di Sandro Angei e Stefano Sanna
Esodo
20,22Il Signore
disse a Mosè: «Dirai agli Israeliti: Avete visto che vi ho parlato
dal cielo! 23Non
fate dèi d'argento e dèi d'oro accanto a me: non fatene per voi!
24Farai per me un
altare di terra e, sopra, offrirai i tuoi olocausti e i tuoi
sacrifici di comunione, le tue pecore e i tuoi buoi; in ogni luogo
dove io vorrò ricordare il mio nome, verrò a te e ti benedirò.
25Se
tu mi fai un altare di pietra, non lo costruirai con pietra tagliata,
perché alzando la tua lama su di essa, tu la renderesti profana.
26Non
salirai sul mio altare per mezzo di gradini, perché là non si
scopra la tua nudità».
Nella prima parte abbiamo descritto un itinerario lungo il quale ci siamo imbattuti in cumuli di pietre problematici ed abbiamo voluto lanciare, sembrerebbe in modo sconsiderato, delle ipotesi interpretative; li abbiamo accostati ora a tombe, ora ad altari; addirittura all'altare di Monte D'Accoddi.
Muridinas le chiamano e a proposito del termine che la tradizione ha conservato per indicare genericamente i cumuli
di pietra esito di spietramento, vorrei proporne uno per quelli che con lo spietramento nulla potrebbero avere a che fare: “mastaba”, certamente
esotico, ma non più dell'appellativo “ziggurat” dato a Monte
D'Accoddi. Non ho intenzione di sostituire “muridina” con questo termine; lo voglio proporre solo per introdurre un argomento in particolare.
Come si sa la mastaba era la tomba monumentale a tronco di piramide usata nelle prime fasi della civiltà Egiziana.
Come si sa la mastaba era la tomba monumentale a tronco di piramide usata nelle prime fasi della civiltà Egiziana.
Il dato interessante è che in ebraico l'altare sacrificale si chiama מִזְבַּחַ
[mistebaḥa]; stesse consonanti della parola egiziana “mastaba”. Funzioni e
significati che si intrecciano, quasi a voler porre sullo stesso piano la
tomba e l'altare sacrificale.
L'una e
l'altro sono realizzati ad indirizzo divino. Sull'altare si "sacrifica" il capro (a volte in sostituzione dell'uomo), nel tumulo si "sacrifica" il
defunto. Il sacrificio risponde ad una precisa dinamica: ascensione
– incontro con la divinità – discensione.
Il sacrificio è un segno che pone l’uomo in rapporto col suo dio; lo fa salire verso la trascendenza divina, per incontrarlo in qualche modo e ottenere la sua benedizione.1
Il sacrificio è un segno che pone l’uomo in rapporto col suo dio; lo fa salire verso la trascendenza divina, per incontrarlo in qualche modo e ottenere la sua benedizione.1
Questa
dinamica vale per i sacrifici quanto per le tumulazioni a ben vedere,
lì dove la parola "sacrificio" significa “rendere sacro”.
In questo
contesto potremmo collocare certi particolarissimi cumuli di pietre
che, come vedremo ad iniziare dalla terza parte dell'articolo,
mettono in relazione la divinità con l'uomo e il suo auspicio di
rinascita dopo la morte.
***
Per
quanto si possa cercare, si trova nel web pochissimo materiale di carattere scientifico sui
cumuli di Sardegna. Si parlò di questi nel Congresso internazionale di Celano svoltosi a settembre del
2000, intitolato: “Tumuli
e sepolture monumentali nella protostoria europea”2. Invitiamo il lettore a leggere gli atti e in particolare il contributo di Angela Antona,
Fulvia Lo Schiavo, Mauro Perra, intitolato “I
tumuli nella Sardegna preistorica e protostorica - visibilità e
monumentalità del sepolcro nella Sardegna preistorica e
protostorica”.
Nel contributo si da la seguente definizione di “tumulo”: «...
Per «tumulo» si deve intendere una struttura funeraria costituita
da un notevole apporto artificiale di materiali sedimentari, come
pietre, ghiaia, terra, accumulati a formare un grande cono, una
collinetta, di forma circolare o subcircolare, a volte arricchito da
strutture perimetrali, tipo la crepidine, e che ha come
caratteristica la monumentalità e la visibilità a distanza. In
breve, intendiamo per «tumulo» una struttura monumentale funeraria
atta a coprire, quindi contemporaneamente a occultare e a
evidenziare, una deposizione sepolcrale, indipendentemente dal fatto
che si tratti di una tomba a camera, o di una o più tombe a fossa, a
cassetta, ecc.». In
ragione di ciò si afferma:
«Se dunque si conviene su questo significato, allora in Sardegna dei
«tumuli» sono esistiti – forse – solo nel Neolitico della
Gallura, e si veda al riguardo il contributo di A. Antona».
Da
queste parole si evince che gli studiosi o non conoscono le
“muridinas” o non le reputano oggetto di studio.
Nel contributo di A.
Antona si legge: «Essa
(la necropoli neolitica di Li Muri ndr) si
compone, come è noto, di una serie di tombe a cista litica, ciascuna
originariamente ricoperta da un tumulo del quale resta solo la base
di pietre, contenute all’interno di una delimitazione circolare a
lastre infisse verticalmente» (mia la sottolineatura).
La
testimonianza potrebbe inquadrare cronologicamente l'origine delle
nostre “muridinas”.
***
Nella Tesi di dottorato di Ilaria Montis3
troviamo la descrizione, benché sommaria di un sito archeologico in
agro di Barrali, denominato “Insediamento nuragico Is muridinas”,
così descritto: “Il
sito si trova a circa 1 km a sudovest del paese, poche centinaia di
metri dal confine tra Barrali e Samatzai, tra le pendici
nordoccidentali del Monte Onigu e il corso del Riu Mannu, non lontano
dal percorso della linea ferroviaria. Mucchi
di pietre (mia la sottolineatura),
ma soprattutto una grande quantità di materiale in superficie sono
da interpretare come testimonianze della presenza di un insediamento
di età nuragica. I materiali, tra cui grossi frammenti di ziri,
strumenti litici di vario tipo e anche un frammento di panella in
rame 223, sono databili tra il Bronzo recente e il bronzo finale
(1300-900 a.C.). Anche in questo caso la testimonianza del Ghiani si
rivela molto importante per chiarire i tempi dello smantellamento del
sito, già avanzata ma non completamente attuata al tempo del
sopralluogo di questo autore e ancora una volta dovuta alle esigenze
dello sfruttamento agricolo moderno dei terreni.”
Il brano fa intendere
che quelle “muridinas” siano inquadrabili in epoca nuragica.
***
Le muridinas, intese
in senso moderno, sono degli spietramenti avvenuti ad opera dei
contadini per liberare i terreni da arare. La
testimonianza di una Signora di Borutta in una
intervista4 recita: “Si
raccoglieva la pietra dell’altopiano di Mura dove non ve n’è un
pezzo che non sia buona (per
la fornace ndr).
Inizialmente si portavano via le pietre ammucchiate dai contadini
quando aravano, le così dette “muridinas”; poi si procedeva ad
ammucchiare e a raccogliere le pietre sparse per i campi. Tutto il
lavoro si faceva a mano in quanto in genere si trattava di pietre di
medie dimensioni”.
Da
questa testimonianza si capisce che in tempi relativamente recenti lo
spietramento avveniva, appunto, per liberare il terreno da "coltivare";
ragion per cui, come si spiega lo spietramento di terreni dedicati al
pascolo, che comunque continuano ad essere letteralmente disseminati
ancora di pietre?!
Muridina nella Giara di Siddi
Particolare del piano di campagna, letteralmente ricoperto di ghiaia di grossa pezzatura
***
Ancora una
testimonianza ci viene dal paese di Martis5,
in particolare dalla descrizione del suo territorio dove, nel testo
in sardo, si parla di “muridinas” che sono situate nella collina
poco a nord-est del paese, chiamata “Monte Franco”, dove è
situato l'omonimo nuraghe. In questo caso di certo non si può
parlare di spietramento ad uso agricolo, essendo di difficile accesso il piccolo pianoro
dedicato al pascolo.
Prima di
continuare, per fugare qualsiasi dubbio su quelli che potrebbero
sembrare voli pindarici, farò una breve carrellata di tumuli ed
altari trovati “in giro” per il web.
1. Cumuli nelle campagne tra Ruffano e Casarano in Provincia di Lecce.
2. Tombe del 2500 a.C.
portate alla luce in Siria nel sito di Rujum al-Majdur
da:
http://www.udine20.it/siria-tombe-di-4500-anni-fa-portate-alla-luce-dagli-archeologi-dellateneo/
3. Tumuli di Corvano
4. Tumuli di Alatri
5. Altare di Tel Megiddo
in Israele
I cumuli reperibili nelle nostre campagne hanno grande similitudine con quelli
alieni sopra esibiti, e potrebbero avere funzione simile.
In ragione
di questo, proponiamo una testimonianza che viene dal lontano 1912,
che ci restituisce l’immagine chiarissima dei nostri cumuli.
Raffaele
Pettazzoni in “La religione primitiva in Sardegna” a pag. 160
scrive, descrivendo il territorio abitato dai Tuareg: “Questi
tumuli, che sono certamente opere di un’età passata, e cui
aderiscono certe superstizioni, come quella dei tesori nascosti –
onde anche molti furono manomessi –, ci sono descritti nel diario
di un viaggiatore: costruzioni
circolari, del diametro di circa dieci passi, superiormente piane,
elevate sopra una base circolare di massi naturali, non richiamano
essi alla mente la figura di un nuraghe o di qualche analoga
costruzione? “
Raffaele
Pettazzoni nel 1912 vedeva attinenza tra la civiltà nuragica e
quella del nord Africa (il suo libro tende proprio a provare questi
nessi); probabilmente non conosceva “sas muridinas”, se ciò
fosse stato, penso proprio che avrebbe aggiunto qualche commento al
diario del viaggiatore da lui menzionato. Raffaele Pettazzoni era
lungimirante; tanto lungimirante da capire e affermare che la civiltà
nuragica era monoteistica a dispetto di chi ancora oggi ha dubbi in
proposito. Ma tornando ai nostri cumuli, leggiamo di tumuli in
“Deserto vivo: Sahara e Sahel, passato e presente, di Vanni
Beltrami”6,
la descrizione dei quali ricorda i nostri. Però al grande interesse
manifestato dall'archeologia nel territorio Tuareg per quei
monumenti, corrisponde una perfetta incoscienza (intesa quale
mancanza di coscienza) da parte della nostra Accademia in merito a
queste nostre costruzioni. Di certo non possiamo scartare l'ipotesi
che alcuni di questi cumuli siano opera relativamente recente di
spietramento, ma ciò non giustifica la mancanza di curiosità da
parte degli studiosi, che si accontenterebbero della giustificazione data da chi nel territorio ha vissuto ma che, non
avendo memoria storica, affida la sua analisi al solo suo vissuto. Prova ne sia un passo del suddetto libro “Deserto vivo:
Sahara e Sahel, passato e presente” di nota (2) che a pag. 113
riporta: “... Desio negli anni '30 ha
osservato nel Tibesti nord-orientale dei “muretti circolari”
ignoti agli attuali abitanti...”
(mio il sottolineato).
La storia si ripete in ogni parte del mondo, sia per grandi che per piccole opere umane, tanto che si è persa nella memoria di una comunità di persone la funzione originale di piccoli muretti circolari, sia la funzione di grandi monumenti quali le grandi piramidi egiziane, che ancora propongono interrogativi. In Sardegna non si fa eccezione, tanto che ancora oggi si dibatte sulla funzione dei nuraghe... e la perfetta indifferenza aleggia su centinaia di cumuli di pietre sparsi nella nostra isola.7
La storia si ripete in ogni parte del mondo, sia per grandi che per piccole opere umane, tanto che si è persa nella memoria di una comunità di persone la funzione originale di piccoli muretti circolari, sia la funzione di grandi monumenti quali le grandi piramidi egiziane, che ancora propongono interrogativi. In Sardegna non si fa eccezione, tanto che ancora oggi si dibatte sulla funzione dei nuraghe... e la perfetta indifferenza aleggia su centinaia di cumuli di pietre sparsi nella nostra isola.7
Abbiamo
percorso un lungo itinerario che dal Sinnis di San Vero Milis ci ha
condotto a Bauladu, passando per Narbolia, Paulilatino e Busachi. In
questi luoghi abbiamo individuato dei cumuli di pietre ai quali
abbiamo cercato di attribuire loro una funzione, equiparandoli,
almeno dal punto di vista estetico, ad altri esistenti in varie
località della penisola ed estere. Ci apprestiamo ora a descrivere
nel dettaglio i siti visitati e vedremo nel prosieguo dello studio
che una valenza in più possiamo individuare in alcuni cumuli di
Sardegna. Valenza che dal punto di vista culturale e cultuale li eleva di molto
rispetto a quelli alieni; e per i quali cercheremo di trarre qualche
conclusione... o solo ipotesi.
Lanceremo
nello stagno anche qualche sassolino di carattere toponomastico,
senza pretese di trovare chiavi definitive o assolute, ma solo indizi
rafforzativi lì, dove la radice del toponimo in modo sintetico
potrebbe descrivere la funzione del sito.
Sito n° 1- nuraghe Zerrei
Nuraghe Zerrei8
Abbiamo appurato che nuraghe Zerrei non è un nuraghe e come è chiaro, chi oggi
lo descrive o ne fa solo cenno, probabilmente non si è mai
avvicinato ad esso, altrimenti si sarebbe accorto che quello è
realizzato con pietre di piccole dimensioni, inadatte per la
costruzione di un edificio con camera interna accessibile; evidentemente per questo motivo non presenta
alcuna traccia di ingresso.
Nelle
vicinanze di quello che ora possiamo definire “cumulo di pietre”
furono trovati vari reperti tra cui una statuina bronzea di età
romana della divinità Flora. Non vogliamo entrare nel
merito, ma il ritrovamento potrebbe farci intendere che comunque sia, quello di Zerrei è un sito sacro e quel “cumulo di pietre” potrebbe essere
un altare o una tomba.
Segue... clicca qui!
Note e riferimenti:
6 Vedi: Vanni Beltrami 2003 - Deserto vivo: Sahara e Sahel, passato e presente – Franco Angeli Editore.
7
E' bastato indicare a Stefano un primo sito, per sguinzagliare il
segugio che è in lui. Non vorrei esagerare, ma se continua così, i
cumuli potrebbero essere migliaia.
Nessun commento:
Posta un commento