Fig. 1. Capo-tribù (Lilliu, 1966) |
1. Questione di 'stile'
I bronzi nuragici (detti bronzetti) sono stati catalogati e analizzati da Giovanni Lilliu nel suo celebre Sculture della Sardegna Nuragica del 1966 [1], sistematizzazione e approfondimento di quanto anticipato in occasione della mostra di Venezia del 1949, nel quale l'archeologo propose una prima classificazione stilistica ed una riflessione sull'arte nuragica secondo le categorie del barbarico e dell'anticlassico [2].
I bronzi nuragici (detti bronzetti) sono stati catalogati e analizzati da Giovanni Lilliu nel suo celebre Sculture della Sardegna Nuragica del 1966 [1], sistematizzazione e approfondimento di quanto anticipato in occasione della mostra di Venezia del 1949, nel quale l'archeologo propose una prima classificazione stilistica ed una riflessione sull'arte nuragica secondo le categorie del barbarico e dell'anticlassico [2].
Dalla proposta del 1949 - che distingueva i bronzetti in
tre stili differenti (Stile Uta, Stile Abini, Stile
Barbaricino-Mediterraneizzante) - nel 1966 il Lilliu è passato a
soli due gruppi, ottenuti dall'accorpamento dei primi due (ora Stile
Uta-Abini), all'interno del quale ha continuato a
riconoscervi alcune differenze, tali da indurlo a formare due sottogruppi: Gruppo
Geometrico-Lineare e
Gruppo Ornamentale-Planare.
Nella tabella 1 (in fondo alla pagina) ho riportato schematicamente gli
elementi principali che caratterizzano i due gruppi stilistici con
riferimento ai bronzi di figure umane (o presunte tali), escludendo
il bestiario, le navicelle bronzee, le armi ed altri oggetti vari non
oggetto di questo contributo.
Fig. 2: Bronzo nr.168 (Lilliu, 1966) |
Sinteticamente si può rilevare che nello Stile
Uta-Abini a vincere sono i valori formali (fig.1),
mentre nello Stile Mediterraneizzante quelli bozzettistici ed
espressionisti (fig. 2).
La tabella è integrata con le conclusioni di uno studio
recente di Ralph Araque Gonzales [3], che a seguito di una accurata analisi stilistica, ha
restituito una diversa collocazione temporale rispetto al
Lilliu, che collocava cronologicamente i Bronzi nell'età del Ferro e
in un arco temporale abbastanza ristretto (IX_VII sec. a.C.).
R. Araque Gonzales ha
dilatato l'arco cronologico della produzione bronzea facendola
risalire al XII_XI sec. a.C (tesi rialzista), escludendo la
contemporaneità della produzione dei due stili, ora distinti in
“Vecchia Scuola” (lo Stile
Uta-Abini) e in “Nuova
Scuola” (lo Stile
Mediterraneizzante). [4]
2. Il Realismo 'villereccio' di Lilliu
Nel porre questa distinzione bipolare, Lilliu - influenzato dagli studi di Ranuccio Bianchi Bandinelli, che a proposito dell'arte romana distingueva in “arte aulica” ed “arte plebea” - ha interpretato lo Stile Uta-Abini come rappresentante dell'aristocratico e del 'trascendente' (stile “aulico”) e lo Stile Mediterraneizzante di quello del folklore (stile “popolare”), quest'ultimo reso “con sensibile ed affettuosa aderenza umana, anche se, in alcune statuette, non manchi l'afflato religioso e si percepisce una certa metafisica e contenuto magico-demoniaco” [5].
Lilliu
ha scritto ancora che “nell'arte
provinciale e marginale del gruppo anti-geometrico (Gruppo
Mediterraneizzante, ndr), non
vincolata al rigore di formule stereotipate, spregiudicata e
realistica, si coglie la sostanza espressiva del ceto
dei poveracci, segnata dai visi di ebeti e cafoni, dalle cadenze
scomposte e scurrili, dalla vena paesana e volgare.
Insomma da un aperto modo di dire proletario che tanto contrasta con
il riservato e abbottonato linguaggio dell'arte in uniforme del
gruppo Uta-Abini”. [6]
Ancora,
il Gruppo Mediterraneizzante, è definito nel seguente modo:
“diletto del generico, dell'umile,
del popolare, che si traducono in un semplice e fervido discorso di
“realismo villereccio”,
che produce una sorta di bellezza inconsciamente caricaturale e
poetica, senza veli e complessi, su uno sfondo umano tutto fremiti e
istinti selvatici e primitivi. Forme e contenuti sono candidi e
innocenti, e lo stesso erotismo, esaltato scopertamente nelle nude
itifalliche figurine del flautista e dell'orante, non ha nulla di
proibito o di conturbante. Anzi, in una religione che considera
“divino” anche il sesso, si ammanta di un'aurea sacrale di
trascendenza” [7].
Fig. 3a. Bronzetto nr. 181 |
Credo sia da rigettare l'interpretazione di Lilliu sulla distinzione tra “stile aulico-stile popolare”, anche perché, come ha osservato Carlo Tronchetti, “chi commissiona e fa realizzare una sua immagine bronzea da dedicare alla divinità è e non può essere altri che persona di rilievo nell'ambito della comunità, in possesso di surplus adeguato da destinare alla sua celebrazione; non è ammissibile ipotizzare che a far forgiare un bronzetto sia stato un povero pastore che si accontentava di una statuetta appena abbozzata o rozza, evidentemente per “risparmiare” ovvero perché privo di “gusto”.[9]
Ritengo anche che si sia dato troppo rilievo alle differenze iconografiche risultanti dal
vestiario e dagli apparati cerimoniali dello Stile Uta-Abini, rispetto alla nudità o semi-nudità delle figure
mediterraneizzanti.
Nel caso di Lilliu
questo ha prodotto la radicalizzazione del tema con la netta distinzione tra stile aulico e stile popolare, mentre per
altri autori, in particolare Tronchetti, ha portato al contrario, ad
un eccesso di frammentazione della bronzistica, suddivisa in addirittura 6 blocchi cronologici. [10]
Tronchetti ha visto infatti nel vestiario e nelle sue
differenze, la spia dei mutamenti socio-economici all'interno della
società nuragica: “Se le iconografie mutano (passaggio da
aristocratici raffigurati come guerrieri armati a oranti/offerenti
senza armi), questo significa che è mutato il contesto sociale ed
economico che le esprimeva e da cui si originavano”[11].
Tenterei di superare entrambe le posizioni, senza
esasperare ulteriormente né la questione stilistica posta da Lilliu, né quella iconografica, introducendo una diversa lettura interpretativa, almeno
come indagine di studio.
Tra l'altro, per diversi bronzetti, Lilliu avanza dei dubbi di
attribuzione ad uno dei due macro-gruppi, definendoli di “stile
misto” o “figure di maniera” (cioè ad imitazione dello stile
'aulico' talvolta con minore perizia tecnica ed espressiva) o in modo
più generico parlando di contaminazione se, per esempio “testa e volto, di stile mediterraneizzante, si fondono con un
corpo di decisa impostazione aulica”. [12]
3. Mascheramenti e apparati cerimoniali
Per proseguire nel discorso, ripercorrerei le ragioni che hanno indotto Lilliu a definire il sottogruppo Ornamentale-Planare all'interno dello Stile Uta-Abini:
3. Mascheramenti e apparati cerimoniali
Per proseguire nel discorso, ripercorrerei le ragioni che hanno indotto Lilliu a definire il sottogruppo Ornamentale-Planare all'interno dello Stile Uta-Abini:
Fig. 3b: Bronzetto nr. 138 (Lilliu, 1966) |
Se per assurdo spogliassimo le figure di questo sottogruppo, pesantemente ornate ed abbigliate (ovvero con la 'spessa incrostazione rituale') ci accorgeremmo che l'ipotetico corpo nudo che si presenterebbe davanti a noi, sarebbe privo di corporeità, o di valori formali, esattamente come alcuni esempi del Gruppo Mediterraneizzante.
Lilliu
ha infatti affermato che nel sottogruppo Ornamentale-Planare
“sotto i veli della decorazione,
sta una struttura per lo più inerte e devitalizzata” e soprattutto
che “gli schemi corporei si accorciano sino a diventare goffi
fardelli llillipuziani”[14]. Viceversa, se vestissimo con i medesimi apparati
cerimoniali alcuni dei “cafoni e bifolchi” di Lilliu, non
faticheremmo probabilmente a farli rientrare nello stile del medesimo sottogruppo.
In poche parole, a far la differenza, è spesso il solo apparato iconografico,
mentre i valori della struttura corporea o della forma complessiva, insieme ad alcuni valori espressivi (gli occhi o la gestualità per
esempio) sono simili quando non identici.[15]
Ma c'è di più, “c'è anche da osservare che, in alcuni esemplari nei quali si appunta la ricerca decorativa e se ne accentua il valore oltre il normale, anche i soggetti sono personaggi anormali o
superuomini (nr. 104-110 e 140-141) o mostri
antropoanimaleschi (267) (fig. 4). Da ciò si può ricavare che l'elemento
ornamentale, che contiene in sé il seme dell'astrazione, diventa,
oltre che un mezzo per alienare la struttura corporea dell'uomo o
dell'animale, anche uno strumento per trascendere il contenuto
fisico e portarlo nella sfera metafisica e mitografica. Nessuna
figura 'sovrumana' appare invece nel repertorio sobrio ed essenziale
del sottogruppo 'lineare-volumetrico'”.[16]
Il tema è stato ripreso da Marcello Madau [17], che ha tentato di comprendere se sia possibile individuare nei bronzi figurati la presenza di mascheramenti e travestimenti, forme di dissimulazione e trasformazione, eventualmente riconducibili a rituali definiti.
Il tema è stato ripreso da Marcello Madau [17], che ha tentato di comprendere se sia possibile individuare nei bronzi figurati la presenza di mascheramenti e travestimenti, forme di dissimulazione e trasformazione, eventualmente riconducibili a rituali definiti.
Fig. 4. Bronzetto nr. 104 (Lilliu, 1966) |
Madau, giustamente, non
intende per mascheramento solo l'ambito facciale “ma
l'insieme della produzione di segni attraverso
alterazioni fisiche
e particolari elementi di vestiario”:
“Il mascheramento
intercetta forze altre da sé, superiori, extra-ordinarie, e ne
trasmette natura e possesso” ed è un fenomeno di grande antichità,
segno di limite e confine “con i suoi segni animali intimamente
borderline fra natura
e cultura dell'uomo, tra la vita e la morte”.[18]
La figura registra così, la trasmutazione che il corpo umano sta subendo, concorrendo a definire un ibrido e quindi un “monstrum” (si veda Tab. 2, punto 2c).
La figura registra così, la trasmutazione che il corpo umano sta subendo, concorrendo a definire un ibrido e quindi un “monstrum” (si veda Tab. 2, punto 2c).
4. Il Realismo 'grottesco'
Fatte queste considerazioni, dobbiamo ora riconoscere che il concetto di trasmutazione/trasfigurazione appena sottolineato non è l'unico della statuaria sardo-nuragica. Lo possiamo ritrovare anche in moltissime figure inserite da Lilliu nello Stile Mediterraneizzante e in particolare in quelle che in modo palese mostrano aspetti caricaturali e animaleschi, o per usare le parole di Lilliu, che risultano trascendenti nella forma e disumanizzati.
Fig. 3 c, d, e, f : i bronzi sardo-nuragici dal volto 'animalesco'
Quando poi l'assenza di volto o la sua resa informe [21] non è attribuibile a imperizia tecnica o ad erosione
del bronzo, Lilliu parla di figure dotate di una espressione astratta
nella quale si annichilisce la parte più realmente viva e concreta
dell'uomo – il volto – ed è “superata la realtà e l'atto
dell'offerta acquista valore esclusivo e trascendente perché fatta
da una persona disumanizzatasi, e gli si annette un'efficacia
magico-religiosa”. [22] (figure 5 a, b, c, d, e)
Fig. 5 a, b, c, d, e: i 'senza-volto' sardo-nuragici
Ho sottolineato la parte che ritengo centrale nel mio ragionamento, nonostante Lilliu sembri avanzarla in modo prudente:
“A pensarci bene, in una concezione artistica
tendente, come abbiamo detto, a volgere in animalesco, per
particolari fini ideologici, il volto umano, il passaggio a mutare in
schema zoomorfo anche l'intera immagine dell'uomo, era facile e,
direi, da aspettarsi […] Per me l'ipotesi di un tramutamento
totale, per ragioni magico-apotropaiche,
della forma umana in forma bestiale è sempre la più accettabile […]
E non
vorrei omettere di suggerire la possibilità di un intervento anche
del fattore decorativo il quale, tra le sue convenzioni, ha pure
quella di produrre immagini che superano o alterano o confondono nel
mito ornamentale gli elementi della realtà della natura”.[23] Ecco che quest'ultimo pensiero del Lilliu può riferirsi proprio alle figure del sottogruppo Ornamentale-Planare sopra descritte, giustificando la mia scelta di introdurre la categoria del “monstrum” per la maggior parte dei bronzi nuragici (si veda nota 8).
5. Trasfigurazioni
L'ipotesi è che sculture differenti sotto il profilo iconografico ed espressivo, e per questo sempre distinte nettamente dagli studiosi, vadano lette insieme perché condividono la medesima concezione, che è quella di registrare nella figura una metamorfosi, ovvero una trasfigurazione, che in un caso avviene in modo parziale (per mascheramento) e nell'altro in modo totale, perché investe la stessa struttura corporea.
5. Trasfigurazioni
L'ipotesi è che sculture differenti sotto il profilo iconografico ed espressivo, e per questo sempre distinte nettamente dagli studiosi, vadano lette insieme perché condividono la medesima concezione, che è quella di registrare nella figura una metamorfosi, ovvero una trasfigurazione, che in un caso avviene in modo parziale (per mascheramento) e nell'altro in modo totale, perché investe la stessa struttura corporea.
Fig. 6, Bronzetto nr.191 (Lilliu, 1966) |
a) o con la pesante carica ornamentale, dove le parti che lo compongono restano riconoscibili e
individuabili (grado di accostamento dell'ibrido);
b) o attraverso la transizione fisica di figure né umane, né bestiali o per dirla con
Lilliu “uno schema alla frontiere dell'umano, con molta carica
surreale, magico-animalesca”, tanto da lasciare diversi dubbi
interpretativi (grado di fusione dell'ibrido); [24]
Si può certamente escludere che il passaggio stia
avvenendo dalla figura animale a quella umana (processo di
umanizzazione) perché gli elementi del vestiario e del mascheramento
sembrano costituirne il fine, lo scopo, lo “stato" raggiunto (processo di imbestialimento).
La statuaria di Mont'e Prama, in questo senso, sembra racchiudere entrambe le posizioni: i corpi (già) disumanizzati, imbestialiti e brutali, con il volto mascherato (fig.7), indossano un apparato cerimoniale caratterizzato dalla presenza di preziosi e raffinati dettagli calligrafici (fig.8).
La statuaria di Mont'e Prama, in questo senso, sembra racchiudere entrambe le posizioni: i corpi (già) disumanizzati, imbestialiti e brutali, con il volto mascherato (fig.7), indossano un apparato cerimoniale caratterizzato dalla presenza di preziosi e raffinati dettagli calligrafici (fig.8).
Come spiegare altrimenti questa doppia cifra della
statuaria in pietra? [25]
Pertanto, se ho ragione, la deformità di molte figure
inserite da Lilliu nello Stile Mediterraneizzante non ha nulla
a che fare con un “realismo villereccio” del popolino e
nemmeno con un qualche mutamento socio-economico all'interno della
società nuragica, ma appartiene ad un ambito 'rituale' ben definito,
del quale comunque lo stesso Lilliu pare essersi accorto.
Fig. 7. Statuaria di Mont'e Prama (di G. Mulas) |
Nel leggere le sue descrizioni a me è parsa evidente la
contraddizione di chi non sembra sapersi decidere se interpretare il dato mostruoso e il
deforme di alcuni bronzi su un piano meramente biologico-organicista o farsi portatore di un pensiero aderente alla
dimensione spirituale. Contraddizione che diviene esplicita quando si
chiede “chissà se a un ex-voto così “trascendente”
nella forma così disumanizzato, non ammettessero una maggiore
efficacia nell'atto cultuale e nelle sue invocate conseguenze
pratiche”.[26] È stato forse il modello del Bandinelli a sviarlo e
fargli intendere le figure caricaturali e animalesche come
derivate da uno stile più “libero”, svincolato dal formalismo aulico dello Stile Uta-Abini:
non di “realismo villereccio” si deve parlare, ma di “realismo
grottesco”.[27]
6. Figure liminali e riti di passaggio
Aver riscontrato questa concezione unitaria non è sufficiente a spiegare quali siano le ragioni di questa doppia possibilità espressiva nella resa del monstrum.
6. Figure liminali e riti di passaggio
Aver riscontrato questa concezione unitaria non è sufficiente a spiegare quali siano le ragioni di questa doppia possibilità espressiva nella resa del monstrum.
L'indagine non può essere esaurita in queste righe, ma ritengo che la risposta possa provenire da una analisi dei processi rituali dei culti nuragici. L'ipotesi è che le sculture di figure umane e ibride prodotte dai sardo-nuragici, stiano a rappresentare con la loro variatio, fasi diverse di quelli che Van Gennep ha definito “riti di passaggio”[28].
I riti di passaggio sono definiti come quei riti che
accompagnano ogni modificazione di posto, di stato, di posizione
sociale e di età, che si sviluppano secondo una precisa sequenza che
prevede:
a) una fase di separazione;
b) una fase liminale (da limen, confine) o di margine;
c) una fase di aggregazione;
a) una fase di separazione;
b) una fase liminale (da limen, confine) o di margine;
c) una fase di aggregazione;
“La prima fase (di separazione) comprende un
comportamento simbolico che significa il distacco dall'individuo o
del gruppo da un punto precedentemente fissato della struttura
sociale, da un insieme di condizioni culturali (“stato”) o da
entrambi. Durante il periodo 'liminale' che segue, le caratteristiche
del soggetto del rito (il 'passeggero') sono
ambigue; egli passa attraverso una situazione
culturale che ha pochi attributi (o nessuno)
dello stato passato o di quello a venire.
Nella terza fase (riaggregazione o reincorporazione) si compie il
passaggio. Il soggetto rituale, individuale o collettivo, è di nuovo
in uno stato relativamente stabile,
in virtù del quale ha diritti e doveri di fronte agli altri di tipo
chiaramente definito e 'strutturale”; ci si aspetta che si comporti
secondo certe norme tradizionali e criteri etici che vincolano il
titolare di una posizione sociale in un sistema di tali posizioni”
[29]
Le differenze 'iconografiche' della statuaria sardo-nuragica possono essere allora ricondotte alle diverse fasi rituali che le figure stanno rappresentando, compreso il superamento delle due prove necessarie (lotte rituali, mutilazioni, taglio di capelli, ecc.).
Le differenze 'iconografiche' della statuaria sardo-nuragica possono essere allora ricondotte alle diverse fasi rituali che le figure stanno rappresentando, compreso il superamento delle due prove necessarie (lotte rituali, mutilazioni, taglio di capelli, ecc.).
Fig. 8. Dettaglio nella Statuaria di Mont'e Prama |
Sono invece queste ultime figure, con la loro carica
“trascendente”, a farmi ritenere che in almeno una buona parte delle sculture sardo-nuragiche - tra cui quelle di Mont'e Prama - i riti
di passaggio ai quali occorre riferirsi non
siano tanto quelli 'accessibili' al popolo (per esempio i
riti della nascita, del passaggio all'età adulta, del matrimonio, della morte, ecc.) ma a quelli di carattere
più elitario (per esempio le iniziazioni sacerdotali, intronizzazioni, ecc).
D'altronde una trasmutazione
in forma bestiale può avere un senso se riguarda il
'contatto' con il divino e con il conseguente accesso ad una “scienza
sacra”, un sapere
verosimilmente occulto, all'interno di un rituale codificato che forse comprendeva la visione (e lettura su base metagrafica, secondo la logica geroglifica [31]) delle sculture stesse. In quella transizione, viene da
aggiungere, quanto più il sapere
veniva trasmesso e acquisito, tanto più le figure si caricavano di signa.
In questo senso, i bronzetti rappresenterebbero i sacra visibili
a pochi, o addirittura nascosti, rinvenuti in maggioranza
assoluta nei santuari nuragici, luoghi deputati (perlomeno alcuni, se
ho ragione) proprio al superamento delle prove, alla formazione,
educazione e trasmissione di tale “scienza sacra”, capace
appunto, se disvelata,
di accedere alla comprensione della natura del divino, tanto da trasfigurare
il corpo dell'iniziato.
7. Prime conclusioni
Le figure sulle quali mi sono concentrato, sono state concepite volutamente come figure ibride e mostruose (mascherate e non) e sono inquiete, non risolte [32] perché al confine tra i due corpi. Pertanto - abbandonata la fuorviante visione estetica del barbarico-anticlassico del Lilliu ed avvicinata la dimensione del grottesco e del “mostruoso” - queste figure liminali, aprono la strada alla estetica performativa, con le sculture che divengono esse stesse oggetto di una performance rituale, fin dalla fase di produzione, poi in quella della collocazione ed esposizione.
Ancor di più, a mio avviso, custodiscono, registrandolo e rappresentandolo, l'atto performativo.
Se avete la pazienza di seguirmi ancora per poco, completerei il
ragionamento con una citazione di Victor Turner, corredata da alcune
brevi note, molto più chiara di quanto riuscirei ad essere
attraverso una sintesi del suo pensiero:
Fig. 9: Bronzetto di Santa Lulla di Orune |
Per esempio, la liminalità viene spesso paragonata alla
morte, al fatto di essere nell'utero, all'invisibilità;
all'oscurità, alla bisessualità (attributo certamente
presente nella scultura sarda, ndr) al deserto e a un'eclissi
solare o lunare.
Gli esseri liminali, come i neofiti nei riti di
iniziazione o della pubertà, possono essere rappresentati come chi
non possiede niente. Possono essere mascherati da mostri, essere
coperti soltanto da una striscia di tessuto o essere del tutto nudi
(eccole qui, associate tra loro, le figure “mascherate” e le
figure nude o semi-nude, ndr), per dimostrare che in quanto
esseri marginali non hanno status, proprietà, insegne, vesti
secolari che possano indicare il rango o il ruolo, la posizione in
uno sistema di parentela – in breve, niente che possa distinguerli
dagli altri neofiti o iniziandi.
Il loro comportamento è passivo e umile (così
andrebbe meglio intesa la dimensione dell'umile' riconosciuta da Lilliu,
ndr); è implicito che
debbano obbedire ai loro maestri e accettare senza lamentarsi
punizioni arbitrarie.
È come se li si riducesse o li si livellasse a una
condizione uniforme per rimodellarli da capo e dotarli di nuove
capacità per metterli in grado di affrontare la loro nuova
situazione nella vita” (così può essere inteso il “non
finito” e l'assenza di volto, l'indefinitezza della forma,
riconosciuti dal Lilliu, ndr)[33].
TABELLA 1
GRUPPO
| 1 |
GRUPPO 2
|
“VECCHIA” SCUOLA
| (R. Araque Gonzales) |
“NUOVA” SCUOLA
(R. Araque Gonzales)
|
STILE UTA
| - ABINI o stile aulico (Lilliu) |
LIBERO-MEDITERRANEIZZANTE-
ANTIGEOMETRICO
stile popolare (Lilliu)
|
GEOMETRICO-LINEARE -VOLUMETRICO
[4-60, 62-123,127-136, 140-148]
|
ORNAMENTALE-PLANARE
[89-122, 126-141, 143, 145, 149]
|
[154-191]
|
lunghi colli;
|
stilizzazione e geometrismo rivolte all'esteriorità, cioè al vestiario e all'armamentario piuttosto che alla struttura corporea;
|
ponderazione a bilancia delle braccia;
|
testa volumetrica (a cilindro, a sferoide, a prisma irregolare o solido spigoloso);
|
cromatismo e calligrafismo che nega l'essenza fisica dei personaggi
|
corti ritmi centripeti
|
schema a T del naso e dell'arcata sopraccigliare
|
struttura corporea e fisica devitalizzata e inerte, appesantita talvolta dal bagaglio ornamentale;
|
gusto aperto e molle della linea
|
naso a pilastro
|
figure statiche;
|
evidenza talvolta della mano che ha modellato la creta
|
teste rovesciate/schiene inarcate all'indietro;
|
elemento ornamentale veicolo di astrazione
|
ribellione allo schema e alla compostezza geometrici;
|
stilizzazione cruciforme;
|
sono rappresentati personaggi anormali, superuomini o mostri antropoanimaleschi
|
strutture e movimenti disassiali, centrifughe, disarticolate, disordinate;
|
senso di ordinata e ponderata disposizione nello spartito figurale;
|
appiattimento delle figure che si riducono alle due dimensioni del piano e al frontalismo;
|
modulazione mossa del modellato
|
ornamentalismo a volte calligrafico su vesti, acconciature, armi;
|
dilatazione laterale e stiramento verticale di alcune figure:
|
sciolta rotondità delle forme
|
volume e superficie ornata
|
espressione esaltata di singoli organi fisici (specialmente gli occhi)
|
vivacissime ed estrose forme
|
volti duri e alienati per lo più nella contemplazione ieratica;
|
teste a pallottola
| |
corto e tozzo collo
| ||
Assenza in talune di volto o con tocchi sommari ed acerbi;
| ||
impressionismo agreste demoniaco nell'aspetto tra l'umano e l'animalesco
| ||
nudità completa o parziale
| ||
sessualità “vibrante e turgida”
|
TABELLA 2
NOTE
[1] Giovanni
Lilliu, Sculture della Sardegna Nuragica, Illisso 2008,
riedizione dell'opera del 1966
[2] Su
questo tema si veda Angelo Ledda, "Monte Prama: tra organicità
e astrazione" in Monti Prama n. 67 (2016) e dal blog
Maymoni diretto da Sandro Angei i post dal
titolo "Millenovecentoquarantanove: una sorta di
terrore religioso per la perfettibilità" del 10/06/2015 e
a seguire in "Classico e Anticlassico: la forma ritmica
della storia culturale europea" del 14/07/2015;
[3] Ralph
Araque Gonzales, “Sardinian Bronze Figurines in their
Mediterranean setting” (2012)
[4] La
cronologia che deriva dallo studio di Gonzales è la seguente: a)
XII-XI/IX sec. a.C “Vecchia scuola” Uta-Abini (datazione:
Funtana Coberta – Ballao) con esposizione per lungo tempo nei
santuari; b) IX sec. - VI sec.
a.C. Nuova Scuola” con
doni di scambio e arrivo nella penisola italiana e avvio stile
“mediterraneizzante” e scomparsa dello stile Uta-Abini;
[5] Lilliu
(1966) op.cit. Pag. 89
[6] Lilliu
(1966) op. cit. p. 89. Il grassetto è mio.
[7] Lilliu
(1966) op.cit. Pag. 88
[8] Chiariamo che trattandosi di una
macro-categorizzazione, ciò non deve indurre a ritenere che Lilliu
e Araque Gonzales inseriscano i medesimi bronzetti all'interno
degli stessi gruppi stilistici. Conservo il dubbio che, pur
all'interno di una concezione unitaria, sia da reintrodurre almeno
una triplice distinzione, isolando nuovamente il sottogruppo
Geometrico-Lineare del Lilliu. Il dubbio sulla sottodivisione dei
primi due gruppi permane perché la statuaria di Monte Prama,
giustamente attribuita dal Lilliu allo stile Uta-Abini, a mio avviso
presenta sia valori formali ed espressivi del gruppo
geometrico-lineare sia di quello ornamentale-planare, anche se
questi ultimi restano decisamente maggioritari. In questa fase, in
via del tutto preliminare, distinguerei nel seguente modo, senza
volerla intendere come classificazione cronologica: Gruppo
Mediterraneizzante (o Stile
Libero) | Gruppo
Grottesco e Mostruoso (o Stile Inquieto-Liminale) | Gruppo
Geometrico-Lineare (o Stile Quieto).
[9] Tronchetti
in “I bronzetti 'nuragici': ideologia, iconografia, cronologia”
in Annali di archeologia e storia antica. Dipartimento di studi
del mondo classico e del Mediterraneo Antico di Napoli – Nuova
serie n.4, 1997 p. 26
[10] Tronchetti
(1997) op. cit. p.32. Questa la suddivisione del Tronchetti: a)
Bronzetti di oranti/offerenti con gonnellino e focaccia (o
ciotola) – fine del X-metà del IX secolo a.C. Residuo del “modo
di produzione asiatico” | b) Bronzetti di personaggi con
insegne di rango, ancora non codificate – metà IX -scorcio
dell'VIII sec. a.C. | c) Bronzetti di aristocratici ostentanti i
signa della guerra (Gruppo Abini); scorcio dell'VIII
– metà/fine del VII secolo a-C- Affermazione dell'aristocrazia |
d) Bronzetti di guerrieri e capitribù con pugnaletto (Gruppi
Uta-Serri); seconda metà del VII – primi decenni del VI secolo
a.C. Evoluzione ed inizio della crisi delle aristocrazie | e)
Bronzetti di oranti/offerenti con pugnaletto ed abitualmente stola,
recanti offerte diverse; VI secolo a.C. Affermazioni di nuovi ceti |
f) Bronzetti di oranti/offerenti, rozzi e sbozzati, con gonnelli
e focaccia o ciotole; dallo scorcio del VI a.C in poi. I
dedicanti non appartengono più (di norma) ai ceti dominanti.
[11] Tronchetti
(1997) op.cit p. 26
[12] Lilliu
(1966) op.cit. Pag.340-341, a proposito del bronzetto nr. 152
[13] Lilliu
(1966) op.cit. pag.86. Il grassetto è mio
[14] Lilliu
(1966) op.cit. Pag. 85
[15] Un bronzo
su tutti mette in crisi la distinzione netta operata da Lilliu ed è
lo straordinario bronzo dell'Offerente/Cantore di Santa Lulla di
Orune, del quale presenterò una analisi interpretativa
prossimamente. Lo stesso Tronchetti nel mettere in discussione la
bipolarizzazione del Lilliu così scriveva: “Ma statuette come
quella del Nuraghe Santa Lulla di Orune che raffigura un personaggio
orante/offerente, rivelano novità iconografiche e stilistiche di
tutto rilievo. L'accentuato prognatismo che foggia una figura dal
volto che potremmo definire deforme, pur tuttavia rivela un'attenta
cura dei dettagli, le cui cifre stilistiche siamo in grado di
accostare ad altri bronzetti”.
[16] Lilliu
(1966) op.cit. Pag. 85. Il grassetto è mio.
[17] Marcello
Madau in “Le maschere di bronzo” dagli “Atti della XLIV
Riunione Scientifica, La preistoria e la protostoria della Sardegna,
vol. III – Comunicazioni”, Università degli Studi di
Cagliari (2009) p. 848
[18] Marcello
Madau (2009) p.848. Il grassetto è mio. La categoria del
mascheramento è stata da me inserita in un lavoro sul corpo
mostruoso (si veda tabella 2) in un articolo dal titolo “A un
passo dall'impossibile:organismi e meccanismi 'mostruosi'” in
Monti Prama n.68 (giugno 2016), PTM Mogoro, e “A un passo
dall'impossibile: teratomanzia e logica geroglifica” pubblicato
nel Maymoniblog in data 12 luglio 2016
[19] Lilliu
indica le figure seguenti nr. 154, 158-160, 162-165, 167-170, 174,
176,, 178-187, 189-191
[20] Nell'ordine
delle citazioni con riferimento alle figure nr. 159, 188,165, 151
[21] Lilliu
indica le figure seguenti nr. 155-157, 161, 166, 171-173, 175, 177,
187
[22] Lilliu
(1966) op.cit. Pag. 363-364
[23] Lilliu
(1966) op.cit. Pag. 394-395
[24] Possiamo
individuar due tipologie di “ibrido”: IBRIDO SEMPLICE,
forse la forma più diffusa e la più elementare, costituito da un
solo elemento estraneo che può essere un'aggiunta (ali, coda,
corna, ecc.) o una sostituzione (ad esempio un volto ferino o
artigli in luogo del viso o delle mani). Talvolta si presenta come
metà corpo (metà uomo e metà animale, come l'uomo-pesce
mesopotamico o il minotauro cretese – fig.
11); IBRIDO COMPOSITO: l'intero
corpo è costituito da più parti differenti, soprattutto animali.
Non ha dunque elementi caratteristici propri, resta indefinito e
richiede che il tutto venga scorporato per essere letto nelle
singole parti costitutive. L'ibridismo
può presentare diversi gradi di composizione delle parti che lo
determinano, partendo da un “grado di accostamento”,
dove le parti restano riconoscibili e sono ben identificabili, a
un “grado di fusione”, dove appunto le parti sono
fuse insieme, rendendo complessa la decifrazione delle parti
originarie. In quest'ultimo caso la figura appare più prossima ad
una rappresentazione organicista, assumendo talvolta un aspetto
grottesco e creando diversi problemi interpretativi (fig.
2).
[25] Ritengo
abbia assolutamente ragione Atropa quando li legge come Tori.
Questa doppia possibilità porta alla mente la rappresentazione
“trasfigurata” del faraone Akhenaten, che non indossa (o non
solo) gli elementi che lo rendono ibrido ma li assorbe entrambi nel
proprio fisico. Sul tema si vedano Angelo Ledda, "Monte Prama:
tra organicità e astrazione" e A.L., “Light is Life. I
Giganti Tori della luce del Sinis” entrambi in Monti Prama n.67
(2016)
[26] Lilliu
(1966) op.cit. Pag. 361 (a proposito del bronzetto nr. 171)
[27] E'
calzante nel merito la descrizione di Micheal Batchin sul corpo
grottesco, bivalente e bicorporeo, un corpo in divenire mai dato
e definito: “un luogo di passaggio in cui la vita si rinnova di
continuo, un vaso inesauribile di morte e concepimento (…) cosmico
e universale (…) Gli avvenimenti del corpo grottesco si svolgono
sempre al confine tra i due corpi, meglio ancora nel loro punto di
intersezione: un corpo dà la propria morte, l'altro la propria
nascita, ma essi sul limite estremo si fondono in un'unica immagine
bicorporea” in Michail Batchin, L'opera di Rabelais e la
cultura popolare, Biblioteca Einaudi, Torino, 1965; Si osservi che
il testo è stato pubblicato in lingua italiana nel 1965, un anno
prima della pubblicazione del catalogo del Lilliu.
[28] Van
Gennep, I riti di passaggio, Bollati Boringhieri, Torino,
1981. Il testo è stato pubblicato la prima volta con il titolo
originale Les rites de passage (Parigi, 1909). Il tema è
stato sviluppato da Victor Turner (1966).
[29] Victor
Turner, Il processo rituale. Struttura e antistruttura, Ed.
Morelliana, Brescia, 2001(Titolo originale dell'opera: The Ritual
Process. Structure and Anti Structure del 1966). Faccio osservare
che il libro è stato scritto da Turner nello stesso anno in cui
Lilliu ha pubblicato il suo catalogo sulle sculture nuragiche. La
citazione è della p. 111 ed il grassetto è mio.
[30] “Sembra
lecito chiedersi se, all'interno del gruppo degi armati, le
differenze quantitative e qualitative, l'abbigliamento, nonché le
associazioni (spada e pugnale, arco e spada, spada e scudo) possano
avere una corrispondenza gerarchica nell'ambito di una
strutturazione in livelli di rango della società. L'arco, può
infatti, senza difficoltà essere ricollegato ad attività di
caccia, che possono assumere anche valenze celebrativo-simboliche,
ricollegandosi a prove eroiche funzionali ai riti di passaggio
all'età adulta (Cupitò 2003: 96-97) così come la figura del
pugilatore, che richiama lotte/giochi rituali, potrebbe rispondere
ad analoghi significati” (p.281 Depalmas in Tanda-Luglié) o
ancora Madau, nel medesimo lavoro già citato: “Le aristocrazie
portano quindi in scena la cultura del territorio ed i suoi mondi
mitologici, ancora sommersi ma orientati verso divinità legate al
mondo selvatico, della caccia, garantendo con appositi riti di
passaggio – che ancora sfuggono – l'ingresso nel mondo
del valore militare che rappresentava la società,
interpretandone nel contempo lo sfondo religioso e le tradizioni
territoriali” (Marcello Madau in “Le maschere di bronzo” dagli
“Atti della XLIV Riunione Scientifica, La preistoria e la
protostoria della Sardegna, vol. III – Comunicazioni”,
Università degli Studi di Cagliari (2009) p.848);
[31] Valgano
qui, tutti gli studi del Prof. Sanna in blibliografia.
[32] Non
è affatto necessario riferirsi a queste sculture come a “ritratti”
di figure realmente esistite. Inoltre il presunto “non finito”
di cui parla Lilliu per alcuni bronzetti (impensabile a mio avviso
nella logica della fusione a cera persa) - che permette di ritrovare
persino le impronte di chi ha plasmato l'opera - può essere letto
come segno della indefinitezza, reso per ragioni espressive, e alla
non-compiutezza del rito (di passaggio) rappresentata dalla figura.
[33] Victor
Turner, 2001, op. cit. p. 112
BIBLIOGRAFIA:
- Atropa Belladonna "Umano sarà lei!" in Montepramablog.it del 04.05.2014
- Ranuccio Bianchi Bandinelli, Organicità e Astrazione (1956), Electa 2005;
- Michail Batchin, L'opera di Rabelais e la cultura popolare, Biblioteca Einaudi, Torino, 1965;
- Anna Depalmas in “La figura umana nell'arte nuragica”, dal testo di G. Tanda, C. Luglié, Il segno e l'idea. Arte preistorica in Sardegna, CUEC editore, 2008
- Van Gennep, I riti di passaggio, Bollati Boringhieri, Torino, 1981. Il testo è stato pubblicato la prima volta con il titolo originale Les rites de passage (Parigi, 1909)
- Ralph Araque Gonzales, “Sardinian Bronze Figurines in their Mediterranean setting” (2012)
- Max Guilmot, Iniziati e riti iniziatici nell’antico Egitto. Silenzio – Sapere – Potere, trad. it., di L. Pietrantoni, Edizioni Mediterranee, (Roma 1999)
- Angelo Ledda, "Monte Prama: tra organicità e astrazione" in Monti Prama n. 67 (2016)
- Angelo Ledda, “L'altro di fronte a sé” (in Montepramablog del 5 gennaio 2015
- Angelo Ledda, “L'inafferrabile visione” (in Maymoniblog del 3 settembre 2015 )
- Angelo Ledda, "Millenovecentoquarantanove: una sorta di terrore religioso per la perfettibilità" in Maymoniblog del 10/06/2015
- Angelo Ledda,"Classico e Anticlassico: la forma ritmica della storia culturale europea" Maymoniblogdel 14/07/2015;
- Angelo Ledda, “A un passo dall'impossibile:organismi e meccanismi 'mostruosi'” in Monti Prama n.68 (giugno 2016), PTM Mogoro
- Angelo Ledda, “A un passo dall'impossibile: teratomanzia e logica geroglifica” pubblicato nel Maymoniblog in data 12 luglio 2016
- A.L., “Light is Life. I Giganti Tori della luce del Sinis” in Monti Prama n.67 (2016)
- Giovanni Lilliu, Sculture della Sardegna Nuragica, Illisso 2008, riedizione dell'opera del 1966
- Marcello Madau, “Le maschere di bronzo” dagli “Atti della XLIV Riunione Scientifica, La preistoria e la protostoria della Sardegna, vol. III – Comunicazioni”, Università degli Studi di Cagliari (2009)
- Gigi Sanna, Sardoa Grammata 'ag'ab sa'an yhwwh, S'Alvure, Oristano, 2004;
- Gigi Sanna, I segni del Lossia Cacciatore, S'Alvure, Oristano, 2007
- Gigi Sanna, La stele di Nora, Il dio, il dono, il santo, PTM Mogoro 2009
- Carlo Tronchetti, “I bronzetti 'nuragici': ideologia, iconografia, cronologia” in Annali di archeologia e storia antica. Dipartimento di studi del mondo classico e del Mediterraneo Antico di Napoli – Nuova serie n.4, 1997
- Victor Turner, Il processo rituale. Struttura e antistruttura, Ed. Morelliana, Brescia, 2001(Titolo originale dell'opera: The Ritual Process. Structure and Anti Structure del 1966).
Le cose che tu scrivi, caro Angelo, bisogna leggerle due volte. E non perché il tuo discorrere non sia piano e perfettamente comprensibile, ma per assorbire tutte le suggestioni che innesca. Inoltre l'argomento viene a colmare una lacuna sulla lettura artistica dei bronzetti, tante volte lamentata anche da Aba Losi.
RispondiEliminaDico subito che, a leggere le diverse e contraddittorie considerazioni degli studiosi che citi, suppongo quanto sarebbe rimasto “basito” l'artista/filosofo/sacerdote/fabbro che quel tal bronzetto ideò/manipolò/fuse, perché di tali considerazioni gli sarebbe sfuggito quasi interamente il senso.
Quello che però trovo indigeribile resta la trattazione dell'arte statuaria in bronzo, durata opinabilmente cinque o sei secoli (dal XII secolo di Araque Gonzales al VII di Lilliu) alla stessa stregua della comparazione tra il David di Michelangelo e le sculture di Nivola, per non andar lontani. Oppure, passando alla pittura, la comparazione fra gli affreschi di Assisi di Giotto e il quadro Guernica di Picasso.
Salvo che si neghi a tutta la produzione bronzettistica nuragica qualsiasi valenza artistica.
Questo disvalore emerge non detto dalla convinzione che il “fabbro fusore” nuragico lavorasse, sempre ed esclusivamente, dietro l'incarico di chi possedeva oltre il necessario.
Io penso che, come tutti gli artigiani, che artisti lo sono sempre stati, il fabbro fusore nuragico lavorasse su commissione specialmente alla fabbrica delle armi e degli attrezzi, ma che, spinto come tutti gli artisti da una forza interna poietica, dedicasse ritagli di tempo e di materiale a soddisfare le proprie pulsioni artistiche. Ieri come oggi, infatti, gli artisti creano le loro opere e solamente dopo le vendono, spesso a fatica, specialmente se debordano dal classico déjà vu.
È vero pure che lavorano su commissione, specialmente sui ritratti dei potenti, ma è anche vero che proprio in quei casi l'ispirazione artistica suole lasciare spazio alla perizia.
Il fatto che Lilliu giudichi “arte plebea” o popolare, da villerecci o biddunculus, per dirla alla cagliaritana, tutta quella produzione che non risponde ai canoni che sono nella sua testa, la dice lunga anche sulla titolazione della riflessione sulle categorie del “barbarico e dell'anticlassico”.
Mi fa spezie – spezia leggia, per intenderci – che il grande Baruminese leghi i suoi giudizi a categorie che, nel mille a. C., non esistevano ancora: “Barbaro” fu parola usata dai Greci e dai Romani per indicare uno straniero, ma a quel tempo non esistevano ancora i Romani e neppure i Greci.
Se sei sardo e parli di cose sarde, come fai a definire barbare, cioè straniere, le cose di casa tua?
Analogamente la categoria anticlassica per i bronzetti è tutta da ridere (a paràculu abertu): il classicismo viene fatto risalire al V secolo a. C., ma in questo caso i tempi sono precedenti almeno di cinque secoli.
Bontà loro che ci vogliono imporre il concetto che nacque prima l'anticlassicismo che il classicismo.
Certo che aveva la vista lunga per guardare al futuro il nostro fabbro fusore nuragico.
Altri, al contrario, i nostri scienziati di oggi, non riescono a scorgere proprio nulla del passato.
Francu grazie, condivido il tuo pensiero sull'anacronismo del parlare di barbarico e anticlassico. Non ho mai trovato nulla, o forse nessuno ne ha scritto, a proposito del peso delle idee di Ranuccio Bianchi Bandinelli su Giovanni Lilliu. Proprio per questo lo cito spesso e, anche qui, ne ho detto qualcosa in proposito. Sarebbe interessante esaminare questo rapporto più da vicino.
EliminaSulla cronologia, riconoscendomi comunque nelle tesi rialziste, sono altrettanto d'accordo. Lo scarto temporale è esteso rispetto alle differenze riscontrabili, ma non escludo che vi siano bronzi più recenti e più antichi. Però non in così larga maggioranza secondo me... Se ho ragione di rimettere vicini in una concezione unitaria questi due "modi espressivi" (chiamiamoli così, ora per capirci) ovviamente si riduce anche lo scarto temporale e la distinzione cronologica. Non ho le idee chiare (forse come nessuno può averle) ma è argomento che mi fa spesso pensare. Qualcosina ho provato ad impostarla nella nota 8 e non sul piano cronologico, ma non può che essere un discorso del tutto preliminare.
Mi chiedo da ignorante curioso,"il cemento "ai piedi del bronzetto di Santa lulla di Orune può avere o ha qualche significato?
RispondiEliminaQuasi tutti i bronzetti erano infissi in tavole/altari di pietra e condividevano lo spazio con altri bronzi. Qui ne vediamo il residuo della pietra. In questa immagine vediamo una simulazione tratta dal libro di Maria Ausilia Fadda:
Eliminahttp://4.bp.blogspot.com/-ypXSjUiXzEQ/VL-AlEoL08I/AAAAAAAAKRc/hgCW3nQc0lE/s1600/Immagine.png
Grazie
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