E' una giornata di scirocco del IX secolo a.C. in quel di Antas, quando con rito sbrigativo e solenne (oppure con molte cerimonie e una rosa) si seppellisce nella necropoli a pozzetti nuragica un devoto antesignano di san Gavino (allora chiamato Gayny). Gli si mette vicino come offerta funeraria il suo oggetto preferito: uno spillone con su una scritta che nei secoli a venire tirerà scemi un bel gruppetto di titolati studiosi; e non venite a parlarmi di buona fede dei seppellitori!
Un archeologo destinato lo trova nei primi anni '90 dello scorso millennio, dopo aver deciso di scavare vicino allo scavatore del 1984.
Con calma e gesso perché per certe cose occorre un periodo adeguato di fermentazione, si decide di rendere noto il manufatto in un convegno del 2010 dal titolo molto molto adatto (!): L'epigrafe di Marcus Arrecinus Helius. Segue pubblicazione, anzi quattro, dove lo spillone bronzeo nuragico subisce una prima autopsia e si emette un primo referto [1].
Come spesso succede, gli specialisti non concordano pienamente sulla diagnosi e segue un secondo referto dove, per fare un sunto all'osso, il secondo esperto dice al primo: Asino! [2]; approfitta anche per ricordare all'archeologo scopritore 1) che tenere in lievitazione per quasi 20 anni un reperto scritto non giova molto alle conoscenze scientifiche.
A questo punto un terzo specialista richiede al reparto patologia il reperto e emette un terzo referto. Logico: diverso dagli altri due e va a tirar fuori un alfabeto nuragico derivato dal greco euboico [3].
Ma le vicende post-mortem del disgraziato spillone non sono certo giunte al termine! Tagliuzza di qua tagliuzza di là, già che era piccolo non è rimasto quasi più niente. Per fortuna ci sono le fotografie digitali, e un quarto specialista emette un quarto referto (e ti pareva!): in sommario, dà ragione a tutti gli altri, ciò che non vieta al suo referto di essere completamente differente [4].
Credevate che fosse finita? Poveri topini! Però prima di andare avanti è meglio fare un sunto del "fin qui" (vd. figura):
Lo specialista 2) ci dice che i caratteri scritti su questo oggetto che ritiene nuragico al 100%, hanno una ben scarsa probabilità di essere fenici dell' VIII secolo, come invece ritiene lo specialista 1). Al limite, e con grande incertezza, quelle che 1) legge come K, potrebbero essere delle shin del VI sec. a.C., anche se questo sembra lontano dai dati archeologici. 3) pensa che quello sia alfabeto derivato dal greco-euboico e 4) afferma con appassionata convinzione trattarsi di sillabogrammi ciprioti suddivisi da uno stictogramma.
Le letture varie sono così (lasciamo volentieri i commenti linguistici ai glottologi in generale, perchè noi non ci capiamo nulla):
1) kr_mk
2) š _ _ š
3) chi_ch
4) ti/sa ti
Bisognò attendere l'anno corrente per avere finalmente un chiarimento: del reperto nuragico si interessò finalmente un'epigrafista di fama mondiale [5]. Nuovamente nel corso di un convegno dal titolo più che evocativo del mondo nuragico: Un’àncora sul Pianoro della Civita di Tarquinia. Tutti pendono dalle sue labbra. Dopo breve introduzione la studiosa sente di poter affermare che: "[..]ritrovamento in una tomba nuragica di Antas di uno spillone con segni incisi (lungh. cm. 14).Questi ultimi sono stati interpretati da P. Bernardini e P. Bartoloni come fenici, anche se non sono mancate altre interpretazioni, in particolare in base al sillabario cipriota".
Tra 1) e 2) si riaccende l'antica disputa, ma la studiosa li fulmina con con un gesto imperioso della mano: "Non ho ancora finito!" e conclude con: "mi sembra però che essi non siano fenici e, se non ciprioti come è stato anche proposto, che si possano spiegare come un marchio di funzione a noi non nota, forse non connesso a un tipo di scrittura determinata con un intento di riproduzione fonetica; tipi di marchi senza un preciso significato collegabile alla lingua sono presenti su altri oggetti, anche di ornamento" [5]. Salta su uno dall'audience. " Come al solito: grafemi senza significato e lettere alfabetiche fraintese: è vecchia ma va sempre bene! BRAVA, BIS!" .
N.B.: L'audace lettura del povero 3) non viene neppure presa in considerazione: se fossi un malpensante direi che è perchè nonostante la derivazione dall'euboico, il poveretto ha OSATO menzionare dei fonemi proibiti che si articolano in "alfabeto nuragico", senza tanti stictogrammi.
Sotto gli applausi scroscianti, 2) crede di ricordarsi che non era per niente d'accordo con 1) e di avere scritto: "Se i caratteri incisi sullo spillone fossero fenici, ciò costituirebbe senza dubbio un hapax, poiché, come è noto, ad Antas, se sono presenti sia pur rare attestazioni che possono vantare una origine orientale, al contrario nell’area del tempio non è stata mai rinvenuta alcuna testimonianza attribuibile chiaramente al mondo fenicio."[2] siccome però non è sicuro di ricordarsi bene, si accontenta che la famosa epigrafista almeno non abbia dato credito ai nuragici di saper scrivere qualcosa di originale o anche di copiato (ci mancherebbe pure questa!); anche stavolta l'abbiamo scampata: BRAVA, BIS!!!
Dal canto suo 1) si avvede che anche la grande epigrafista gli ha dato dell'asino (e due!), perchè egli aveva scritto: "Il manufatto di Antas arricchisce in modo straordinario il dossier sulla scrittura in Sardegna consegnandoci, per la prima volta in modo chiaro, un messaggio scrittorio non legato alla dimensione del marchio o della sigla ma impiegato con una funzione comunicativa e sociale, forse celebrativa; un livello decisamente molto alto di percezione del mezzo scrittorio." [1d]. E come va insieme questa cosa del livello molto alto di percezione scrittoria con i grafemi senza significato? Ma chi se ne frega, VIVA, VIVA! BRAVA, BIS!
E 4) come l'ha presa, si chiederanno soprattutto le mamme lettrici, che sempre si preoccupano di episodi depressivi? Niente, l'importante è salvare lo stictogramma e rimanere nel nebuloso. BRAVA, BIS! (ci vuole altro care mammine per deprimere un tale studioso!).
Sorge quasi, e dico quasi, il dubbio che le varie e avariate interpretazioni e letture siano state pubblicate al solo scopo di poter far concludere alla divinizzata epigrafista: "non resta che concludere che quei segni sono ornamentali".
E 4) come l'ha presa, si chiederanno soprattutto le mamme lettrici, che sempre si preoccupano di episodi depressivi? Niente, l'importante è salvare lo stictogramma e rimanere nel nebuloso. BRAVA, BIS! (ci vuole altro care mammine per deprimere un tale studioso!).
Sorge quasi, e dico quasi, il dubbio che le varie e avariate interpretazioni e letture siano state pubblicate al solo scopo di poter far concludere alla divinizzata epigrafista: "non resta che concludere che quei segni sono ornamentali".
Intanto in Costa Verde...
...forse ispirato dal Maestrale, signore indiscusso di quelle lande, un solitario pioniere non appassionato di reperti autoptici (se non di pesci degli abissi), non applaude proprio per niente: perchè lui lo spillone non lo ha fatto a pezzi e bocconi. Ha cercato di leggerlo per quello che è, e per quello che è scappato detto perfino a 2) "lo spillone non è un prodotto orientale, bensì decisamente locale e caratteristico del mondo nuragico. Come è noto, infatti, lo spillone è accompagnato da numerosi altri oggetti del medesimo ambito culturale, rinvenuti nell’area del tempio."[2].1. P. Bernardini, a. Segni potenti: la scrittura nella Sardegna protostorica, in E. SOLINAS et al., Verba latina. L’epigrafe di Bau Tellas, Senorbì 2010, pp. 32-35, Atti della giornata di studi su L’epigrafe di Marcus Arrecinus Helius. Esegesi di un reperto: i plurali di una singolare iscrizione, 23 aprile 2010; b. Elementi di scrittura nella Sardegna protostorica, In: L'epigrafe di Marcus Arrecinus Helius: esegesi di un reperto i plurali di una singolare iscrizione, Atti della giornata di Studi (Senorbì, 23.04.2010), a cura di Antonio Forci, Ortacesus: Sandhi; c. 2011, Necropoli della Prima Età del Ferro in Sardegna: una riflessione su alcuni secoli perduti o, meglio, perduti di vista. In: Mastino, Attilio; Spanu, Pier Giorgio; Usai, Alessandro; Zucca, Raimondo (a cura di). Tharros Felix 4. Roma, Carocci editore. p. 351-386; d. Parole di segni: l'alba della scrittura in Sardegna, di Marco Minoja, Consuelo Cossu, Michela Migaleddu, Carlo Delfino ed., 2012
2. P. Bartoloni, In margine a uno spillone con iscrizione da Antas, Sardinia, Corsica et Baleares Antiquae 9 (2011), 27-30.
3. G. Ugas, I segni numerali e di scrittura in Sardegna tra l’Età del Bronzo e il I Ferro, In: Tharros Felix 5, a cura di Attilio Mastino, Pier Giorgio Spanu, Raimondo Zucca. Roma : Carocci, 2013, pp. 295-377
4. R. Zucca, "Storiografia del problema della ‘scrittura nuragica’" in Bollettino di Studi Sardi, Anno V, numero 5, dicembre 2012
5. Guzzo, Maria Giulia Amadasi. "Graffiti e dipinti non greci di incerta lettura." Aristonothos. Scritti per il Mediterraneo antico 10 (2016): 143-160., Atti del convegno Un’àncora sul Pianoro della Civita di Tarquinia, 12 ottobre 2013, Tarquinia.
6. Sanna, Gigi. Un santo nuragico e uno spillo sardo - egizio per l'eternità, monteprama.blogspot.it, 28 APRILE 2013
6. Sanna, Gigi. Un santo nuragico e uno spillo sardo - egizio per l'eternità, monteprama.blogspot.it, 28 APRILE 2013
Cara Stella. Mi hai fatto sorridere. Con tristezza. E chi può ridere delle cavolate per le cose serie? E sorridere ancora di più (con tristezza) pensando che quello che hai scritto con ironia finissima per lo spillone può essere esteso al coccio del Nuraghe Alvu. Con quel campione di orientalista' burlone' Wimmer in testa. Ma vedi la differenza. Noi sorridiamo e anche ci indignamo quando le sparano troppo grosse. 'Loro', in un circolo comico di veri e propri incoscienti, si danno la mano, sorridono, apprezzano, si citano e approvano. Tutto tutto. Sanno che si stanno sbudellando pubblicamente, che non ci capiscono nulla, che in fondo mi danno indirettamente ragione, che la filologia è filologia e niente può essere strapazzato e usato per far quadrare il cerchio, eppure ...sorridono. La scienza, per alcuni, è questo: l'arte del dire ad uno che è un cretino o addirittura un coglione ma facendogli un sorriso smagliante. E magari un inchino. Tu sei uno sciagurato, cara Stella, non farai mai un passo con tutta quella ironia partigiana. Se dovessero scoprire la tua identità è già pronto il retore e la piattaforma americana per sputtanarti.
RispondiEliminaComunque, di 'santi' nuragici figli prediletti del Dio (il 'norense' lb w bn)è in arrivo quello più documentato e interessante per i...segni ponderali. Ha un nome così semitico che più semitico non si può!Che ridere! Anzi, che sorridere!
RispondiEliminaCome fregi ornamentali farebbero un pò schifo, incompatibili con la finezza dell'oggetto al cui capocchia è un capolavoro; anche incompatibili con la finezza abituale delle decorazioni nuragiche. Per me quella teoria non sta in piedi. E neppure quella del marchio o della sigla (e qui per me Bernardini ha ragione: siamo ben oltre il marchio).
RispondiEliminaSul titolo di quell'articolo è meglio non commentare, perchè è un insulto all'intelligenza e al buon senso: "graffiti non greci", che c'entrerebbero i Greci poi con la necropoli nuragica di Antas?
Quanto a Pozzomaggiore -stratigrafia "non incompatibile con l'epoca fenicia, latino tardo, neopunico certo" tutto in contemporanea va bene-prendiamo anche quella.
Tremo e temo per il destino che attende la navicella di Teti; prevedo un facile: "marchio distintivo" per il pugnaletto a elsa gammata "attorniato da graffiti non greci di incerta lettura, probabilmente con funzione ornamentale". E ancora applausi da spellarsi le mani.
Cosa intende la Amadasi Guzzo quando afferma che quei segni “…si possano spiegare come un marchio di funzione a noi non noto”, che sullo spillore ci possa esser scritto “ferma capelli”?!
RispondiEliminaSarà che la Professoressa Maria Giulia Amadasi Guzzo (già docente di Epigrafia Semitica presso la Sapienza, autorità tra l’altro sugli studi fenici) si interroga sui tribales tatuati sulla pelle di tanti suoi giovani contemporanei e coglie bene il rapporto tra i significati originari di questi tatuaggi e l’ignoranza circa questi di chi li porta, ma anche facilmente di chi li fa e, per questo, nel farli si prende tutte le libertà, al punto che una persona colta in materia troverebbe che questi tatuaggi (per come sono fatti, per dove sono fatti e guardando a chi li porta) non hanno più alcun significato leggibile. Interessante che Il più antico corpo tatuato di cui abbiamo conoscenza sia quello dell’uomo dell’età del bronzo che ben conosciamo, ritrovato su un ghiacciaio alpino: sulla sua pelle mummificata appaiono tatuati entrambe le braccia, le gambe e il tronco. Quindi la Amadasi vorrà sostenere che culture che ben sapevano esprimersi con i tatuaggi (con decorazioni tribali cariche di significati opportuni) potevano trovare originale ricorrere invece a esotici segni alfabetici, senza reale comprensione di questi, per moda, come specularmente facciamo oggi.
EliminaUn bel modo per chiudere il cerchio con i nostri anni, a ben vedere. Ma anche, sì, per offendere le intelligenze, le nostre e quelle degli antichi.
Sì Aba. Ma il fatto è che il convento passa solo questa merce. Sempre più scadente. Noi ne abbiamo dell'altra. Ne sono convinto. Staremo a vedere, alla lunga, chi riuscirà a vendere.
RispondiEliminaSass e Garfinkel studiano, commentano e pubblicano dopo appena un anno. E ci danno così modo di parlare e anche di 'suggerire' qualcosa sul protocananaico. Su Alvu dopo anni nulla, sul coccio mogorese in ugaritico dopo anni nulla, sulla pietra di Perdu Pes dopo anni nulla, sulla pietra di Villamassargia dopo anni e anni nulla, sulla pietra di Aidomaggiore nulla, sulla pietra di Pitzinnu nulla, sull'architrave di Aiga nulla, sul ciondolo di Antas nulla, sul ciondolo di Solarussa nulla, sulla scritta della Sala da ballo nulla, sulla scritta di Maimoni nulla, sulla scritta di Tradori nulla. Su 300 documenti nulla. Sì, credo proprio che offendano l'intelligenza!
RispondiEliminaForse si può dare un contributo sulla datazione del reperto, leggendo attentamente le varie note e noticine dei vari articoli: nel 1984 Ugas scoprì le prime 3 tombe a pozzetto di Antas, in due delle quali c'era lo scheletro seduto in verticale, come a Monte Prama; negli scavi 1990-1993, diretti da Bernardini, se ne scoprirono altre 2, uguali ma più vicine al tempio (sotto il quale secondo Bernardini c'è il grosso della necropoli nuragica), con adiacenti pozzetti votivi; fu qui che venne trovato lo spillone scritto. Le datazioni al radiocarbonio delle tombe nuragiche di Antas non sono state pubblicate, per quanto ne so o non sono state mai fatte. Però il tipo tombale è identico a quello ritenuto più antico da MP: pozzetti "semplici" senza lastra di copertura; di cui però non sono state ancora pubblicate le datazioni al C-14.
RispondiEliminaNell'area bedini di MP finora le date sono così: pozzetto n (circolare con lastrone di copertura inglobato nel lastricato): 1395-1056 a.C.; tomba a pseudo-cista (con lastrone) 8: 1088-900 a.C. (Usai, 2015). Quindi anche per Antas dovremmo essere all'Età del Bronzo Finale o al massimo al primo ferro, se non più indietro.
Quindi il nome G(A)YNI potrebbe essere stato inciso all'incirca nel 1100 a.C. Se così fosse sarebbe quella all'incirca la datazione del sigillo bronzeo di Tzricotu recante il nome di GAYNI (Tzr A5). Lo stesso nome dello spillone. La presenza evidente in detto sigillo del 'protocananaico' ('beth'arcaico, 'lamed sinistrorso', 'he' di ispirazione protosinaitica,'ayin a 'V', ecc.)e dell'ugaritico (non solo dei 'gamla di base' ma anche di altri due al di fuori di esso), sistemi di scrittura compatibili con il periodo (uno ancora in auge e l'altro in via di estinzione), fanno pensare che sia proprio quella la data dell'iscrizione di Antas. 'Gayini è uno dei nobilissimi 'giganti'figli del dio e quindi 'santi', capaci come i Faraoni degli scarabei (il significato simbolico dello spillone è lo stesso dello scarabeo di Monte Sirai) di essere intercessori e garanti della rinascita. Ma tutto questo, ovviamente, alle ortiche! E' meglio pensare ai 'falsi'(anche se profetici) di Tzricotu e concentrarsi su segni che offrono 'marchi'!
RispondiEliminaLa questione sarebbe molto facile da risolvere, visto che lo spillone è stato trovato nella terra che rimepiva i pozzetti votivi adiacenti a due tombe a pozzetto singolo, con dentro lo scheletro.quindi a meno che tutto il collagene non se ne sia andato, si può fare la datazione al radiocarbonio.
EliminaUna cosa pare certa: questo spillone è un gran bel manufatto, in bronzo per giunta, ottenuto con la tecnica a cera persa, ciò che richiede la preparazione di un esemplare, probabilmente in argilla, sul quale si modella una matrice in negativo dentro la quale versare il metallo fuso. Le incisioni osservabili sulla superficie esposta dell'oggetto furono studiate ben prima e, si suppone, appropriate all'uso o alla persona per cui era stato concepito e fuso.
RispondiEliminaDico onestamente che non sono esasperatamente curioso del significato delle incisioni e neppure dell'intera facciata del reperto. Mi interessa di più e soprattutto la parte che non si vede, quella parte appunto fatta a spillo che, provvista di una punta usa a trapassare vesti per tenersi e per tenere insieme quelle, si posizionava dentro un appoggio ricevente che lo teneva chiuso e fermo. Poteva essere stato concepito anche per un uso inerente la capigliatura, ma sarebbe dovuto comunque reggersi tramite lo spillo che, in definitiva, pare la parte più importante, in considerazione del fatto che oggetti di tal fatta, in metallo o in osso, vengono ancora oggi riconosciuti e denominati come spille, o spilloni.
Perché dunque sono interessato più alla parte appuntita sottostante che alla placchetta in bella mostra?
Penso che oggetto siffatto sia stato, sia ancora e continuerà a essere, arnese rischioso, sia nell'atto di indossarlo e ancora di più se il possessore lo sgancia e lo agita minacciosamente verso chi sia. Oggettivamente pare un oggetto di difesa personale, come un coltellino a serramanico portato in una tasca o nella borsetta, per dissuadere appropriatamente chi delle male intenzioni si fosse fatto interprete.
Di più. La sua pericolosità rimane inalterata e a tal proposito ricorre alla mente la favola della maledizione di Tutankhamon, da repertoriarsi come la maledizione dello spillone di Antas, visto che questo, come quello, colpisce chiunque ne sia venuto a contatto. E di vittime illustri se ne contano eccome, considerate le accuse di asineria che sono volate fra gli altisonanti nomi degli incattiviti archeologi nostrani, i quali comunque, come i ciuchi sardi a cui fanno riferimento, sono asini piccoli al confronto con quelli continentali. Questi ultimi, pur senza aver avuto fra le mani il fatidico spillone metallico, non si sono salvati dalle sue proiezioni malefiche perché essi, dopo aver messo in soffitta parte della loro scienza e tutto il buon senso del mondo, si sono inventati come provetti enigmisti e pronunciati tramite sciarade, meno chiare di una qualsiasi quartina di Nostradamus.
In conclusione, si poteva scommettere sulla genialità dell'artista nuragico che tale spillone pensò e realizzò bello e pericoloso, che poteva ferire le dita e il cuore, ma mai ci saremmo aspettati che riuscisse a colpire profondamente i cervelli e a ferire le menti più eccelse.
A distanza di tempo, Gloria Gloria a colui!