B. Sass e Y. Garfinkel nel 2015 si chiesero (1)
quale significato mai potesse avere la lettera a trattino orizzontale rinvenuta
in un coccio di Lachish. Rispondemmo (2) a quella loro domanda facendo notare il
numero cospicuo di volte in cui essa è attestata nella scrittura nuragica di
antica origine protocananaica. Ma non è quello il solo segno consonantico, assai
comune, nel system sardo arcaico e, viceversa, scarsamente o per nulla attestato
in Sirya -Palestina. Ci sono ancora altri segni e in particolare due che fanno
parte dell’alfabeto consonantico sardo e che, per quanto ormai sicuri circa la
loro fonetica, non trovano, almeno per ora, riscontri in altri documenti di
area mediterranea: uno è il segno a yod lunata
con gobba crescente e l’altro è il segno a hê con gobba decrescente (a levante) . Il primo segno è attestato
nei noti documenti di Tzricotu, nella
scritta della Grotta Verde di Alghero
e ancora, cosa questa della massima importanza (3), in un apografo (fig. 2), dove
sta scritto il nome semitico di ‘ALI, lasciatoci dal maestro P. Lutzu nel
dattiloscritto riguardante la sua breve ma significativa indagine sulla
scrittura adoperata dai sardi in periodo arcaico (nuragico).
fig. 1
Il secondo invece è attestato in vari
documenti (v. tab. 1), tra i quali mostriamo di seguito in foto la barchetta (4) di Teti (ripetuto forse tre volte), la
pietra si Santa Caterina di Pittinuri (5), la pietra i Santa Maria Navarrese (6), i quattro sigilli bronzei di Tricotu di Cabras (7),
l’architrave del Nuraghe Aidu Entos (8)
e la pietra di Terralba (9).
fig. 2
figg. 3 -4 (e partic. della 4)
fig. 6 e trascrizione
Tab.1
Nel 2004 (v.tab.2) avevamo avanzato l’ipotesi che i due segni fossero divini (della divinità yh) e ‘lunati’ per la semplice considerazione dell’evidenza della loro forma. Forma che, tra l’altro, richiamava (figg. 8 -9) il toro (le corna taurine) e la bipenne (10).
Tab. 2. La tab. 9 di Sardōa grammata (p. 393)
figg. 8 -9 (Tzricotu: toro e bipenne; Is Locci Santus (San Giovanni Suergiu): bidente o bipenne)
Oggi riprendiamo quella intuizione (che
riguardava, tra l’altro, il nome di yh),
sulla scorta delle nuove acquisizioni della scrittura metagrafica sia del
nuragico che dell’etrusco. Abbiamo visto come il system metagrafico etrusco (11)
si serva della formula verbale del ‘sorgere,
distendersi (procedere), curvare (piegare) per ottenere le
acrofonie (vocaliche, sillabiche e consonantiche), come quelle che rendono la
sequenza ‘APA C ATI C’ (e padre e madre: sia
padre che madre). Abbiamo visto inoltre che detta formula è realizzata su base
astronomica poggiandosi essa sulla ciclicità dei tre movimenti giornalieri del sole e della luna. Grazie ad essa l’etrusco
riesce a ‘scrivere’, sia pur indirettamente, attraverso le apposizioni ‘padre e
madre’, il nome della divinità TIN/UNI, con simbolo Sole e Luna. L’etrusco
quindi mostra di trovare già scritto in qualche
modo in cielo (nel ‘libro’ del cielo), il nome della divinità.
Ora, il nome della divinità in sardo semitico
è yh, nome che può essere scritto in diversi
modi (12)
e, tra questi, con le consonanti ‘yod ed ‘hê’ lunate. L’aspetto visivo lunare e la sua trascrizione
su di un supporto possono far capire che con la fase della luna crescente
(‘gobba a ponente’) si ottiene la consonante ‘yod’ mentre con la fase della
luna calante (gobba a levante) si ottiene la consonante ‘he’. Anche in sardo
dunque come in etrusco si trova scritto nel firmamento il nome della divinità. Ma il profitto dei due esiti di scrittura e di
lettura non è identico perché, se si nota, l’etrusco non ottiene il nome della divinità
per via formale delle lettere
significanti celesti ma la ottiene solo per via acrofonica. Tin e Uni in quanto
tali non sono espressi come yh con
lettere lineari. Chiediamoci però: cosa mai può aver suggerito agli etruschi l’espediente
fonetico dell’acrofonia celeste? Cioè il realizzare linguisticamente APA C ATI C
(l’androgino, sia il padre che la madre)?
Sono gli scribi etruschi che l’hanno inventata di sana pianta
l’acrofonia , oppure quei suoni, sillabici e non ( A + PA + C /A + TI + C), li hanno appresi da altri sempre sulla base
del movimento degli astri?
Per comprenderlo torniamo al nuragico semitico con le lettere lunari
‘yod’ e ‘he’. Quei segni non sono muti, solo pittografia sacra imitativa
dell’aspetto dell’astro nel suo percorso, ma sono sonori, ovvero foneticamente notanti
e distinti perché entrambi variazioni (omofoni)
del system alfabetico in uso; ma sonori essi lo sono ab origine (e per questo, con ogni
probabilità, il loro inserimento nel
codice) in quanto lo stesso aspetto loro (il movimento ciclico nello spazio) suggerì
agli scribi nuragici, così come a quelli etruschi, il nascere e il curvare. Suggerì
cioè acrofonia anche ai nuragici. Infatti, se noi ricorriamo all’acrofonia
delle dette voci verbali in semitico avremo la voce yh perché il sorgere (anche
degli astri) in semitico si dice ys’a (יצּא) e il curvare, girare si dice hpk (הףך). Se
poi si vuole considerare e aggiungere il dato del procedere, dell’andare si
ottiene la voce yhh perché ‘andare,
procedere, viaggiare’ in semitico dice hlk (הלך), un verbo iniziante ancora
per ‘he’. I due movimenti cardine, perché compiuti, rendono la voce yh mentre i tre movimenti rendono la
voce yhh. Voci entrambe legittime,
come si sa (13), in quanto la divinità può scriversi e
pronunziarsi indifferentemente yh o yhh (14). Per
quanto riguarda quest’ultima forma anch’essa attestata con sicurezza in
nuragico forse sarà appena il caso di ricordare che nel documento lapideo (v.
fig. nota 14) di Solarussa la divinità viene,
per tre volte scritta yhh; una volta
con tre segni, una volta con due e una volta con uno ad indicare l’unità divina
composta contemporaneamente anche dal due e dal tre.
Per dirla in breve, gli scribi
sardo semitici avevano preso in prestito le forme lunari del procedere
dell’astro in cielo per la loro vivace dinamica
grafica alfabetica; forme però che non erano arbitrarie (dettate
dall’estetica o da altro) in quanto avevano un preciso fondamento di
significato ‘sacro’ perché esito di acrofonia del movimento dell’astro;
acrofonia ovviamente che prendeva le mosse dalla specifica lingua e cioè il
semitico alto (biblico) della religio. Così forme alfabetiche lunate, simboli
consonantici e suoni venivano a coincidere nella scrittura in terra così come quella
in cielo.
E’ quasi inutile dire, a questo punto, che furono, con ogni probabilità, gli scribi etruschi che presero lo spunto
fonetico per la loro formula fonetica ‘apac atic’, imitando i sardi, non solo per il semplice fatto che la cultura
nuragica precedette di diversi secoli quella etrusca ma anche per la
considerazione che mentre i sardi riuscirono a scrivere formalmente in
terra e a pronunciare in cielo il nome diretto
scritto della divinità yhh, gli etruschi,
con un procedimento alquanto complicato ma comunque legittimo (15) per religio, riuscirono a riportare in
acrofonia solo indirettamente (16) i nomi di Tin e Uni, detti ‘e padre e madre’.
Gli scribi etruschi tuttavia non rinunciarono ai due segni di
‘scrittura’ celesti lunati e li usarono ricorrendo alla lettera ‘C’ del loro system alfabetico e
alludendo, come terza lettera, al ‘tre’
ovvero al ciclo ternario dei due astri. Lettera polisemica (17) che da tre
diventa sei nella stessa
formula APA C ATI C. Lettera quindi sacra astrale ma che lo diventa ancora di
più se viene a trovarsi con un’altra C
resa quest’ultima speculare o no. La simbologia di queste due C lunate,
se si esamina l’iconografia etrusca, è evidente nella loro accezione celeste.
Basta solo notare, ad esempio, come esse vengono ‘scritte’ nascostamente nel
famoso sarcofago ceretano del Museo di Villa Giulia detto 'dei leoni attraverso la perfetta coda ricurva
di entrambi gli animali; coda (18) formalmente contrapposta (v. fig. 10) che tende a rendere la doppia lettera C finale della formula canonica. Uno scriba nuragico in esse leggerebbe
facilmente yh o hy mentre uno scriba
etrusco ci legge, oltre alle esplicite congiunzioni (C…C) coordinanti, tre + tre che è sequenza numerica allusiva al ciclo dell’androgino ma non
sequenza di lettere fonetiche che rendano subito esplicito il nome del Dio (TIN/UNI).
fig.10
fig.10
E basta osservare ancora come
esse lettere siano rese, in forma ancora più esplicita, perché tra segni
alfabetici lineari, in una (fig. 11) delle due pietruzze scritte di Crocores di Allai (19), documento che solo per questo motivo
dovrebbe ricevere davvero ‘giustizia’(20) circa la sua chiara genuinità:
fig. 11. III/ C C ci m vlte. c C C tineti c.
fig. 11. III/ C C ci m vlte. c C C tineti c.
Riprendendo infine l’argomento iniziale delle lettere rare del proto
sinaitico e del protocananaico, sino a questo momento non si è trovato, da
quanto sappiamo, alcun documento siro - palestinese o di territori
limitrofi che possieda le lettere lunate, quelle che il sardo scritto
arcaico adopera con i valori certi di
‘yod’ e di ‘he’. Due segni quindi che potrebbero essere detti esclusivi, così come quello del pugnaletto
(21), nella loro accezione consonantica (22) del
solo system sardo? Forse è ancora troppo presto per dirlo. Il segno (numerale o
lettera alfabetica?) a trattino
orizzontale trovata a Lachish, anche
se sembra essere molto raro fuori e molto presente in Sardegna, non autorizza però
a dire che appartenga in assoluto al sistema indigeno. Pertanto, anche circa l’
identità ‘sarda’ delle lettere lunate, sarà bene attendere un po’. La lettura yhh o yh celeste e la conseguente scrittura del nome della divinità
potrebbero essere state mutuate dalla stessa lingua e dal ricco repertorio
della scrittura siro - palestinese. Col tempo forse si potrà sapere di più.
Resta da dire (ma di questo ci occuperemo
in un prossimo articolo, con elementi ancora più probanti circa la ‘intera’ scrittura
del manufatto ‘barchetta’) che la presenza di due magnifiche (o forse tre) ‘hê’
lunate nella barchetta di Teti (v. supra fig. 2) gioca a tutto svantaggio di chi si è
sforzato, anche di recente, di ‘frenare’, affermando di non vedere nel
manufatto vera 'scrittura' per la presenza di probabili ‘cose’ (23), neppure quando essa è
lampante e oggettivamente fuori discussione perché sorretta non solo da dati
scientifici archeometrici ma anche da quelli
empirici sia epigrafici che paleografici. A detrimento di chi ancora non si
arrende e tenta, in ogni modo, magari insinuando dubbi su dubbi (ma mai spiegando
per ‘scienza’), di contrastare, costi
quel che costi (persino il ridicolo universale), il pericolo della sconfessione
del paradigma (24).
Note e riferimenti bibliografici
- Benjamin Sass, Yosef Garfinkel, Michael G. Hasel, and Martin G. Klingbeil The Lachish Jar Sherd: An Early Alphabetic Inscription Discovered in 2014, 2015 American Schools of Oriental Research. BASOR 374 (2015): 233 -45.. Sass e Th.
- Chiunque, crediamo, di fronte ad una testimonianza del genere, cioè di fronte ad un segno trascritto quasi cento anni fa, allorquando nessuno avrebbe potuto ‘inventarsi’ dei segni alfabetici mai riportati in repertori semitici con valore di yod, dovrebbe ammettere che detto segno, ovvero la consonante in forma lunata, non può che anticipare quelli che oggi si trovano in seguito alle recenti scoperte. Così come dovrebbe ammettere che tutta la sequenza in pretto ‘protocananaico’ (bn ‘ly), con lettere arcaiche e meno arcaiche, gioca a favore non solo della certezza di un singolo segno nuragico ma di tutto il sistema o codice d’impiego. V. Sanna G., 2013, 'BUON NATALE' DA PIETRO LUTZU (1859 - 1935), UN SOLITARIO PIONIERE DELLA RICERCA DELLA SCRITTURA NURAGICA, in Monte Prama blog (17 dicembre).
- http://monteprama.blogspot.it/2014/12/la-barchetta-nuragica-iscritta-di-teti.html
- http://gianfrancopintore.blogspot.it/2010/06/il-bue-api-di-santa-caterina.html
- http://monteprama.blogspot.it/2013/05/aidomaggiore-sardegna-il.html
- Sanna G., 2004, Sardōa grammata. ’ag ’ab sa‘an yhwh. Il dio unico del popolo nuragico, S’alvure Oristano, 4, pp. 185 - 179.
- I segni dell’architrave (un mix scrittorio tardo nuragico) sono stati interpretati da archeologi, storici ed epigrafisti, erroneamente, come appartenenti ad una scritta latina, abbreviata nell’incipit ( ili(ensium) iur(a) in nurac sessar ) al posto del semplice ILI NUR IN NURAC SESSAR H (La luce di ILI nel nuraghe rosso). Naturalmente nessuna importanza è stata data alla lettera lunata, ovvero alla lettera ‘hê’ nuragica, che pur campeggia, con tutta la sua chiarezza, alla fine della scritta.
- http://gianfrancopintore.blogspot.it/2012/07/ed-ecco-finalmente-la-parola-nuraghe-in.html
- Sanna G., 2004, Sardōa grammata. ’ag ’ab sa‘an yhwh, ecc. cit. 11, tab.13 p. 431.
- http://maimoniblog.blogspot.it/2017/04/uno-spettacolare-system-etrusco-di_11.html; http://maimoniblog.blogspot.it/2017/05/anche-la-scrittura-etrusca-cosi-come.html; http://maimoniblog.blogspot.it/2017/05/scrittura-etrusca-solleva-distende.html
- http://maimoniblog.blogspot.it/2015/09/yhwh-in-pittografia-gerusalemme-versus.html
- http://www.treccani.it/enciclopedia/yahweh/
- Per quanto riguarda quest’ultima forma, anch’essa attestata con sicurezza in nuragico, forse sarà appena il caso di ricordare che nel documento lapideo (v. fig.seg.) di Solarussa la divinità viene, per tre volte scritta yhh; una volta con tre segni, una volta con due e una volta con uno, ad indicare l’unità divina composta contemporaneamente anche dal due e dal tre
15. La formula ‘apac atic’ obbedisce alla ‘legge’ del tre, fondata sulle ‘tre lingue’ (latino, greco, etrusco) e sulla
acrofonia ternaria (vocalica, sillabica, consonantica) ovvero al rispetto del
numero sacro dell’eternità (il tre ricorrente) essenza della divinità.
16. Si potrebbe avanzare l’ipotesi che gli Etruschi così abbiano
deliberatamente evitato di scrivere il nome del Dio perché era meglio non
scriverlo. Resta però il fatto che il riporto consonantico - vocalico di
TIN/UNI, in qualsiasi lingua, rispettando
il movimento ciclico dei due astri risultava acrofonicamente del tutto
impossibile. Yh (o yhh) erano possibili, Tin/Uni no.
17.Nella formula
linguistica di apac atic i due segni alfabetici consonantici
assumono significato di enclitiche coordinanti (sia padre che madre) ma assumono anche quello ideografico
numerologico di ‘tre’ (c terza
lettera alfabetica), ovvero padre tre
(TIN) e madre tre (UNI) .
18,Sarà appena il
caso di far presente che l’uso del metagrafico con la coda (la forma che può assumere la coda di un animale sotto l'aspetto segnico) ha una ascendenza
assai antica che parte, forse, dalle stesse note iscrizioni paleoebraiche del Negev. Il
nuragico ne fa ampio uso nei bronzetti e negli scarabei come abbiamo potuto
vedere di recente nell’esame dello scarabeo di Santa Anastasìa di Sardara. V. http://maimoniblog.blogspot.it/2017/12/santa-anastasia-di-sardara-scarabeo.html
20. Il documento,
insieme a tutti gli altri, è stato giudicato un falso con sentenza del
tribunale di Oristano nel processo sui cosiddetti ‘ciottoli di Allai’ intentato
contro il rag. Armando Saba (scagionato nella stessa dall’accusa dall’aver
prodotto quei ‘presunti’ falsi). Sulla scarsa validità di detta sentenza di ‘falso’,
data l’impossibilità del giudice di avere certezze scientifiche sulla
genuinità dei manufatti e sulla conseguente ‘salomonicità’ del verdetto si veda,
freschissimo di stampa, Masia F., 2017, Scrittura
nuragica? Storia, problemi e considerazioni, Condaghes ed. Cagliari, pp. 62
- 65). Per quanto ci riguarda torneremo presto sul tenore di quel documento che -
ripetiamolo ancora una volta - illumina,
con i suoi straordinari grafemi e la sua specifica formula d’invocazione, non
poco la stessa ‘religio’ etrusca circa il culto e la venerazione delle divinità Tin e Uni. Il
ciottolo attende davvero, insieme a tutti gli altri reperti , di avere giustizia perché nessuno mai avrebbe potuto realizzare (agli
inizi degli anni novanta del secolo scorso!) quella scritta così ‘canterina’.
21. V. ancora Masia
F., 2017, Scrittura nuragica? Storia,
problemi, ecc.. cit. pp. 47 - 55.
22. Parliamo di
accezione consonantica perché quella vocalica la si riscontra ad abundantiam nei documenti arcaici greco
- pitici di Glozel. V. Sanna G., Da Tzricotu (Sardegna) a Delfi (Grecia)
percorrendo Glozel (Francia). I segni del Lossia cacciatore. Le lettere ambigue
di Apollo e l’alfabeto protogreco di Pito, passim, S’Alvure ed. Oristano,
in part. 2.7, p. 57, tab. 3. Per esempio
si veda la fig. seguente (D 51, Morlet CDI, pl. LII,p.80), ovvero la tavoletta in ceramica da noi commentata alle pp. 306 -307 del menzionato nostro saggio.
23. Così il
Sovrintendente di Sassari (di Gennaro Francesco) al Museo Sanna il 30 di Novembre. Come ha
replicato, in un post a commento, Atropa Belladonna (http://maimoniblog.blogspot.it/2017/12/il-motivo-ad-onda-ri-corrente-degli.html), attendiamo ora di sapere cosa siano mai queste ‘cose’.
Attendiamo, soprattutto, di sapere, per restare nell’argomento del presente
articolo, ‘cosa’ sono le due (o tre) ‘C’ lunate graffite sul manufatto, che origine hanno dal punto di
vista paleografico quegli strani segni che precedono e seguono nella sequenza la ‘cosa’ pugnaletto.
24. Su detto pericolo ovvero sulla perdita del controllo storiografico (la Sardegna assurgerebbe così, con il suo specifico system, allo status prestigioso d' essere la prima regione d'Italia ad aver usato la scrittura, prima degli Etruschi e dei Romani) e la conseguente reazione (anche scomposta) da parte degli intellettuali di orientamento 'decostruzionista', si veda oggi l'illuminante saggio di F. Caterini (La mano destra della storia. La demolizione della memoria e il problema storiografico in Sardegna, Carlo Delfino editore, Sassari; in part. il cap,7. I sardi non sapevano scrivere, pp. 165 - 174; del medesimo si veda anche la postfazione del saggio di F. Masia, Scrittura nuragica?Storia, problemi, ecc. cit. pp. 93 - 97.
Questa cosa che dici, che gli "antichi" sapevano leggere il cielo, mi ha fatto venire in mente su contu del porcaro che va a confessarsi per le Quarantore. Il prete, che ha fretta, gli chiede di confessargli solamente i peccati capitali.
RispondiElimina"Non so nulla di questi peccati capitali" risponde il porcaro.
"Come, non sai neppure quanti sono?" si meraviglia il confessore.
"Perché, fusteti lo sa quanti sono gli ossicini del piede del porchetto?" protesta il confessato.
"Certo che no!" s'indigna il prete.
"Lo vede? A ciascuno il suo mestiere!" conclude il porcaro.
Ecco, quel prete fa il parallelo con noi uomini moderni, che sappiamo tante cose sul Sole e sulla Luna, sulle Galassie e sui Buchi neri, misuriamo tutto, prevediamo tutto ma ... non sappiamo leggere il cielo e il firmamento, né di giorno, né di notte. Quasi non ci accorgiamo che ancora oggi gli scienziati usano la lettura del cielo e del firmamento che ne fecero gli "Antichi", salvo a considerarli, nel senso comune, degli analfabeti: così Sa bia de sa palla (la via della paglia, cioè la Via Lattea), Su troni o gurdoni (il grappolo, cioè le Pleiadi), Andromeda, Orione, il Cane, ... su steddu de primu notti, su steddu de obresciri, ... sono i nomi antichi segnati sui trattati moderni.
Altro che analfabeti! Sapevano leggere anche in cielo,oltre che sulla terra, i segni della divinità.
Oggi, per credere, abbiamo bisogno di andare a Medjugorje, di vedere i segni del mirabolante e del mistero, mentre non vediamo quelli di ogni giorno, visibili da qualunque angolo della terra, che più mirabolanti non si può.
Io parlo per me: se avessi coraggio, mi preparerei una vasca fredda con sciolti i sali acidi dell'umiltà.
Un buon bagno mi riporterebbe in pareggio.
Quindi lo "scrittore" del cielo diventa principalmente la luna per le lettere sacre YH.
RispondiEliminaSì, o così sembra. Formalmente può darle solo la luna. Il sole nella scrittura nuragica sembra condividere con la luna solo il pittogramma 'cerchio' o 'disco', ovvero l'occhio ciclico luminoso (NR). L'acrofonia invece è possibile con entrambi. L'intero ciclo si ha con uno yh (o yhh) solare e uno yh (o yhh) lunare. Quindi con uno yhh doppio. Credo che a questo punto, se la scoperta è veramente una scoperta e non un abbaglio, dobbiamo riflettere sul nome della divinità che non è un 'nome' quanto il risultato fonetico di una 'essenza'(numerica) profonda del mondo che non solo riguarda il movimento gli astri ma lo stesso ciclo della vita dell'uomo. Se così posso dire, abbiamo antropologia e astrologia fuse assieme. Penso allo stesso yhh (nascere/procedere/tramontare) terreno taurino del figlio del dio, piccolo faraone, in Monte Prama, alla sua ciclicità da 'tre eterno' simbolizzata nel serpente, quello che realizzano le tombe tutte assieme. Che danno un insieme di 'tre divini' ciclici immortali. Così la ciclicità -eternità che c'è in cielo è realizzata e assicurata in qualche modo anche in terra. Il serpente sta su come sta giù. E naturalmente mi viene da pensare al simbolo serpente mitologico egiziano padre dell'umanità e al simbolo serpente (determinativo) che caratterizza il 'padre', ogni padre, in terra (una volta il rompicapo degli egittologi: 'il padre questo serpente').
RispondiEliminaGG questo post the lo ricordi? http://monteprama.blogspot.it/2014/11/the-snake-as-natural-and-eternal.html
EliminaL'ho ricordato come l'ho aperto. Per quanto riguarda la 'scrittura' del sacro nel neolitico e il segno del serpente penso all'eneolitico sardo di Monte Baranta e alla pittografia in terra legata a quella celeste (il serpente che gira nel solstizio d'estate). Il serpente di Monte ' Prama sembra essere, tracciato nello spazio in modo meno monumentale,quello di Monte Baranta dove per altro si trova il toro formando così la coppia 'eterna' presente nel nuragico 'scritto' quasi sino alla fine dei suoi giorni. Ma perché mi fai questa specifica domanda? Per la continuità 'neolitico -nuragico sardo?
RispondiEliminaNo o forse sì, è solo che questo tuo post mi ha ricordato quell'altro; l'idea del serpente come animale eternamente scrivente credo sia molto antica e legata ai cicli lunari sinusoidali. Se leggi questa parte, a me ricorda tantissimo quello che spesso dici tu sulla scrittura: "Il suo repertorio (del serpente) di movimento e le tracce lasciate nella sabbia forniscono un impressionante paradigma alla scrittura, suggerendo anche una leggibilità. Infatti, i serpenti non sono noti solo per le loro tracce, ma anche per la loro apparizione inaspettata, che culmina nella preoccupazione umana con la dicotomia fondamentale tra il visibile e il presente invisibile, e l'inconfondibilmente presente e latente o del tutto assente. Pertanto, i serpenti costringono le persone a prestare attenzione anche ai più piccoli segni se qualcosa debba essere più di quello che inizialmente appare a prima vista[..]
EliminaIn fondo non è molto diverso dal concetto che c'è dietro la scrittura geroglifica egizia e anche all'arte egizia stessa, dove bisogna prestare attenzione a tutto, anche all'invisibile che in qualche caso è più reale del visibile. Ti ricordi quella statua di Chefren, dove sulla nuca ci sta il falco? davanti non lo vedi el'egittologo Pernigotti scrive: ..]quasi che il volto umano che i sudditi vedevano riprodotto nella statua fosse solo apparenza rispetto ad una realtà più profonda e più vera (anzi, l' unica vera) costituita dalla natura divina (il falco) che si celava dietro di esso: inconoscibile per mezzo dei sensi degli esseri umani, ma non per questo meno vera e meno presente". (per inciso:questo aspetto per me è la connessione più forte tra le statue di MP e l'Egitto; bisogna necessariamente guardare oltre per capirle; del resto bisogna farlo anche per la scrittura e l'arte nuragica ed etrusca, a quanto pare).
EliminaSì, statue bronzee e statuine costituiscono dei rebus entrambe. Guerrieri, pugilatori, arcieri e sacerdoti danno l'apparenza della potenza e della grandiosità ma la vera essenza loro sono il messaggio misterioso divino e non umano che trasmettono. Quando sento dire (Zucca) che i caratteristici occhi a frittella e cioè a 'occhio di bue' (quei dolci sono chiamati così) sono niente altro che una espressione del 'geometrico, cioè di uno stile del tempo, mi cascano le braccia. Quegli occhi sono arte criptica e basta, sforzo sublime di annullare la sostanza a vantaggio dell'essenza, perché per espressività si fondono in una visione totale taurina che deve realizzare la statua. Ognuna di quelle statue, se così posso dire, è di un 'pantauros', di un essere tutto toro, tutto antonomasia, nel quale l'umano si immerge e deliberatamente si confonde. E' l'arte criptica del famosissimo bronzetto di Nule (da te, ricordo, citato) che prosegue e trionfa. L'arte 'mostruosa' di cui non poche volte abbiamo discusso tra di noi e, soprattutto,con quel grandissimo conoscitore e finissimo critico d'arte che è Angelo Ledda.
RispondiEliminaComunque sul 'pantauros', sui Giganti 'tutto toro' figli del toro supremo sto preparando un articolo che spero possa essere, in qualche modo, definitivo circa l'identità dei Giganti di Monte 'e Prama. Se è vero che i faraoni egiziani erano fondamentali per il felice passaggio nell'aldilà, non lo erano meno i piccoli faraoni sardi. Venivano persino esportati per la loro perfetta taurinicità! Leggere per credere.
RispondiEliminaSe yh e yhh sono davvero acronimi che di fatto descrivono le fasi salienti del percorso celeste del sole e della luna, risultato dell'acrofonia di lemmi semitici che descrivono il sorgere (y), il procedere lungo l'arco celeste (h) e il tramontare (h) dei due astri, siamo in perfetta sintonia con quella che è la concezione astronomica del popolo nuragico. Il nome del loro dio era scritto in cielo e non mancava momento per venerarlo in modo ossessivo.
RispondiEliminaDetto questo se ne deduce che yh e yhh sono di fatto diretta conseguenza dell'acrofonia dei tre lemmi: sorgere, procedere e curvare, che evidentemente in un'altra lingua avrebbe dato diverso acronimo.
Si potrebbe anche dedurre che yh o yhh non definisca il divino in quanto tale (in tal senso lo definisce 'AL = dio), ma sia epiteto divino nel contesto spazio-temporale; ossia l'universo descritto da Einstein, dove spazio e tempo sono inscindibili. Per tanto se 'AL è definizione divina svincolata da qualsiasi contesto, yh e yhh definiscono l'essenza divina in movimento, ossia la vita, per la quale, dal punto di vista umano, è vero l'aforisma: non c'è vita senza tempo e non c'è tempo senza vita.
In questo contesto possiamo auspicare, ancora, l'esattezza della definizione ebraica del tetragramma “yhwh”, che lo vuole, secondo una certo pensiero esegetico, quale espressione della presenza dinamica di Dio nella vita dell'uomo: nascita che, durando un attimo, è sin dall'inizio relegata nel passato; vita che è un presente in continuo divenire; e in fine la curva della morte che è sempre e solo nel futuro del singolo individuo. Espressione dinamica dunque, che comprende tutti i possibili significati che gli esegeti hanno dato al tetragramma, intendendolo quale forma del verbo essere (היה). Infatti in Esodo 3,14 “Dio dice a Mosè: «Io sono colui che sono! (אהיה אשר אהיה)» Poi dice «Dirai agli israeliti : Io-sono (אהיה) mi ha mandato a voi». Per tanto Dio stesso dichiara di chiamarsi אהיה (io sono). In ragione di questo gli esegeti traducono yhwh nei seguenti modi: “Io sono quello che sono” (Vulgata), “Io sono colui che è (Settanta), “Io sarò quello che sarò” (Aquila e Teodozione), nonché la testimonianza di Clemente Alessandrino che riporta il significato dato dai sacerdoti del tempio di Gerusalemme: “Colui che è e che sarà”. Infine, sempre in Esodo al versetto 3,15 Dio dice “… Questo è il mio nome per sempre”.
Il popolo nuragico, a quanto pare, quest'ultimo versetto lo prese alla lettera, tanto da leggerlo nel cielo quando, 12 volte l'anno, compare nel crescente e nel calante lunare. Nome scandito, comunque, tutti i santi giorni nel principio di quelle parole: sorgere, procedere, curvare, che accompagnano l'alba, la scalata al mezzogiorno e conseguente discesa fino al tramonto del sole.
In questo contesto è appropriato più che mai il nome dato alla civiltà nuragica; che possiamo chiamare tale non per aver costruito materialmente migliaia di nuraghe, ma perché questi furono costruiti in onore del toro e della sua luce; per non dimenticarlo mai, proprio mai, il nome di quel dio.