Amuleto aureo etrusco da Bolsena in scrittura
metagrafica. La forza ciclica immortale della luce di Tin e di Uni. L’iterazione
logografica e la numerologia mutuate dal nuragico.
Gigi Sanna
Un paio di mesi fa abbiamo illustrato e
commentato (1) lo spillone (c.d. affibbiaglio), di destinazione e di
significato mortuario, della tomba detta dei cinque sedili di Cerveteri. In
esso e con esso abbiamo confermato (2) l’uso del metagrafico (cioè della
scrittura non lineare, basata sull’acrofonia, la numerologia e l’ideografia)
nella scrittura etrusca. Uso di chiara ascendenza nuragica (3).
Oggi sottoponiamo ad analisi uno splendido oggetto aureo, un
gioiello di fattura etrusca proveniente da Bolsena (4). Sulle prime si direbbe
costituire un pendaglio ‘decorato’ con delle simbologie più o meno scoperte,
una delle quali, la svastica, con significato manifesto di ciclicità,
continuità perenne, immortalità, rigenerazione (5). Ma il dischetto si presenta
subito come assai complesso quanto a segni i quali non assumono significato
solo decorativo ma chiaramente anche fonetico, se solo si osserva che il primo
cerchio, a partire dall’esterno, riporta una lunga serie di ‘c’ reiterate
ovvero la terza lettera dell’alfabeto etrusco (ma anche romano) di tipologia tarda. Si tratta, tra l’altro, della
stessa, precisa lettera che si trova nel documento nuragico, con tre tipologie diverse
di grafemi, della scritta mortuaria (fig.2) dell’Antiquarium Arborense di
Oristano (6).
Che ci fa dunque la terza lettera dell’alfabeto riportata nell’oggetto
ciclicamente? Che intendono significare le tre ochette poste al di sopra? Che
cosa ci dicono esse ripetute e reiterate, sempre ciclicamente, nello spazio
circolare centrale? Che cosa ancora intendono
suggerire le apparenti decorazioni a zig - zag e a puntini del secondo cerchio?
Che cosa ancora le quattro svastiche alternate a quattro cerchi concentrici più
l’analogo motivo ‘assai più grande’ collocato centralmente? Che cosa infine i
quattro punti che arricchiscono il motivo di ciascuna svastica?
Il disegno
complessivo dell’oggetto manifesta la presenza di un bel rebus, non certo
facile, anzi –diciamo subito - impossibile da sciogliere se non si posseggono
le chiavi interpretative che consentono di ‘leggere’ quanto lo scriba orafo
etrusco ha nascosto con arte e sapienza dietro tutti i significanti: ochette,
‘c’, zig-zag, punti, svastiche, spirali, ovvero i ‘sei’ (7) segni con la
difficoltà di comprensione dei quali dobbiamo cimentarci per cercare di capirli
sia singolarmente sia in legame sintattico tra di loro negli spazi dei ‘tre’
cerchi dai quali è costituito lo schema generale dell’oggetto. Schema che
allude, con grande chiarezza, alla ciclicità, subito dopo il motivo delle tre
ochette che ‘aprono’ il disegno,in apparenza di valore meramente estetico e
decorativo.
1. Le ‘C’ etrusche. Il numero tre ciclico
astronomico. Abbiamo già fatto presente in altri articoli (8) il valore del ‘tre’ che assume la terza lettera dell’alfabeto etrusco. Reiterare quindi una ‘C’ vuol dire ripetere, nella fattispecie, un ‘tre’, ovvero il numero sacro della divinità luminosa (sole -luna) che, ricordiamolo ancora una volta, si presenta astronomicamente in ‘tre’ fasi. Lo scriba nel primo ‘cerchio luminoso’ ci disegna il tre ciclico, il tre della luce ciclica. Un tre che gira all’infinito.
Il punto, così come nel nuragico (9)
è anche in etrusco segno grafico per indicare l’unità. Esso è ripetuto
ciclicamente e continuamente nello schema apparente del cosiddetto zig –zag che non dobbiamo fraintendere
perché altro non è in etrusco che il numero ‘cinque’ ripetuto (così come il tre
del cerchio superiore), numero che, nella rotazione ciclica,risulta associato
continuamente al punto, ovvero al numero ‘uno’: schema questo che suggerisce
ovviamente il numero ‘sei’, numero che, come sappiamo ‘ad abundantiam’, è il
tre luminoso precedente ma osservato analiticamente; cioè la luce ciclica della
somma dei tre momenti (il sorgere, il crescere
o l’estendersi,il tramontare) dei due astri diurno e notturno. Replichiamo graficamente,anche
in questo articolo, lo schema astronomico (v. fig.3) che ci consente di capire
che il tre è ‘anche’ il sei. Scrivere dunque un ‘sei’ ripetutamente è come
scrivere un ‘tre’, ma precisando che la luce non è una sola ma due, che le
‘lampade’ (10) che la formano sono il sole e la luna. Si spiega così
l’androginia della divinità luminosa che è una ma costituita da due forze unite
che, con la loro continuità (ciclicità), danno perenne vita al creato. Il dio
luminoso maschio e femmina yh(IΛ:padre
e madre) dei santuari nuragici (e prima, con ogni probabilità, dei cananei),
dio antichissimo di un culto monoteista, evidentemente ha fatto scuola e
offerto le simbologie numeriche (e non solo esse) agli scribi dei santuari
etruschi con la coppia Tin(apa) e Uni (ati).
Le ochette, come si nota, sono in
tutto quattordici ma si presentano con chiarezza in due sequenze di sette dato che lo scriba ha maliziosamente
interrotto (separato) per due volte i ‘segni’, in modo da suggerire, sia pur
nella circolarità, un certo significato e rendere più pregnante e ‘in
crescendo’ nella sequenza sintattica il significato scritto dell’amuleto. Il senso
riposto in esso è del tutto irraggiungibile se non si tiene presente la
scrittura metagrafica sia del nuragico sia dell’etrusco, quella che ormai
abbiamo visto in numerosi articoli sia dell’uno che dell’altro codice o sistema
a rebus. Infatti, solo tenendo presente il suo uso e uno dei tre aspetti
costanti, si capisce che le ochette sostituiscono per acrofonia il tre e cioè
la ‘C’, quella che viene riportata come esplicita consonante (velare sorda) nel
primo cerchio. In tutta evidenza l’etrusco si serviva, per indicare l’oca, di un
termine iniziante per la consonante ‘C’ ,voce che secondo noi potrebbe essere
la ‘coca’ (koka) del sardo arcaico, non compresa dal Wagner (11). Se così è,
noi abbiamo la consonante ‘C’ ripetuta sette volte per due volte. Ora, il
valore del sette del nuragico (ma non
solo - come si sa - del nuragico) è
quello di ‘santo’(12) e quindi si ha qui la voce santo ripetuta per due volte e
preceduta dal tre: tre doppio santo.
Dopo il ‘tre ciclico’ (primo cerchio), il ‘sei ciclico’ (secondo cerchio),
abbiamo dunque il ‘doppio tre ciclico santo’ (terzo cerchio).
4. Svastiche e spirali. Il numero ‘quattro’ ed
il suo significato di forza, energia, potenza.
Abbiamo detto che le ochette sono interrotte
per due volte da delle spirali o, meglio, da quattro cerchi concentrici. Essi si
presentano armonicamente in numero di cinque: quattro alternati con delle
svastiche arricchite da quattro punti
nei singoli bracci. E’ evidente che qui lo scriba gioca ancora con i numeri e solo tenendo in considerazione l’aspetto
numerologico del metagrafico si può comprendere in che relazione sintattica con
le voci precedenti stanno le nuove che rendono le ochette (doppio tre santo). Si noti che il quattro è ripetuto in tutti i
segni e che questi, sia le svastiche che i cerchi concentrici, hanno il valore
‘ideografico’ di ‘continuità’, ‘ciclicità’. E si noti ancora che i segni, con
identico significato (cerchi concentrici e svastiche), sono ripetuti nove
volte. Dobbiamo dunque tener presenti oltre al valore ideografico che si è
detto, quelli del numero quattro e del numero nove. Ancora una volta possiamo
contare sul nuragico (13) che ci suggerisce che il quattro significa ‘forza’ e
il nove ‘immortalità’. Mettendo in fila le sequenze abbiamo: forza /ciclica
ripetuto nove volte. Secondo il ricorso all’ iterazione numerica logografica (il
numero ottenuto per ripetizione rende la parola convenzionale: potenza,
santità, immortalità, luminosità, ecc.) lo scriba ottiene: forza ciclica nove ovvero forza
ciclica immortale.
5. La sintassi dell’amuleto. Lettura
dall’esterno verso l’interno (14).
Riprendendo il contenuto dei
singoli cerchi avremo:
(del) tre ciclico/ (del) sei
ciclico/ (del)tre doppio ciclico santo
forza ciclica immortale.
Nell’oggetto si trova scritta,
criptata attraverso le convenzioni del metagrafico, la concezione che avevano
gli Etruschi (e prima di essi i nuragici e altri popoli ancora) della divinità
luminosa: essa è un tre astrale
ricorrente nel tempo, ciclico, eterno. Ma è un tre ripetuto due volte, quindi
anche un sei perché sei nella
ciclicità della luce sono i momenti che caratterizzano i movimenti del Sole e
della Luna, simboli di Tin e di Uni o meglio TIN/UNI ,singola divinità
androgina (maschio -femmina, padre e madre assieme). Il dato empirico offre
agli uomini due luci, quelle del giorno e della notte, ma l’essenza di quella luce è una sola,
quella del ‘tre doppio santo (perfetto, immacolato, incensurabile)’. Non è un
caso che la logica e la bravura dello scriba porti questo a porre, in un
bellissimo ‘crescendo’ con la bellezza e la dimensione dei segni, i cerchi
concentrici più grandi al centro
dell’oggetto. Così essi suggeriscono, ideograficamente, quasi a
priori la magnifica forza della doppia luce, ovvero della luminosità totale.
L’oggetto di Bolsena aveva quindi funzione protettiva e apotropaica e, con ogni
probabilità, doveva far parte del corredo di una tomba nella quale il defunto
portava con sé, misteriosamente scritta, la formula del tre e del sei ovvero di
Tin e Uni, padre e madre che, in quanto ciclicamente immortali, erano garanti
della rinascita per il figlio e della sua vita continua e ciclica dopo la morte
terrena. Pertanto esso non si differenzia, se non nella forma metagrafica
adoperata,dalla scritta dell’affibbiaglio (15) e da quelle dei sarcofaghi e delle
urne, le cui immagini, astratte e non, tendono sempre a rendere la formula del
sostegno (spesso doppio sostegno: così come nei bronzetti nuragici) del padre e
della madre, del sole e della luna e cioè di Tin e di Uni.
6. Le tre ochette iniziali, ‘extra ordinem’. Valore del supporto: la presina e il disco della luce.
Abbiamo lasciato di proposito alla
fine i ‘segni’ iniziali dell’oggetto perché la disposizione di essi non è articolata
nel modo e nell’ordine ‘ciclico’ secondo il quale sono disposti tutti gli altri
(le ‘C’, i ‘sei’, le ochette, le svastiche e le spirali). Il dato più chiaro è
che le ochette sono ‘tre e che essendo ciascuna di esse acrofonia di ‘coca’
suggeriscono un numero magico dato che le tre ‘C’ ( CCC) rendono il numero ‘nove’. Si è già visto che
il ‘nove’ è numero che rende per convenzione la voce ‘immortalità’. Quindi la
lettura delle tre ochette è a parte: tre
immortale. Due voci che però possono trovare un significato solo se vengono
completate da una terza voce e, pensiamo, da una quarta che le spieghi e,
soprattutto, spieghi il significato dell’oggetto che è quello di forza e di energia magica protettiva.
Queste altre due voci non possono che essere date dall’oggetto stesso (espediente
questo che non sorprende dal momento che il supporto in nuragico e in etrusco è
esso stesso, assai spesso, ‘segno’ fonetico, ovvero parola) che si spiega
ideograficamente, cioè dalla presina, il punto di forza (taurino?),come quello che
permetteva la legatura della cordicella al pendaglio,e dall’essere essa presina
un tutt’uno con il disco che contiene
tutti gli altri significanti riportati nei tre
cerchi. Il dischetto (anche qui ci conforta il nuragico) non ha però il valore
di ‘ciclicità’ ma di ‘luminosità’. Esso simbolizza sempre il doppio occhio
luminoso diurno e notturno. Bisogna
aggiungere dunque ‘forza’ e ‘luce (in nuragico semitico sarebbe ‘OZ NL): forza della luce del tre immortale.
7. Le due letture del pendaglio.
Quindi le letture dell’oggetto
sono due, delle quali l’ultima costituisce un arricchimento estetico formale e
simbolico ma anche e soprattutto un ampliamento o estensione fonetica esplicativa
della prima:
- forza della luce del tre immortale.
- del tre ciclico, del sei ciclico, del doppio tre ciclico santo forza ciclica immortale.Note ed indicazioni bibliografiche
1. Sanna G., 2017, ANCHE LA SCRITTURA ETRUSCA, COSI’ COME QUELLA NURAGICA, E’ A TUTTO CAMPO. COME UN AFFIBBIAGLIO PUO’ DIVENTARE UN INNO NASCOSTO ALLA DIVINITA’ CICLICA CELESTE E UN’ACCORATA INVOCAZIONE A TIN E A UNI; in Maymoni blog (24 maggio).
2.
Sanna G., 2017,
Uno spettacolare ‘system’ etrusco di
scrittura a rebus. Come invocare segretamente l’aiuto di Tin e di Uni? Del
padre e della madre? Scrivendo con cipressi, bende, corna, portoni blindati,
scudi di Amazzoni, cacce e cani, bipenni, cavalli, leoni e pantere,ecc. Persino
con affettuosi (superdotati) cagnetti cortonesi (II), in Maymoni
blog spot.com (11 aprile).; in Maymoni blog (11 aprile); idem, 2017, SCRITTURA ETRUSCA: SOLLEVA,
DISTENDE, CURVA: TRE PAROLE MAGICHE PER INDICARE, NASCOSTAMENTE E A REBUS, TIN
E UNI, IL SOLE E LUNA, IL PADRE E LA MADRE DELLA LUCE DELLA SALVEZZA. I SIMBOLI
ASTRALI DELLA CHIMERA DI AREZZO; in Maymoni blo (15 maggio).
3.
Sanna G., 2016, I geroglifici dei
Giganti. Introduzione allo studio della scrittura nuragica, PTM Mogoro
(Or), passim.
4.
Il
manufatto etrusco è datato da alcuni al
700 -650 a.C. Ma la datazione è sicuramente molto più bassa stante la
tipologia tarda delle ‘C’ ripetute nel primo cerchio del disco aureo (v. più
avanti).
5.
‘Quelle qu’en soit sa complexité symbolique,
le svastika, par son graphisme meme, indique manifestement un mouvement de
rotation autour du centre immobile […]. Il est donc symbole d’action , de
manifestation, de cycle et de régénèration perpétuelle’ ( Chevalier J –
Gheerbrant A., 1982, Dictionnarie des
symboles, Laffont ed. p. 912, vox SVASTIKA.
6.
Sanna G., 2016, Antiquarium arborense di Oristano. La tarda scritta nuragica tharrense
della luce salvifica per il figlio (non
nominato) di Yhwh. Il 'segno'
complesso della λοξότης (obliquità); in Maymoni blog (26 gennaio).
7.
Il lusus
numerico dello scriba artigiano orafo, per motivi di organicità, coerenza e di magia assoluta dell’amuleto, si spinge sino al limite del possibile. Il ‘sei’
è numero sacro astrale (v. più avanti) e simbolizza l’unione dei due tre,
ovvero l’androgino Tin/Uni (il sole e la luna). V. Sanna G., 2016, Tarquinia. L’ancora della salvezza e il sostegno della luce di TIN /SOLE
e di UNI /LUNA. Il greco - cipriota? Non c’entra nulla. Semmai il semitico
nuragico di Barisardo; in Maymoni blog (15 dicembre).
8.
V. ad
esempio Sanna G., 2014, GIOCHIAMO A DADI E IMPARIAMO L'ETRUSCO. I 'dadi
enigmatici' (kύboi loξoί) di TIN e di UNI. Il gioco
combinatorio circolare delle 'parole-immagine a contrasto' e dei 'numeri
alfabetici' dei dadi di Vulci;
in Monte Prama Blog (8 novembre).
9.
Sanna G.,
2016, I geroglifici dei Giganti, cit. 5. pp. 115 -120.
10. Genesi, 1 -14,15,16,17.
11. DES, 568 (a cura di G.Paulis): ‘kokka sarà una forma imitante il gloglottare dell’uccello’.
12. Sanna G., 2016, I geroglifici dei Giganti,ecc. cit. 5.2. pp. 120 - 127.
13. Sanna G.,
2016, I geroglifici dei Giganti,ecc.
cit. 5.2. p. 121.
14. Così come nel dischetto plumbeo di Magliano. In
esso però, a parte il metagrafico che rende il serpente, nonché la lingua
bifida e l’occhio attraverso i simboli fonetici (Sanna G. 2013, Cos'è il disco
plumbeo di Heba di Magliano? Ce lo spiega il dischetto lapideo di Allai (Sardegna); in
Monte Parma Blog (19 febbraio), la
lettura avviene attraverso le lettere dell’alfabeto etrusco.
15. V. nota 1.
Molto gratificante comprendere che un monile d'oro antico, su cui l'artista spese molto in tempo, fatica e intelligenza, non è solamente, scarnamente ed esclusivamente bello, ma portatore di un messaggio basilare e universale, magnificamente cifrato, ancora oggi attuale, se pure corredato dall'evoluzione successiva dell'umano pensiero.
RispondiEliminaLa maestria dell'artista, che mostra e allo stesso tempo nasconde il messaggio, secondo me viene ereditata, come gusto e come gioco, dalla cultura popolare in genere, e in quella sarda in particolare, sia quando il pastore sino a ieri decorava sa mazzocca, che quando proponeva indovinelli per i bambini o metafore per adulti.
Si, Francu. Ma il bello è che quel messaggio cifrato è di concezione etrusca e sarda nello tesso tempo. Solo che in Sardegna non trovi oggetti così, con metalli preziosi come l'oro e l'argento. E questo bisogna spiegarlo. E' indubbio che la scrittura nuragica (pensa solo alla barchetta di Teti: IX -VIII secolo a.C.) viene prima dell'Etrusco (che sembra scrivere solo dal VII secolo a.C.) ma è una scrittura i cui geroglifici (segni sacri) sono riportati in materiali poveri oppure nel bronzo e non nell'oro. Tzricotu non è il solo esempio che si può fare. Il bronzetto del 'musico e ballerino' (cioè del sacerdote erede di Aaronne con il diadema della santità) con le sue tre lettere proprio sulla santità ( s'an) è un altro esempio che abbiamo. Così come lo spillone di Antas. Ma perché il bronzo qui e l'oro lì? Perché qui gli amuleti (di cui si è detto e ragionato più volte) sono tutti in bronzo? Perché bronzo, bronzo e ancora bronzo? Perché qui le tombe dei piccoli faraoni sardi sono spartane quanto a corredo che più spartane non si può e lì tutto nella tomba dei principi e degli aristocratici è lusso sfacciato? Perché lì trionfa la concezione 'egiziana' dello splendore della tomba e qui sembra esserci solo cianfrusaglia simbolica?
RispondiEliminaUn oggetto meraviglioso!
RispondiEliminaUna bella domanda, Gigi.
RispondiEliminaChe sia così, pare verosimile; sicuramente appare così.
Di monili in oro di età nuragica, ricordo bene quello di Gonnostramatza che stava in una sepoltura, ma - si potrebbe supporre - poteva essere d'importazione. Anche perché la sua fattura non ricordo che sia certificata come nuragica da segni di scrittura.
Che la religione cananaico-nuragica prevedesse una vita splendida nell'aldilà - similmente a quanto predicano le religioni monoteiste odierne, mentre quella terrena era proiettata soprattutto verso i doveri, quasi dovesse essere una sorta di quaresima permanente?
Certamente l'idea di durata lunga nel tempo, di eternità, a parte loro e l'argento, lo rendeva più il bronzo del ferro, contemplando per il bronzo anche una larga fascia di utilità pratica che i metalli preziosi non possiedono.
Il bronzo dunque come materiale d'elezione, per la resistenza alla corruttibilità e per la larga duttilità di un suo uso pratico.
Queste mie, però, sono considerazioni da giorno feriale.
Le mie da domenica mattina: queste connessioni con gli Etruschi questa settimana sembrano aver ricevuto un altro input. E' stata resa nota la "manina" di bronzo da Monte Prama, con braccialetto, uguale a quella del sacerdote della tomba dei bronzetti nuragici di Vulci. Tomba datata al IX secolo a.C.
RispondiEliminaComunque secondo me sì: la vita cananeo-nuragica sulla terra se non era una quaresima permanente...quasi
Un costume di vita essenziale e misurato quello dei Nuragici, sobrio anche nelle parole?
RispondiEliminaLo vedremo presto (spero) quel bronzetto sardo di Cavalupo. Davvero straordinario per la sua potenza apotropaica. Per la sua magica taurinicità. Quanto all'oro più prezioso del bronzo credo che lo fosse davvero. Ma certi nuragici (la 'parte' non egittizzante o filoegiziana dei nuragici:l'ipotesi dicotomica di Aba mi convince sempre di più)lo detestavano, così come detestavano tutto il lusso e la pompa di un figlio del Dio in terra). Chi dei Tirreni (costruttori di Torri)invece passa in Etruria ama la 'chiesa', i 'sacerdoti' e la 'nobiltà' dello sfarzo. Non vederlo mi pare un assurdo. Se poi ci mettiamo anche l'incontro dei nuragici etruschi con la civiltà del bello della Magna Grecia e della Grecia stessa...
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