne trovano altrove in contesti più antichi (coi quali possiamo solo congetturare di avere avuto a che fare, senza prove concretamente spendibili) e se ne trovano in Sardegna solo in un contesto ormai fenicizzato.
Se vogliamo essere presi sul serio con il modello che alla luce di dati e indizi ci piace costruire, arricchire, correggere, perfezionare e continuare a proporre, dobbiamo essere i primi a vagliarlo severamente.
Infine mi sembrerebbe ingiusto non riportarvi quella che per me è stata una perla, nella sua semplicità, regalata dal Prof. Bartoloni (chi conosce già bene la materia compatisca questo slancio). A proposito della grandezza della Sardegna pre-fenicia (mi esprimo io così), assolutamente riconosciuta (“nessuno può credere davvero che i Sardi non avessero una marineria, perché escluderlo solo per non averne trovato ancora resti dovrebbe portare a dire che neanche gli Etruschi ne avevano una, cosa che nessuno si sogna di sostenere”), Bartoloni ha voluto significare che i Sardi non avevano bisogno del tonno perché avevano l'argento, argento che scambiavano senz'altro favorevolmente (anzitutto col rame che serviva loro: “399 miniere d'argento contro 8 miniere di rame”) soprattutto con i Fenici (che il rame lo portavano da Cipro). In tutto l'oriente la ricchezza si misurava in sheqel, pari a 7,2 g di argento; e i Sardi stavano seduti su un mare di argento (un mare di sheqel), che tra l'altro interessava loro solo quale favorevolissima merce di scambio (vedi “siclo”, nome della moneta israeliana ancora in corso: Wikipedia parla di un peso che poteva variare tra i 10 e i 13 g, per i pignoli, ma il Prof. Bartoloni ha quasi dettato, più volte, 7,2).