Olmedo. Il monte della ‘camera delle corna’ (Monte ‘baranta’). Toro e
Serpente. Nell’eneolitico sardo i ‘simboli forti’ del culto astronomico solare nuragico
del solstizio d’estate (21 giugno). *
di Sandro
Angei, Gigi Sanna, e Stefano Sanna
Abbiamo colto
l’occasione del solstizio d’estate per pubblicare un articolo che da lungo
tempo era in attesa di veder la luce.
La decisione di
pubblicarlo ora è nata dall’esigenza di dare un segnale forte e chiaro a chi in
modo autoreferenziale, studiando il sito, si limita alla descrizione della
prima sensazione e rinuncia ad andare oltre benché i segnali suggeriscano, anzi
invitino a superare una certa barriera preconcetta.
Abbiamo ricomposto
una sorta di puzzle le cui tessere sono state individuate nelle varie
discipline dell’umano sapere, perché alla base c’è sempre lui: l’uomo, con la
sua natura eclettica, le sue aspettative spirituali legate strettamente ad
esigenze materiali.
Benché quest’anno il solstizio
d’estate si verifichi il giorno 20, nell’immaginario collettivo esso si
verifica il 21 di giugno e così lo abbiamo voluto indicare. Si tratta
comunque di un aspetto quasi irrilevante, visto che da un giorno all’altro non si
percepisce alcun mutamento visibile, essendo la differenza angolare di soli 15
secondi d’arco al tramonto del sole. In questi giorni il sole pare si fermi in quel punto, generando apprensione in chi, anticamente scrutava l'evento.
Fig.1 Fig.2
Si pensava fino a qualche mese fa che la ‘scrittura’ monumentale più grande e spettacolare della Sardegna fosse quella del tardo nuragico di Mur(r)u Mannu di Tharros presso San Giovanni del Sinis di Cabras (1). Invece quest’ultima, per quanto più raffinata possa essere e certamente più densa di significato ‘religioso’, per ‘monumentalità’ e grandiosità megalitica deve cedere il passo ad un’altra (fig.1), realizzata forse più di duemila anni prima e non in periodo di cultura strettamente nuragica ma in quello cosiddetto ‘Monte Claro’(2).
Infatti,
sembrano non esserci dubbi: le costruzioni megalitiche di Monte Baranta di Olmedo sono, per inoppugnabili dati stratigrafici
archeologici (3), da ascriversi a
questo tipo di facies culturale. Questo dato però vuol significare che il
cosiddetto prenuragico è certamente
da considerarsi tale, ma non nel senso di una cultura diversa da esso ma nel
senso di una cultura affine (4), che lo anticipa in certe sue forme ed
espressioni ‘forti’, dal momento che si
scopre che ‘leggere’ il ‘documento’ architettonico, spiegare il senso dei
‘pittogrammi monumentali’ scritti sulla
piccola collina al di sopra di Olmedo, è come leggere e spiegare un documento
architettonico nuragico: con ‘grafia’ e simbologia forse più arcaiche ma pur
sempre riconducibili al codice criptico nuragico. Infatti, se ormai ci siamo
abituati a risolvere i rebus grandi e piccoli della ‘scrittura’ a tutto campo,
a vedere dietro l’ambiguità (λοξότης) dei segni, i significati reali e non
apparenti di essi, ci siamo abituati anche a riconoscere, andando a ritroso nel
tempo, se e quando è riscontrabile, il codice più arcaico che ha fatto sì che
essi ‘segni’ potessero perpetuarsi e sopravvivere, pur con le inevitabili
variazioni, per moltissimi secoli. Insomma, se c’è testimoniata da qualche
parte in Sardegna l’origine della ‘scrittura’ monumentale arcaica sarda essa deve, in qualche modo, rassomigliare, in
parte o in tutto, a quella che ormai permea tutta la cospicua documentazione
archeologica.
2. Preambolo. L’ideologia nefasta permanente: il possente e grandioso = militare.
Cominciamo però con il dire che chi
respinge il codice di scrittura a ‘tutto campo’ dei nuragici, del quale abbiamo
parlato e scritto ormai tantissime volte, chi non ‘legge’ i ‘segni’ secondo una
ben precisa filologia, suggerita da centinaia di documenti architettonici,
resta inevitabilmente fermo alla superficie di essi, con il risultato di
prendere spesso fischi per fiaschi e di ripetere stancamente errori di
ermeneutica dovuti, in particolare, alla quasi secolare ideologia
‘archeologica’ di stampo militaristico. E non solo errori e travisamenti, va detto
subito, circa la civiltà nuragica ma
anche circa quella che l’ha preceduta. Infatti, non è chi non sappia e constati
continuamente di persona che il grandioso
e il colossale se è vero che sono
tipici dell’architettura per la difesa
e per l’offesa sono anche
caratteristici dell’architettura dei monumenti religiosi del presente e del
passato. A tutte le latitudini. Eppure tali caratteristiche da non pochi archeologi vengono rigorosamente attribuite,
spesso con inaccettabile acritica ostinazione, a scopi di protezione e di
difesa. Inoltre, non tenendo in conto o
trascurando l’antica formula della ‘scrittura’ egiziana (ormai antica di decine
di secoli) e cioè quella che considera ‘forma - simbolo - suono’, ci si arresta
ai primi due aspetti di essa, quando addirittura non si riesce, data la lettura
‘moderna’, del tutto laica, dei segni, a non vederne nessuno. ‘Nessuno’,
neppure quando tutto quel che si sostiene cozza anche con la logica più
elementare e quando non pochi indizi da ciò che ben si vede e che subito si
capisce convergono nell’escludere del tutto voci del vocabolario militaresco
come ‘camminamento’, ‘recinto torre’, ‘fortezza’, ‘muraglia di difesa’,
‘cammino di ronda ‘ e così via.
Ora è vero che un esame superficiale
delle costruzioni megalitiche poteva condurre all’errore chiunque ma certe, per
altro giuste, osservazioni e scoperte archeologiche, come ad esempio quella
dell’esistenza del circolo megalitico
(in realtà non proprio un ‘circolo’) di chiara natura religioso - templare,
presso la cosiddetta muraglia (5),
potevano comunque indurre, a meditare
per lo meno e a porsi qualche dubbio , sull’identità delle altre due
‘fabbriche’ architettoniche presenti sull’altipiano. Invece nonostante le
‘forme’ singolari e certe chiare ‘informazioni’ che si ricavavano subito da
entrambe le costruzioni, si è preferito
o trascurarle del tutto o piegarle all’unico dato proclamato, nonostante
debolissime prove e dati assai opinabili, come certo, anzi certissimo: il
carattere militare, appunto; lo scopo difensivo sia del cosiddetto ‘recinto
torre’ sia della lunga e possente ‘muraglia’.
3. Lo studio del Moravetti. Il ‘cosiddetto ‘recinto torre’ di Monte Baranta. Difficoltà di lettura.
Fig .3
Fig.4
.
Andiamo però per gradi e lasciamo parlare
lo studioso Moravetti e vediamo di argomentare circa le sue convinzioni.
Partiamo dalla analisi (Il complesso
prenuragico di Monte Baranta, pp. 40 e 43) sul ‘recinto torre’,
sottolineando in neretto i punti che ci possono più interessare:
Il cortile (del
recinto torre), per le sue dimensioni
di pianta (corda m 12,60; freccia m 9, 75; superficie mq 191) non poteva avere alcun tipo di copertura. All’interno di
questo spazio, una rudimentale scaletta,
ricavata nei filari a vista della parete Sud –Ovest , svolgendosi a cielo
aperto conduce alla sommità del muro e più precisamente ad un cammino di ronda (largh. media m.1,90) che gira circa sei metri,
fino alla piattabanda del corridoio, raggiungendo la larghezza di m. 1,90, con
uno spalto di m 1,20 di altezza e m
3,90 di spessore. Dal momento che questo cammino
di ronda non compare in tutto il perimetro della costruzione e che lo
spazio per il suo spessore non consentiva di vedere o colpire chi eventualmente fosse alla base del muro e non era quindi funzionale alle difesa almeno nel senso tradizionale (?), con ogni
probabilità sia la scala che lo stesso cammino
di ronda doveva essere in funzione di eventuali (sic!) strutture lignee impiantate sullo spessore murario , il quale, proprio in quel punto, raggiunge la massima
dimensione. D’altra parte soltanto l’esistenza di strutture lignee consente
di giustificare la modesta altezza
ipotizzata per l’edificio e lo spessore
veramente eccessivo del muro , entrambi poco adatti, da soli, alla difesa
di una costruzione che proprio a tal fine era stata concepita così grandiosa e in posizione privilegiata. Si pensi,
inoltre, che la superficie della muratura allo svettamento risulta di mq 189, 5
vale a dire di poco inferiore a quella dello stesso cortile (mq 191).
Risulta evidente che il Moravetti si trova di fronte a non poche e a non piccole e difficoltà
ermeneutiche per inquadrare la costruzione sul piano strettamente
militare, in quanto:
aa) Non riesce a dare spiegazioni su di una rudimentale scaletta che porta al di
sopra della costruzione e su di uno strano ‘cammino di ronda’ interrotto a metà.
bb) Non ha chiaro il perché della sua scarsa
altezza e forma di esso come ‘spalto’, stante lo spessore murario al di là
dello stesso che impedisce, trovandosi esso tutto dalla parte interna, la vista
proprio nella parte più critica di un
eventuale assalto di nemici.
cc) Non sa spiegarsi l’altezza assai modesta
del muro del recinto (un ‘gioco’ per gli assalitori).
dd) Non capisce la forma di un muro di fortezza di realizzazione così stramba che,
addirittura, risulta quasi raggiungere in superficie l’ampiezza di quella del cortile.
ee) Non sa interpretare il dato
(fondamentale, come si vedrà) di una parte della costruzione (lato sinistro)
molto più spessa di quella destra.
Ma, in qualche modo, bisognerà venirne a
capo! Ed ecco che il tutto si spiega o
sembra spiegarsi se a quella costruzione così poco ‘difesa’ (un vero e proprio
obbrobrio di carattere militare!) si aggiungono delle (eventuali)
strutture lignee. Cioè le difficoltà si
spiegano e si superano con l’elucubrazione pura e le cose si dimostrano con
l’indimostrabile. Addirittura ricorrendo con disinvoltura, se abbiamo ben
capito, a una sorta di barbacane
lignei, ovvero a delle aggiunte e delle sporgenze, delle quali. per quello che
sappiamo, non c’è alcuna traccia documentaria nel calcolitico. Si va spediti e
tranquilli sull’ipotesi nonostante si
capisca che nemmeno invocare lo spessore murario in ‘quel punto’ per una
struttura lignea può aver senso logico dal momento che o si difende bene
uniformemente il tutto da un assalitore o non si difende proprio un bel nulla.
4. Nostre osservazioni. Orientamento astronomico del fabbricato. Il ‘recinto’ o ‘camera’ sacra. Il toro e il corno sinistro asimmetrico. Sardegna ed Egitto: dall’eneolitico all’età del bronzo finale e del I Ferro.
Sulla
base del disegno del Moravetti vediamo ora però di analizzare (fig.5) con
maggiore approfondimento quel monumento che giustamente si definisce, per la
sua conformazione, ‘a ferro di cavallo’.
In primo luogo esso offre un dato
ineccepibile, di grandissima rilevanza, ma di cui praticamente si tace: l’orientamento
a Est-Sud-Est delle estremità del ‘ferro di cavallo’.
Un orientamento
siffatto porterebbe ovviamente non a trascurare ma a considerare attentamente
anche il dato astronomico, ovviamente solare, perché una fortificazione, per
essere tale non ha certo bisogno di allineamenti astrali. Tutto il cortile è
aperto intenzionalmente a Est-Sud-Est,
lì dove tra i due bracci sorge il sole all’alba del solstizio d’inverno. Già quel non piccolo
‘dettaglio’, tende a suggerire che il cosiddetto ‘recinto’ non era uno spazio qualunque
(magari militare) ma un luogo
‘protetto’ o ‘sacro’. In secondo luogo, stante la singolare pianta
dell’edificio, non può non sorgere la domanda:
perché mai quella forma a ‘ferro di cavallo’, quel ‘segno’ così forte e
chiaro che, se un archeologo nota riportato graffito su qualsiasi pietra o su
qualsiasi monumento (magari in una domus
de janas), non ha difficoltà a ritenere ‘taurino’? In secondo luogo c’è il
dato più macroscopico, che ci dice che quel fabbricato nasconde alla nostra
vista molto, ma molto di più. Infatti,
si nota che la apparentemente strana pianta della fabbrica megalitica non solo
appare come segno schematico del toro ma presenta lo ‘schema’ in modo curioso,
ovvero con i ‘corni’ asimmetrici.
Fig.7
Si avverte subito allora che non conta lo
spessore di un muro, ipotizzato ai fini difensivi con una del tutto improbabile
impalcatura lignea, quanto invece la sua grossezza e difformità ai fini
esclusivamente simbologici: serviva un
‘disegno’, una certa scrittura dove
un corno apparisse visibilmente più
grosso e potente dell’altro (fig.7). Un corno più megalitico
ancora di una costruzione già tutta
megalitica; quello di un toro straordinario, un toro celeste che
presenta simbolicamente un corno più potente, diverso ovviamente rispetto a quello dei tori o buoi normali. Insomma, bisogna
sospettare, circa quella forma, la
presenza di un ‘bue api’ con corna di spessore diverso, quel bue egiziano
simbolo del ‘faraone’ (fig. 8),
Fig.6
che ti diventa, come sappiamo, così comune in
tanti dei bronzetti e in tanti dei documenti ‘scritti’ della cultura nuragica
dei secoli successivi (v. figg. 9 - 10 - 11). E si badi: un toro ancora che
manifesta il corno sinistro
asimmetrico e non il destro, proprio come nell’iconografia egiziana e, di
norma, nella maggior parte dei casi dei tori ‘straordinari’ della
documentazione sarda.
Fig. 9 Fig.10 Fig.11
5. Il dato epigrafico. Cosa significa la voce ‘baranta’? Fonetica sarda e lessico semitico.
Uno però potrebbe non ritenere sufficienti
questi dati sulle corna o meglio, sui
singoli corni, che tendono, ovviamente, a spostare lo sforzo ermeneutico sul piano religioso e
non più su quello ‘militare’. Ma, secondo noi, oltre a quelli che si vedranno
più avanti, c’è un dato molto interessante e diremmo ‘cogente’, per ritenere da
subito religiosa e non militare la costruzione, un dato che spiega anch’esso
che siamo di fronte ad un inequivocabile schema taurino: quello toponomastico.
Infatti, riteniamo che non a caso la località di Olmedo si chiami Monte Baranta perché in semitico (6) ‘qaren’ קרן significa ‘corno’ e da esso proviene il
verbo ‘qaran’קרן che significa
‘portare le corna’ o essere raggiante (7) Ora, si sa dalla linguistica che il
fonema ‘q’ (labiovelare) in sardo sia in posizione iniziale che in posizione
interna intervocalica tende a diventare ‘labiale’ sonora (8) nella lingua del
cosiddetto capo di sopra (qu-attru =
battoro; a-qu- a= aba). Se così è,
come pensiamo che sia, il toponimo (in origine ovviamente da ascrivere al
semitico), rende bene il significato del tutto perché il cosiddetto ‘recinto’
era in semitico chiamato (9)
‘camera’ ovvero ‘t’a’ תא. Quindi qrn t’a (camera che porta, che mostra le corna) >baranta
(così come il numerale
‘quaranta’ > baranta ). Non si dimentichi che la costruzione venne
denominata Casteddu, in epoca più
tarda, per il solito pregiudizio dell’opera di scopo militare, perché imponente
e munita di un cortile o stanza interna.
6.
La
‘muraglia’ difensiva. L’opinione del Moravetti e dell’archeologia.
‘Recinto’ e ‘muraglia’ opere dell’eneolitico sardo.
Fig. 12. La cosiddetta ‘muraglia di Monte Baranta vista dall’esterno
Spostiamoci
ora dal ‘recinto torre’ alla cosiddetta
‘muraglia’ (fig. 12) e sentiamo ancora (pp. 47 -51) il Moravetti:
‘A poco più di un centinaio di metri a Nord –Ovest
del recinto torre sopra descritto, ma in situazione leggermente più elevata, si trova un breve ripiano roccioso,
marginato per due terzi del suo perimetro da un modesto dislivello e difeso da una poderosa muraglia in
opera poligonale nell’unico tratto aperto e quindi vulnerabile. Il dispositivo di
difesa era poi completato dallo stesso recinto torre che dalla sua posizione,
sul profilo dell’altopiano, poteva guardare direttamente sul territorio - cosa questa impossibile dalla muraglia e
poteva inoltre controllare agevolmente gli accessi al bastione naturale
sprovvisto di muro. Questa muraglia presenta andamento rettilineo (lunh. m 97) da Nord a Sud, per gran parte del suo
tracciato per poi piegare verso l’interno -
seguendo il profilo della roccia
– nell’estremità meridionale. E’ costruita con la stessa tecnica muraria
del recinto – a paramenti riempiti di pietrame – e si conserva per un’altezza
massima di m. 3.00 ed una minima di m 1,48, mentre lo spessore medio è di m
3,75 e quello massimo, in prossimità
dell’ingresso, risulta di m. 5, 00. All’interno della cinta muraria si accedeva
attraverso un’unica porta (alt. residua m. 1,70; largh. m 0,65 che tagliava lo
spessore murario nell’estremità settentrionale, a pochi metri dal dirupo, ed
introduceva in un corridoio rettangolare (lungh. m 5,10; largh. m 0,60; alt. m.
1, 60); gli architravi e i lastroni di copertura sono attualmente rovesciati
sul terreno. Appena superato il corridoio d’ingresso, nella parte destra della
muraglia è presente una scala a vista
analoga a quella del recinto torre; è stata ottenuta appoggiando alla
parete un muro costituito da un solo filare a profilo scalare. A causa del
crollo della parte alta della muraglia non è possibile precisare se questa
scala portasse ad un camminamento di
ronda - del quale non v’è alcuna traccia in tutta la lunghezza della
fortificazione – oppure direttamente allo spessore murario’.
Dunque,
il dato interessante e del tutto convincente, per scienza
archeologica, è che il tipo di
costruzione è analogo a quello del recinto torre. Quindi le due costruzioni
megalitiche possono dirsi contemporanee.
Quello che invece è poco o per nulla convincente è che essa costituisca
una fortificazione o muraglia di difesa, perché anche stavolta molto modesta è
l’altezza (così come nel recinto torre) ma soprattutto perché qui non può
essere invocato, dove più dove meno, uno spessore murario, magari con
anacronistiche strutture lignee per la difesa. La supposta muraglia è così
estesa che, ancor più del recinto torre, o era difesa dappertutto o non lo era.
E non lo era certamente perché proprio la parte esterna, con i suoi enormi
pietroni, qui e là provvisti di zeppe, dava la possibilità di accedere
sull’alto del muro con estrema facilità. E non lo era ancora perché, anche se
lo si suppone, non esisteva (10) il
camminamento di ronda e lo spalto. Pertanto, chi stava sul muro a difesa, era
per velleità grottesco (per non dire altro), perché soggetto facilmente ai
colpi dell’aggressore per l’irrilevante distanza tra il piano di campagna e
l’altezza del fabbricato.
7. La nostra opinione sulla costruzione megalitica. Il ‘serpentone’: sinuosità, occhio e coda. Toro e serpente.
Fig. 13 immagine (ribaltata) così come risulta nella pubblicazione da cui è tratta Fig.14
Ma, a parte questi rilievi, a nostro
parere, ci sono anche in questa costruzione dei dati oggettivi o non ben messi
in evidenza o del tutto omessi e che invece vanno ben rimarcati. Innanzitutto, il muro non ha mai andamento ‘rettilineo’ (come si
dice) ma sempre (dove più dove meno) sinuoso, a forma di serpente, ed è connotato dalla presenza di una coda a sud e di una testa a nord. Ciò si può vedere e dalle
fotografie scattate prima dell’intervento di scavo (fig.13) e di ricognizione
archeologica e poi da quelle realizzate dopo di esso (fig.14) . Ma se sulla
forma (ma non sull’esistenza!) della coda si potrebbe eccepire in quanto la
muraglia è compromessa e non più visibile come in origine, sulla testa non è possibile obiettare dal
momento che essa appare ancor oggi ben visibile. Visibile sia perché essa
presenta la parte muraria più larga in assoluto di tutti i 97 metri e sia
perché subito dopo si riscontra il
caratteristico collo sottile rispetto al resto del corpo di ogni serpente. Ma
ad avvalorare ancor più la presenza di questa ‘testa’ e del serpente, oltre
quello che si è detto, è la stessa costruzione dell’ingresso che con ogni
probabilità dava, con ingresso sulla sinistra, all’unica parte sicuramente cava
dello spessore della muraglia, con evidente scopo di realizzare la forma dell’occhio
e nel contempo, con ogni probabilità, un vano cultuale. Che questo vano -
occhio esistesse lo dimostra il fatto che
(da quanto si sa per scavi più recenti ) venne realizzata al suo interno
una capanna pastorale , vano questo che speriamo possa essere nell’immediato
oggetto di una indagine e studio più
profondi. Inoltre, ai fini ermeneutici, c’è da non sottovalutare un dato ben
‘leggibile’. Il fatto che al secondo recinto sacro (ovviamente cerimoniale,non più
quello del toro ma del serpente) si accedeva attraverso un’ unica porta con
un corridoio che, tracciato in quel
‘preciso punto’, tende a disegnare idealmente il caratteristico ‘collarino’ del
serpente. Quindi tutto porta a pensare che, non molto distante dai simbolici
imponenti astrali corni taurini della
‘camera templare’, non corresse un muraglione di difesa bensì un enorme
(megalitico) simbolico serpente. A
monumentalità delle corna corrisponde la monumentalità del serpente. Cosa questa che non sorprende se solo si
considera che successivamente (ma non sappiamo ancora quanto tempo dopo la
facies monte claro) il toro nella
‘scrittura’, architettonica e non, nuragica viene di norma abbinato al serpente
in maniera più o meno evidente, più aperta o più nascosta (v. figg. 15 e 16)
Fig.15 Fig.16
8.
Il significato cultuale della ‘camera
delle corna’. La scaletta, il camminamento, l’osservatorio astronomico e il
muretto funzionali per decretare il preciso momento per l’inizio delle
festività estive solari.
Fig.17 Fig.18
Ma quale culto preciso si svolgeva a Monte Baranta, in quella che era
chiamata ‘camera delle corna’? Lo si capisce se si interpretano prima, una per
una, le costruzioni, ovvero i pittogrammi
monumentali, e poi si ricava il significato del tutto collegandoli tra di loro.
Ci pare evidente che la costruzione delle corna o a ‘ferro di cavallo’ non sia
altro che il toro (la parte per il tutto: la fronte più le corna) che, come si è detto, possiede molto più poderoso il corno sinistro.
Questo particolare
permette di capire che il toro solare nel suo percorso celeste sostiene con il
corno sinistro lo sforzo continuo e ciclico delle sue fasi e in particolare di
quella solstiziale, quella più impegnativa, quando alla fine del suo percorso è
al massimo della culminazione. Questo indizio del corno sinistro che ‘sopporta’
e spinge verso l’alto, induce ovviamente a fare subito una certa verifica
sperimentale; perché ciò potrebbe voler significare che sulla parte superiore
della costruzione ci fosse un segno (o più ‘segni’) significativo della detta
fase calendariale estiva del massimo sforzo del sole. Infatti, se, attraverso i
gradini prima e il breve camminamento poi della scaletta posta sulla destra per
chi entra (fig. 17) si accede al colmo
della costruzione, si scopre subito che il ‘segno’ è dato, dopo un piccolo
ballatoio o slargo finale, dalla posizione e dall’orientamento di una risega
rettilinea della muraglia ciclopica costruita (la risega), non a caso, perpendicolarmente rispetto alla
parete frontale nel
punto di osservazione; risega che delimita, nella schematica fronte taurina,
il corno più potente da quello meno potente (fig.18). La risega stante su
quello specifico corno, è rivolto esattamente al tramonto del sole nel giorno
del solstizio d’estate (21 giugno) e pertanto quello giudicato e detto ‘spalto’
spalto non è, neppure per appendici lignee, in quanto si tratta semplicemente
dello spazio occorrente ai sacerdoti della costruzione taurina templare per
accedere e sostare nel punto di ‘osservazione’ per la visione dell’annuale
evento celeste. Infatti, il sole, per chi in quel preciso giorno dell’anno
accede a piccolo vano di osservazione realizzato superiormente, appare, nella
fase del tramonto, in perfetta congiunzione con il muretto. Potrebbe esserci stato
qualche palo sul muretto o anche
dell’ altro per calcolare ancor meglio l’esatto allineamento, ma quel
particolare architettonico con il muretto
di mira, costruito sulla parte più
grossa della costruzione (l’inizio del corno) all’aperto, segnala già con
precisione assoluta la esatta direzione del sole nel momento del tramonto del
sole il 21 di Giugno (v. fig. 2).
Perché
mai è più grosso proprio il corno sinistro?
Forse tutto nasce nell’antico Egitto, dove la direzione di riferimento era il
Sud; quel Sud da dove ha origine il Nilo ed il sole emana la sua massima
energia giornaliera nello sforzo esercitato per far salire da Est, ossia da “sinistra”
l’astro solare al culmine del mezzogiorno.
Fig.19
9. ‘ Sa fraicada’ di Bortigiadas. Il ‘ferro di cavallo’ e un altro, più che probabile, osservatorio astronomico del calcolitico.
Le studiose A. Depalmas e A. Deiana
citano (11) e riportano (con
disegno del Moravetti), un interessante monumento megalitico della località Fraicada di Bortigiadas anch’esso di facies monte claro. La costruzione si mostra anch’essa a ‘ferro di cavallo’ (12) e munita di analoga scaletta (fig. 20) posta appena al di
sopra della costruzione e non in asse con l’ingresso, così come in Monte Baranta. E, come in quest’ultimo,
essa parte dall’interno della ‘camera’, ma dalla parte sinistra di chi entra e
non dalla destra. In effetti la pianta
della costruzione megalitica sembra identica se non fosse che essa appare più
squadrata e senza la caratteristica grossezza significativa del corno sinistro.
Comunque, sarebbe molto interessante (costituirebbe una ulteriore prova di
quanto da noi sostenuto) sperimentare e cercare di sapere se anche quello che
appare come un osservatorio anche in
Sa Fraicada, risulta orientato
astronomicamente al solstizio estivo o abbia qualche altro orientamento.
10. Il significato ‘cultuale’ del serpente. Il simbolismo della ‘rinascita, della ciclicità della vita dell’astro solare e di quella degli uomini.
Tuttavia il culto del toro celeste, con il
sole spinto verso l’alto al massimo grado, non si ferma qui perché, i
sacerdoti, sicuramente grandi astronomi e scrupolosi osservatori dei fenomeni
astrali, sanno bene che in quel giorno del principio dell’estate, entra in
azione per il processo solstiziale o di temporaneo ‘stazionamento’ del sole,
non una sola forza straordinaria ma due. La detta ‘straordinarietà’ dell’evento
cosmico è tale anche perché oltre alla forza di sollevamento da parte del toro
c’è anche la forza enorme dell’arresto e quindi della ciclicità, ovvero quella
che consente al sole di fermarsi, girare e procedere, ancora una volta, nella
sua corsa in cielo. Ecco dunque che si spiega, con ogni probabilità, il perché della presenza del secondo
‘segno’, ovvero dell’enorme e poderoso pittogramma
monumentale in forma di serpente (l’apparente muraglia), l’animale che, come si
sa, nota simbolicamente, anche per i popoli del periodo storico, la luce
permanente e consente la vita (è padre della vita) del mondo. Animale però che
è assai pregnante (13) per
simbologia in quanto, 'cambiando pelle', avviandosi ad una nuova vita, offre ai
pellegrini del culto solare di quei giorni estivi, la possibilità di curarsi
anch’essi, di rinnovarsi, di ‘rigenerarsi’ e di ‘riciclarsi’. E si spiega così
anche la sintassi della ‘scrittura
monumentale’ che ci dice che il toro simbolico va abbinato al serpente
simbolico, che la forza taurina solare va abbinata alla ciclicità, alla
‘novità’, alla continuità e all’immortalità dell’astro e, per estensione, anche
a quella degli uomini che dal sole traggono luce, salute e sostentamento. Pregnanza da ritenere certa, tanto che non è da escludere che il culto del toro
‘forza’ e del serpente ‘rinnovamento’ riguardasse, anche e soprattutto, l’augurio della prosecuzione della vita dopo
la morte.
11. ‘Lettura sintattica’ del complesso di Monte Baranta.
A questo punto, a quella ‘scrittura’ complessiva, con supporto il
terreno, ovvero l’ampia pagina dello
spazio dell’altura, non può che seguire questa ‘lettura’:
Oggi, giorno del solstizio d’estate è quello della massima
culminazione del sole e quindi della sua vita. Il toro dal potente corno
sinistro consente ad esso di raggiungere il massimo della culminazione. L’astro
però non procede oltre: si arresta e torna indietro, riprendendo il suo corso
ciclico o a serpente immortale, invecchiando e andando man mano a morire, per
poi risorgere nello stesso tempo, nel solstizio d’inverno. Questo particolare
momento di ‘forza’ e della ‘muta’ del
serpente, del rinnovarsi vigoroso della luce e della vita del mondo, è quello propizio per il benessere, il
cambiamento di sorte e la salute delle persone. Ma è anche il momento per
invocare la divinità (14) perché si superi la morte
e si possa risorgere a nuova vita.
12. Altri due aspetti significativi del complesso megalitico. La ‘muta’ del serpente.
Ed ecco, forse, spiegati due dati
architettonici di apparente, difficile lettura. Il primo è quello dello strano, diverso aspetto murario della
muraglia ovvero del serpente che si presenta ‘squamoso’,
‘grosso’ e ‘vecchio’ all’esterno (Fig.21) e invece manifestamente molto più piccolo e
‘giovane’ (15) nella parte interna
del recinto (Fig.22), adibito, con i suoi ambienti (le cosiddette capanne), al culto e alle cerimonie salvifiche. La forte simbologia
del fuori - dentro, della attesa e della soluzione salvifica data dall’ingresso nello spazio cultuale,
ovvero l’ampio spazio interno a cui si
accedeva attraverso l’unica porta (posta significativamente presso la ‘testa’
del serpente), ci sembra abbastanza evidente. E si capisce che l’ampio recinto
al di là del serpente, è certamente area
sacra, area sacra come quella
molto più piccola della camera templare
delle corna. Corna taurine e serpente delimitano quindi superfici sacre,
non accessibili e contaminabili, che hanno il confine aperto verso l’arco
solare. Il secondo dato è quello relativo alla terza costruzione megalitica,
l’unica riconosciuta archeologicamente come templare, ovvero l’ovale (non il
cerchio, ma fa uguale) individuato dal Moravetti. Quelle rovine, purtroppo così
gravi, non sembrano offrire molti appigli per una corretta ‘oggettiva’
interpretazione dell’edificio. Ma esse potrebbero costituire, data la forma
geometrica ancora visibile e ‘leggibile’, il luogo del culto complessivo
deputato, come secondo tempo, per la simbolica rigenerazione (sacrifici,
preghiere, abluzioni) previsto dai sacerdoti per i pellegrini all’interno;
sembrano suggerire un secondo momento di
un percorso sacro (16) che andava dal recinto sacro della
testa del toro (questo il motivo delle
due porte?), al recinto sacro del tempio ‘ovale’ e quindi all’ampio recinto o
spazio sacro finale (v. fig.20) della testa del serpente.
Percorso
che potrebbe esser comprovato dal relitto di una antichissima strada ben
individuata e percorribile ancor oggi (v. tratto rosso di fig.23), che conduce
all'ingresso ricavato nella muraglia.
Fig.21 - Parete esterna della muraglia realizzata con tecnica ciclopica simboleggiante la pelle vecchia
Fig.23
Ciò, d’altro canto, sembra indicare la
stessa evidente intensa simbologia della ‘camera delle corna’, perché se essa davvero sussiste, dato l’ uso chiaro
di tutto lo spazio superiore del ‘monte’ con dei monumenti megalitici accostati, non poteva non sposarsi a
quella delle altre due costruzioni. E se è vero che ‘il recinto torre’ è
‘segno’ monumentale pittografico - ideografico del toro, se è vero che il
muraglione è segno o simbolo pittografico –ideografico del serpente, anche quel
segno ovale potrebbe essere un pittogramma - ideogramma che trova spiegazione
nella e con tutta la sintassi generale
del megalitismo di Monte Baranta. L’ovale, anch’esso edificio megalitico,
potrebbe rappresentare il serpente stesso che partorisce (attenzione al luogo
preciso in cui si trova la costruzione rispetto al serpente!) e rinnova se
stesso (17). In ultima analisi,
potrebbe alludere all’uroboro, il
serpente che svolta e che si avvia a ‘mangiare la (sua) coda’(18). Segni importanti del collegamento
simbolico toro - serpente - ovale sarebbero potuti essere l’orientamento verso
il solstizio estivo (quindi tre orientamenti e non uno solo) delle altre due
costruzioni megalitiche. Ma mentre l’esistenza del primo orientamento
solstiziale potrebbe essere ragionevolmente suggerito dall’analoga scaletta
presso la testa del serpente (sempre ‘interna’, anch’essa certamente non
conducente a nessun ‘cammino di ronda’ ma ad un altro punto elevato d’osservazione),
il secondo potrebbe, al massimo, essere indicato oggi dall’orientamento della
porta (19) e, chissà, da quello del
vicino betilo rovesciato, anch’esso, come si sa, chiaro simbolo solare.
Conclusioni. A Monte Baranta pellegrini e non soldati, feste religiose e non scene di sangue. Le prove dell’assunto.
Il complesso megalitico di facies eneolitica di Monte Baranta sembra costituire la realizzazione concreta, su scala monumentale, di un evento astronomico ciclico straordinario del sole, non solo significativo di per sé come dato celeste, ma anche come dato terreno per gli uomini, ovvero per i pellegrini del luogo e di altri luoghi più lontani della Sardegna eneolitica che simbolicamente venivano coinvolti annualmente dalla potenza luminosa taurina e dalla eternità, sempre luminosa, del serpente. Così come si mostra la potenza e si rigenera la luce così, in quel preciso giorno ‘miracoloso’, possono fortificarsi e rigenerarsi gli uomini. Quello che di prodigioso avviene in cielo può accadere anche in terra. Pertanto si fa festa e si celebrano annualmente il toro e il serpente celesti per la loro magica potenza benefica che di anno in anno dà sicurezza, salute, prosperità agli uomini e a tutto il creato. Non hanno quindi, a parere degli scriventi, senso alcuno (perché nessuna prova le conforta) le ipotesi di tipo militaristico avanzate dagli archeologi (e ancora sostanzialmente da essi mantenute) perché, tra l’altro, il monumentale e megalitico come ‘segno’ scritto sul terreno non va interpretato come ‘difesa’ da parte di ipotetici nemici ma come ‘religiosità’; intento ben mirato di glorificare, con la potenza della massa muraria delle costruzioni, la potenza della divinità con gli attributi simbolici delle corna e del serpente. Tutto induce a pensare e a ritenere che sul colle di Monte Baranta non si difendevano e proteggevano aree ‘civili’, abitazioni o altro, di tribù, ma si delimitavano superbamente aree, vani e camere sacre (20) per lo svolgimento di particolari riti estivi annuali di invocazione e/o di ringraziamento per il dio detentore della forza di un evento luminoso che, per l’assoluto mistero e la singolarità, gli uomini di allora potevano vedere e ammirare ma non certo spiegare.
Ricapitolando,
le prove da noi addotte per l’assunto
sono di natura:
a) astronomica: allineamento del muretto del possente corno
sinistro taurino con il disco dell’ astro solare al tramonto in quel preciso
giorno estivo.
b) archeologica: il megalitismo per realizzare non opere
militari ma opere religiose significanti il ‘grandioso’, il ‘poderoso’, ‘ciò
che è straordinariamente potente e nello stesso tempo luminoso (più tardi il cosiddetto ‘nuragico’). L’analogia architettonica con la costruzione, di facies ‘monte
claro’, Sa Fraicada di Bortigiadas.
c) epigrafica (pittografia
e ideografia monumentali): toro,
serpente, uovo (ellisse).
d) linguistica: la voce semitica ‘qrn’, קרן verbo con significato di ‘portare corna’ più
la voce “t’a”, את che significa ‘camera’ (all’interno di un
sistema di porte).
e) documentaria : abbinamento costante dei simboli toro -
serpente nella iconografia sarda dei due millenni successivi.
Note e indicazioni bibliografiche
1. Angei S., 2016, Sincretismo religioso tra nuragico e romano. La porta del toro
luminoso. L’architettura della luce, in maymoni blog (21 febbraio), 1; Sanna G., 2016, Scrittura
nuragica. Tharros (Murru Mannu): a tanta architettura sacra tanta scrittura
sacra. La porta santa (sha’ar sa ‘an)
e i segni del sublime nascosto, in
maymoni blog (29 marzo) .
2. In realtà anche il complesso monumentale ‘megalitico’ nuragico di Gremanu di Fonni, il fallo di oltre 85 metri di lunghezza può essere ascritto, insieme alla ‘vulva’ (edificio che si trova un po’ più avanti e nella stessa direzione), a questa tipologia di ‘scrittura’ ideografico - pittografica simbolica realizzata sul terreno. Infatti, anche in Gremanu si trova, all’interno dello stesso ‘fallo’, il recinto sacro con le sue pertinenze per i pellegrini del santuario e per gli addetti al culto. V. Atropa Belladonna, 2013, I documenti ‘ufficiali’ della Sardegna arcaica (4), in Monte Prama blog (17 aprile); 2014, Falli di cultura nuragica, in Monte Prama blogspot.com ( 21 settembre). Sulla presenza di detto ‘fallo’ non si pronunzia mai l’archeologa che ha condotto gli scavi del sito. V. Fadda M. A., 1992, Fonni (Nuoro). Località Gremanu, Complesso di fonti, in Bollettino di Archeologia, 13 -15, pp. 169 -170; eadem, 1993, Fonni (Nuoro). Complesso nuragico di Madau o Gremanu, in Bollettino di Archeologia, 19 - 21, , pp. 176 -181; eadem, 1997 , Fonni (Nuoro). Località Gremanu. Complesso di templi nuragici, in Bollettino di Archeologia, 43- 45, 1997, pp. 242-245; eadem , Gli architetti nuragici di Gremanu, in Archeologia Viva, n. 62, maggio - giugno 1997, pp. 70 -75.
3. Moravetti A.,1979, Notiziario, in ‘Rivista Scienze Preistoriche’, XXXIV, p. 334
e segg.; idem, 1981, Nota agli scavi del
complesso megalitico di Monte Baranta, in ‘rivista di Scienze
Preistoriche’, XXXVI, p. 281 e segg.; idem,1988, La cultura di Monte Claro nel Sassarese, in ‘L’età del Rame in
Europa’, Rassegna di Archeologia, 7, pp. 528 - 529; idem, 1998, Muraglie megalitiche e recinti nella
Sardegna prenuragica, in Miriam S.Balmuth - Robert H.Tykot (edd.), Sardinian an Aegean Chronology, Osbow
Books, pp. 161 -178, Oxford ; idem,1999, Il
complesso megalitico di Monte Baranta, in ‘Nuovo bollettino archeologico
sardo, 5 (1993 - 95), idem,
2000, Sardegna archeologica. Guide e itinerari. Il complesso prenuragico di
MONTE BARANTA, Delfino, Sassari; Contu E.,1981, L’architettura nuragica, in
AA,VV, Ichnussa, Milano, p. 109; p. 64, figg. 109 -112; Lilliu G., 1988, La civiltà dei Sardi dal paleolitico all’età
dei nuraghi, ERI, Torino, pp. 131-135,
155, 159, 255, 286, 603. tav. 18:
4. V. Depalmas A - Deiana A. 2011, La fase finale della cultura Monte Claro e il rapporto con i successivi aspetti culturali dell’età del bronzo, in XLIII Riunione scientifica. L'Età del Rame in Italia. pp. 135 -142
5. Moravetti A., Il complesso prenuragico ecc. cit., pp. 47 - 50.
6. Le voci semitiche ‘bibliche’ non sorprendano. Potrebbero essere, data la nota derivazione di molti passi dei libri della Bibbia da fonti orali e scritte molto più antiche, anche del calcolitico. Gli scribi astronomi che hanno realizzato la simbologia di Monte Baranta erano sicuramente in possesso della scrittura (che oggi, come si sa, si tende a riportare ad un periodo anteriore anche al secondo millennio a.C.) e potrebbero essere stati di antiche origini ‘cananaiche’, con influssi culturali, non solo di natura astronomica, sia mesopotamici che egiziani. Tuttavia, parole come קרן e תא potrebbero essere anche di un periodo successivo, quando Monte Baranta fu frequentato (ovviamente per motivi di continuità delle usanze e delle cerimonie festive legate al culto del sole), come ci dice la stessa archeologia, da popolazioni nuragiche dell’età del bronzo antico e medio. Non si dimentichi la radicata e antica ‘religio’ cananaica del culto del sole, della luna e degli astri così esecrata durante il periodo di revisione deuteronomistica del V.T. E teniamo presente anche l’ opinione di chi oggi tende a vedere nella cultura del rame di ‘monte claro’ (fase finale) caratteristiche vicine a quelle della cultura del bronzo cosiddetta ‘nuragica’ ( Depalmas A., 2011, La fase finale della cultura Monte Claro e il rapporto con i successivi, ecc. cit., pp. 135 - 142.
7. Es 34,29
8. Wagner L.W., 1984, Fonetica storica del sardo (Introduzione, traduzione e appendice di G.Paulis). Trois ed. Cagliari, pp. 224 -226; Idem, DES, 2008 (a cura di G. Paulis), Ilisso p. 151.
9. Ez. 40, 21: stanza, camera (all’interno del sistema delle porte del tempio).
10. Infatti, la scaletta addossata all’entrata della muraglia e subito dopo la porta, è dello stesso preciso tipo di quella del ‘recinto’ e, con ogni probabilità, portava ad un altro osservatorio per il calcolo calendariale del solstizio estivo (v. più avanti).
11. Depalmas A. – Deiana A., 2011 La fase finale della cultura Monte Claro e il rapporto con i successivi, ecc. cit., p. 138.
12. Sarà stata una mera coincidenza ma forse è appena il caso di ricordare che il famoso complesso megalitico di Stonehenge, grosso modo contemporaneo alle costruzioni di Monte Baranta e di Sa Fraicada di Bortigiadas, ha la stessa simbologia del ‘ferro di cavallo’ (in realtà schema taurino) e l'orientamento all'alba del Solstizio d’estate.
13. V. Chevalier J. - Gheerbrant A., 1982, Dictionnaire des Symboles. Mythes, rêves, coutumes, gestes,forms,couleurs, nombres, ed. Jupiter, Paris, pp. 866 -879.
14. Se davvero la cultura religiosa ‘monte claro’ anticipa quella ‘nuragica’ si può ragionevolmente supporre che la divinità o fosse lo stesso yh (yhwh) o una divinità molto simile a questa. Nella religiosità nuragica il sole e la luna, il disco della luce che li nota, sono al primo posto nella venerazione e nel culto. Immagini soli - lunari sono assai ricorrenti per quasi due millenni, ma gli scribi tendono sempre a sottolineare o con il nome specifico o più spesso con il pronome (hê) , che la luce e gli astri sono una sua manifestazione, non la divinità. In perfetta sintonia con i primi passi del libro della Genesi in cui il Dio prima crea la luce in sé e poi quelle diurna e notturna per mezzo di una lampada maggiore ed una minore. Essi non sono la sua essenza ma mezzi per trasmetterla. Pertanto a Monte Baranta il culto del sole Toro –Serpente era, in ultima analisi, il culto per il Dio del padre della Luce e della vita del mondo.
15. Questo e non altro sembra voler significare il doppio ‘stile’ decorativo della costruzione megalitica. Muro esterno di una certa tipologia e muro interno, quello dell’area sacra, di un’ altra. Ad osservarlo attentamente sembra che si suggerisca una contrapposizione tra vecchio muro e nuovo muro, tra un muro più ‘sporco’ e ‘disordinato’, con pietre enormi e irregolari, rispetto ad un muro ‘nitido’, ‘lineare’, ‘gradevole’ a vedersi. Ma comunque e sempre lo stesso potente muro, E sembra contare quindi di nuovo non l’architettura ma quello che suggerisce quella particolare architettura, i simboli nascosti e non l’apparenza. Il concetto di rigenerazione e di ‘nuova vita’ sembra essere già presente , una volta entrati, alla vista dei pellegrini nel grandioso scenario megalitico, di quasi cento metri, delle nuove pietre, tutte ben ordinate e tutte regolari.
16. Ciò porta a credere il fatto che i tre monumenti siano staccati. Si può ipotizzare che in ciascuno avvenisse una cerimonia diversa ma che tutte fossero tra loro collegate. I pellegrini forse erano guidati per un triplice percorso iniziatico fatto di momenti di cui ovviamente mai sapremo nulla. Ciò sembra suggerire l’assai più tardo complesso religioso megalitico nuragico di Gremanu di Fonni (v. nota 2).
17. Il ‘rigenerarsi’ del serpente sembra essere, oltre quello fonetico (v. Sanna G., 2009, Scritta vicino al Nuraghe Losa, sempre vista mai guardata, in gianfrancopintore blogspot.com , 31 agosto), il significato simbolico della serpentella della pietra del Nuraghe Losa di Abbasanta (v. fig. 12). Questa sembra costituire, stante l’ analogia iconografica, quasi una ‘explicatio’ della ‘scrittura’ monumentale di Monte Baranta. Sono trascorsi mille anni circa tra la costruzione degli edifici megalitici di Monte Baranta e quello, ugualmente megalitico, abbasantese, eppure la ‘religio’ di fondo legata alla forza e alla ciclicità dell’astro sembra continuare. E se c’è, come sembra esserci, una correlazione tra la pietra scritta (distante qualche decina di metri) e l’edificio nuraghe (anch’esso con simbologia toro - serpente luminosi), questo vuol dire che ‘leggono’ bene quegli archeologi che insistono sulla continuità culturale tra l’età del rame sardo (facies ‘monte claro’) e quella del bronzo.
18. Questo il significato generale della parola e del simbolo uroboro: ‘E’ un simbolo molto
antico che rappresenta un serpente che si morde la coda, ricreandosi
continuamente e formando così un cerchio dell'eterno ritorno. L'esistenza di un nuovo inizio che avviene
tempestivamente dopo ogni fine. Il cerchio simboleggia l'immagine del serpente
che da sempre cambia pelle e quindi, in un certo senso, ringiovanisce. L'
uroboro rappresenta il circolo, la metafora espressiva di una riproduzione
ciclica, come la morte e la rinascita, la fine del mondo e la creazione, e di conseguenza
anche l'eternità iconograficamente rappresentata dal cerchio stesso’.
19. L’ ovale sacro sembra avere anch’esso, se si considera l’ingresso dell’edificio, un orientamento ad Ovest.
20. Già nel 2010 l’ipotesi della ‘sacred area’, sia sulla base delle notevoli incongruenze presenti nello studio del Moravetti sia sulla base dei calcoli astronomici riguardanti le costruzioni megalitiche di Monte Baranta (e di altri siti ancora), è stata sostenuta, in modo dubitativo, nel saggio di G. Magli et alii (v. The megalithic complex of Monte Baranta in Sardinia: a pilgrimage center of the early Bronze Age? Complutum, 2011, Vol. 22 (1): 107-116). Detta ipotesi, da quanto sappiamo, non è stata mai presa in considerazione dagli archeologi sardi. Lo dimostra lo stesso saggio, già citato della Depalmas, dove sostanzialmente si accettano per tutto il complesso le ipotesi difensivistiche del Moravetti.
* Il presente articolo non vuole essere altro che un’ anticipazione di
quanto sarà da noi riportato, in uno studio specifico sulla ‘scrittura
monumentale’ di Monte Baranta e dei nuragici, nel numero 68 della rivista Monti Prama.
Un regalo solstiziale stupendo, ci avete fatto camminare all'indietro nel tempo e nello stesso tempo vedere luoghi che molti di noi non hanno mai visto. Devo andarci questa estate, assolutamente. E non solo per quello che scrivete voi tre, ma per verificare alcune impressioni visive.
RispondiEliminaNell'articolo che citate in nota 20 anche lì si parla, se ricordo bene, di allineamento verso il tramonto del solstizio estivo dell'apertura della struttura ellittica (non circolare, infatti anche loro lo hanno notato); quindi questo rafforza il dato di fig. 17 e 18 vostre. E lo rende spettacolare, perchè non era facile la storia della scaletta. Bravissimi.
Ciao,mi chiedo sotto la fascia di alberi o cespugli che sembra avvolgere il sito,cosa c'è?Roccia o terreno?Mi incuriosisce perchè sembra un semicerchio che abbraccia il muro.Se ci sono alberi c'è terra e magari la storia continua.......Grazie, siete uno stimolo non indifferente
RispondiEliminaIo spero che il nuovo sindaco di Olmedo, fresco fresco, comprenda il valore immenso dal punto di vista non solo archeologico di questa scoperta. E chi mai può vantare, per il calcolitico, un sito archeologico di quella chiara, manifesta e indubitabile grandezza? Forse dire una 'Stonehenge sarda' non costituisce un'esagerazione. Ma lì i 'pellegrini moderni' arrivano da tutte le parti del mondo. Perché non anche in Sardegna?
RispondiEliminaPerchè lì ci sono delle muraglie mega(po)litiche più possenti di quella serpentiforme di Monte Baranta; e quelle sì con funzione difensiva; ma senza testa, non come quel serpente che ce l'ha eccome. Cavoli che bella cosa che vi si è "manifesta".
EliminaNon è un caso Belladonna che il sacro si manifesti a chi ha "occhi" per vedere e orecchie per" sentire".
EliminaBella questa! Il 'megapolitichismo' è da rubare. Il grottesco è il fatto che addebitano (perfino a te, pensa un po'!)a noi 'sardismo' e inevitabile 'mitopoiesi'. Pasticcioni e superficiali in tutto. Quando non sono in malafede. Comunque, chi se ne frega! Lo sai chi è il direttore degli scavi di Monte Baranta? Il nostro amicone dei 'segni senza significato'. Sì, proprio lui. Ho visto un derelitto cartello buttato per terra, dietro una rete malandata nei pressi del cancello d'ingresso al sito. Figurati un po' la propaganda che farà per i 'segni' di Monte Baranta anch'essi senza 'significato'. Correrà dal sindaco di Olmedo per comunicargli che non è affatto vero che si è scoperto che il monte possiede diamanti grandi come un uovo! Tutto orrendo pietrame dei Sardi che si sono da sempre scannati!
RispondiEliminaOje! aiuto, che mi dici...
EliminaComplimenti a tutti per il lavoro! Davvero interessante. A caldo, dopo una prima e rapida lettura, la presenza della camera (a cielo aperto)e a ferro di cavallo con corno asimmetrico mi ha fatto venire in mente la camera (ma a scrigno, chiuso) del tempietto di malchittu di arzachena, anch'esso a ferro di cavallo, con corno asimmetrico (ma forse c'è una ragione topografica che l'ha determinata) e forse orientato allo stesso modo. Dagli archeologi è considerato uno dei primi esempi di tempio in antis sardo...
RispondiEliminaAngelo, potresti interessarti più a fondo di Malchittu? Magari potresti studiarlo con Sandro. Quando sento 'considerazioni' degli archeologi mi vengono i brividi...Sembrano parlare con la bocca di Dio anche quando dicono autentiche stupidaggini.
RispondiEliminaSi certo, ho recuperato proprio ieri la pubblicazione della Ferrarese-Ceruti, vediamo se sono scivolato...
EliminaAngelo hai ragione, il tempio di Malchittu ha lo stesso orientamento di quello di Monte Baranta.
EliminaDa un primo riscontro, sono propenso per un orientamento all’alba del solstizio d’inverno, benché non si possa escludere anche l’orientamento al tramonto del solstizio d’estate, ma risulta più problematico per via dei monti che spostano il tramonto locale.
Come a Monte Baranta il corno storto è quello di sinistra… sempre lui, ossia quello rivolto a sorgere del sole.
Ok, si può approfondire, perché avevo notato la stranezza dell'anta un po di tempo fa...ma ricordo di aver letto anche che si considerava una ragione topografica, una deviazione obbligata dal terreno, ad averla determinata. Va rivisto un po tutto...
Eliminahttps://pierluigimontalbano.blogspot.com/2018/06/archeologia-per-una-nuova.html?m=1
RispondiEliminaSi è tornati a parlare di Monte Baranta ... (con citazione, perlomeno, di questo articolo).