di Angelo Ledda
*Articolo di prossima pubblicazione in Monti Prama. Rivista semestrale di cultura di Quaderni Oristanesi ( n.70), PTM Mogoro, 2018
*Articolo di prossima pubblicazione in Monti Prama. Rivista semestrale di cultura di Quaderni Oristanesi ( n.70), PTM Mogoro, 2018
1. Atti religiosi e gestualità costitutiva nei
bronzi figurati sardo-nuragici
Agli
inizi del Novecento Raffaele Pettazzoni descriveva i bronzi figurati
sardo-nuragici mettendo l'accento sull'atto religioso rappresentato:
“Non si
tratta, qui, di divinità; ma di uomini[...] Quasi tutti hanno una
impronta solenne, conferita dall'atto religioso che essi compiono e
che l'arte ritrae: o
tendono innanzi l'ampia mano aperta e levata in un gesto pieno di ieratica gravità; oppure presentano un'offerta; oppure, e ciò è particolarmente proprio delle figure di guerrieri, stanno rigidi e fermi in una posa militare e da parata" [1] (Pettazzoni, 1912).
tendono innanzi l'ampia mano aperta e levata in un gesto pieno di ieratica gravità; oppure presentano un'offerta; oppure, e ciò è particolarmente proprio delle figure di guerrieri, stanno rigidi e fermi in una posa militare e da parata" [1] (Pettazzoni, 1912).
Anche
dal nostro punto di vista, in nessuna di queste sculture è
raffigurata una divinità e ciò nonostante sono in evidente
relazione con essa, tanto da riuscire ad avvertirne la
presenza
grazie ad alcuni elementi: gli occhi 'allucinati' (a suggerirne il
tratto luminoso
– Fig.
3, 4)
e la
mano aperta levata,
non di rado ingigantita con valore di sottolineatura, in un
gesto
interpretato dagli storici come un 'saluto'. A
chi è altrimenti rivolto questo gesto? (Fig.
2, 6)
I
gesti e la postura lasciano intendere che queste figure si
trovino dinnanzi ad una divinità
(o una sua epifania o una sua manifestazione)
della quale però non ci è dato conoscere la fisicità perché
l'artista non l'ha voluta/potuta rappresentare [2],
forse a causa di un divieto religioso, verosimilmente per una
concezione del divino che non contemplava alcuna corporizzazione
(Ledda, 2016).
Se non ci è possibile individuare la raffigurazione della divinità, risulta altrettanto difficile pensarle come semplici figure umane, immortalate nella loro sfera quotidiana. Queste figure sembrano piuttosto fluttuare tra due mondi, imprigionate in una condizione liminare, facendoci sospettare la messa in scena di quelli che Van Gennep ha definito 'riti di passaggio' [3].
Il dato si ricava dallo stato di alterazione fisica di alcune figure – trasfigurazione tale da rendere indistinguibile la forma umana da quella animale e che contribuisce a darle un aspetto mostruoso e/o grottesco (fig. 3) – dall'iperantropia dei cosiddetti 'demoni' con occhi e braccia raddoppiate o dal pesante mascheramento/vestizione cerimoniale che comprende elementi appartenenti alla sfera animale (su tutti gli elmi cornuti) (Fig. 5, 10).
Se non ci è possibile individuare la raffigurazione della divinità, risulta altrettanto difficile pensarle come semplici figure umane, immortalate nella loro sfera quotidiana. Queste figure sembrano piuttosto fluttuare tra due mondi, imprigionate in una condizione liminare, facendoci sospettare la messa in scena di quelli che Van Gennep ha definito 'riti di passaggio' [3].
Il dato si ricava dallo stato di alterazione fisica di alcune figure – trasfigurazione tale da rendere indistinguibile la forma umana da quella animale e che contribuisce a darle un aspetto mostruoso e/o grottesco (fig. 3) – dall'iperantropia dei cosiddetti 'demoni' con occhi e braccia raddoppiate o dal pesante mascheramento/vestizione cerimoniale che comprende elementi appartenenti alla sfera animale (su tutti gli elmi cornuti) (Fig. 5, 10).
È
certo che i gesti rappresentati non siano quotidiani o comportamentali, ma gesti
costitutivi che
una volta espressi hanno una loro intrinseca conseguenza, una loro
efficacia [4].
Quello del 'saluto' è evidentemente un tipo di gesto
intenzionale, efficace, formale, stilizzato, assoluto e fatale con
valore costitutivo di realtà irreparabile
e del quale non
è indispensabile la visibilità: “anzi
di norma è assoluto, ovvero sciolto anche dalla necessità della
manifestazione visiva”, come
tipico del gesto magico-rituale, dove è fondamentale che i gesti
della procedura vengano eseguiti nel rispetto di un ordine formale
prefissato e in assoluta segretezza (Bertelli,
Centanni, 1995).
Risulta attestato in diverse
testimonianze figurative,
alcune risalenti all'epoca neo-sumerica come simbolo della mano
benedicente del dio (è il caso di un sigillo di Hammurabi) ed altre,
ancora del Vicino Oriente e del mondo greco e punico, nelle quali,
viceversa, si riscontra l'atteggiamento d'adorazione del fedele nei
confronti della divinità. Il gesto sembra quindi oscillare fra i due
poli del divino e dell'umano, alludendo ora alla mano benedicente del
dio, ora al gesto di preghiera del fedele [5] (Ghedini, 1984).
Benché
riteniamo che il caso sardo si differenzi dai casi orientali per il
fatto che non vi siano testimonianze della doppia valenza del gesto
(è compiuto esclusivamente da figure umane), con questi sembra
comunque condividere il legame a un culto solare.
2.
La
polarità destra/sinistra
Fig.
2:
Bronzi sardo-nuragici di sacerdoti/sacerdotesse
- gesto della mano destra levata con il palmo rivolto verso il destinatario del “saluto”;
- offerta/oggetto da consacrare presentato con la mano sinistra o nel lato sinistro del corpo;
- posizione eretta e frontale con piedi paralleli tra loro e allineati;
Se
da un lato il gesto del 'saluto' sembra confermare la consueta preminenza
della destra
per gli scopi cerimoniali, dall'altro può sorprendere che sia la
mano (o parte) sinistra a recare l'offerta, solitamente ritenuta la
mano proibita o profana: “A
destra è il posto d'onore, è la mano destra che si usa nel saluto,
nell'alleanza e nel giuramento[...] Nelle suppliche si implorava 'in
nome della mano destra'[...] Di conseguenza ricevere con la sinistra
qualcosa che viene offerto con la destra corrisponde ad un oltraggio
o ad una prova di scarsa fiducia. Usare, quindi la sinistra al posto
della destra rappresenta un tremendo malaugurio” [7].
Si
aggiunga ancora che in alcune culture, in occasione di offerte sacre,
le parti sinistre delle vittime immolate venivano scartate. In
realtà Curletto ha descritto diversi casi nei quali l'inversione
della norma
risulta necessaria per ristabilire un ordine perduto [8] e ha messo in evidenza svariati contesti nei quali la mano sinistra
non manca di una propria connotazione religiosa, per esempio quando
rivolta agli dèi
sotterranei oppure se impiegata
per scopi magici
(Curletto, 1990).
Quest'ultima
possibilità potrebbe essere sostenibile solo se si potesse
dimostrare che nel mondo sardo-nuragico vi fosse una netta
distinzione tra la sfera religiosa e quella magica, mentre
è da ritenere
più plausibile che l'atto coinvolgesse entrambe le mani per
rispondere all'esigenza di tenere insieme i due poli del maschile e
del femminile, del solare e del lunare, del diurno e del notturno e
così via, tipico di quelle culture che si sono avvalse dello schema
classificatorio destra/sinistra per le loro regole sociali e
religiose [9].
Fig. 3 (a sinistra): Il bronzetto di Santa Lulla di Orune (Museo Archeologico di Nuoro), da noi interpretato come un neofita nella sua fase liminale. Foto di Valerio Capello.
Fig. 4 (a destra): Occhi 'allucinati' e mano destra in segno di saluto in un bronzo conservato nel Museo Archeologico di Nuoro. Foto di Valerio Capello.
3. La funzione dei bronzi sardi
Fig. 5: Il cosiddetto 'demone' dai quattro occhi,
quattro braccia e doppio scudo con corna
pomellate custodito al Museo Archeologico
Nazionale di Cagliari
|
La dottrina è orientata sul carattere 'votivo' dei bronzetti
sardi, quali offerte alla divinità
che i
pellegrini e i visitatori dei templi lasciavano come ex-voto di
propiziazione o di ringraziamento.
Recentemente
Gigi
Sanna, sulla base dei suoi studi sulla scrittura
nuragica metagrafica,
li ha interpretati come “'attestati
di petizione (si chiede per ottenere) dove è riposta, del tutto
nascosta, la formula magica apotropaica[...] Nella formula è
presente, come in tutti i manufatti del culto di questo tipo, una
esortazione scritta al 'sostegno', all'aiuto sicuro, alla garanzia di
salvezza e dello scansare il negativo che si raggiungono attraverso
l'energia, pressoché totale, della divinità” (Sanna,
2018) [10] .
Proveremo
ora a dare il nostro contributo nel definire quale relazione insista tra le figure rappresentate e la divinità, attraverso l'analisi di
un 'istituto' diffuso universalmente ma dalle molteplici forme, che
la lingua italiana conosce con il termine di giuramento.
Ci scuseranno i lettori se ci
dilungheremo, ma la
difficoltà è massima dal momento che si tratta di una tematica che
ha sempre suscitato l'interesse di giuristi, storici, antropologi,
etnologi, filosofi e teologi
e
“come
spesso avviene quando un fenomeno o un istituto si colloca
all'incrocio di territori e discipline diverse, nessuna di queste può
rivendicarlo integralmente in proprio” (Agamben,
2009) [11]. É
un tema complesso anche perché presentandosi in modo trasversale
nella storia occidentale, non rappresenta una realtà immobile, come
spesso si tende a credere, ma una realtà dinamica, come si evince
dalla mancanza di una etimologia comune (in
greco è horkos;
in latino è iusurandum,
o iuramentum, o ancora sacramentum;
in tedesco è eid,
con il verbo schworen
e in
inglese è oath,
con il verbo swear).
4.
Il giuramento come atto performativo
Nonostante
le molteplici forme di giuramento, possiamo ritenere uniformemente
valida la definizione di Paolo Prodi che così recita: “invocazione
della divinità come testimone e garanzia della verità/veracità di
un'affermazione-dichiarazione o dell'impegno/promessa di compiere una
certa azione o di mantenere un certo comportamento in futuro,
invocazione con la quale il singolo accende un rapporto con il gruppo
a cui appartiene (o i gruppi accendono un rapporto tra di loro),
ponendo in gioco la propria vita corporale e spirituale in base a
comuni credenze che attingono alla sfera della meta-politica”
(Prodi, 1992) [12].
Dalla
definizione emerge una struttura
triadica,
che coinvolge cioè tre figure: il giurante
e
il ricevente
(per
sé stessi o in rappresentanza di una comunità)
e la
divinità
come testimone e garanzia e
davanti
al quale il primo assume una responsabilità.
Il
giuramento non soltanto interessa la sfera giuridica-civile del
diritto
ma anche quella religiosa,
ed anzi, come sarà più chiaro fra poco, rappresenta proprio lo
snodo di passaggio
tra
le due sfere.
Fig. 6: Saluto nuragico con la mano destra |
Sarà solo con la laicizzazione del diritto in seno alla
cultura romana
(dove
il
processo del giuramento ha la sua maturazione più piena e complessa
come istituto giuridico)
iniziata
con
la
prima codifica delle XII tavole datate al V secolo a.C., che la sfera
giuridica e quella religiosa inizieranno progressivamente a
separarsi, ma fino a questo evento il giuramento non consente tale
separazione.
Per
questo periodo arcaico gli studiosi si sono espressi nei termini di
“pre-diritto” (Gernet), di “indistinto primordiale” (Prodi), di “sistema
giuridico-religioso” (Catalano) o di “continuum
magico-religioso-giuridico” (Calore) e sarà questo il nostro
contesto di riferimento [13].
Antonello
Calore ha però chiarito che “sebbene
il fenomeno delle XII tavole rappresentò un passaggio epocale per la
storia giuridica romana, il processo di laicizzazione del diritto, a
cui pure esse dettero un impulso decisivo, fu più articolato e di
più lunga durata. Sono inoltre convinto che tale processo, anche
dopo il suo pieno compimento, non determinò l'eliminazione totale
della dimensione magico-religiosa, favorendo la riutilizzazione di
alcune delle istituzioni arcaiche nel nuovo sistema di valori”
(Calore, 2000) [14].
Prima
che il giuramento diventasse un atto semplice e un mero enunciato
“rafforzativo”, si
presentava come atto complesso di tipo “performativo” [15] ed è per questo motivo che può essere definito un
rito
di passaggio,
“meccanismo cerimoniale capace di guidare, secondo regole precise,
il mutamento da una condizione, come strumento rituale di
cambiamento[...] Il giuramento una volta prestato, dà origine ad una
situazione diversa da quella esistente prima del suo adempimento,
producendo nel tessuto sociale una profonda modifica e questa ne è
proprio la funzione” [16]. Ciò
che si realizza tramite il giuramento è la
sacralizzazione
dell'azione umana, garantendo l'intento in essa contenuto, attraverso
gesti e parole rigidamente formalizzati.
5.
La sacralizzazione dell'azione umana: il 'sacramentum'
È
sul termine latino “sacramentum” - che implica la nozione del
render
sacer
- che è necessario ora soffermarsi, senza alcuna pretesa di esaurire
una tematica che da sempre impegna gli studiosi del processo arcaico
romano. Il termine deriva da 'sacrare' che indica
l'atto di offrire solennemente, dedicare alla divinità, ovvero
rendere sacro qualcosa attraverso una consacrazione ed è a
sua volta derivato da 'sacer' con due significati possibili: quello
connesso ad una idea di forza (o esuberanza) e quello di separazione,
ovvero proibito al contatto umano, estraneo e non appartenente alla
sua sfera.
Come
ha scritto Agamben il giuramento appare come un'operazione che
consiste nel rendere
sacer
il giurante in modo condizionale, cosicché l'affermazione resa
divenga un potente
pronunciamento separato e inviolabile: “il
giuramento con la sua capacità di chiamare in causa il trascendente
consentiva al soggetto (sia esso individuo o collettività) di porre
in essere un atto di particolare efficacia, denominato sacramentum” [17]
Pertanto
il sacramentum si ottiene per
effetto
del giuramento (i due termini non equivalgono
nonostante
nel proseguo dell'esperienza romana finiranno per sovrapporsi)
rappresentando la nuova realtà scaturita dalla formula e dal gesto
del giurante:
“Non
appena si pronuncia il giuramento, si diventa un essere 'votato'”
(Benveniste,
1969) [18].
Nel
mondo romano, quando un cittadino (civis)
si trasformava in militare (miles)
perdeva la proprietà di sé, ossia i propri diritti e diventava un
elemento di quel sistema di relazione che era l'esercito (militia).
Questa trasformazione era operata dal sacramentum
militiae,
che assumeva la forma di un giuramento raccolto dal comandante. Nel
processo romano il sacramentum
finirà anche per designare la
somma di denaro che veniva 'messa in gioco' attraverso il giuramento
(una sorta di deposito cauzionale): chi non riusciva a provare il suo
buon diritto perdeva la scommessa, che veniva versata nel tesoro
pubblico mentre il vincitore riprendeva il suo sacramentum
dalla consacrazione. Ci informa Cicerone che in origine l'oggetto
della sacratio
processuale non era il denaro, ma il bestiame e comunque, in entrambi i
casi, rappresentavano un 'sostituto' della vita del giurante.
6.
Gli elementi costitutivi del giuramento
Gli
elementi costitutivi del giuramento possono essere così riassunti:
1)
Affermazione,
accompagnata da un gesto;
2)
Invocazione
del divino (del suo nome, della sua forza, della sua potenza) a
testimone e garanzia;
3)
Esecrazione,
maledizione rivolta allo spergiuro;
Il
giuramento si struttura attorno alle parole (è un rito
prevalentemente orale), determinanti e più potenti della realtà,
che con la loro forza creatrice divengono produttrici di effetti
giuridici. Queste
intervengono sia nella formula (nel diritto romano diremmo
carmen),
sia nella dichiarazione dell'accordo oggetto del giuramento –
asserzione se riguarda un fatto passato e promessa se riguarda un
fatto futuro (nel diritto romano diremmo declamazione
delle leges)
- ed infine nella formula di esecrazione, maledizione rivolta allo
spergiuro (nel diritto romano diremmo exsecratio).
La
parola giurante deve essere attendibile e semplice per non consentire
sotterfugi; deve essere adatta
e recitata senza commettere errori; deve essere pertanto
“detta-bene” (benedetta) e
perché questo possa avvenire, la cerimonia deve essere amministrata
da magistrati-sacerdoti, custodi dei formulari e del nome segreto del
dio da invocare.
Le
parole non sono tuttavia sufficienti e sono sempre accompagnate da
gesti precisi (che possono variare a seconda della tipologia di
giuramento), articolati su due componenti fondamentali, due entità
che sono determinate ad assumere un valore simbolico:
- la mano (prevalentemente destra), parte del corpo attraverso la quale si compie il gesto, indice della potenza divina e per i romani ritenuta “il santuario corporeo della fides” [19].
- un oggetto esterno, con il quale si entra in relazione (in greco prestare giuramento ha il significato di “afferrare con forza l'oggetto sacralizzato”).
Quello
del giuramento è un istituto "che
si manifesta in un avvenimento, in un atto sempre accompagnato da
gesti e parole rigidamente formalizzati per permettere il passaggio
dalla sfera etico-religiosa a quella del diritto: il giuramento non
poteva che
essere prestato corporaliter,
come si specifica nel periodo del suo massimo fulgore, anche se poi
fu proprio questa corporalità, questa fisicità ad essere messa in
crisi dal moltiplicarsi delle formule scritte che contribuiscono alla
sua inflazione e alla sua decadenza nell'età moderna" (Prodi,
1992) [20].
Questa
riflessione di Prodi è di notevole importanza perché sottolinea la
corrispondenza tra una gestualità che pur
mantenendo
un substrato di fisicità (all'interno di un istituto nel quale il
giurante, come abbiamo visto, consacra al divino la sua stessa vita)
presenta una preponderante astrattezza dell'atto, proiettandosi oltre
l'azione e oltre la sua funzione comunicativa, divenendo un simbolo
codificato e riportandoci alle considerazioni fatte in premessa sul
gesto costitutivo:
“separando nettamente 'gesto' da 'comportamento' si ottiene come
definizione una forma di rappresentazione, uno scarto dalla
naturalità: il gesto viene inteso come atto dotato di fisicità, ma
comunque fictum” e
ancora: “la
fisicità della manus è icona dell'estrinsecazione della volontà
del soggetto giurante. Perciò il gesto acquisisce valore simbolico e
costitutivo” [21].
7.
La maledizione allo spergiuro e la funzione del giuramento arcaico
Plutarco
nelle Quaestiones
romanae
informava che tutti i giuramenti (non soltanto quelli romani,
aggiungiamo) si concludono con una maledizione allo spergiuro, cioè
nel caso in cui venga pronunciato il falso oppure non si mantenga
quanto promesso.
Lo
spergiuro è l'oltraggio alla potenza degli dèi, la cui vendetta,
divina terribile e inevitabile, si esplica attraverso qualsiasi tipo
di male (malattia, ferite, fulmini, infelicità di ogni sorta) perché
se per un verso la divinità invocata nel giuramento assume il ruolo
di testimone e garante, dall'altra è anche considerata punitrice nei
casi in cui il legame tra le parole pronunciate e i fatti venga a
spezzarsi.
Attraverso
il giuramento l'uomo comunica con il divino
e la testimonianza di quest'ultimo ha valore di stabilità, di
garanzia e di conferma. Il
giuramento si caratterizza quindi per la cooriginareità di
benedizione e maledizione costitutivamente presenti durante l'atto [22] e attraverso
l'invocazione del divino, nella sua qualità di garante, ha il potere
di
sigillare
(vincolare, saldare) la parola data con l'azione svolta.
8.
Il rito eliminatorio di sostituzione: materialità e astrazione
Soprattutto
nei casi più solenni il rito del giuramento metteva in scena in
maniera figurata ed immediatamente percepibile, la sorte negativa che
sarebbe toccata allo spergiuro, in base al principio magico
dell'analogia simpatetica. Sono note diverse testimonianze greche,
ittite e di area siriana (che affondano le radici alla metà del II
millennio), dove sono chiamate in causa sostanze concrete, quali
cibi, bevande, olio e persino vesti e mantelli poste in analogia al
giuramento stesso [23] e in modo tale che la maledizione che doveva seguire in caso di
spergiuro si legasse indissolubilmente alla persona del giurante.
Questo contribuisce a spiegare perché in alcuni documenti
paleo-babilonesi del Medio Eufrate compaia il detto
“mangiare il giuramento”.
Queste
sostanze, che dovevano far parte integrante del rito stesso,
rappresentavano un rito
eliminatorio di sostituzione
che
materializzava
la maledizione intrinseca al giuramento che i contraenti del patto
chiamavano su di sé in caso di spergiuro. Vediamo un esempio per
tutti:
“Per
te questi giuramenti [siano...come] la birra (e) l'acqua che sei
solito bere (anche) questi giuramenti di te si impossessino giù,
all'interno (del tuo corpo) [come di olio] tu sei solito ungerti
[così] a te anche questi giuramenti [sul tuo corpo/sulle tue membra]
siano spalmati come tu una veste [sul tuo corpo] sei solito
indossare, così tieni sempre addosso anche questi giuramenti.
Se
un male contro Suppiluliuma o un male contro il figlio di
Suppiluliuma sotto il sole del cielo tu ordini, possano in quel
momento i mille dèi del giuramento (e) la calura del/una vampata di
sole distruggerti. Se invece ciò di notte sotto la luna tu ordini,
possa il Dio Luna con la sua mazza (Insieme) a tua moglie, ai tuoi
figli, alla tua discendenza, al tuo paese distruggerti” [24].
La
libagione,
ovvero l'atto di versare completamente un liquido (vino o acqua)
quale rito eliminatorio e con funzione esecratoria, è altresì
riscontrata in numerosi esempi, mentre
nei giuramenti più solenni era previsto un vero e proprio sacrificio
e la sorte dell'animale immolato si poneva in analogia a quella del
giurante in caso di spergiuro.
Questa
caratteristica del rito è stata messa in evidenza anche da Silvio
Curletto che ha sottolineato che i riti
di passaggio
sono legati a cerimonie di giuramento (o di purificazione) e riporta
un passo di Demostene: “si
giura stando in piedi sulle carni tagliate delle vittime, un montone,
un verro e un toro, che sono stati immolati da persone qualificate e
nei giorni adatti” [25].
Non è dato sapere se le carni tagliate stiano ad indicare una
divisione netta in due parti dell'animale, ma tale pratica sappiamo
essere attestata presso i Greci e gli Ebrei, proprio in occasione
delle pratiche religiose relative ai giuramenti e alle alleanze e
trova corrispondenza nel modo di dire
“tagliare un patto” o
“tagliare un giuramento”
(Curletto, 1990).
Uno
degli strumenti usati per il sacrificio era la pietra, già presente
in diversi modelli di giuramento indoeuropei ma soprattutto nel
celebre giuramento arcaico romano “per Iovem Lapidem” che
prevedeva l'uccisione sacrificale di un maialino con il
lapis silex,
una pietra di selce, anche se nel contesto italico sembra essere più
antico il sacrificio del maialino 'a gladiis' cioè con
l'utilizzo di spade [26].
Ai
fini del nostro discorso una delle più interessanti funzioni
esecratorie, ben attestate nel mondo ittita, aramaico, assiro o
greco, era quello di fondere
della cera,
sostanza con cui veniva identificato, sempre in base al principio
magico dell'analogia simpatetica, colui che prestava giuramento.
Questa
funzione veniva estesa anche a vere e proprie
statuine di cera
(o di argilla da sciogliersi nell'acqua) con il seguente significato:
“possa
colui che non rispetta questo patto giurato, ma lo trasgredisce
sciogliersi e dissolversi come queste statuette, egli stesso, la sua
discendenza e i suoi beni” [27].
Le
statuette di cera rappresentavano dunque i 'doppi sostitutivi' di
coloro che prestavano giuramento.
9.
Ordalia nel mondo nuragico?
Fig. 9: Ara/Modello di Nuraghe da Serra is Araus;
|
Per
il fatto che vengano invocate maledizione e sanzione divina sopra di
sé nel caso in cui si giuri il falso alcuni autori hanno supposto
che il giuramento arcaico debba esser letto come una sorta di
ordalia [28]. L'annotazione
ci consente di raccordare la lunga premessa con la cultura
sardo-nuragica e la tesi avanzata dal Pettazzoni all'inizio del '900.
Descrivendo e interpretando uno degli ambienti presenti nel
Santuario di Santa Vittoria di Serri, Pettazzoni scrive che
“il bacile lustrale e l'ara meglio si accordano, forse, con l'idea
di un'adunanza che qui si riunisse a deliberare prendendo gli auspici
e si trasformasse talora in
tribunale solenne.
Tribunali in Sardegna fondò, a dire di Diodoro (insieme con ginnasi
e altri istituti ordinati al vivere civile) quel demiurgo nazionale
che Greci tradussero nel loro Iolao”. Riferendosi
al Pozzo Sacro presente nello stesso sito si sofferma invece sul
culto che in esso doveva svolgersi e richiamando Solino (che attinse
le sue informazioni da Sallustio) - dopo aver riportato che le acque
calde in Sardegna sono
miracolose
per i loro effetti terapeutici e particolarmente efficaci per la cura
degli occhi - prosegue nel seguente modo: “sugli
occhi poi hanno anche un altro effetto: chi è sospettato di furto
viene sottoposto alla prova dell'acqua, cioè a un lavacro degli
occhi; se è innocente, gli si aguzza la vista; se è colpevole,
diventa cieco. Questo rito sardo per cui il medesimo elemento magico
che opera in senso terapeutico è adibito anche a una specie di
giudizio di dio, rispecchia con tutta fedeltà le caratteristiche del
pensiero religioso primitivo” e
ancora: “È
poi naturale il pensare che nell'acqua sacra del tempio si ricorresse
anche per quella specie di “giudizio di Dio” che era destinato a
scoprire gli autori di un furto, e forse anche qualche altro
misfatto, secondo la credenza attestata da Solino[...] E dell'ordalia
ha veramente tutti i caratteri la prova dell'acqua che si praticava
dai sardi. Tipico dell'ordalia è il carattere
dell'indistinto
morale e giuridico e procedurale, per cui la prova del crimine è
tutta una cosa con la sentenza e con la pena. Così, presso i Sardi,
il perdere il lume degli occhi portava in sé la dimostrazione e la
sensazione della colpevolezza” (Pettazzoni,
1912) [29].
Pettazzoni
fa poi riferimento ai bronzi dai quattro occhi e quattro braccia (i
cosiddetti 'demoni' – fig.
5),
interpretando l'iperantropia come segno di incremento straordinario
del potere visivo, ad un tempo liberazione dal male e dimostrazione
dell'innocenza:
“E,
certo, colui che dopo aver adempiuto a tutte le prescrizioni del
rito, dopo aver sfiorato da presso i misteri più sacri della
religione, dopo l'ansia dell'attesa e la tortura del dubbio,
finalmente, esperite tutte le prove, si sentiva libero e puro al
cospetto del dio, ed era proclamato innocente dinanzi alle tribù
adunate; quegli doveva sentirsi invaso da una esaltazione di bontà e
di energia super umana, che l'arte, ancora rude ed incolta, non seppe
meglio esprimere che in una forma tutta materiale, con la
reduplicazione degli occhi e delle braccia”.
Anche
se non riteniamo che l'interpretazione del Pettazzoni colga nel
giusto in merito alla ragione degli occhi 'raddoppiati', che non
spiega il perché debbano moltiplicarsi anche gli scudi e le braccia
(tanto meno condividiamo il giudizio di un'arte ancora rude ed
incolta) crediamo che la strada da lui aperta sul rapporto
(indistinto) tra sfera religiosa e giuridica debba essere percorsa.
Ed è
per questo che ci chiediamo, dopo la lunga premessa che abbiamo
intavolato e come forse si sarà già compreso, se sia possibile che
l'atto rituale che prevede la levata della mano destra, la presenza
di un oggetto da consacrare/sacrificare/offrire con la mano sinistra
e la posizione rigidamente frontale, ferma e impassibile, che
riscontriamo nella gran parte dei bronzetti sardi, concorrano a
rappresentare la cerimonia di un 'giuramento'.
10.
Dove forma ed evento si incrociano
Ampliando la lettura del Pettazzoni sull'ordalia, avanziamo l'ipotesi che in occasione di giuramenti solenni,
patti o alleanze, riti di iniziazione (sacerdotale, militare, ecc) e
più in generale nelle varie fasi dei
riti
di passaggio - che dovevano avvenire nei santuari 'federali' nuragici
come quello di Serri appena richiamato - venissero fabbricate delle
statuine di cera (la base dei noti bronzetti) necessarie allo
svolgimento della cerimonia rituale. Queste potevano rappresentare la
figura del giurante, il suo doppio sostitutivo, ed anche, se previsto
e per la stessa ragione, la figura dell'animale da sacrificare.
Magistrati-sacerdoti specializzati nel rito, conoscitori delle
formule e della procedura corrette, amministravano la cerimonia. Se
non possono esserci note le parole pronunciate, potrebbero esserlo i
gesti.
Dall'ara
di pietra (fig.
9),
spazio fisico e di apertura con il divino, il giurante leva la mano
destra per invocare la divinità e chiamarne a sé la potenza,
percorrendo un quarto di cerchio
(fig.
2, 6, 10).
Il
gesto del 'saluto' è da noi preferibilmente inteso come il gesto di
'invocazione'
necessario
per 'chiamare attenzione' e per 'dire' segretamente il nome divino.
L'oggetto
posto sulla parte sinistra del corpo potrebbe invece rappresentare
l'elemento 'materiale' da utilizzare per il rito eliminatorio
dell'esecrazione (animale da sacrificare, cibo o bevanda, patera per
le libagioni, veste o mantello) come nei casi prima menzionati e/o il
corrispondente del sacramentum
inteso come 'scommessa', sostitutivo della vita stessa. Al gesto
compiuto con la mano destra doveva corrispondere un gesto compiuto
con la mano (o la parte) sinistra, di modo che si realizzasse un
'rito di incrocio' (come attestato in alcuni giuramenti greci) [30] e una simmetria tra la parte destra benedicente,
con la quale è invocata la divinità, e quella maledicente,
con la quale si realizza la maledizione allo spergiuro [31].
Secondo
la nostra ipotesi, la produzione della statuina in bronzo era parte
integrante del rito e questo può contribuire a spiegare la
prossimità e convivenza delle officine fusorie nei santuari
sardo-nuragici. È
possibile dunque che forma ed evento coincidessero.
A
partire dal modello di cera prima richiamato, veniva fabbricata con
la tecnica della cera persa la statuina sostitutiva in bronzo,
affinché il vincolo/sigillo
della
parola data con l'azione, venisse materializzato [32]
Abbiamo
visto precedentemente che in alcuni casi la fase (eliminatoria) della
maledizione allo spergiuro avveniva con il rito della fusione della
cera. Durante la fabbricazione di una scultura bronzea, come il nome
della tecnica lascia intuire, è necessario far fondere la cera (che
viene, per l'appunto, persa)
per ottenere il corrispondente in metallo. È plausibile, ci
chiediamo, che questa operazione potesse avere, oltre alla necessaria
funzione pratica, anche quella di mettere in scena il rito
dell'esecrazione?
11.
I bronzi sardi come sigilli e attestati del sacramentum
C'è
un altro elemento che ci sembra ancor più rilevante e rafforzativo
della nostra interpretazione e che potrebbe spiegare la ragione della
produzione di queste sculture. Gigi Sanna ha più volte sottolineato
l'importanza della 'base' dei bronzetti nuragici e del loro essere
'ben saldi' e in effetti queste sculture venivano ancorate con il
piombo o il bronzo fuso alle tavole o agli altari di pietra (fig.
1, fig. 11) [33].
Per
noi anche questa azione doveva assumere un valore preciso all'interno
della cerimonia.
Abbiamo
visto che con l'invocazione della divinità non viene chiesta
soltanto la garanzia che si realizzi la giusta relazione tra le
parole e le azioni (bene-dicente) ma anche che la divinità sia
d'aiuto affinché non si verifichi lo spezzarsi della stessa
(male-dicente). Così come il rito del giuramento ha la funzione di
sigillare, ovvero saldare e vincolare la parola data con l'azione
svolta, analogamente il corpo
doppio e sostitutivo della vita del giurante,
reso attraverso la scultura bronzea, è saldato alla tavola di
pietra, consacrato eternamente alla potenza divina. Non sembri
anomala questa proposta e si pensi alle più tarde Tabulae
Defixiones
romane (il cui termine deriva proprio dal verbo defigere
ovvero
inchiodare, piantare, conficcare con la forza) redatte soprattutto su
lamine di bronzo e piombo, piegate o arrotolate e deposte in contesti
speciali (tra cui pozzi e aree sacre, anche in Sardegna), idonei a
pratiche magiche, allo scopo di invocare un maleficio verso una o più
persone, considerate per vari motivi avversarie [34]. D'altronde Agamben ha scritto che è dal giuramento, o meglio dallo
spergiuro, che sono nati gli incantesimi
e la
magia.
L'impegno
vincolante reso nel giuramento conferisce una personalità
'sacramentale' al giurante, ora reso sacer
e votato alla divinità: perdendo i diritti personali, acquisisce
quelli della (nuova) comunità nella quale viene ri-aggregato, dopo
le dure prove previste nelle varie fasi del rito di passaggio.
La
natura liminale e transumana che queste figure bronzee comunicano, se
abbiamo ragione, sono espressione di questa relazione con la
divinità: “Nel
giuramento il linguaggio umano comunica con quello di Dio” [35] scrive
Agamben. Per questo motivo sono
figure sacre, sono i sigilli e gli attestati di un sacramentum nuragico,
sono figure
sospese
nello snodo di passaggio tra la sfera divina e quella umana.
Fig. 11: Bronzi infissi e saldati nella pietra in una composizione esemplificativa dal Museo Archeologico di Nuoro. Foto di Valerio Capello |
** Desidero
ringraziare Valerio Capello per le immagini concesse (con licenza
CC-by-sa) e per il continuo e stimolante scambio di opinioni.
NOTE
1. R.
Pettazzoni, La religione primitiva in Sardegna, Carlo
Delfino Editore, 1993 (1. ed. 1912) p. 45
2.
Angelo Ledda, "Monte Prama: tra organicità e astrazione"
in Monti Prama n. 67 (2016)
3. Ne abbiamo parlato in Angelo Ledda, “Realismo grottesco e liminalità nelle sculture sardo-nuragiche” (in www.maimoniblog.it del 16 dicembre 2016) e “Il Bronzetto di Santa Lulla di Orune: un'analisi interpretativa” (in www.maimoniblog.it del 20 dicembre 2016). I riti di passaggio sono definiti come quei riti che accompagnano ogni modificazione di posto, di stato, di posizione sociale e di età, che si sviluppano secondo una precisa sequenza che prevede: a) una fase di separazione;b) una fase liminale (da limen, confine) o di margine; c) una fase di aggregazione; “La prima fase (di separazione) comprende un comportamento simbolico che significa il distacco dall'individuo o del gruppo da un punto precedentemente fissato della struttura sociale, da un insieme di condizioni culturali (“stato”) o da entrambi. Durante il periodo 'liminale' che segue, le caratteristiche del soggetto del rito (il 'passeggero') sono ambigue; egli passa attraverso una situazione culturale che ha pochi attributi (o nessuno) dello stato passato o di quello a venire. Nella terza fase (riaggregazione o reincorporazione) si compie il passaggio. Il soggetto rituale, individuale o collettivo, è di nuovo in uno stato relativamente stabile, in virtù del quale ha diritti e doveri di fronte agli altri di tipo chiaramente definito e 'strutturale”; ci si aspetta che si comporti secondo certe norme tradizionali e criteri etici che vincolano il titolare di una posizione sociale in un sistema di tali posizioni”. Si vedano Arnold Van Gennep, I riti di passaggio, Bollati Boringhieri, Torino, 1981. Il testo è stato pubblicato la prima volta con il titolo originale Les rites de passage (Parigi, 1909).
4. Distinguiamo il gesto comportamentale - che può essere espressivo, involontario, comunicativo e mimetico ed è caratterizzato dalla totale libertà di combinazione degli elementi che lo compongono - dal gesto costitutivo, cioè intenzionale, efficace, formale, stilizzato, assoluto e fatale (che ha cioè valore in sé) con valore costitutivo di realtà irreparabile (una volta compiuto, non può essere revocato). Si veda S. Bertelli, M. Centanni “Il gesto. Analisi di una fonte storica di comunicazione non verbale”, introduzione al testo S. Bertelli, M. Centanni (a cura) Il gesto nel rito e nel cerimoniale dal mondo antico ad oggi, 1995.
4. Distinguiamo il gesto comportamentale - che può essere espressivo, involontario, comunicativo e mimetico ed è caratterizzato dalla totale libertà di combinazione degli elementi che lo compongono - dal gesto costitutivo, cioè intenzionale, efficace, formale, stilizzato, assoluto e fatale (che ha cioè valore in sé) con valore costitutivo di realtà irreparabile (una volta compiuto, non può essere revocato). Si veda S. Bertelli, M. Centanni “Il gesto. Analisi di una fonte storica di comunicazione non verbale”, introduzione al testo S. Bertelli, M. Centanni (a cura) Il gesto nel rito e nel cerimoniale dal mondo antico ad oggi, 1995.
5. Una sintesi sull'argomento è in F. Ghedini, Giulia Domna tra
Oriente e Occidente. Le fonti archeologiche, L'Erma di
Bretschneider, Collana: La fenice, 1984 (da
p. 33). Si veda anche Gigi Sanna, “II saluto nuragico e la stele
del re Bar-rakib. Manus Festa e Manus Versa” in www.maimoniblog.it
(novembre 2016).
6. Dall'esame statistico e analitico effettuato da Anna Depalmas su 247
figurine antropomorfe, si rileva che insieme al gesto dell'offerente,
quello del saluto è il più rappresentato, compiuto
con la mano destra nel 64% dei casi, mentre più raro quello con la
sinistra (3%) o con entrambe (1%) in Anna Depalmas in “La figura
umana nell'arte nuragica”, dal testo di G. Tanda, C. Luglié, Il
segno e l'idea. Arte preistorica in Sardegna, CUEC editore, 2008;
7. Si veda a tal proposito il testo di Silvio Curletto, La norma
e il suo rovescio. Coppie di opposti nel mondo religioso
antico, ECIG, Genova, 1990, cit. p. 70
8. Anche nella statuaria nuragica non mancano esempi inversi, dove cioè
è la mano sinistra a compiere il gesto del 'saluto' e la mano destra
a recare l'offerta (3% dei casi, si veda la nota 5).
9. Scrive Curletto a proposito dell'idea centrale dei miti cosmogonici
indoeuropei “...ricorrendo a un mitologema della creazione
verificatosi in conseguenza di un primitivo sacrificio e smembramento
di una creatura androgina o di un essere primordiale (p.
173) e più avanti: “Essi sono sorti da un'unità cosmica
preesistente ed indifferenziata nella quale i principi maschile e
femminile erano riuniti: viste come singole entità bipolari, queste
divinità sono la rappresentazione del due nell'uno e dell'uno dentro
un due. Incarnano la continua attrazione che mai si risolve e neppure
si esaurisce.”
10.
Gigi Sanna “Il bronzetto di Antas di Fluminimaggiore. Il sostegno
della spada e del fallo del dio (yhwh) per il viaggio verso
l’eternità. La consueta articolazione della formula del
metagrafico. Santi nuragici intercessori con ‘firma’ e senza
‘firma’” in www.maimoniblog del 23 febbraio 2018.
11.
Giorgio Agamben, Il sacramento del linguaggio. Archeologia
del giuramento, Ed. Laterza, Bari, 2008, p. 4
12.
Paolo Prodi, Il sacramento del potere. Il giuramento politico
nella storia costituzionale dell'Occidente, Il mulino, Bologna,
1992
13.
Classificazioni complesse, tanto che Agamben – già critico sulla
concezione di “pre-diritto” - avverte che “non può
essere soltanto un diritto più arcaico', così come ciò che sta
prima della religione così come noi la conosciamo storicamente non è
solo una religione più primitiva”, ed ancora “sia
ora il giuramento, che si presenta, per la sola epoca in cui possiamo
analizzarlo, cioè quella per cui abbiamo più documenti, come un
istituto giuridico che contiene elementi che siamo abituati ad
associare alla sfera religiosa, distinguere in esso una fase più
arcaica, in cui non sarebbe che un rito religioso, da una più
moderna in cui esso appartiene pienamente al diritto, è
perfettamente arbritrario”, (Agamben, 2009, pag. 25)
14. Si
veda Antonello Calore, “Per Iovem Lapidem”. Alle origini
del giuramento. Sulla presenza del 'sacro' nell'esperienza giuridica
romana, Giuffré Editore, Milano, 2000 (Collana del Dipartimento
di Scienze Giuridiche dell'università degli Studi di Brescia), cit.
p. 138. Che questo processo, con tutta la problematicità messa in
luce da Calore, sia avvenuto in seno alla cultura romana non ci
sorprende affatto dato che, come ha sottolineato Gian Matteo Corrias,
i Romani hanno vissuto la loro relazione con il divino come un vero e
proprio rapporto legale, il cui buon esito coincideva esattamente con
la correttezza formale della procedura (si veda Gian Matteo
Corrias, Dei e religione dell'Antica Roma, Arkadia,
Cagliari, 2015).
15.
Si fa qui riferimento al modello concettuale, appartenente alla
linguistica, di atto performativo('prometto', giuro, battezzo, che
esegue un azione e non la descrive). Il performativo è un enunciato
linguistico che non descrive uno stato di cose, ma produce
immediatamente un fatto, realizza il suo significato (speech acts).
“Io giuro” è, in questo senso, il paradigma perfetto di uno
speech act. L'atto verbale invera l'essere. Il verbo performativo si
costruisce, infatti, necessariamente con il dictum che,
considerato in sé, ha natura puramente denotativa e senza il quale
esso resta vuoto e inefficace. Si veda anche Victor Turner, Il
processo rituale. Struttura e antistruttura, Ed. Morelliana,
Brescia, 2001 (Titolo originale dell'opera: The Ritual
Process. Structure and Anti Structure del 1966).
16.
Silvia Rossaro, Archeologia e genealogia del giuramento nel
mondo romano arcaico (Tesi di dottorato, - Università di
Padova, Dipartimento di Diritto Pubblico) p. 124-126
17.
Calore, 2000, op. cit. p.136
18.
E. Benveniste, Le vocabulaire des institutions
indo-européennes, Minuit, Paris, voll. 1-2, 1969.
19.
“Ciò che conta non è tanto l'ira degli dèi che esso
provocherebbe in caso di spergiuro - obbligandoci per questo al
giuramento - ma la fiducia (per i
romani la fides) che regola tanto le relazioni fra gli uomini che
quelle fra i popoli e le città, presente in ogni scambio di volontà
che è, insieme, scambio di fiducia. Nel periodo monarchico, 650
a.C. Numa consacra alla Fides, stabilendone il culto, un tempio in
Campidoglio accanto a quello di Giove[...] dove questa divinità è
onorata con riti solenni [...] e con sacrifici offerti con la mano
destra avvolta in un panno bianco[...] In quell'antico santuario in
epoche successive si riunisce spesso il Senato e si depositano i
trattati conclusi da Roma con altre nazioni (Agamben 2009,
op. cit. p. 41).
20. Prodi,
1992, op. cit. p.18. Il grassetto è mio
21.
S. Bertelli, M. Centanni, 1995 op.cit.
22.
Il filosofo Agamben ha connesso giuramento e sacramentum agli
istituti romani della sacratio e della devotio:
“Tanto le fonti antiche che la maggioranza degli studiosi
concordano anzi nel vedere nel giuramento una forma di sacratio (o di
devotio, un altro istituto con cui la consacrazione tende a
confondersi)”. La differenza tra la devotio e
la sacratio consiste nel fatto che nel primo caso la
consacrazione avveniva spontaneamente, mentre nel secondo caso per
aver commesso un maleficium, ma in entrambi i casi
un uomo veniva reso sacer (homo sacer). Si veda nel merito,
Giorgio Agamben, Homo Sacer. Il potere sovrano e la nuda
vita, Einaudi, Torino, 1995;
23.
Si rimanda per gli approfondimenti agli studi di Mauro Giorgieri tra
cui “Birra, acqua ed olio: paralleli siriani e neo-assiri ad
un giuramento ittita” e “Aspetti magico-religiosi del giuramento
presso gli Ittiti e i Greci” in Sergio Ribichini, Maria Rocchi,
Paolo Xella (a cura di) La questione delle influenze
vicino-orientali sulla religione greca. Stato degli studi e
prospettive della ricerca, (Atti del Colloquio Internazionale,
Roma, 20-22 maggio 1999), Consiglio Nazionale delle ricerche, Roma,
2001.
24.
Oggetto del testo è il frammento di trattato ittita (o
giuramento di fedeltà) denominato KUB 26.25 (+), d'epoca risalente a
Suppililiuma II (ultimo re a noi conosciuto d'epoca ittita del XIII
secolo a.C. dopo la distruzione dei Popoli del mare) “per
mostrare come parte del suo singolare contenuto, pur costituendo una
eccezione all'interno della documentazione ittita, affondi
verosimilmente le sue radici in una particolare concezione
'materiale' del giuramento – e della maledizione ad esso intrinseca
– attestata in documenti giuridici della prima metà
del II millennio a.C., provenienti dall'area siriana del Medio
Eufrate, e poi rintracciabile soprattutto in giuramenti di fedeltà
di epoca neo-assira” (Mauro Giorgieri, “Birra, acqua ed
olio: paralleli siriani e neo-assiri ad un giuramento ittita” p.
299)
25.
Curletto, 1990, op. cit. p. 188
26.
Si veda Calore, 2000, cfr in bibliografia. Il contatto con la
pietra, di cui si è fatto cenno con il lapis silex, si
riscontra anche con l'ara o altare (si pensi ad esempio al giuramento
sull'Ara Massima) che costituisce non solo lo spazio fisico del
giuramento ma anche un vero e proprio strumento sacro, lo spazio di
apertura con il mondo divino, sede della divinità. Sul giuramento
italico 'a gladiis' si veda invece Loredana Cappelletti, “Il
giuramento degli italici sulle monete del 90 a.c” (1999).
27.
Citazione tratta da Giorgieri in “Aspetti magico-religiosi del
giuramento presso gli Ittiti e i Greci” (2001)
28.
L'ordalia faceva parte di quelle prove irrazionali con cui si
interpretava un giudizio divino, con responso sulla innocenza o
colpevolezza dell'accusato attraverso un combattimento, spesso
per il tramite di “campioni” che combattono al posto delle parti
in contrasto, ovvero mediante prove fisiche cruente, il cui
esito si concepisce come diretta manifestazione della volontà
divina.
29.
Pettazzoni, op. cit. pp. 34-35
30.
Curletto, 1990, op. cit. p. 187
31.
Si deve ipotizzare che l'offerta definita generalmente 'focaccia'
vada interpretata come una pateranecessaria al rito della
libagione. Lo ha supposto anche il Pettazzoni: “Il
sacrificio e la preghiera sono, del resto, le idee informatrici
dell'arte sarda dei bronzi figurati: basti ricordare le figure di
offerenti in atto di porgere una patera o una focaccia, e quelle di
adoranti nel tipico gesto della mano protesa” (p .52).
32.
Il passaggio dalla cera al metallo non è privo di implicazioni. Se
in occasione del giuramento (o alleanza) con il sacrificio si
realizzava la netta divisione in due parti (o semplicemente lo
smembramento della vittima) con il significato di “creare due
dall'uno” per stabilire un contatto con il divino, con la
fabbricazione della statuina bronzea avveniva esattamente l'opposto,
riportando il tutto all'unità. Si apriva temporaneamente lo spazio
necessario a favorire il passaggio al nuovo status,
ma era altresì necessario richiuderlo una volta raggiunto. Scrive
Curletto: “Per comprendere quale nesso intercorra tra magia
e forgiatura dei metalli è sufficiente pensare al valore mitico,
oltre che scientifico, della scoperta dei metalli per l'uomo arcaico
e al miracolo rappresentato dalla loro fusione, attraverso la quale
la materia acquista vita e forma e la molteplicità diviene unità.
L'attività metallurgica nasconde un'analogia mistico-simbolica con
l'evento cosmogonico rappresentandone la soluzione rovesciata; il
fabbro colui che fa, è capace di trasformare il due in unità, due
parti di metallo divengono sotto le sue mani e in forza dell'azione
del fuoco, elemento creatore-distruttore, un'unica cosa – ed ecco
perché l'attività metallurgica è marcatamente segnata da un
simbolismo sessuale – mentre la cosmogonia è il momento in cui
l'uno diviene molteplicità” (Curletto, 1990, p. 131). Si
veda anche Angelo Ledda, "Il sacro segreto palese" in
Monti Prama n. 66 (2013);
33.
Si vedano Gigi sanna, “Un ‘gigante’ sardo pellita ‘pantauros’
nella famosa tomba etrusca ‘dei bronzetti sardi’ di Cavalupo.
Tutta l’energia magica taurina possibile di un figlio del Dio, di
un intercessore d’eccezione, per la speranza della salvezza e della
rinascita” in www.maimoniblog del 9 febbraio 2018. Alla nota 28
l'autore scrive: “Sbaglierò ma a me l’uso (antichissimo
a detta degli studiosi) degli israeliti di inserire nelle
cavità del Kotel (il cosiddetto muro del pianto) di
Gerusalemme dei foglietti con richieste o petizioni scritte a
yhwh, ricorda tanto, per la chiara simbologia
del ‘fissare’ per iscritto la preghiera, l’uso nuragico dei
bronzetti ‘scritti’ inseriti nelle cavità del tempio nuraghe o
in altri edifici di culto. E’ evidente però che se la consonanza
fosse reale e non ipotetica, data la specifica cultura religiosa
dello yhwh dei nuragici, ai cananei andrebbe
ricondotto e non tanto agli ebrei l’uso dell’inserimento o
del fissaggio del messaggio scritto per la divinità. La
stessa scrittura dei bronzetti su base linguistica semitica potrebbe
rendere plausibile l’ipotesi”.
34.
Pietro Alfonso, Alessandra La Fragola, “Il Santuario
nuragico-romano della Purissima di Alghero (SS) in Quaderni 25/2014 e
soprattutto Alessandra La Fragola “Tra
superstizione e speranza: pratiche di defixiones da
Alghero” in Quaderni 26/2015: “Proprio il santuario
nuragico della Purissima di Alghero ha restituito alcuni rari
esemplari di lamine di bronzo e piombo, piegate o arrotolate, che
venivano dedicate in età romana all’interno di pozzi e aree sacre,
allo scopo di invocare un maleficio verso una o più persone,
considerate per vari motivi avversarie. La sequenza stratigrafica
consente una datazione esatta e contestuale dei rinvenimenti, che
rappresentano la forma più schietta della superstizione popolare.
Con pratiche individuali a motivazione puramente personale, ci si
affidava così ai numi nella speranza di venire ascoltati. Il
santuario conferma che la maggior parte di queste invocazioni
avvenivano per via orale e non scritta; gettando un pezzo di metallo
nei luoghi sacri a rafforzare il tutto”. Sul tema
delle defixiones si vedano anche Celia Sánchez
Natalías “Le defixiones durante la Tarda Antichità e la loro
iconografia” 2013 e il testo di Claudio Foti, Defixiones.
Le tavolette magiche nell'Antica Roma, Eremon Edizioni, 2014
35.
Agamben, 2009, op. cit. p. 31
BIBLIOGRAFIA
- Giorgio Agamben, Homo Sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Einaudi, Torino, 1995
- Giorgio Agamben, Il sacramento del linguaggio. Archeologia del giuramento, Ed. Laterza, Bari, 2008
- Pietro Alfonso, Alessandra La Fragola, “Il Santuario nuragico-romano della Purissima di Alghero (SS) in Quaderni 25/2014
- Alessandro Atzeni, Gherreris: dai bronzetti alle statue di Mont'e Prama, ed. Condaghes, 2016
- Émile Benveniste, Le vocabulaire des institutions indo-européennes, Minuit, Paris, voll. 1-2, 1969
- Sergio Bertelli, M. Centanni (a cura), Il gesto nel rito e nel cerimoniale dal mondo antico ad oggi. Firenze, 1995;
- Antonello Calore, “Per Iovem Lapidem”. Alle origini del giuramento. Sulla presenza del 'sacro' nell'esperienza giuridica romana, Giuffré Editore, Milano, 2000 (Collana del Dipartimento di Scienze Giuridiche dell'università degli Studi di Brescia);
- Loredana Cappelletti, “Il giuramento degli italici sulle monete del 90 a.c” (1999).
- Gian Matteo Corrias, Dei e religione dell'Antica Roma, Arkadia, Cagliari, 2015.
- Silvio Curletto, La norma e il suo rovescio. Coppie di opposti nel mondo religioso antico, ECIG, Genova, 1990
- Anna Depalmas in “La figura umana nell'arte nuragica”, dal testo di G. Tanda, C. Luglié, Il segno e l'idea. Arte preistorica in Sardegna, CUEC editore, 2008;
- Claudio Foti, Defixiones. Le tavolette magiche nell'Antica Roma, Eremon Edizioni, 2014
- Francesca Ghedini, Giulia Domna tra Oriente e Occidente. Le fonti archeologiche, L'Erma di Bretschneider, Collana: La fenice, 1984;
- Mauro Giorgieri “Birra, acqua ed olio: paralleli siriani e neo-assiri ad un giuramento ittita”, Roma
- Max Guilmot, Iniziati e riti iniziatici nell’antico Egitto. Silenzio – Sapere – Potere, Edizioni Mediterranee, (Roma 1999)
- Alessandra La Fragola “Tra superstizione e speranza: pratiche di defixiones da Alghero” in Quaderni 26/2015
- Angelo Ledda, "Il sacro segreto palese" in Monti Prama n. 66 (2013)
- Angelo Ledda, "Monte Prama: tra organicità e astrazione" in Monti Prama n. 67 (2016);
- Angelo Ledda, “Realismo grottesco e liminalità nelle sculture sardo-nuragiche” in maimoniblog.it del 16.12.2016
- Angelo Ledda, “Il Bronzetto di Santa Lulla di Orune: un'analisi interpretativa” in maimoniblog.it del 20.12.2016
- Giovanni Lilliu, Sculture della Sardegna Nuragica, Illisso 2008, riedizione dell'opera del 1966
- Alessandro Mannoni, Religione e spiritualità nella Sardegna nuragica Ed. Agorà nuragica, Cagliari, 2014
- Celia Sánchez Natalías “Le defixiones durante la Tarda Antichità e la loro iconografia”, 2013
- Raffaele Pettazzoni, La religione primitiva in Sardegna, Carlo Delfino Editore, 1993 (1. ed. 1912);
- Donatello Orgiu, La dea bipenne. Dal segno all'idea, 2013
- Paolo Prodi, Il sacramento del potere. Il giuramento politico nella storia costituzionale dell'Occidente, Il mulino, Bologna, 1992
- Sergio Ribichini, Maria Rocchi, Paolo Xella (a cura di), La questione delle influenze vicino-orientali sulla religione greca. Stato degli studi e prospettive della ricerca, (Atti del Colloquio Internazionale, Roma, 20-22 maggio 1999), Consiglio Nazionale delle ricerche, Roma, 2001
- Silvia Rossaro, Archeologia e genealogia del giuramento nel mondo romano arcaico, (Tesi di dottorato, - Università di Padova, Dipartimento di Diritto Pubblico);
- Gigi Sanna, Sardoa Grammata 'ag'ab sa'an yhwwh, S'Alvure, Oristano 2004
- Gigi Sanna, I segni del Lossia Cacciatore, S'Alvure, Oristano 2007
- Gigi Sanna, La stele di Nora, Il dio, il dono, il santo, PTM Mogoro 2009
- Gigi Sanna, I geroglifici dei giganti, PTM Mogoro 2016
- Gigi Sanna, “II saluto nuragico e la stele del re bar-rakib . manus festa e manus versa” in maimoniblog.it (novembre 2016);
- Gigi Sanna, “Un ‘gigante’ sardo pellita ‘pantauros’ nella famosa tomba etrusca ‘dei bronzetti sardi’ di Cavalupo. Tutta l’energia magica taurina possibile di un figlio del Dio, di un intercessore d’eccezione, per la speranza della salvezza e della rinascita” in maimoniblog del 9 febbraio 2018.
- Gigi Sanna “Il bronzetto di Antas di Fluminimaggiore. Il sostegno della spada e del fallo del dio (yhwh) per il viaggio verso l’eternità. La consueta articolazione della formula del metagrafico. Santi nuragici intercessori con ‘firma’ e senza ‘firma’” in maimoniblog del 23 febbraio 2018
- Victor Turner, Il processo rituale. Struttura e antistruttura, Ed. Morelliana, Brescia, 2001(Titolo originale dell'opera: The Ritual Process. Structure and Anti Structure del 1966).
- Arnold Van Gennep, I riti di passaggio, Bollati Boringhieri, Torino, 1981. (1. ed. Les rites de passage, Parigi, 1909)
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