martedì 20 dicembre 2016

IL BRONZETTO DI SANTA LULLA DI ORUNE: un'analisi interpretativa

di Angelo Ledda

Si veda anche il seguente link

1. Considerazioni generali

In un precedente articolo ho ipotizzato che una buona parte delle sculture nuragiche registrino nella loro figura alcune fasi di quelli che Van Gennep ha definito “riti di passaggio” [1], ovvero quei riti che accompagnano ogni modificazione di posto, di stato, di posizione sociale e di età.
Se lette con questo sguardo, queste sculture ci mostrerebbero allora, le fasi di una sequenza che prevede:

1. una fase di separazione;
2. una fase liminale (da limen, confine) o di margine;
3. una fase di aggregazione;

La fase liminale è quella sulla quale mi sono maggiormente concentrato, riferendomi  sia alle figure inserite da Lilliu nello Stile Ornamentale-Planare e che possiamo dire essere “mascherate” (o rivestite di signa e 'sepolte da una spessa incrostazione rituale'), sia quelle "caricaturali-animalesche", ovvero figure fisicamente “transitorie”, non più umane ma non ancora bestiali, o talvolta prive dei caratteri del volto.
Il ragionamento muove dalla considerazione che entrambi i tipi di figure, anche quando differenti sotto il profilo espressivo e iconografico, non siano separabili perché ne condividono la stessa visione.

Un bronzetto su tutti mette in crisi la distinzione stilistica operata da Lilliu: lo straordinario bronzo detto Offerente-Cantore di Santa Lulla di Orune [2] (1200-900 a.C.), che se per un verso mostra ottima definizione dei valori formali, perizia tecnica nell'esecuzione e cura del dettaglio (valori riconducibili allo Stile Uta-Abini), dall'altra mostrerebbe uno di quei "bifolchi e cafoni" lilliani, più propri dello Stile Mediterraneizzante.
Carlo Tronchetti così ha scritto: “Ma statuette come quella del Nuraghe Santa Lulla di Orune che raffigura un personaggio orante/offerente, rivelano novità iconografiche e stilistiche di tutto rilievo. L'accentuato prognatismo che foggia una figura dal volto che potremmo definire deforme, pur tuttavia rivela un'attenta cura dei dettagli, le cui cifre stilistiche siamo in grado di accostare ad altri bronzetti”.[3]

2. Analisi iconografica


La figura ha le gambe infisse nella colata di bronzo.
Queste sono flesse in modo che la figura appaia reclinata all'indietro, dato che suggerisce alla Fadda l'atto del danzare.
Il corpo è pressoché nudo, ad eccezione del gonnellino che si presenta come un telo avvolto su se stesso, del quale si individuano la giunzione dei lembi e il cosiddetto astuccio penico.
Il busto “planare” (o a placca) è esasperato e richiama alcuni bronzi tra cui il nr. 158 o il nr. 163 del catalogo di Lilliu [4]; più in generale, tale planarità, è propria del sottogruppo Ornamentale-Planare (stando alla classificazione stilistica di Lilliu) e può essere ricondotta anche ai busti di Mont'e Prama.
Sul petto, analogamente all'ombelico, i capezzoli sono rappresentati a doppio cerchio, anche se potrebbero trattarsi di spirali continue. La testa è sferica, poggiata su un collo stirato e allungato, ed è anch'essa rivolta verso l'alto. La sommità del capo è avvolta da due incisioni ortogonali tra loro, una delle quali procede da un orecchio all'altro, mentre la seconda raggiunge la fronte, quest'ultima solcata da una ulteriore incisione a definizione dell'arcata sopraccigliare.
Gli occhi, a doppio cerchio, sono incavati, tanto da non potersi escludere che ospitassero un inserto d'altro materiale (brillante?). 
Quello degli occhi a doppio cerchio è un segno ampiamente diffuso nella statuaria nuragica ed è a Mont'e Prama che raggiunge la perfezione geometrica.
Anche le orecchie, seppur non a ventola come alcuni altri esempi bronzei, sono segnate e definite da una forma sub-circolare tendente alla ellisse.
Il naso non è oblungo ma comunque pronunciato, per lasciare spazio ad una bocca esagerata, formata da labbra enfatizzate e nettamente separate tra loro, dettaglio che ha suggerito alla Fadda che la figura rappresentata sia quella di un cantore.
Infine, nella mano sinistra reca un oggetto di forma troncoconica cava, interpretata come ciotola o focaccia, mentre nulla si può dire della mano destra, in quanto il braccio è fratturato. La parte sopravvissuta segue il medesimo andamento del braccio sinistro, facendo escludere la diffusa mano in segno di saluto, salvo che questa non fosse rivolta verso il basso, in posizione quasi orizzontale [come negli esemplari 33, 74 e soprattutto 144, 151, 154, 167, 168, 169 ecc.del catalogo di Lilliu.]. Nel complesso, la Fadda parla di accentuato prognatismo (con “forti caratteri negroidi”), riconducendo di fatto la figura a molti esemplari che Lilliu ha inserito nello Stile Mediterraneizzante.

3. Analisi iconologica

La proposta interpretativa che avanzo sulla base di quanto detto in premessa è la seguente:
il prognatismo e i “forti caratteri negroidi”, in realtà, vanno ricondotti  ad un processo di imbestialimento e ad una trasmutazione del corpo ancora in corso (azione performativa).
La figura è in procinto di disumanizzarsi per raggiungere una forma “animale” (taurina?) e questo gli conferisce il tratto grottesco e caricaturale, ma soprattutto il suo valore liminale in quanto “ibrido”.
La bocca pronunciata potrebbe pure riferirsi alla rappresentazione di un cantore, ma non deve essere escluso che si tratti di una sorta di 'muggito' o di un urlo 'disumano', dovuto allo stato di alterazione fisica. Secondo la sequenza dei riti di passaggio, il personaggio rappresentato ha probabilmente già attraversato la fase di separazione, ovvero il distacco dell'individuo del gruppo (o da un punto precedentemente fissato della struttura sociale, da un insieme di condizioni culturali o da entrambi) e questo lo si può dedurre dal taglio dei capelli (che ne determina la sua impersonalità, cioè la sua riduzione ad una condizione uniforme, nuovamente plasmabile) e dalla presenza del telo avvolto per coprire il sesso - comunque segnato dall'astuccio penico - forse a seguito di una fase di purificazione nell'acqua, in nudità rituale.
Si trova invece nella seconda fase, quella liminale (o di margine) che, come già detto, gli conferisce la dimensione ambigua e ibrida (trasmutazione, imbestialimento) e tale performance è registrata nella figura.

Interpreto quindi il bronzetto come un neofita ed infatti, come ha scritto Turner:Gli esseri liminali, come i neofiti nei riti di iniziazione o della pubertà, possono essere rappresentati come chi non possiede niente. Possono essere mascherati da mostri, essere coperti soltanto da una striscia di tessuto o essere del tutto nudi”.
Il busto planare lascia pensare ad una stele, un supporto sopra il quale tutto può e deve essere ancora scritto: “il neofita nella liminalità deve essere una tabula rasa, una lavagna vuota, sulla quale viene inciso il sapere e la saggezza del gruppo per gli aspetti che si riferiscono al nuovo status. Le dure prove e le umiliazioni, spesso di carattere fisico e volgare, alle quali vengono sottoposti i neofiti rappresentano in parte una distruzione dello status precedente e in parte intendono temperarli per prepararli ad affrontare le nuove responsabilità e trattenerli fin da ora da un abuso dei nuovi privilegi. Gli deve essere mostrato che di per se stessi non sono che argilla o polvere, semplice materia, sulla quale la società imprime una forma”. [5]

Una caratteristica comune a tutta la statuaria nuragica è l'a-simmetria, nel senso che le figure che osserviamo, per come concepite, lasciano sempre immaginare una presenza 'altra' che gli sta di fronte (senza raffigurarla) e queste, come specchi, sembrano rifletterne la natura e le sue caratteristiche
L'agente, la fonte, sembra provenire dall'alto, come la flessione delle gambe e la testa reclinate all'indietro lascerebbero intendere, ma essa può suggerire semplicemente lo stato di abbandono passivo alla potenza di quanto gli sta davanti.
Il corpo del bronzetto di Orune è ricettivo, è poroso: gli orifizi del corpo sono sottolineati (occhi, orecchie, capezzoli, ombelico e la stessa bocca), ma questi sono già i primi segni sacri “geroglifici” che indicano chi e come, sta agendo dall'esterno.

Direi, in conclusione, che a me pare di osservare la figura di un personaggio che è in procinto di assorbire e introiettare un 'sapere' destinato a pochi (la rivelazione del divino, le sue immagini, le sue formule); una acquisizione che avrà richiesto e richiederà numerose prove all'interno di un complesso rituale, appunto, “di passaggio”.
Quando questo sarà raggiunto - dopo questa “seconda nascita” - possiamo immaginare che la figura sarà reintrodotta nella comunità nel suo nuovo 'stato' (fase di aggregazione), ostentato attraverso i signa e con tutti gli apparati cerimoniali del caso che gli conferiranno non soltanto lo stato di “Toro”, ma per usare le parole di Atropa, di un "Toro luminoso"[7].

E le sculture che ci mostrano i "Tori luminosi" - e che avranno cioè superato la fase liminale del bronzetto in questione; quindi non più solo tori/bestie, ma completamente rivestiti dei sacri signa, custodi dello 'splendore' divino - non avranno più una 'sgraziata' bocca aperta, ma solo un piccolissimo segno - come nel caso dei Giganti di Mont'e Prama - indice di mutismo, come di chi quella sapienza ha udito e visto, ma è costretto ad un religioso silenzio. Perché ciò che è stato appreso rimanga indicibile, per sempre nascosto [8].

Foto di Giacomo Mulas

NOTE:
[1] Van Gennep, I riti di passaggio, Bollati Boringhieri, Torino, 1981. Il testo è stato pubblicato la prima volta con il titolo originale Les rites de passage (Parigi, 1909). Il tema è stato sviluppato da Victor Turner (1966).
[2] Maria Ausilia Fadda che ha scavato il sito nuragico di Santa Lulla di Orune, nuraghe complesso con torre centrale più quattro torri in addizione concentrica, a poca distanze dalla Fonte Sacra di Su Tempiesu, così scrive: “Un sondaggio condotto all'interno di una capanna del villaggio, sul lato Nord-Est, ha confermato la tipologia di materiali documentata negli strati del Bronzo Medio delle torri mentre nei livelli superiori relativi al Bronzo Finale e alla Prima Età del Ferro sono affiorati i segni di una probabile attività fusoria attestata dalla presenza di lingotti a “panella”, di oggetti di bronzo frammentari e di un bronzetto di offerente con viso dai forti caratteri negroidi che offre una ciotola mentre danza e canta. Il singolare cantore conserva sotto i piedi la colata di piombo che lo teneva fissato al basamento per le offerte esposto nel tempio sottostante”
(Maria Ausilia Fadda, Nel segno dell'acqua. Santuari e bronzi votivi della Sardegna Nuragica, Carlo Delfino Editore, Sassari, 2013, p.47)
[3] Carlo Tronchetti, “I bronzetti 'nuragici': ideologia, iconografia, cronologia” in Annali di archeologia e storia antica. Dipartimento di studi del mondo classico e del Mediterraneo Antico di Napoli – Nuova serie n. 4, 1997
[4] Giovanni Lilliu, Sculture della Sardegna Nuragica, Illisso 2008, riedizione dell'opera del 1966;
[5] Victor Turner, Il processo rituale. Struttura e antistruttura, Ed. Morelliana, Brescia, 2001(Titolo originale dell'opera: The Ritual Process. Structure and Anti Structure del 1966), p. 120
[6] Questi temi li ho affrontati in Angelo Ledda, "Monte Prama: tra organicità e astrazione", Monti Prama n.67 (2016) e nei post “L'altro di fronte a sé” (in Montepramablog del 5 gennaio 2015) e “L'inafferrabile visione” (in Maymoniblog del 3 settembre 2015 )
[7] Ritengo abbia assolutamente ragione Atropa quando legge i Giganti di Mont'e Prama come “tori della luce”. Sul tema si vedano Angelo Ledda, "Monte Prama: tra organicità e astrazione" e Atropa, “Light is Life. I Giganti Tori della luce del Sinis” entrambi in Monti Prama n.67 (2016);

[8] Scrive Max Guilmot: “immagini e formule, ecco ciò che deve rimanere per sempre nascosto. Il silenzio è la regola” (M. Guilmot, Iniziati e riti iniziatici nell’antico Egitto. Silenzio – Sapere – Potere, trad. it., di L. Pietrantoni, Edizioni Mediterranee, Roma 1999);

BIBLIOGRAFIA:

  • Atropa Belladonna "Umano sarà lei!" in Montepramablog.it del 04.05.2014
  • Ranuccio Bianchi Bandinelli, Organicità e Astrazione (1956), Electa 2005;
  • Michail Batchin, L'opera di Rabelais e la cultura popolare, Biblioteca Einaudi, Torino, 1965;
  • Anna Depalmas in “La figura umana nell'arte nuragica”, dal testo di G. Tanda, C. Luglié, Il segno e l'idea. Arte preistorica in Sardegna, CUEC editore, 2008
  • Maria Ausilia Fadda, Il Museo Archeologico Nazionale di Nuoro, Carlo Delfino Editore, Sassari, 2006
  • Maria Ausilia Fadda, Nel segno dell'acqua. Santuari e bronzi votivi della Sardegna Nuragica, (Sardegna Archeologica - Guide e Itinerari - nr. 17) Carlo Delfino Editore, Sassari, 2013
  • Van Gennep, I riti di passaggio, Bollati Boringhieri, Torino, 1981. Il testo è stato pubblicato la prima volta con il titolo originale Les rites de passage (Parigi, 1909)
  • Ralph Araque Gonzales, “Sardinian Bronze Figurines in their Mediterranean setting” (2012)
  • Max Guilmot, Iniziati e riti iniziatici nell’antico Egitto. Silenzio – Sapere – Potere, trad. it., di L. Pietrantoni, Edizioni Mediterranee, (Roma 1999)
  • Angelo Ledda, "Monte Prama: tra organicità e astrazione" in Monti Prama n. 67 (2016)
  • Angelo Ledda, “L'altro di fronte a sé” (in Montepramablog del 5 gennaio 2015
  • Angelo Ledda, “L'inafferrabile visione” (in Maymoniblog del 3 settembre 2015 )
  • Angelo Ledda, "Millenovecentoquarantanove: una sorta di terrore religioso per la perfettibilità" in Maymoniblog del 10/06/2015
  • Angelo Ledda,"Classico e Anticlassico: la forma ritmica della storia culturale europea" Maymoniblogdel 14/07/2015;
  • Angelo Ledda, “A un passo dall'impossibile:organismi e meccanismi 'mostruosi'” in Monti Prama n.68 (giugno 2016), PTM Mogoro
  • Angelo Ledda, “A un passo dall'impossibile: teratomanzia e logica geroglifica” pubblicato nel Maymoniblog in data 12 luglio 2016
  • Atropa B., “Light is Life. I Giganti Tori della luce del Sinis” in Monti Prama n.67 (2016)
  • Giovanni Lilliu, Sculture della Sardegna Nuragica, Illisso 2008, riedizione dell'opera del 1966
  • Marcello Madau, “Le maschere di bronzo” dagli “Atti della XLIV Riunione Scientifica, La preistoria e la protostoria della Sardegna, vol. III – Comunicazioni”, Università degli Studi di Cagliari (2009)
  • Gigi Sanna, Sardoa Grammata 'ag'ab sa'an yhwwh, S'Alvure, Oristano, 2004;
  • Gigi Sanna, I segni del Lossia Cacciatore, S'Alvure, Oristano, 2007
  • Gigi Sanna, La stele di Nora, Il dio, il dono, il santo, PTM Mogoro 2009
  • Carlo Tronchetti, “I bronzetti 'nuragici': ideologia, iconografia, cronologia” in Annali di archeologia e storia antica. Dipartimento di studi del mondo classico e del Mediterraneo Antico di Napoli – Nuova serie n.4, 1997
  • Victor Turner, Il processo rituale. Struttura e antistruttura, Ed. Morelliana, Brescia, 2001(Titolo originale dell'opera: The Ritual Process. Structure and Anti Structure del 1966). 


11 commenti:

  1. Angelo, questo articolo è bellissimo. Sai chi mi hai fatto venire in mente con "La bocca pronunciata potrebbe pure riferirsi alla rappresentazione di un cantore, ma non deve essere escluso che si tratti di una sorta di 'muggito' o di un urlo 'disumano', dovuto allo stato di alterazione fisica". La prima volta che Jekyll si trasforma in Hyde e l'urlo per il dolore della trasformazione.
    Però qualcuno mi ha detto invece che le ha fatto pensare a s'erkitu, "una roba sarda" ha detto. Un uomo bue o toro, dove s'erkitu significa l'urlo.
    Ma fa uguale.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie Atropa! Non avevo pensato a s'erkitu, hai ragione però, la relazione ci sta tutta...

      Elimina
  2. E chi dice che quello sia l''astuccio penico'? Quello, secondo me, è il fallo circonciso che fuoriesce nello stesso preciso modo in cui fuoriesce da altri perizoma dei bronzetti. E quel 'fallo' strano è il primo che va letto. Ma non per cosa è ma per cosa dice nell'aspetto e nell'aspetto generale del bronzetto. Vedo che tu, caro Angelo, punti molto sulla forma e sul simbolico mentre secondo me il 90% dei bronzetti è all'origine atto preparativo, invenzione ben calcolata (soprattutto alto-basso) per la realizzazione della scrittura a rebus. Cerco di spiegare perché (ma lo spiegherò meglio con il bronzetto 'scritto' di Cavalupo): tu cerchi di interpretare (e 'ndi spiccas sa musca in s'aria' per ottenere lo scopo) l'aspetto delle gambe piegate del bronzetto. Ma esse, come in altri bronzetti (non pochi bronzetti)suggeriscono semplicemente l'aspetto che fa sì che tu realizzi l'acrofonia. Che il più delle volte dà in semitco la voce 'BBH' che significa 'pupilla' (sa pobidda in sardo che è calco del semitico) che è attributo che si dà alla madre 'AM BABH (tutto ottenuto con i requisiti del metagrafico, naturalmente, ovvero le rigide norme convenzionali). Ora, lasciando al momento opportuno la spiegazione del metagrafico nel caso specifico, a me sembra che è la scrittura che realizza il bronzetto. Bisogna dare al bronzetto tutta una serie di 'aspetti' che diano il senso (coprire, vacillare, riparare da, salutare con devozione (il topico saluto nuragico), distinguere, ecc.ecc). Noi, se vuoi (come hanno fatto gli etruschi) possiamo creare un bronzetto con relativa facilità: ma per scriverlo dobbiamo pensarlo prima per cosa ci può dare di ordinatamente logico (alto -basso)per avere il linguaggio sacro formulare. Per sintetizzare in maniera estrema: immaginati un uomo, un animale, una cosa che invece di quegli aspetti ha delle consonanti in sequenza che, in quanto tali ti danno lessico e quindi la lingua. Ovviamente riguarderà allora alla mia e a la tua fantasia realizzare aspetti (specie di 'cartellini' da applicare alla scultura) che non siano standard ma sempre diversi o quasi sempre diversi. Un ultimo esempio per farmi capire: tanti bronzetti hanno offerenti ed offerte. Ma l'acrofonia non è data dal 'segno' concreto dell'offerta (focaccia, schiacciata, corda, ciambella o latro che sia, ma solo dallo 'offrire in dono' che realizza sempre la voce 'OZ (potenza). Ora io non credo che si possa speculare più di tanto sul fatto come viene realizzata l'offerta. Se si offre un agnello o un torello è sempre la stessa voce 'Oz' che devi tener presente. Quindi la 'variatio' non riguarda tanto cosa possono significare i bronzetti di per sé ma il come realizzare diversamente sempre le stesse formule attraverso il consonantismo dato dall'aspetto. E' la stessa precisissima cosa che accade per l'etrusco.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Professore, mi aspettavo il suo commento e le osservazioni e serve che sottolinei che ho ben presente quanto dice: ho scritto non tanto tempo fa, un post che trattava della "logica geroglifica" nel quale dicevo che ciò che spesso può non aver senso figurativo (o appare mostruoso) lo ha perché deriva da un codice scrittorio. E questo l'ho appreso da i suoi studi e dalla scrittura geroglifica. Quindi assolutamente in sintonia con lei su tutto questo. Riconosco che la mia lettura é parziale e che non ci si possa accontentare dei cenni presenti nel post (e su quello precedente) sulla scrittura metagrafica.
      Però è proprio in virtù di quella logica, così progettata e pensata prima di cui parla lei, che proprio non mi riesce di accontentarmi di quella "fantasia" di cui parla. Più che una contraddizione la vedo come uno spazio ancora aperto.

      Ora, per fare un esempio, una architettura "scritta" smette forse di essere architettura, di avere una sequenza e logica spaziale, di ospitare e custodire cose e persone, di avere una funzione, una volta esaurita la sua 'lettura'? E direbbe che sono valori secondari? Io penso di no...

      E dunque: 100 offerte diverse danno una parola sola...Così 100 basi...Così 100 'copricapi'? Ma forse no, mi chiedo. Sempre che non siano altre parole che danno acrofonia (se conoscessimo magari il nome specifico e differente di ogni tipologia di copricapo, faccio per dire) il resto a cosa possiamo ricondurlo? Simbolo, forma, ornamento, lusus...'fantasia'?
      ...e se stesse davvero cantando, o danzando, che lettura si dovrebbe dare?

      Qui mi incuriosisce chiederle, quanto serve capire prima il 'contesto' per decifrare il bronzetto? Cioè non si dovrà partire da una lettura corretta della 'forma' ...capire se si tratta di un canto, di un urlo o di un muggito? Oppure si parte dal 'linguaggio formulare' ormai noto nei documenti per poi procedere al percorso inverso?

      Elimina
    2. probabilmente sono domande retoriche, perché giustamente mi pare che lei obbietti sul peso da dare al tutto (90% su 10%)...mentre io vado a chiedermi se sia davvero così, se la gerarchia era così sbilanciata anche nelle loro intenzioni...

      Elimina
  3. Si Aba, è quell'urlo bestiale o muggito del toro che vedi nella scultura taurina di Maymoni di Cabras o in quella della testa sempre taurina della porta di Murru mannu di San Giovanni. Il muggito (in semitico g'ah) alludeva al toro primaverile che porta il 'seme' della pioggia fecondando tutta la terra. Credo che c'entri in questo il bue Muliache rimasto nella favolistica e nelle leggende della Sardegna.

    RispondiElimina
  4. Angelo tu sei sempre così gentile e garbato nelle tue risposte che mi (ci) fai 'scuola'. Io ormai conoscendoti sono andato al sodo. E hai ben capito quello che ho detto. Non ne dubitavo. Ho voluto solo insistere (ed era giusto che lo facessi soprattutto con te) perché l'impianto del bronzetto (di tutti i bronzetti) sta nel raggiungere il fine della scrittura criptata. Tanto lo è che l'acrofonia non viene data semplicisticamente dagli oggetti ma da quello che essi suggeriscono. Una scrittura siffatta impegna il costruttore proprio sul piano dell'architettura del bronzetto (architettare una cosa per dirne un'altra, dare il 'superficiale' per nascondere il profondo' ovvero il senso del bronzetto, il valore del talismano. La scrittura eterna in un oggetto eterno (il bronzo). Certo, io non posso negare che tanto di quello che dici sia percorribile sul piano ermeneutico. Anzi è più che probabile che lo sia. Ma, come sai, la 'scrittura' se esistente, come penso che sia, mi tranquillizza molto di più e se noto che in un bronzetto il metagrafico mi dà non eccezionalmente ma molto spesso 'la forza del padre e della madre'(cioè il bronzetto sta fisso, stabile immortale, per quella forza), vuol dire che il valore suo è quello di 'nascondere' al fine dell'efficacia di quella forza. Il valore del resto mi pare (per dirlo in modo forse più giusto) in subordine. Cento cappelli mi danno l'ornamento', cento volti diversi mi danno la 'distinzione', cento pugnaletti mi danno ugualmente la distinzione e così via. Ora sugli stili di quei volti che suggeriscono la 'distinzione' che cosa si può dire? Solo, a mio parere, che l'artista è impegnato nella 'variatio' di quei volti e molto meno nel comunicare la sua concezione dell'arte (che c'è, eccome!). Forse è qui che vedo lo sbilanciamento. Naturalmente pronto a ricredermi su tutto se il metagrafico non fosse lo scopo precipuo del prodotto artistico. In questo sbilanciamento chiedo tanto soccorso all'egiziano perché la griglia interpretativa è quella: forma (decus), simbolo e suono. Uno potrebbe dire: supponiamo un 30% per tutti e tre. E allora avresti forse ragione tu. Comunque, Angelo, io mi meraviglio sempre di più per la tua dottrina e la tua intelligenza. E per quest'ultima parola, come tutti sano, non spendo mai i soldi a caso.
    Quanto a capire il 'contesto' per precisare meglio il metagrafico non so. Osservo però che è tutto un 'decifrare' e può essere che i tre aspetti della scrittura geroglifica possono darsi una mano. Proprio come dici tu. Ma credo che siamo solo agli inizi di un lungo percorso dove le scoperte, in quanto tali, ci faranno non solo gioire ma anche divertire. Questo al 100%!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie Professore!
      Mi piacerebbe molto leggere quanto prima di una sua lettura di questo bronzetto e confrontare le due letture, magari verificare se quanto ho 'tratto' sul piano ermeneutico trova coerenza con quanto questo dice. E questo proprio in virtù di quel 'divertirsi'

      Elimina
  5. Certo, vedrò di la vorarci bene su. Ma quello che ti posso già dire perché coincide con la 'trasfigurazione', l'essere animalesco ( scimmia, toro, uccello, ecc.), il 'monstrum' insomma di cui parli è un 'topos'. C'è tutta una serie di bronzetti basati sul dato comune. La trasfigurazione, il mutamento (naturalmente rispetto alla regolarità di un volto), l'ambiguità (è un concetto che ti consiglio di seguire: di ciò ho parlato non poche volte)uomo -bestia si dice in semitico HPHK (il mutarsi). Questo consente allo scriba artigiano di iniziare con la lettura acrofonica di 'H' (Lui). Il testo per rispetto al Dio inizia e termina quasi sempre con il suo nome criptato (Lui/Lei). Vedi Angelo: è qui che mi lasciano perplesso certi tuoi ragionamenti perché io ci vedo solo lo sforzo di disegno di rendere sempre diverso l'imbestialimento di quel volto perché una volta che metto in atto quell'ambiguità mi servo comodamente della voce che esprime sostituendo con un PRO -NOME la divinità. Così il metragrafico acrofonico lo ottengo con una serie di topoi ( il saluto, l'offerta, il berretto, il due dei capezzoli, il perizoma, ecc. ecc.) che 'aspettualmente' (cioè in base all'aspetto e non l'acrofonia dell'oggetto) mi danno la stringa fonetica con lettura rigorosamente alto -basso. Forse non ci crederai ma è quello che (dopo tentativi su tentativi per ricavare il dato scientifico e non un dato purchessia)come procedimento mi dà una formula equivalente (ma non identica) all'etrusco scritto nei coperchi dei sarcofaghi. E' questa (all'incirca): h 'ab h 'oz 'am bbt h. E' formula preferita dai nuragici perché tende ad esaltare l'androgino yh dicendo della 'forza del padre' e 'dell'oculatezza (pupilla) della madre'. Ma, come vedi, è tutto semplice e assai complesso nello stesso tempo. Il faro, la griglia del metagrafico, però è: numerologia, ideografia e acrofonia. Ne ho parlato con la lettura del nuraghe di Olmedo e con quella dell'ancora di Tarquinia. Il 'tre' metodologico della loro (dei nuragici e degli etruschi) scrittura deve essere il 'tre' metodologico della nostra lettura. Se poi ce ne sono altre di letture a fianco o a contorno, ben vengano.

    RispondiElimina
  6. ...concordo, ma da cosa ricava e interpreta che la figura sia quella di un "mutante", cioè il dato della trasfigurazione? Perché va bene il dato dell'ambiguo, ma sappiamo anche che non tutti gli ibridi sono dei 'mutanti'. Il Minotauro non lo è per esempio, è certamente ambiguo, mostruoso e ibrido ma non è un mutante, cioè non è 'in corso di trasmutazione'. Nel caso in questione io evidentemente sono convinto che sia così, potrei sbagliare, ma mi pare proprio che sia così. E difatti concordo con lei. Ma evidentemente è sul metodo che ragioniamo, ed io chiedo occorre o no, prima, leggere la figura dentro un 'contesto'? Non dobbiamo dapprima stabilire che vi sia effettivamente il 'mutarsi'? E solo dopo leggere H... ?
    Io dico che è lo scriba/artista attraverso la 'forma' (con tutto ciò che gli è connesso sul piano espressivo e comunicativo) che ha lavorato per comunicarcelo. Mica é semplice comunicare con un oggetto 'fermo' e inerte come il bronzo, qualcosa che invece muta, qualcosa di dinamico. Bisogna essere 'artisti' per rendere 'vivo' qualcosa di inerte. Non è forse questo il piano dell'arte? E se poi questo è funzionale alla scrittura (cioè è la scrittura il fine) resta il fatto che sempre sulla forma e sulla immagine (e sul linguaggio visivo, ancor prima di quello scritto) che dobbiamo passare. Come facciamo a separarli? Come può essere questo un 'contorno' e non essere invece essenziale per poter leggere il tutto?

    RispondiElimina
  7. Angelo, se ti ho ben capito, l'acrofonia aspettuale non la si ottiene con un singolo topos ma con una continua ‘variatio’. Al posto dell'ambiguità di un volto ( del 'girarsi', del non essere nella 'norma', nel diritto ma nell'obliquo) ci può essere (come c'è tante volte) un semplice 'berretto', un copricapo, ovvero l'acrofonia di 'hdrh' (ornamento'). Sull'arte poi non discuto, anzi per nulla, perché ovviamente c'è bronzetto e bronzetto e c'è chi rende vivo il bronzo e chi no. Anzi c'è chi si accontenta del messaggio 'scritto' ovvero del suono che dà parole e c'è chi invece realizza capolavori di forma (è quello che nota subito il Lilliu traducendo affannosamente in 'stili'). E allora ovviamente si ha il geroglifico egiziano con 'forma -simbolo -scrittura'. Ma qui, come sai, non c'è nulla sotto il sole. La calligrafia come arte di scrivere bene e talora artisticamente c'è da sempre, sia che si tratti di scrittura epigrafica sia di scrittura metagrafica. Ma il bronzetto 'comunica' principalmente,offre la formula di salvezza nascosta il più possibile, ambigua il più possibile, 'profonda' il più possibile. E lo fa con il calligrafico che è apparenza ma non sostanza, superficie. I singoli aspetti del 'monstrum' di Nule ci sono perché solo quel mix di stranezze e di ambiguità può darmi scrittura formulare. Cerco di spiegarmi ancora meglio: spostando la nostra attenzione da un bronzetto (uomo, animale) ad un oggetto 'cosa' notiamo che l'arte è poca cosa rispetto al rebus della scrittura. Un pugnaletto (sempre o quasi sempre uguale) deve il suo essere 'strano' a quel 'gamma' pittografico, al toro ideografico e alle lettere schematiche in cui si disarticola. E' l'arte del 'nascondere' i segni o del rebus che è in 'tensione'. Così mi pare. Trovarci dell'altro si potrebbe (magari speculando su quel 'distintivo' che finisce sul petto degli 'aristoi'), ma di 'scientifico' su questo versante non so cosa possiamo ottenere. Ma io, lo so, sono ossessionato dal 'certo' documentario, e, contrariamente a quello che molti pensano sul mio metodo, esso non ha niente di elucubratorio. Lo evita il più possibile. E’ tutto il contrario. Vado al sodo (alla scrittura che mi offre certezze (relative)), allo sperimentabile, alla ripetizione dell'evento, alla 'misurabilità' di esso. E se c'è il semitico ci deve essere sempre il semitico e se il Dio è indicato con il pronome e non con il nome quel pronome devo aspettarmi di trovare. Comunque Angelo, resisto sulla priorità del 'comunicativo' a rebus che può e non può essere espressivo. Che può dare o non dare arte circa quella comunicazione con i segni sacri o divini. Senza di essi non si ha 'valore non esistendo, secondo me, nessun elemento che ci faccia sospettare l'esistenza dell'arte per l'arte. E' l'errore comune di aver esaurito la formula e di pensare di aver capito con il binomio 'forma-simbolo' il significato del prodotto quando invece lo si ha con certezza solo dalla catena consonantica che dà suoni, parole e lingua. Ma forse sto ripetendo. Mentre mi rendo conto che tu sei più conciliante. E ti pronunci per una via di mezzo.

    RispondiElimina