sabato 7 maggio 2016

...per non inficiare un modello ben consolidato.

di Francesco Masia
Venerdì pomeriggio sono riuscito a seguire il convegno nell’aula magna dell’università di Sassari, relatori Attilio Mastino (le risorse del Montiferru, le origini di Cornus, i miti greci, Aristotele e la percezione del tempo, il sonno terapeutico davanti agli eroi al momento della dissoluzione della civiltà nuragica), Alberto Moravetti (introduzione all'archeologia di Mont'e Prama), Gaetano Ranieri e Raimondo Zucca (la nuova archeologia: dall'indagine a distanza allo scavo archeologico in tempo quasi reale; il caso di Mont'e Prama).
Ci sono andato curioso tra l’altro di verificare quanto facesse capolino tra le parole dei relatori quel clima di sfiducia che sappiamo diffuso tra almeno parte di quanti seguono gli studi sul nostro passato, poco speranzoso quanto al sentire gettare ponti più o meno espliciti verso tesi fin qui trascurate od osteggiate. Mi chiedevo se sarei stato capace di prendere la parola tra gli interventi aperti al pubblico per ricordare ai relatori la scena da “La meglio gioventù” (di Marco Tullio Giordana, 2003) in cui un professore di Medicina spiega pacatamente a un suo studente che i giovani dovrebbero emigrare per sfuggire alle incrostazioni del degenerato sistema-Paese, fortificarsi all’estero e magari tornare per combattere e scalzare i dinosauri che lo infestano; allo studente che gli chiede perché non vada all’estero pure lui il professore sempre pacato risponde che è egli stesso uno dei dinosauri che loro dovranno combattere. Mi chiedevo se sarei stato capace di chiedere ai relatori quanto si riconoscessero nei panni di quel professore, facendo esplicito riferimento ai molti che li vedono ostinati nel non raccogliere le nuove evidenze e nel non aiutare a cercarne altre per cambiare coraggiosamente e doverosamente paradigma rispetto al nuragico (come su Wikipedia, con tanto di bibliografia, già si legge).
Non ho dovuto mettermi alla prova, non c’è stato il tempo di raccogliere nessun intervento dal pubblico. Qualcosa vale senz’altro la pena riferire.
Il Prof. Mastino nella sua introduzione ha infilato un tono ironico sui Greci che ritenevano i Sardi troppo ignoranti per progettare le loro torri e per questo si inventavano che erano frutto dell’ingegno di Dedalo. Lasciava pensare che da lì in avanti avrebbe parlato, quindi, della dignità della civiltà nuragica, ma niente, ha continuato come nulla sui miti greci in Sardegna e quindi su tutte le impronte classiche lungo la litoranea occidentale sarda. Credo almeno abbia parlato lui prima di Zucca della documentata origine della pietra delle statue da una cava presso S’Archittu (mentre un diverso materiale per i betili o forse per i modelli di nuraghe verrebbe da altro sito, mi pare sui 5 km più a sud di Monte Prama). È stato forse ancora Mastino a dire come certo o pacificamente convenuto che le statue sarebbero state abbattute dai Punici.
Il Prof. Moravetti ha introdotto Monte Prama impegnandosi a non far chiamare giganti le statue (“come dovremmo chiamare altrimenti statue egizie di 18 metri?”) e a trovare poi che i modelli di nuraghe a Monte Prama hanno un gusto baroccheggiante, quasi dannunziano, decadente, segno del periodo di degenerazione della civiltà nuragica (quasi avessero copiato da Ludwig di Baviera; o direttamente da Walt Disney, aggiungerei).
Ranieri e Zucca hanno dimostrato reciproca stima se non amicizia, nessuna dichiarata ombra di lontananza quanto al valore delle indagini con georadar e altri strumenti né quanto al dovere di continuare a scavare nell’area estesa, che l’ingegnere conferma essere ricca di anomalie e quindi reperti: la capanna circolare rileverebbe struttura tricamerale, con forse al centro un  sepolcro. Poi rilievi di apparenti strade e muri (uno quasi circolare, a delimitare, avrebbero supposto, un’area per i combattimenti forse rituali), altre linee di tombe e forse una costruzione (mi è parso solo una, non grande).
Dal Prof. Zucca, come atteso, le notizie di maggior interesse. Intanto la pubblicazione ancora calda di stampa per la Carlo Delfino Editore del primo volume “Mont’e Prama”, “Ricerche 2014”, a cura di Gaetano Ranieri e Raimondo Zucca. Credo si tratti per lo meno anche degli atti del convegno presentato ai Lincei.
Sono state trovate nelle statue dei pugilatori ferite da arma da taglio (pugnale) inferte di punta (sarebbero riconoscibili i classici segni, come nella medicina legale), molte sugli arti inferiori, non poche sul busto. Non si tratterebbe di danneggiamenti da aratro (l’avrete pensato anche voi), perché segni qui di pittura rossa devono far propendere per la riproduzione intenzionale di ferite (ricordavo che nel centro di restauro di Sassari avevano cercato segni di colori senza riuscire a trovarne, a parte dubbi tra nero e bruciature: miracoli della ricerca). Zucca interpreta  tali ferite come prodotte per un rituale di parziale sacrificio (lotta al primo sangue, non all’ultimo) o meglio di iniziazione, collegandole ad analoghi riti greci documentati da fonti classiche. E ancora all’oriente si riallaccia per la considerazione della cospicua presenza di capigliature con trecce e piedi con sandali, poiché statisticamente queste caratteristiche sono molto più rare nei bronzetti (credo abbia parlato del 76% delle statue con trecce, mentre tra i bronzetti trecce si troverebbero nel solo 23%; quanto ai sandali ci sarebbero forse 4 bronzetti con sandali, mentre tra le statue sono comuni). Per cui Zucca porta a casa elementi che lo fanno sentire non meno ancorato di sempre a influssi orientali.
E così si è chiuso il convegno, col desiderio espresso da Ranieri e Zucca di riprendere a scavare secondo le indicazioni del georadar (senza alcuna precisazione su realmente chi dove, quando e per quanto). Tante discussioni altrove aperte non si sono toccate (come stavano in piedi le statue, per esempio), dichiarando apertamente che di tante domande sulle statue e sul sito ancora non si hanno le risposte.
Lasciando l’aula magna sono entrato a vedere la mostra “Novecento”, di Antonello Fresu, nei locali della ex biblioteca centrale dell’università (ora trasferita in Piazza Fiume, presso l’ex Ospedale Civile); ve lo racconto per dire che non stavo certo più sperando di avere alcuna occasione di confronto con i relatori, ma quando sono uscito mi sono proprio trovato a scendere le scale con il prof. Zucca, da soli. Ora lo saluto (se mai leggerà) e mi scuso se non mi sono presentato, del resto lui non mi ha chiesto chi o cosa fossi e io a dirgli nome e cognome mi sarei sentito di aggiungere che partecipo alle discussioni sui blog da Monte Prama a Maymoni, cosa che sul momento mi sembrava sarebbe suonata come un “lei non sa chi sono io, … oppure lo sa …”.
Insomma non credo di tradire l’urbana fiducia del professore nel parlare della nostra breve conversazione, che di fatto non aggiunge nulla al suo discorso pubblico. Gli ho confessato che ero rimasto deluso dalla pervicace resistenza a non riconoscere Monte Prama al nuragico, sembrando abbiano voluto creare un limbo che se ancora non può dirsi fenicio di nuragico non avrebbe più nulla, un nuragico degenerato che vorrebbe apparire un sardo in attesa di altre meglio definite etichette, ma certo ben influenzato da apporti dall’oriente. Gli ho almeno accennato che in tal senso la significatività delle percentuali di trecce e sandali tra statue e bronzetti mi sembrava sul piano logico molto debole. Ovviamente siamo arrivati così alla sua macchina e non volevo certo disturbarlo oltre, lui mi ha in sostanza gentilmente ribadito come creda convintamente che tali legami con civiltà orientali siano reali, che Monte Prama sia certamente sardo, fatto in Sardegna, ma profondamente influenzato da apporti esogeni.
Non ho potuto dirgli in più neanche questo, ma spero lui e gli altri si orientino a rivolgere più attenzione su quanto apporti e influenze tra Sardi-Nuragici e coeve civiltà mediterranee potessero essere e probabilmente fossero bidirezionali, forse almeno paritetici.

8 commenti:

  1. In che senso "la capanna circolare rileverebbe struttura tricamerale, con forse al centro un sepolcro", hanno detto solo questo?

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    1. Ranieri aveva un'immagine abbastanza chiara su questo rilevamento, ma non stavo filmando né fotografando né registrando e né prendendo appunti. A quanto ho capito e ricordo ha detto, nel merito, essenzialmente questo. Si è capito che dovrebbe essere prossimo oggetto di scavo. "Al centro forse un sepolcro" sembrava giustificato nell'immagine (per quanto può cogliere un profano) da una struttura più corposa rispetto ai muri interni (delimitanti i tre ambienti) alla intersezione centrale tra questi. Penso sarebbe pronto ad ammettere che potrebbe essere un sepolcro come chissà che altro. Il discorso muoveva dall'ipotesi che tra tanti giovani guerrieri inumati possa esserci in un luogo più centrale qualcosa come il Re, ma nulla di meno vago di questo. Al punto che se mi chiedi di quale struttura circolare si stia parlando non saprei risponderti altro che della struttura circolare (evidentemente) per antonomasia.

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  2. I sandali? Solo valore 'acrofonico'. 'Servono' quando servono nella sintassi dei bronzetti e delle statue e non c'entra nulla la statistica.

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  3. "E ancora all’oriente si riallaccia per la considerazione della cospicua presenza di capigliature con trecce e piedi con sandali, poiché statisticamente queste caratteristiche sono molto più rare nei bronzetti (credo abbia parlato del 76% delle statue con trecce, mentre tra i bronzetti trecce si troverebbero nel solo 23%; quanto ai sandali ci sarebbero forse 4 bronzetti con sandali, mentre tra le statue sono comuni)."

    che cavolata madornale. non ho altri commenti per la pochezza dell'argomentazione.

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    1. A quanto pare ho azzeccato il titolo. Se prendo la prima parte del tuo commento salta fuori: Che cavolata madornale ...per non inficiale un modello ben consolidato.

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    2. ...tra l'altro anche la percentuale di "pugilatori" tra i bronzi è estraneamente bassa, rispetto alla statuaria in pietra.
      Mi colpisce moltissimo la definizione
      baroccheggiante/decadente - nella logica della forma ritmica biologico parabolica esclusiva del "classico"che è comunque molto indicativa del "sistema di riferimento.

      http://maimoniblog.blogspot.it/2015/07/classico-e-anticlassico-la-forma.html?m=1

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    3. Francesco, volevo chiederti se la definizione di "decadente" data ai modelli di nuraghe è stata estesa anche alle statue o se invece si è rimarcata una differenza tra le statue e quei modelli da questo punto di vista.

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  4. Il giudizio di decadente non è stato esteso alle statue ed è stato formulato (insieme a baroccheggiante e dannunziano) sempre tra molte virgolette, proprio con la licenza delle esposizioni orali accompagnate da una comunicazione non-verbale che rafforza l’idea di termini usati magari impropriamente ma “per capirsi”. Quindi nulla di esplicitamente esteso alle statue o ad altro, ma sì, nell’insieme, una decadenza che sarebbe andata a braccetto con il tramonto della cultura nuragica: ora non fatemi giurare che abbiano messo in fila esattamente queste quattro parole (tramonto della cultura nuragica; potrebbero aver detto addirittura “disfacimento”, ma ammettiamo che disfacimento me lo sia sognato), ma certamente hanno parlato (Moravetti prima e poi più estesamente Zucca) della decadenza della civiltà nuragica segnata già dal venir meno dell’edificazione di nuovi nuraghi, dal veder probabilmente crollare le parti strutturalmente più deboli sulle loro sommità (quelle verosimilmente in legno sui mensoloni e a copertura della scala interna, come i modelli appunto suggerirebbero), sommità che (ci si è chiesti, senza risposte) chissà se in quel tempo potevano ancora vedere integre o già solo ricordavano (quel tempo, quello della produzione delle statue, sarebbe tra parentesi all’VIII secolo, massima concessione al IX, secondo i relatori; e sulla reale esistenza di strutture sopra i mensoloni Zucca ha sognato si possa un giorno scavare uno dei nuraghi oggi interrati, interrati ha aggiunto per naturale stratificazione del suolo, e trovare al loro posto i mensoloni con, sopra, il resto di qualcosa). Decadenza o altrimenti comunque mutamento, quello già individuato da Lilliu nel suo “passaggio del potere alle aristocrazie, nel primo ferro”; un mutamento in questo convegno restituito all’insegna della decadenza, questo mi sentirei di certificare (una decadenza non certo ben precisata, al contrario assai vaga; al non-verbale “ci capiamo” verrebbe quindi da rispondere con “mica tanto”). Insomma, da una parte (fuori da questo convegno e dall’università) i giganti come espressione della civiltà nuragica al suo apice, dall’altra l’inquadrarli in un contesto vagamente decadente, accentuatamente permeabile a influenze esterne (accolte, riassumerei, in modo quasi passivo … “ci capiamo”). Ah, Moravetti ha portato a esempio di stranezza, passo indietro, decadenza, anche il passaggio dalle tombe dei giganti (sepolture monumentali) a questa (misera) tipologia a cista litica. E, già che ci siamo (ho riconosciuto poco alla sua relazione), Mastino ha sottolineato la parentela tra le sepolture di Monte Prama e quelle di Antas (sul blog Monte Prama, ricordo, il dato era già stato evidenziato).
    Quanto al numero spropositato di pugilatori rispetto alla bronzistica, questo è stato un dato sottolineato anche nel convegno. Solo i pugilatori (rispondo qui a una domanda di Gigi dalla discussione al post sui guerrieri di terracotta) presentano le ferite. A mettere insieme (da solo, ora) i pezzi assimilati in questo convegno, l’idea sarebbe un rito iniziatico con duello sacro per divenire guerrieri (arcieri o armati di spada); possibile che gli inumati siano i giovani sfortunatamente morti per il cumulo di ferite? Zucca ha parlato del genere, maschile o femminile, degli inumati: potrei sbagliarmi, ma ha detto che in un solo caso il genere determinato è femminile, in qualche caso sarebbe ancora dubbio. Ora, a quanto ho capito, si starebbe puntando a verificare meglio se l’elemento femminile non sia invece di genere maschile come gli altri, perché questo renderebbe il caso meglio accostabile a tutti i consimili dell’oriente mediterraneo (non chiedete a me di quali altri casi staremmo parlando). Caso emblematico quindi di come, stentando a credere ai dati di laboratorio, prima di cambiare orientamento si chiedano al laboratorio ulteriori conferme: legittimo, direi (si fa anche in medicina, per esempio), purché si proceda in tempi ragionevoli.

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