Isomorfismo
del sole,
di Sandro Angei
Sommario
Con questo studio si vuole retrodatare la tecnica
costruttiva dell'arco a conci, che normalmente è attribuita agli
Etruschi. Un reperto archeologico datato alla prima età del ferro
dimostra che la civiltà nuragica conobbe la tecnica ancor prima
degli Etruschi. Lo studio prosegue intravvedendo nell'elemento
architettonico “arco” un simbolismo che dal lontanissimo passato
arrivò indenne fino all'età nuragica.
***
Di recente su questo blog è
comparso un bell'articolo del Prof. Sanna a proposito di un concio
della chiesetta campestre di San Nicola di Trullas di Semestene che
reca incisa, in un affollamento di caratteri, una scritta a rebus
che nessun dubbio e tanto meno curiosità ha destato nelle menti di
studiosi che alla chiesa hanno dedicato pagine e pagine di studi.
Fig.1
Dal
canto nostro, essendo piuttosto curiosi e forse anche un poco
lungimiranti, nel senso che guardiamo lontano, abbiamo “rovistato"
nel bel mezzo della folla di simboli di quel concio e ci siamo
accorti della nascosta simbologia che dà lustro all'architettura di
quei gentiluomini d'età nuragica; coloro che maneggiavano il sapere
sotto mentite spoglie di apparente rozzezza.
Di
certo la scritta di Semestene non può competere coi bei caratteri
tutti ordinati e perfettini delle scritte classiche cui siamo
abituati; quelle che rendono facile la lettura a tutti noi. Qui no.
Qui la lettura è tutt'altro che gradevole e facile... è ostica
quanto mai, ma nel suo complesso trasmette ad occhi che san vedere,
tanto, anzi... tantissimo.
In
particolare ci ha colpito ciò che in nota 4 del suo articolo, il
Prof. Sanna a un certo punto scrive: “Rispetto
alla parte sinistra quella a destra si trova, purtroppo, in parte
compromessa, perché erosa, sulla zona alta tanto da dare la netta
impressione che all’appello manchino diverse lettere. Quante siano
è difficile dire anche se sembra logico dedurre sia dal detto
‘consonantismo’ delle due parti sia dallo stesso tenore della
scritta (v. più avanti) che il secondo incipit è privo di almeno
tre o quattro segni. Segni che stavano al di sopra o a fianco della
protome
taurina abbastanza visibile sulla destra in alto, collocata questa,
forse in modo significativo, al di sopra dell’arco che è punto di
forza. In questo settore di
scrittura segnaliamo subito la difficoltà di lettura delle due
lettere ‘b’ e ‘n’, riportanti la voce bn (figlio), voce
‘logica’ e sicuramente esistente (yaziz bn zzy) tra il nome ed il
patronimico.”
(mio il grassetto ndr).
Fig. 2
Il
carattere dubitativo dell'affermazione del Prof. Sanna: quel “forse”,
possiamo spazzarlo via d'un solo colpo dal momento che egli ha visto
giusto nell'affermare che il toro è collocato in
modo significativo sopra l'arco,
proprio nel punto di forza
dell'elemento architettonico, ossia la “chiave
di volta”.
1.
La chiave di volta: principe tra gli elementi architettonici
La
chiave di volta è il punto in cui tutta l'energia “cosmica”
(forza
di gravità)
si concentra, viene accolta e, distribuita equamente, scivola lungo i
fianchi d'arco fin giù alla radice dei piedritti,
lì dove madre terra l'accoglie. Chi si trova sotto la chiave di
volta è al sicuro, perché l'arco per sua natura “sostiene”
tutto ciò che grava su di esso.
A
ben guardare gli elementi che formano il concio di Semestene: “arco”
ed effige del “toro”,
inseriti nel contesto della frase che inneggia alla forza della luce
taurina, sembra che altro non siano che metafora del percorso celeste
del sole dall'alba al tramonto2
(Fig.3).
Fig.
3
La
figura allegorica appena richiamata rende l'arco strutturale,
fantastica visione materiale dell'arco celeste descritto dal
sole-toro
che in cielo al mezzogiorno è “chiave
di volta”
appunto.
Potrebbe
essere questo l'intimo sentore espressivo di quelle antiche genti.
Sembra
che quel toro raffigurato sopra l'ideale chiave di volta del concio
di Semestene, sia messo in quella posizione a bell'apposta, con
cognizione di causa.
In sostanza cercheremo di capire, sull'intuizione del Prof. Sanna, se
in età nuragica si conoscesse il principio architettonico dell'arco.
2.
Un po' di storia
Articoli
e saggi di storia e archeologia ci raccontano che “l'arco
a conci”,
così come noi lo intendiamo, fu inventato dagli Etruschi (IV sec.
a.C). Per tanto sarebbero essi i primi ad averlo realizzato nel
bacino del Mediterraneo e lo lasciarono in “dote” ai Romani, che
appresa la tecnica in modo magistrale, utilizzarono l'elemento
architettonico nelle loro magnifiche costruzioni. Le emergenze
archeologiche e relative datazioni vogliono l'arco a conci attestato
anche nella Magna Grecia nella cosiddetta “Porta
rosa” di
Velia (in Comune di Ascea) risalente forse3
al IV sec. a.C.
La
tecnica che sfrutta il principio statico dell'arco è comunque molto
più antica, tanto da essere documentata nella necropoli di Abido
(Egitto, circa 2300 a.C.), in una volta
rudimentale costruita con conci di pietra alternati a mattoni crudi.
C'è
da dire però della grande differenza tra “arco a conci” e “volta
a botte”, benché entrambe funzionino col medesimo principio
statico e possano sembrare identiche dal punto di vista formale. La
differenza stà nella loro funzione: la vota a botte è una struttura
tridimensionale atta a coprire un ambiente, mentre l'arco è una
struttura (al limite) bidimensionale che svolge la funzione di
“sostenere”
ciò che su esso grava.
Fig. 44
Arco Etrusco di
Perugia III sec. a.C.
3.
Cosa c'entrano i Nuragici?
Ercole
Contu nel lontano 1997 (La Sardegna preistorica e nuragica – Ed.
Chiarella) scriveva che i nuragici “non
conobbero mai la vera tecnica dell'arco”.
Non so se nel frattempo si ricredette, ma sicuramente, quale onesto
studioso quale era, sarebbe stato pronto a far marcia in dietro su
quell'affermazione, se ci fossero stati i presupposti.
***
Ci
son prove che dimostrano la conoscenza della tecnica dell'arco a
conci da parte del popolo nuragico?
Sarebbe
fin troppo facile portare come esempio i due archi monolitici della
fonte sacra di Su
Tempiesu (XIII
sec. a.C), ma ci rendiamo conto che quelli, benché siano due archi,
non svolgono alcuna funzione statica ma solo simbolica (Fig. 5). In
sostanza non essendo composti da conci non provano alcunché sulla
capacità delle genti nuragiche di sfruttare il principio statico
insito nella vera struttura architettonica; tant'è che i due archi
non reggono alcuno sforzo in chiave di volta ma, al contrario, sono
soggetti a frattura allorché le forze trasmesse ai suo fianchi dalle
murature, superassero un certo limite.
A
guardar bene l'arco interno della fonte sacra di Su Tempiesu è
fratturato a dimostrazione appunto che l'elemento non è strutturale.
Fig.
5
Su
tempiesu - archi monolitici
Invece
l'elemento che ci induce a pensare al popolo nuragico quale
precursore di quello Etrusco nell'utilizzo dell'arco strutturale è
un concio (Fig.6) che proviene dal pozzo sacro di Santu Antine di
Genoni, lo stesso sito dal quale proviene il timpano triangolare con
spirale (Fig. 7), che oltretutto fu realizzato con lo stesso
materiale lapideo. Il reperto in questione è documentato nel
Catalogo Generale dei Beni Culturali alla pagina 244, immagine n° 20
ed è definito quale “chiave di volta”.
Nella scheda allegata è così descritto (estratto):
- Definizione dell'oggetto: chiave di volta
- Classe e produzione: Elementi strutturali
- Denominazione dello scavo: Sardegna/NU/Genoni/ Santu Antine/ pozzo sacro (mio il sottolineato ndr)
- Metodo: scavo stratigrafico
- Fascia cronologica di riferimento: Età nuragica
- Motivazione cronologica: bibliografia
- Materia e tecnica: pietra - scalpellatura
- Descrizione: Concio in pietra a sezione trapezoidale con una decorazione costituita da sei cerchielli concentrici incisi disposti in due file.
Fig.6
Fig.75
Ci
sembra non ci siano dubbi sull'originalità del concio che,
certificato dall'Istituto preposto a farlo, rende questo reperto di
fondamentale importanza nel traslare indietro almeno di qualche
secolo (se non mezzo millennio) l'uso dell'elemento architettonico
“arco a conci” e non in Etruria (la
volta della tomba di Charun presso Cerveteri é del IV secolo a.C.),
ma in Sardegna (età
nuragica - Prima età del Ferro: 900-500 a.C.).
La qual cosa la dice lunga nel rapporto intercorrente tra Sardi ed
Etruschi.
Con
questa asserzione non vogliamo di certo rivendicare per la Sardegna
la paternità dell'arco, ma di certo possiamo dire che quelle genti
conoscevano la tecnica ben prima degli Etruschi. Ad ogni modo sarebbe
stato del tutto strano che le genti nuragiche non conoscessero
“l'arco
a conci”,
visto che la tecnica di costruzione della tholos delle torri
nuragiche è assimilabile a quella di un arco a conci che lavora in
orizzontale.6
4.
Ancora alcune riflessioni sull'arco a conci
Quello che in un
primo momento poteva sembrare un “collage” risulta, a questo
punto della trattazione, un “puzzle” dal quale emerge da un lato
il sospetto che la simbologia dell'arco sia stata usata in ambito
scrittorio, dall'altra la prospettiva che in età nuragica fosse ben
conosciuta la funzione e la caratteristica dell'arco a conci, e che
questo elemento architettonico fu accantonato nella pratica ma non
nella simbologia perché di difficile applicazione, perché richiedeva l'uso di un supporto (centina)
per la sua corretta edificazione. Ma potrebbe esserci un secondo
motivo di carattere tutto religioso e filosofico a riguardo del suo
accantonamento.
5.
L'arco a conci e la cupola svelano l'operato umano, la tholos, no!
I
motivi possiamo solo ipotizzarli.
Dal
punto di vista religioso possiamo pensare che l'uso della centina
potesse rendere vana l'attribuzione della struttura ad opera divina,
visto che la cupola o l'arco devono essere impostati su un
“marchingegno” del tutto materiale (la
centina appunto)
che svela il segreto tutto umano di quel “miracolo” statico. Si
ricorse perciò all'uso del principio statico usato nella tholos, che
da un lato eliminava il “fastidio” pratico e la problematica
legata alla costruzione di una centina (si
immagini solo l'immane lavoro di predisporre migliaia di centine per
migliaia di cupole classiche: anche due o tre per nuraghe se non pur
15, come nel caso del nuraghe Arrubiu di Orroli),
dall'altra rendeva la costruzione ispirata o dettata da intervento
“divino” (il
mutuo contrasto tra i conci adiacenti di uno stesso anello della
tholos che bilancia e di fatto annulla la forza trasmessa da ogni
singolo concio a quelli attigui, ha del sopranaturale. Una “forza
invisibile” che per essere percepita necessitava di un notevole
sforzo intellettuale di immaginazione).
Ci
sarebbe altro da dire sull'arco usato in epoca nuragica, ma non
possiamo andare oltre vista l'impossibilità, almeno per ora, di
provare in modo convincente l'uso della tecnica in piena età
nuragica, ossia nella bella
età dei nuraghi.
Per tanto ci fermiamo qui e diamo spazio al secondo argomento: la
simbologia dell'arco. Riprendiamo per tanto il filo del discorso
accennato nel 1° capitolo.
***
6.
Il
concio di Semestene e la alla chiave di volta di Genoni
Perché
accostare il concio di Semestene alla chiave di volta di Genoni?
Il
motivo non è certamente di carattere strutturale, in quanto il
concio di Semestene reca un arco a tutto sesto che è più simile ai
due archi della fonte sacra di Su Tempiesu che non ad un arco
strutturale a conci; ma è dettato da tre motivi di carattere
simbolico:
1°
motivo:
La protome taurina incisa nel concio monolitico della chiesetta di
San Nicolò di Trullas, di fatto, ma in modo del tutto simbolico,
sostituisce la chiave di volta (Fig.8). Come se il costruttore avesse
voluto nascondere la chiave di volta
e in definitiva “nascondere la chiave
di lettura”.
Questa particolarità è in accordo con l'intendimento scrittorio di
quelle genti, che nascondevano il più possibile il messaggio inviato
alla loro divinità ineffabile, resa ora “toro”,
ora “organo virile”,
ora “ierofania luminosa”7.
Fig.
8
Le due linee rosse
oblique rendono l'idea della chiave di volta che di fatto fisicamente
non esiste se non in modo concettuale
2°
motivo:
La chiave di volta di Genoni è di sezione trapezoidale e benché si
possa obiettare che tutte le chiavi di volta devono
essere di forma trapezia per soddisfare la funzione statica a loro
demandata (e
ciò è sicuramente vero),
non di meno la forma che la “natura” impone a questo particolare
concio, può essere interpretata in ambito religioso quale elemento
distintivo della divinità; non fosse altro se non per l'apparente
“miracolo” di mantenere in piedi con un solo e speciale elemento
(la
chiave di volta appunto)
una struttura così concepita, solo per mutuo contrasto (ossia
senza elementi e/o materiali aggiuntivi che possano unire in modo
tenace i singoli conci dell'arco stesso).
Ma il vero motivo lo palesa la scritta di Semestene che abbiamo
trattato al punto 1 ossia: gli elementi
che formano
il concio di Semestene: “arco” ed effige del “toro”, inseriti
nel contesto della frase che inneggia alla forza della luce taurina,
sembra che altro non siano che metafora del percorso celeste del sole
dall'alba al tramonto.
In
ragione di questo, la chiave di lettura della protome taurina di
Semestene e della chiave di volta del concio di Genoni è,
evidentemente, quella che l'antropologo Gilbert Durand definisce
isomorfismo8.
Quello
che descrive G. Durand è, però, un isomorfismo
percettivo
ossia, quel che vedo lo associo per forma e/o significato ad altra
forma; esempio: il sole e la luna li percepisco come volatili in
cielo ed andando oltre li percepisco muti alla stregua dei pesci, e
in ragione di ciò il pesce “volante” è immagine isomorfa del
sole e della luna9.
Nel nostro caso, invece, trattiamo di un isomorfismo
descrittivo
ossia; un isomorfismo conseguente
a quello percettivo. L'isomorfismo
descrittivo
esprime,
descrivendolo appunto, attraverso i segni, un pensiero che dà vita ad
una immagine che nel contempo ne evoca altre benché di diversa
natura. Esempio: la chiave di volta di forma taurina di Genoni evoca
il toro e da questo il sole nel quadro generale dell'arco a conci;
nel contempo l'arco evoca le fasi giornaliere di alba, percorso
celeste e tramonto del sole e della luna; mentre nell'arco monolitico
di Semestene il toro, in posizione mediana dell'arco, evoca la chiave
di volta ma anche il sole e di conseguenza l'arco evoca ancora una
una volta il percorso giornaliero dall'alba al tramonto del sole e
della luna.
Il
3° motivo è prettamente di carattere simbolico-epigrafico.
Di
certo per asserire con tutta sicurezza che la chiave di volta è pure
“toro” (almeno
in ambito nuragico),
non basta evocare il carattere formale del concio “taurino”, né
indugiare troppo sull'isomorfismo;
per tanto dobbiamo indagare per altre vie.
Ci
ha incuriosito al proposito la serie di cerchielli concentrici che
sono incisi all'intradosso della chiave
di volta di
Genoni; posizione, quella, scelta non a caso, visto che con ogni
probabilità il motivo a cerchielli era in bella vista agli occhi di
chi (forse)10
passava sotto quell'arco (Fig. 9). Per quale motivo furono incisi
quei cerchielli?
Fig.
9
La simulazione in 3D
mette in evidenza la posizione dei cerchielli così come poteva
vederli un osservatore passando sotto l'arco.
5.
Un lungo cammino della simbologia ancestrale
Con
tutta evidenza la simbologia dei cerchielli rimanda al concetto
universale di rinascita11,
come afferma nei suoi studi M. Gimbutas che indagò per lungo tempo
i segni provenienti dal lontano passato: sin dal paleolitico12.
Nel
concio di Genoni i cerchielli sono reiterati in due file di tre,
rimandando probabilmente al concetto di rinascita
sia del sole che della luna,13
nel ripetersi continuo delle tre fasi che assumono i due astri nella
sfera celeste: alba (alzarsi),
percorso in cielo (distendersi),
tramonto (calare).
Gli stessi elementi che ritroviamo nella scrittura metagrafica
Etrusca scoperta e documentata dal Prof. Gigi Sanna.14
Ma
ancora non ci soddisfa la motivazione addotta; per rendere solida la
tesi sono necessari altri elementi che suffraghino l'indizio del
concio di Genoni, per tanto possiamo dire, ancora, che di certo i
cerchielli concentrici possiamo attribuirli con estrema sicurezza
alla simbologia nuragica, mutuata dalla assai più antica età
neolitica15
sarda;
e le belle immagini pubblicate dal Taramelli in “Scavi e Scoperte
Vol. 3” ne sono un bell'esempio dimostrativo.
Fig.10
Nel
capitolo dedicato al tempio nuragico di Sant'Anastasia di Sardara del
suddetto Vol. 3°, vi sono dei reperti che recano incisi serie di
cerchielli concentrici affiancati al motivo a zig zag; in altro
frammento troviamo reiterazioni di motivi a chevron sovrapposti
(Fig.10); il tutto naturalmente associabile al “Toro Solare”,
visto il ritrovamento di una protome taurina (Fig.11), che il
Taramelli, nell'ideale ricostruzione grafica, pone sopra il presunto
architrave d'ingresso al tempio (Fig.12).
Di
certo il Taramelli pose il toro in quella posizione quale “insegna”
qualificante il tempio, non certo per collocare l'icona nella giusta
posizione strutturale-ideografica e isomorfa,
che ritroviamo a Semestene. Infatti il Taramelli pone la protome
all'interno di un triangolo isoscele schiacciato ubicato proprio
sulla verticale della porta d'ingresso. Triangolo isoscele che a ben
vedere è, in quel contesto, un elemento strutturale robusto, capace
di sostenere
i carichi trasmessi dalla copertura sulle strutture sottostanti e in
particolare sulla porta d'ingresso al tempio. Facendo ciò pose
(sicuramente
in modo inconscio)
il toro in
una sorta di chiave di volta.
Il
cerchio si chiude, e benché non si possa con l'esempio portato,
asserire che la protome taurina di Sant'Anastasia fosse sicuramente
in chiave di volta, possiamo perlomeno attribuire i cerchielli
concentrici, associati al motivo al zig zag e allo chevron16,
sicuramente alla simbologia nuragica. Ed è proprio quella simbologia
dei cerchielli concentrici che suggerisce nel concio di Genoni la
natura taurina della chiave di volta per via della equivalenza: toro
= sole.
Fig.11
Fig.12
11.
L'arco monolitico simbologia di se stesso
Quando
vidi per la prima volta la fonte sacra di Su Tempiesu pensai alla
funzione di quei due archi, messi lì a reggere il nulla.
Quale funzione hanno quei due archi, mi domandai. Alla domanda ha
risposto M. Gimbutas con le sue ricerche che portarono allo sviluppo
di una nuova disciplina: l'archeomitologia17.
Seguendo
il pensiero e lo studio della Gimbutas sugli antichi popoli del
paleolitico e del neolitico europeo si coglie, nelle figure
catalogate e spiegate dalla studiosa, l'intima essenza religiosa di
quelle popolazioni, per le quali, vita secolare e vita religiosa era
un tutt'uno. Tutte le arti figurative di quei lontani periodi
rispecchiano una simbologia espressa con disegni che vanno oltre il
segno grafico ideografico, esprimendo un significato logografico.
Illuminante è l'affermazione di M. Gimbuttas allorché scrive:
Mentre la scrittura cuneiforme sumerica
scaturì dai traffici commerciali, lo script dell'Europa antica,
sviluppatosi duemila anni prima, probabilmente era servito
soprattutto come strumento di comunicazione con le forze divine. Gli
oggetti che recano segni scritti sono per esempio sigilli, vasi, pesi
di telaio, statuette, fusaioli, collane o placchette, modellini di
templi e miniature di coppe e piatti come ex voto. Tutti questi
oggetti hanno un significato religioso e ricorrono in contesti
religiosi.”
Leggendo questo brano riusciamo a capire un po' più a fondo il
sentimento religioso delle genti Sarde, e chiaro si intravvede
l'anello di congiunzione che traghettò quel modo di percepire e
colloquiare con la divinità dal neolitico al periodo nuragico
attraverso la scrittura18.
Periodo, quest'ultimo, durante il quale il sentimento religioso
rimase in modo empatico saldamente legato a quelle convinzioni e quel
sistema scrittorio mai abbandonato19.
In
questo contesto, penso, sia da ricercare il simbolismo di quei due
archi monolitici, che non sono di carattere decorativo come alcuni
studiosi ritengono; ma hanno
certamente un valore simbolico
in un'architettura tanto complessa e raffinata, quale è la fonte
sacra di Su Tempiesu. Quei due archi sembrano mimare la vera
struttura ad arco con chiave di volta. Chiave di volta che di fatto
non esiste in quell'opera d'arte (ma
che suggerisco sia nascosta),
alla stregua del concio di Semestene.20
Ma
ancora una volta mi chiedo: cosa reggono
quei due archi?
Le
risposta più ovvia, visti i presupposti, è legata al tema della
luce, quella del sole e della luna assieme, naturalmente.
Una
simulazione in 3D del tempio dimostra che all'alba del solstizio
d'estate, quando il sole spunta alle spalle del Monte Albo, la luce
del sole invade il vestibolo illuminando l'intera parete frontale e
l'intero arco anteriore, mentre quello posteriore rimane in ombra,
oscurato dal primo. Dopo soli pochi minuti l'ombra inizia a oscurare
pure l'arco anteriore, tant'è che quando scocca il mezzogiorno
l'intero vestibolo è in ombra. E' il momento del declino21.
L'arco
anteriore in questa scena è simbolo della potenza luminosa che però
prelude al declino perché, raggiunto l'apogeo inizia il percorso che
lo condurrà alla morte e successiva rinascita al solstizio
d'inverno. L'arco posteriore che rimane sempre in ombra, a parte un
parziale spiraglio di luce, potrebbe simboleggiare invece la luna e
la sua luce più fioca ma sempre presente22.
Come abbiamo avuto modo di scrivere in altre occasioni23,
il solstizio d'inverno è momento di giubilo e festa per la rinascita
del nuovo sole; il solstizio d'estate è momento di apprensione
dettata dall'ineluttabile destino di morte di quel sole al culmine
della sua potenza.
In
questo contesto possiamo dire con certezza che il vestibolo della
fonte sacra sia ricettacolo di luce, mentre l'arco monolitico
possiamo ipotizzare, ma solo ipotizzare, sia emblema della potenza
del toro solare. Quella luce che nel momento in cui illumina l'arco
quale insegna di potenza divina, contemporaneamente entra all'interno
della fonte e unendosi in un connubio fecondatore con l'acqua
sorgiva, genera nuova vita. Per tanto l'arco di Su
tempiesu,
investito dalla radiazione solare, regge
la luce.
Il verbo reggere
qui è inteso nel senso più ampio del termine e per tanto anche nel
significato di ricevere
un certo quid
esterno; che sia esso un carico fisico o la sola luce, è
indifferente.
***
Su
tempiesu e San Nicolò di Trullas: stessa simbologia
Secondo
questa lettura (lo
abbiamo già scritto)
possiamo intendere similmente l'arco monolitico del concio di San
Nicola di Trullas, dove tutta la scritta ruota attorno al simbolismo
della luce: Lui
immortale forza del toro della luce e forza di yaziz figlio del toro
- toro forza della luce e forza di yaziz figlio di zzy’.
In sostanza l'ineffabile yh
è forza del sole (toro della luce)
che si erge come un faro in chiave di volta; ed è forza del
“personaggio” yaziz (evidentemente
forza spirituale e morale ispirata da yh),
ma anche forza spirituale e morale per discendenza terrena (figlio
di zzy). Per
tanto la forza è tutta di carattere metafisica, impalpabile,
carismatica.
Fig.
1324
L'immagine
di Fig.13 proposta dal Prof. Sanna nel suo articolo, dà ragione
del significato isomorfo
dei segni ancestrali,
dal momento che l'arco assieme alla simbolica chiave
di volta
(protome
taurina vedi Fig. 8)
danno forma al percorso giornaliero del sole (dall'alba
al tramonto passando per l'apogeo del mezzogiorno).
***
“L'arco
o il quadrangolo, tra loro affini [omissis],
sembrano raffigurare la volta celeste che delimita l'ambiente in cui
vive l'uomo.”
Sono parole tratte da “Il dio arcaico
e la scrittura – un codice per le figure schematiche”
di Angela Belmonte25,
che nell'arco riconosce
anche il significato di “terra”26;
ma non solo perché nel medesimo volume la Belmonte, definendo il
concetto di “pianta” associato a quello di “terra”, ci aiuta
a leggere in differente modo l'arco e il toro di Semestene (si
tenga bene in mente il significato del termine isomorfismo:
nota
8).
Nel volume I del citato libro di nota (25) a pag. 259 vi troviamo
l'equivalenza tra “pianta” e “bastone”, inteso quest'ultimo
come “il
più rustico tra gli strumenti agricoli [omissis].
In America il bastone da scavo è tuttora impiegato dagli indios del
Brasile meridionale e orientale, che l'utilizzano per interrare le
sementi.”
Da qui a intravvedere nel bastone=pianta il membro virile taurino
inseminatore, il passo è breve. Tanto breve da poter individuare
nella protome taurina del concio di Semestene quell'archetipo
grafico, certamente trasformato e reso palese, di terra (arco)
e pianta/bastone (toro).
Non sorprenda la transizione perché il significato arcaico
originario di “pianta” accomunata alla “terra” è proprio
quello della procreazione. Lo stesso significato che ritroviamo nel
concio di Semestene dal momento che dalla “pianta=bastone=toro”
discende il figlio (yaziz)
che è in “terra” e che nasce dalla “terra” (yaziz
figlio si zzy).
Ma non è tutto, visto che A. Belmonte ci spiega che a seconda della
posizione della “pianta” rispetto al segno della “terra” il
significato cambia. La studiosa a pag. 260 Vol.I scrive: “…
quando la linea “pianta“ è all'interno del quadrangolo (o
semicerchio)
aperto in alto, la pianta è raffigurata nella parte esterna alla
terra (parte
aerea Fig. 14a).
Se la linea è al di sotto, la pianta è rappresentata nella parte
interna alla terra (radice
Fig. 14b).
Se la linea interseca la figura prolungandosi al di sopra e al di
sotto, la pianta è definita nella sua interezza(Fig.
14c).
Nel
quadrangolo con l'apertura in basso,
se la linea “pianta” è all'interno, essa è presente nella parte
interna alla terra(radici
Fig. 14d);
se
è esterna, rivolta in alto, la pianta è raffigurata all'esterno
della terra(
parte aerea Fig. 14e).
Quando la linea interseca la figura prolungandosi all'interno e
all'esterno, la pianta è presentata nelle due parti: quella sotto
terra e quella visibile esternamente (Fig.
14f)” (mie le aggiunte tra parentesi e il sottolineato ndr).
Fig.14
Da
questa spiegazione (solo
tecnica)
si capisce che la terra può essere indicata indifferentemente
concava o convessa ed è la posizione della pianta=bastone=toro ad
indicare che quando è sopra il quadrangolo (o
semicerchio)
con apertura in basso è esterna alla terra (Fig. 14e). Se a quella
immagine (Fig. 14e) sostituiamo la protome taurina di Fig. 14g, il
significato non cambia; per tanto trasponendo il significato nella
figura nel concio di Semestene, risulta in modo chiaro il significato
del toro che non a caso è “fuori” dall'arco, come a dire che
esso è pianta che mette radici nella terra ma non è di questa
terra27.
A questo punto potremmo definire l'isomorfismo: isomorfismo
plurimo28.
Ecco
che si va delineando un significato complesso, certamente, ma
stringente dal punto di vista semantico, visto che la frase del
concio di Semestene si sviluppa in modo preciso con la divinità
solare taurina al vertice e il suo figlio dalla doppia natura alla
base dell'arco; la stessa conformazione che ritroviamo nei sigilli di
Tzricottu. Anche qui sembra che il padre
celeste sia
inserito a bella posta in chiave di
volta. Anche
qui i tre segni puntiformi posti sopra il padre
celeste,
rispecchiano la simbologia del concio di Genoni coi tre (solare)
più tre (lunare)
cerchielli concentrici, e anche qui potrebbero intendersi quale
percorso solare: alba (levarsi),
percorso celeste (distendersi)
e tramonto (calare),
continuo e immortale.
Fig. 15
Tornando
al concio di San Nicolò di Trullas: probabilmente non è casuale
neanche la suddivisione a destra e sinistra del toro, delle due
scritte; Scritte che definiscono la natura di yaziz,
che sulla sinistra (all'alba)
nasce quale figlio divino di yh
e sulla destra (al tramonto)
viene rimarcata la sua natura terrena e per tanto mortale. La qual
cosa ci ricorda la doppia natura di Jesus. La storia si ripete, anzi
sembra non sia mai terminata, ma si è evoluta a guadagno della
prospettiva di vita eterna dell'uomo che ha bisogno di un personaggio
(divinità
umanizzata)
che faccia da tramite tra Dio e l'uomo.
Secondo
questa interpretazione, certamente piuttosto complessa, troviamo le
vestigia di un lontano passato che mai si sopirono nella cultura di
quelle genti, e le prove sono tutte sotto i nostri occhi. Basti dare
uno sguardo a tutti i simboli di età nuragica che troviamo nelle
ceramiche, nei modelli di nuraghe, “nella chiave di volta di Santu
Antine di Genoni” e non ultime le statue di Monte prama, per
renderci conto di quanto ciò sia vero.
Fig. 16
La
complessità sta nel ritrovare in un unico elemento isomorfo
(nel
nostro caso la chiave di volta e l'arco)
tutti i simbolismi di età arcaica descritti: toro in funzione di
chiave di volta; toro che si muove in cielo dall'alba al tramonto;
toro nella sua qualità di pianta=bastone che a contatto della terra
la insemina.29
6.
Comparazione di simboli
Se
analizziamo i tre archi di Fig. 17:
Semestene, Genoni e Su Tempiesu, possiamo notare la transizione
avvenuta nel simbolismo ad essi legato, ma anche la presenza nei tre
esempi dei medesimi simboli.
Nel
concio di Semestene è raffigurato con tutta evidenza il toro in
chiave
di volta,
mentre la luce è enfatizzata per due
volte:
in modo scritto con la parola NL sulla sinistra e in modo
numerologico sulla destra.
Nell'arco
di Su Tempiesu di Orune il toro è nascosto (l'ho
voluto
indicare
in modo evanescente per il solo scopo dimostrativo),
e la sua presenza sebbene fugace (appare
in tutta la sua potenza luminosa solo all'alba del solstizio
d'estate)
è tradita dalla sua stessa luce30
che illumina l'arco nella sua interezza solo ed esclusivamente il
giorno del solstizio d'estate. Anche qui la luce è enfatizzata per
due
volte
per via dei due archi.
Dell'arco
di Santu Antine di Genoni rimane la sola chiave di volta (ma
ciò basta).
Il concio apparentemente non reca alcun segno taurino, ma è lo
stesso concio che restituisce quella immagine solare e divina. La
luce è scritta in modo simbolico e anche qui per due
volte,
con quelle due serie di tre cerchielli concentrici.
Che
dire di più!
Fig. 17
7.
Cerchielli concentrici e zig zag: luce “in movimento”
Abbiamo
detto che i cerchielli concentrici altro non sarebbero che
l'ideogramma del cerchio soli-lunare inteso nella sua essenza
primordiale di luce “celeste” universale che rinasce31.
Rinascita scandita nel quotidiano levarsi, distendersi e calare quasi
monotono del sole, se non fosse per la sua controparte: la Luna, che
rende brioso e cadenzato dalle sue fasi cicliche a più corto
respiro, quel grande percorso circolare che il Toro Solare descrive
in un anno.
E'
questo il punto di incontro delle due simbologie solare e lunare? E'
probabile visto che dal punto di vista strettamente numerico il 12 è
attinente alla sola luna e non al sole.
Fusione di
simbologie
Il
Sole appone nel suo cammino celeste quattro cippi cardinali: solstizi
ed equinozi, che dettano le fasi riproduttive animali e vegetali nel
ciclo annuale; mentre la Luna marca il tempo ancor più in dettaglio
scandendo con le fasi lunari mensili la vita di tutti i giorni e in
particolare quella della donna, alla quale è deputato il compito di
dare la vita; quella vita per la quale la Luna somministra alla donna
12+1 occasioni all'anno per svilupparsi. Il connubio è stringente e
inscindibile. L'uno non esclude l'altra, anzi si compensano e
coadiuvano in un continuo moto oscillante, anche di reciproco
(illusivo)
allontanamento e avvicinamento, tanto da vedere in certi periodi
entrambi gli astri viaggiare l'uno a breve distanza dall'altro.
La
simbologia dello zig zag, proprio del moto del sole e della luna, con
quel saliscendi ondulatorio costante e perpetuo32,
allude al percorso dei due astri che muti volano nel cielo. Per tanto
“cerchielli concentrici”
e motivo a “zig zag”
significherebbero rinascita continua
del Sole e della Luna (o
meglio: della luce).
Conclusioni
Le
prove portate dimostrano in modo inequivocabile che le genti sarde
conoscevano e adoperarono la tecnica dell'arco a conci. Non la
usarono in modo sistematico perché di laboriosa edificazione.
Lasciarono però traccia consapevole
delle loro conoscenze in modo allusivo e il concio di Semestene ne è
prova evidente.
Rimane
solo una nota dolente al riguardo. La chiave di volta ritrovata nel
sito nuragico di Santu Antine di Genoni è del tutto sconosciuta; e
nella teca che la custodisce nel Museo G.A. Sanna di Sassari è posta
in secondo piano, glissata com'è da un reperto più seducente. E'
posta sotto il timpano trovato nello stesso sito, che indubbiamente
riempie l'occhio del visitatore, con quella forma triangolare che
racchiude la spirale di indubbio fascino; ma che dal punto di vista
intellettivo è nulla in confronto allo sforzo richiesto nel
concepire il principio statico insito in quella “chiave di volta”.
Quel concio dovrebbe essere posto proprio “in
chiave di volta”
di quella teca; dovrebbe dar merito a quelle antiche genti dello
sforzo intellettivo capace di un simile traguardo e invece no, solo
una scarna descrizione didascalica recita: “MEMORIE
DAL SOTTOSUOLO – Timpano in trachite – Chiave di volta – Calco
del motivo decorativo della chiave di volta – Elemento
architettonico decorativo con motivo a meandro – Prima Età del
Ferro”.
Ci piange il cuore! Altro che mitopoiesi!
***
In
seconda analisi possiamo dire di aver trovato, spero, una chiave di
lettura efficace, che dimostra il lungo cammino intrapreso dai segni
ancestrali descritti da M. Gimbutas e A. Belmonte, nonché da D. Orgiu, che ci forniscono, questi studiosi, una chiave di lettura efficace e del tutto semplice e
naturale (come
è giusto che sia)
di quei segni. Lettura arricchita di significato da G. Durand che ci
indica i meccanismi mentali che, ricorrendo all'allegoria, hanno
tradotto i significati nei significanti nella mente di quelle antiche
genti. Allegoria insita nel profondo dell'animo umano; quella che
nasce già nel pensiero del bambino che vede un viso umano nelle
finestre e nella porta circoscritte dalla facciata di una casa. Ma,
se M. gimbutas, A. Belmonte e G. Durand ci hanno fornito le chiavi di
lettura, il popolo sardo nuragico ci dice a chiare lettere che quei
segni, partendo dal lontano paleolitico (forse),
transitando per il neolitico, perdurarono indenni, incisi nella
roccia, nelle ceramiche e nelle fattezze dei Giganti di Monte prama.
Note e riferimenti bibliografici
1 Il
titolo è un esempio di rebus da sciogliere secondo livelli di
lettura multipli. La soluzione sarà di certo più agevole dopo la
lettura dell'intero studio. Buon divertimento.
2 Il
toro è manifestazione della divinità luminosa ineffabile yh.
Per tanto dire toro
o dire sole
è la stessa cosa.
6 F.
Laner - L’arte del murare a secco Dove le pietre non dormono mai -
http://collegio.geometri.bs.it/pdf/2010/6003_009.pdf
7 Si
noti che tutte le ierofanie luminose, da quella del nuraghe Santa
Barbara di Villanova Truschedu a quelle di Santa Cristina,
Sant'Anastasia e Murru mannu, sono manifestazioni “fugaci” e in
continuo movimento, ossia durano quel tanto che basta alla
consumazione del rito; dopo di ché svaniscono e di loro non rimane
alcuna traccia visibile.
8 L'antropologo
Gilbert Durand utilizza il termine isomorfismo quale equivalenza
morfologica, piuttosto che equivalenza funzionale per descrivere due
o più concetti e/o immagini che sono in relazione biunivoca. Per
esemplificare, in “Strutture antropologiche dell'immaginario.
Introduzione all'archetipologia” scrive “Claudel
ha messo in evidenza l'isomorfismo che unisce il ventre materno, la
tomba, la cavità in generale e la dimora chiusa dal tetto”
ed ancora “...il bambino riconosce nelle
finestre gli occhi della casa e intuisce i visceri nella cantina e
nei corridoi.” e ancora scrive disquisendo sul fuoco “Tale
isomorfismo è altresì rafforzato dal fatto che per numerose tribù
il fuoco è isomorfo dell'uccello”.
L'isomorfismo è un concetto
che nasce in ambito matematico, che lo descrive in maniera puntuale.
Vediamo l'esempio:
Il numero di palline è isomorfo della cifra correlata e viceversa.
11 M.
Gimbutas ci avverte che gli ancestrali segni a V, chevron, zig zag,
spirale, cerchi concentrici sono simboli di rinascita in tutte le
culture e in particolare nel suo libro uscito postumo scrive: “Per
le culture dell'Europa antica, il tempo procedeva in cicli, non
secondo una linea verso la fine. Questo modo di considerare il
mondo, era applicato tanto alla vita e alla morte, quanto alla
semina e al raccolto: alla morte seguiva immediatamente la
rigenerazione. La dea bianca rigida in particolare collegava la
morte con la rigenerazione attraverso il suo esagerato triangolo
pubico. Le proporzioni delle statuette si concentrano soprattutto
sul grembo, il luogo della promessa di rigenerazione dal corpo della
dea. Così l'inumazione rappresenta il ritorno simbolico nel corpo
della dea, prodomo di un parto nuovo.” E ancora: ”La
religione del neolitico era
peculiarmente basata sull'idea di generazione spontanea della
natura. Questo assillo generò un diluvio di immagini sacre
antico-europee riguardanti il rinnovamento, la maggior parte
dedicate a svariati animali: pesci, rane, cani, capre, porcospini,
teste di toro, ognuna delle quali simboleggia in qualche modo
l'utero. Alcune immagini riflettono il mondo naturale: semi,
viticci, alberi, falli, germogli, colonne della vita. Ricorrono di
frequente anche simboli astratti: spirali, uncini, triangoli e
cerchi concentrici- Vedremo come tutti questi siano simboli di
rigenerazione incarnino la vita nascente, pronta a sgorgare. Questi
simboli spesso erano con-fusi con i simboli estremi della
rigenerazione: il corpo della dea e gli organi della riproduzione.“
Tratto da M. Gimbutas – Le dee viventi – Ed. Medusa – pagg. 55
e 60.
12 Evidentemente
il simbolo allude probabilmente ai due astri: sole e luna, che nel
loro moto continuo e ripetitivo si rigenerano,
nascendo e morendo, tutti i giorni. Rigenerazione che
di fatto rispecchia il risultato dell'atto riproduttivo
della natura in genere e dell'uomo in particolare. Tant'è che gli
organi genitali maschili e femminili vengono chiamati “organi
riproduttivi”
ossia organi che “producono nuovamente” la vita. La parola
“riproduttivo” la troviamo praticamente inalterata in quasi
tutte le lingue europee. Le parole italiane: rigenerare, riprodurre,
contenendo il prefisso di derivazione latina “re, ri” che indica
il ripetersi di un'azione, di fatto recano nell'intimo significato
il concetto di nascita, morte e risurrezione (sorgere
nuovamente del sole e della luna, ma anche dell'uomo a nuova vita).
Di certo queste similitudini furono innescate nel momento in cui
l'uomo nel lontano passato fu cosciente di se stesso e in
particolare dei propri organi riproduttivi, tant'è che questo
aspetto è messo in evidenza, in buona sostanza, dagli studi di M.
Gimbutas.
13 Di
certo il sole e la luna fin dal passato più remoto furono segno di
rinascita nel perpetuo sorgere, calare e risorgere , come appena
detto in nota 12.
14 Il
Prof. Sanna in modo del tutto filologico, interpreta i particolari
di urne cinerarie, sarcofagi e quant'altro legato al rito funebre
etrusco in funzione del sentimento religioso di quel popolo che
invocava per i propri defunti l'auspicio di benevolenza di Tin e Uni
le loro prerogative genitoriali di protezione, sicurezza e sostegno
nel continuo rinnovarsi del ciclo della vita evocato dal sollevarsi,
distendersi e curvare del sole e della luna. Evocazione che di per
se rende l'idea dell'arco composto da tre conci.
15 Si
fa strada l'idea (non da oggi) che i segni che troviamo nelle domus
d Janas e nei reperti vascolari delle culture prenuragiche siano
stati tutti adottati dalle genti nuragiche ed utilizzati nelle
formule dedicatorie che troviamo nei monumenti di età nuragica.
Formule che riportano come vediamo nelle immagini di Fig. 10 reiterazioni con evidente significato logografico di
immortalità il segno a zig zag col significato logografico di
continuità del muto volare nel cielo del Sole e della Luna col
significato logografico di luce. Alla base di tutto ciò vi è
l'espressione grafita del “logos” quale parola attribuita alla
divinità e se tale espressione grafita, che poi possiamo ben
chiamare “grafema”, ha potenzialità logografica, allora stiamo
parlando di “scrittura”. Il sillogismo è semplice e
chiaro, come tutti i sillogismi che investono la sfera
dell'ancestrale.
16 Da
Donatello Orgiu - I Segni a “V” e il simbolo di Tanit - in
https://www.academia.edu/6303754/Il_segno_a_V_e_lorigine_del_simbolo_di_Tanit
– Tratto da: D. Orgiu - La Dea Bipenne Dal segno all’idea –
Ed. Tipografia 3 ESSE.
17 Fu
M. Gimbutas a coniare la parola all'interno dei suoi studi
pionieristici di archeologia e mitologia antica, divenuti pietra
miliare di quel settore di studi.
18 Già
G. Sanna e G. Atzori in “Omines – dal neolitico all'età
nuragica” Ed. Castello, preannunciarono nel 1996 la relazione
tra i segni neolitici e quelli nuragici.
19 Gli
studi di archeomitologia avviati da M. Gimbutas rafforzano e non
poco gli studi del Prof. Sanna; per contestare i quali è
necessario, immancabilmente, contestare in modo efficace le
affermazioni di Marija Gimbutas; ma anche quelli di Angela Belmonte e non ultimo quelli di D. Orgiu e di G. Durnd e di tutti quegli studiosi che vedono nei segni ancestrali più arcaici simbologie che rimandano inequivocabilmente a segni di scrittura logografica: un segno = una parola. Per fare ciò, però, è necessario
un grande sforzo intellettuale da parte di chi contesta; non basta
appellarsi alla sfera del materiale per giustificare o negare un dato: è troppo facile ed è sminuente nei confronti dell'intelligenza
di quelle antiche genti. La scrittura, lo dimostra M. Gimbutas, non
nasce in ambito palaziale e commerciale, ma in ambito religioso. Su
questo aspetto della scrittura batte incessantemente da oltre
vent'anni il Prof. Sanna e da vent'anni l'Accademia fa orecchio da
mercante.
20 G.
Lilliu propose per Su Tempiesu una soluzione architettonica del
timpano che prevedeva un architrave con sovrastante finestrella di
scarico proprio all'altezza dei due archi; architrave che di fatto
impediva la vista ai due archi. - G. Lilliu – La civiltà dei Sardi
– Ed. Il Maestrale 2003 – pag. 616 Fig. 204.
Nel libro G. Lilliu dà per scontata la presenza sia dell'architrave che della finestrella di scarico (pag. 613-615). Questa ipotesi ricostruttiva è abbandonata da M.A. Fadda, che invece propone un timpano che lascia in vista i due archi monolitici. Che quella di G. Lilliu sia solo una ipotesi ricostruttiva lo afferma E. Contu (1999) in “Pozzi sacri: ipotesi ricostruttive. Sacer, Vol. 6 (6), p. 125-148” dove scrive “Unica differenza fra la ricostruzione del LILLIU, e mia, e quella della FADDA (fig. l,c) era l'assenza per quest'ultima di un architrave, con sovrastante finestrello di scarico, al centro del timpano; i quali elementi erano stati ipotizzati pur non restandone traccia in posto. Anzi ancora non mi abbandona il dubbio che essi in un primo tempo potessero esserci stati, in analogia a come l'architettura nuragica realizza, in casi numerosissimi, la copertura ad aggetto della luce di ingressi e nicchie. Nel punto infatti in cui ci si sarebbe aspettato tale architrave si affrontano ora, sue due lati del timpano, due conci di colore più chiaro, rispetto a quelli della restante struttura; tanto che forse potrebbero interpretarsi, come i resti, successivamente scalpellati in seguito a rottura, di un preesistente architrave”. La grande onestà intellettuale di E. Contu tormenta l'animo dello studioso che vorrebbe abbracciare l'ipotesi ricostruttiva della Fadda, ma in cuor suo non abbandona definitivamente l'ipotesi ricostruttiva di Lilliu, e sua, come Lui stesso ammette.
Nel libro G. Lilliu dà per scontata la presenza sia dell'architrave che della finestrella di scarico (pag. 613-615). Questa ipotesi ricostruttiva è abbandonata da M.A. Fadda, che invece propone un timpano che lascia in vista i due archi monolitici. Che quella di G. Lilliu sia solo una ipotesi ricostruttiva lo afferma E. Contu (1999) in “Pozzi sacri: ipotesi ricostruttive. Sacer, Vol. 6 (6), p. 125-148” dove scrive “Unica differenza fra la ricostruzione del LILLIU, e mia, e quella della FADDA (fig. l,c) era l'assenza per quest'ultima di un architrave, con sovrastante finestrello di scarico, al centro del timpano; i quali elementi erano stati ipotizzati pur non restandone traccia in posto. Anzi ancora non mi abbandona il dubbio che essi in un primo tempo potessero esserci stati, in analogia a come l'architettura nuragica realizza, in casi numerosissimi, la copertura ad aggetto della luce di ingressi e nicchie. Nel punto infatti in cui ci si sarebbe aspettato tale architrave si affrontano ora, sue due lati del timpano, due conci di colore più chiaro, rispetto a quelli della restante struttura; tanto che forse potrebbero interpretarsi, come i resti, successivamente scalpellati in seguito a rottura, di un preesistente architrave”. La grande onestà intellettuale di E. Contu tormenta l'animo dello studioso che vorrebbe abbracciare l'ipotesi ricostruttiva della Fadda, ma in cuor suo non abbandona definitivamente l'ipotesi ricostruttiva di Lilliu, e sua, come Lui stesso ammette.
G.
Lilliu trova nei due archi monolitici della fonte sacra di Su
Tempiesu il corrispettivo negli archi monolitici di due “tombe di
giganti”, quelle di “Pedras doladas di Scanu Montiferro” e
quella si “Sa sedda e sa Cadrèa di Sindia” (pag. 599 del citato
libro) e così si esprime: “Il
vestibolo, di m 1,55 x 1,07/1,30 con altezza di m 3,27, ha spalle
convergenti verso il soffitto costituito da archi monolitici simili
a quelli delle “tombe di giganti”.
L'asserzione, erronea per quanto riguarda la descrizione del
“soffitto”, che sembrerebbe realizzato con volta a botte
costituita da archi monolitici, è pure erronea per quanto riguarda
il campione di riferimento: le due tombe di giganti. Errore ammesso
dallo stesso Lilliu nella nota 33 del suo saggio “Dal <betilo>
aniconico alla staturaria nuragica” in “Le sculture di Mont'e
Prama – La mostra “ - Cangemi Editore.
Si
è voluto qui rimarcare l'errore segnalato (persistente ancora nella
edizione del 2003 di “La civiltà dei Sardi”, non certo per
squalificare il grande archeologo, che rispetto ora più che mai; ma
solo per rimarcare le peculiarità di quei due archi monolitici, che
ritengo abbiano un significato simbolico ben preciso in un contesto
altrettanto preciso; e sgombrare il campo da qualsiasi dubbio che
possa far intendere l'arco monolitico in questione quale elemento
architettonico di largo e differenziato uso (tombe di giganti).
21 In
un prossimo articolo vedremo più nel dettaglio il simbolismo della
fonte de Su Tempiesu, che investe con ogni probabilità il Monte
Albo, ma non solo.
24 Immagine
tratta da:
https://maimoniblog.blogspot.com/2019/01/semestene-in-san-nicola-di-trullas-una_12.html
25 Angela
Belmonte – Il dio arcaico e la scrittura – un codice per le
figure schematiche – Vol I – MF Edizioni – pag.23
26 Idem
- pag. 261. Non faccia specie il simbolismo duale, visto che l'arco
sembra raffigurare la volta celeste che delimita l'ambiente in
cui vive l'uomo; ambiente che è
delimitato anche dalla terra.
27 La ulteriore lettura del concio di Semestene dettata dagli studi di A.
Belmonte, benché evochi immagini diverse rispetto a quelle già
viste: sole e percorso solare; si rivela tutt'altro che discorde
rispetto al significato precipuo. Entrambe le immagini evocate: sole
e percorso solare da una parte, bastone e terra dall'altra, recano
il medesimo significato alludente la vita, ed entrambi possono, anzi
devono, coesistere (vedi ancora
nota 26). Esse (le immagini) coesistono nel momento in cui il Sole tutti i
giorni irradia la Terra e la rende feconda. Quest'ultima asserzione
non è di carattere allegorico ma, gli agricoltori lo sanno
benissimo, è più che mai reale; infatti “La
temperatura del suolo influenza la crescita della pianta
principalmenteagendo sui seguenti
parametri:
- Germinazione
dei semi: la durata della fase di
emergenza è influenzata da T e influenza la durata del ciclo.
- Asportazione
degli elementi nutritivi: la
permeabilità osmotica delle membrane radicali e le velocità di
asportazione dipendono dalla temperatura.
- Distribuzione
radicale: in un suolo freddo le
radici si espandono lateralmente in superficie, mentre in un suolo
caldo penetrano verticalmente in profondità, con vantaggi per le
asportazioni idriche e minerali.
- Respirazione
ed attività microbica del suolo:
tutti i processi enzimatici dipendono dalla temperatura, pertanto la
decomposizione dei residui organici è temperatura dipendente.”
tratto da:
http://www2.unibas.it/perniola/attachments/article/4/3)%20agrometeorologia.pdf
28 Per
isomorfismo plurimo possiamo
intendere quello che in epigrafia è definita polisemia.
E' possibile che la polisemia
derivi direttamente dall'isomorfismo plurimo.
Infatti A. Belmonte nel suo studio già citato scrive a proposito
della scrittura sumerica (pag. 4 Vol. I): “Ogni
segno della scrittura sumerica ha numerosi significati apparentati
tra loro (polisemia) e non sempre a noi comprensibili nelle loro
relazioni. La scrittura esprime infatti una cultura evoluta e
complessa. Un termine inoltre può essere rappresentato da segni
diversi.” Sembra
che la Belmonte stia descrivendo la scrittura nuragica!
Per quanto
riguarda la polisemia sumerica si veda anche “Pietro Mander - A.
Il cuneiforme – La nascita della scrittura: il cuneiforme sumerico
e assiro-babilonese. Caratteristiche, lingue e tradizioni scribali.
B. Archivi e biblioteche in Mesopotamia del periodo pre-sargonico
(Protodinastico I-III: III millennio a. C.) §1.3 - all'indirizzo:
https://www.academia.edu/17076385/A._Il_cuneiforme_La_nascita_della_scrittura_il_cuneiforme_sumerico_e_assiro-babilonese._Caratteristiche_lingue_e_tradizioni_scribali._B._Archivi_e_biblioteche_in_Mesopotamia_del_periodo_pre-sargonico_Protodinastico_I-III_III_millennio_a._C._
29 Non
paia strana e avventurosa l'interpretazione. Ancora nelle comunità
sarde è uso comune indicare il ventre materno col termine
allegorico di “terra”, tant'è che quando si vuol specificare
che due fratelli sono unilaterali si dice che sono: “stessa terra
e diverso seme” o “stesso seme e diversa terra”.
30 La
frase necessita di una spiegazione. Con tutta evidenza gli archi di
Su Tempiesu non recano alcun simbolo taurino ma questo si
manifesta attraverso la ierofania che causa la illuminazione dell'arco stesso ossia; la
luce del sole non può che provenire se non dal “toro solare”.
31 I
cerchielli concentrici hanno anche valore di “occhio” come nelle
statue di Monte Prama. E ancora una volta il tema rimanda alla luce.
Caro Direttore, nella mia pagina di facebook sono intervenuti l'ingegner Angelo Saba e il dottor Fracesco Maxia sulla questione dell'arco. Il primo ha detto (e c'è da credergliper il mestiere che fa ) che l'arco nuragico non è dell'età del ferro ma addirittura dell'età del medio bronzo. Bruscolini! Penso allora che tu debba invitare l'ingegner Saba a pronunciarsi qui perché il tuo blog con oltre un milione di ingressi può portare per il mondo una notizia sconvolgente sul piano della storia della architettura del Mediterraneo occidentale.
RispondiEliminaCaro Professore, ho letto sulla Sua pagina fecebook quanto asserito dall'Ing. Saba e volentieri accoglierei in questa sede i commenti di una persona competente quale egli è.
RispondiEliminaNon vi è alcun dubbio che l'Ingegnere possa aiutarci a capire e magari anche correggere eventuali errori che si possono commettere. E' necessario un confronto per avanzare lasciando gli indugi alle spalle.
Vi è ancora tanto da dire dal punto di vista simbolico sulla chiave di volta: nuraghe Santa Barbara e il muro di Murru mannu in Tharros ne sono esempio. Bisogna però spogliare l'essenza della chiave di volta dal vestito “tecnico” che noi oggi gli abbiamo cucito addosso e guardarlo nella sua “nudità” di elemento che segna, insegna ed è insegna della potenza divina. Solo un gioco di parole?! Beh, stando in superficie certamente, ma andando oltre si capisce perché dopo millenni il Taramelli pose, ipoteticamente, il toro sopra l'ingresso del tempio di Sant'Anastasia. I meccanismi mentali sono sempre gli stessi. Il toro quale espressione di potenza è sempre in prima fila, a tirar l'aratro o il carro, oppure in alto, sopra un architrave a esprimere la potenza luminosa del mezzogiorno tutti i santi giorni; oppure discende dall'ingresso privilegiato del pozzo di Santa Cristina il 21 di giugno.
RispondiEliminaCredo che ci sia da fare chiarezza sul valore e sulla simbologia dei cerchielli o circoli concentrici che non significano davvero "rinascita del sole e della luna" ma sono semplicemente SEGNI D'ACQUA. ACQUA ELEMENTO NECESSARIO ALLA RINASCITA. Per avere la VITA c'è bisogno di SOLE e di ACQUA...e gli antichi, non solo i Sardi,l'avevano ben compreso per cui in tutto il mondo, in tante culture abbiamo il riscontro che i CERCHI CONCENTRICI SONO SEGNI D'ACQUA: rappresentano l'acqua! Purtroppo nemmeno la Grande Marija Gimbutas questo segno l'ha capito. Io credo di averlo ben spiegato ) ma ho anche altre prove) in questo mio studio: https://www.academia.edu/13959714/I_SEGNI_d_ACQUA_dalla_Preistoria_al_Medioevo_con_testimonianze_dalla_Lunigiana_
RispondiEliminaCon riferimento al mio commento precedente del 13 maggio ore 14.56 SUL VALORE DEI "Circoli concentrici" potete lascirmi ogni vostro commento e o informazione contattandomi all' email Barbieri.rino@virgilio.it e potete ancora leggere questo mio studio sullo stesso tema: https://www.academia.edu/30938018/IL_GUARDIANO_NURAGICO_DI_ABINI_e_il_suo_incompreso_messaggio
RispondiEliminaQuando si affrontano questi temi è difficile attribuire significati in senso assoluto e univoco. Proprio dal suo commento prendo spunto, dal momento che “Per avere la VITA c'è bisogno di SOLE e di ACQUA...” come lei ben dice; proprio la luce e l'acqua sono elementi enfatizzati dalla civiltà nuragica nei pozzi sacri. Per questo motivo non posso escludere una possibile correlazione dei cerchielli con l'acqua, ma sicuramente non posso eludere il significato lucifero che traspare dal cerchio. Quel che lei scrive nel suo articolo a proposito dei cerchi generati da “un corpo che cade nell'acqua stagnante “, definisce una forma indotta del cerchio ossia; deriva da una azione provocata da un entità esterna; è, per così dire: “una forma creata”. Il cerchio solare e lunare sono, invece, immagine della parte manifesta di quella entità (qualunque essa sia) ossia; il cerchio solare e quello lunare danno corpo alla divinità.
RispondiEliminaMa, a parte le considerazioni esposte nel mio articolo, che possono essere accettate o meno, propongo una obiezione al Signor Rino Barbieri (sempre e comunque in ambito nuragico): perché mai dovrebbero esserci due simboli (con valore logografico), con identico significato nel medesimo contesto segnico? In sostanza, se prendiamo i segni riportati nella figura 10 del mio articolo, dovremmo desumere, per quanto scrive nel suo articolo, che lì vi sia scritto “acqua” in forma di zig zag e ancora “acqua” in forma di cerchielli concentrici; e questo, nell'ambito della scrittura nuragica, per quanto ho potuto capire di essa, non è ammissibile perché in questa, la ripetizione logografica è ottenuta con la reiterazione del singolo segno.