martedì 23 giugno 2020

Per non dimenticare. Durante l'età del rame Monte Baranta si distingue e pone un punto fermo al tramonto del solstizio d'estate.

Di Maymoni blog

   Vogliamo qui riproporre in forma integrale un articolo comparso in questo blog ormai quattro anni fa. Lo riproponiamo a festa consumata, perché nel tripudio chiassoso di eventi solstiziali di giugno, l'evento di Monte Baranta sarebbe passato, negletto, senza che alcuno fosse lì a cercarlo. A mala pena è stato cercato il solstizio d'estate a Santa Cristina, e lì poteva essere un tripudio di visite. Ma a quanto pare fà più effetto un evento voluto solo dalla fisica; tipo la riflessione dell'ombra che si capovolge nel medesimo pozzo, non per effetto voluto dall'uomo, ma per semplice principio fisico facilmente visualizzabile in qualsiasi tinozza addossata ad un muro. Oppure fa più scalpore la chiusura dell'orifizio apicale del nuraghe "Is paras" di Isili benché, anche lì, il solstizio d'estate sia pura casualità, almeno quanto lo è la Luna nel pozzo di Santa Cristina al lunistizio maggiore (se qualcuno ben ricorda la prova di ciò la esposi nello studio del pozzo sacro di Funtana coberta di Ballao). E questo perché, se consideriamo la sezione zenitale di un qualsiasi nuraghe troviamo che la cupola ogivale di gran parte di essi ha una forma tale che i raggi solari al mezzogiorno del solstizio d'estate illuminerebbero (vi fosse in tutti il pertugio apicale) il cerchio di base. E questo non perché si volesse creare una ierofania luminosa quel giorno, ma semplicemente (con buona probabilità) per quel rigore geometrico riscontrato nello studio del pozzo di Santa Cristina, dettato da uno strumento, il cosiddetto "mòdano", atto alla standardizzazione architettonica.
   Monte Baranta, nella sua "semplicità" astronomica - benché sia un orientamento astronomico del primo tipo - atto a marcare il tramonto del sole al solstizio d'estate, l'impatto emotivo che genera è grande, tanto che si coglie, in una successione immaginifica, il germe della genialità che sfocerà, secoli e secoli dopo, nel fantasmagorico spettacolo ierofanico del pozzo sacro di Santa Cristina.

   Benché qualche "archeoastronomo", supportato da un team di ricercatori, abbia visto in Monte Baranta un orientamento all'alba del solstizio d'estate (?) (senza rendersi conto che inciampando sulla bussola questa, ahilùi, si è rotta), fidatevi! A Monte Baranta si verifica solo l'evento al tramonto del solstizio d'estate.

Buona lettura.
***

MONTE BARANTA

Olmedo. Il monte della ‘camera delle corna’ (Monte ‘baranta’). Toro e Serpente. Nell’eneolitico sardo i ‘simboli forti’ del culto astronomico solare nuragico del solstizio d’estate (21 giugno). * 

di Sandro Angei,  Gigi Sanna, e Stefano Sanna

   Abbiamo colto l’occasione del solstizio d’estate per pubblicare un articolo che da lungo tempo era in attesa di veder la luce.
   
   La decisione di pubblicarlo ora è nata dall’esigenza di dare un segnale forte e chiaro a chi in modo autoreferenziale, studiando il sito, si limita alla descrizione della prima sensazione e rinuncia ad andare oltre benché i segnali suggeriscano, anzi invitino a superare una certa barriera preconcetta.
   Abbiamo ricomposto una sorta di puzzle le cui tessere sono state individuate nelle varie discipline dell’umano sapere, perché alla base c’è sempre lui: l’uomo, con la sua natura eclettica, le sue aspettative spirituali legate strettamente ad esigenze materiali.


   Benché quest’anno il solstizio d’estate si verifichi il giorno 20, nell’immaginario collettivo esso si verifica il 21 di giugno e così lo abbiamo voluto indicare. Si tratta comunque di un aspetto quasi irrilevante, visto che da un giorno all’altro non si percepisce alcun mutamento visibile, essendo la differenza angolare di soli 15 secondi d’arco al tramonto del sole. In questi giorni il sole pare si fermi in quel punto, generando apprensione in chi, anticamente scrutava l'evento.

                                 Fig.1                                                                                               Fig.2



1.       Murru Mannu e Monte Baranta.

 Si pensava fino a qualche mese fa che la ‘scrittura’ monumentale più grande e spettacolare della Sardegna fosse quella del tardo nuragico di Mur(r)u Mannu di Tharros presso San Giovanni del Sinis di Cabras (1). Invece quest’ultima, per quanto più raffinata possa essere e certamente più densa di significato ‘religioso’, per ‘monumentalità’ e grandiosità  megalitica deve cedere il passo ad un’altra (fig.1), realizzata forse più di duemila anni prima e non in periodo di cultura strettamente nuragica ma in quello cosiddetto ‘Monte Claro’(2).
Infatti, sembrano non esserci dubbi: le costruzioni megalitiche di Monte Baranta di Olmedo sono, per inoppugnabili dati stratigrafici archeologici (3), da ascriversi a questo tipo di facies culturale. Questo dato però vuol significare che il cosiddetto prenuragico è certamente da considerarsi tale, ma non nel senso di una cultura diversa da esso ma nel senso di una cultura affine (4), che lo anticipa in certe sue forme ed espressioni  ‘forti’, dal momento che si scopre che ‘leggere’ il ‘documento’ architettonico, spiegare il senso dei ‘pittogrammi monumentali’  scritti sulla piccola collina al di sopra di Olmedo, è come leggere e spiegare un documento architettonico nuragico: con ‘grafia’ e simbologia forse più arcaiche ma pur sempre riconducibili al codice criptico nuragico. Infatti, se ormai ci siamo abituati a risolvere i rebus grandi e piccoli della ‘scrittura’ a tutto campo, a vedere dietro l’ambiguità (λοξότης) dei segni, i significati reali e non apparenti di essi, ci siamo abituati anche a riconoscere, andando a ritroso nel tempo, se e quando è riscontrabile, il codice più arcaico che ha fatto sì che essi ‘segni’ potessero perpetuarsi e sopravvivere, pur con le inevitabili variazioni, per moltissimi secoli. Insomma, se c’è testimoniata da qualche parte in Sardegna l’origine della ‘scrittura’ monumentale arcaica sarda essa deve, in qualche modo, rassomigliare, in parte o in tutto, a quella che ormai permea tutta la cospicua documentazione archeologica.

2. Preambolo. L’ideologia nefasta permanente: il possente e grandioso = militare.
   Cominciamo però con il dire che chi respinge il codice di scrittura a ‘tutto campo’ dei nuragici, del quale abbiamo parlato e scritto ormai tantissime volte, chi non ‘legge’ i ‘segni’ secondo una ben precisa filologia, suggerita da centinaia di documenti architettonici, resta inevitabilmente fermo alla superficie di essi, con il risultato di prendere spesso fischi per fiaschi e di ripetere stancamente errori di ermeneutica dovuti, in particolare, alla quasi secolare ideologia ‘archeologica’ di stampo militaristico. E non solo errori e travisamenti, va detto subito,  circa la civiltà nuragica ma anche circa quella che l’ha preceduta. Infatti, non è chi non sappia e constati continuamente di persona che il grandioso e il colossale se è vero che sono tipici  dell’architettura per la difesa e per l’offesa sono anche caratteristici dell’architettura dei monumenti religiosi del presente e del passato. A tutte le latitudini. Eppure tali caratteristiche da non pochi  archeologi vengono rigorosamente attribuite, spesso con inaccettabile acritica ostinazione, a scopi di protezione e di difesa. Inoltre, non  tenendo in conto o trascurando l’antica formula della ‘scrittura’ egiziana (ormai antica di decine di secoli) e cioè quella che considera ‘forma - simbolo - suono’, ci si arresta ai primi due aspetti di essa, quando addirittura non si riesce, data la lettura ‘moderna’, del tutto laica, dei segni, a non vederne nessuno. ‘Nessuno’, neppure quando tutto quel che si sostiene cozza anche con la logica più elementare e quando non pochi indizi da ciò che ben si vede e che subito si capisce convergono nell’escludere del tutto voci del vocabolario militaresco come ‘camminamento’, ‘recinto torre’, ‘fortezza’, ‘muraglia di difesa’, ‘cammino di ronda ‘ e così via. 

   Ora è vero che un esame superficiale delle costruzioni megalitiche poteva condurre all’errore chiunque ma certe, per altro giuste, osservazioni e scoperte archeologiche, come ad esempio quella dell’esistenza del circolo megalitico (in realtà non proprio un ‘circolo’) di chiara natura religioso - templare, presso la cosiddetta muraglia (5), potevano comunque indurre, a meditare per lo meno e a porsi qualche dubbio , sull’identità delle altre due ‘fabbriche’ architettoniche presenti sull’altipiano. Invece nonostante le ‘forme’ singolari e certe chiare ‘informazioni’ che si ricavavano subito da entrambe le costruzioni, si  è preferito o trascurarle del tutto o piegarle all’unico dato proclamato, nonostante debolissime prove e dati assai opinabili, come certo, anzi certissimo: il carattere militare, appunto; lo scopo difensivo sia del cosiddetto ‘recinto torre’ sia della lunga e possente ‘muraglia’.




3.      Lo studio del Moravetti. Il ‘cosiddetto ‘recinto torre’ di Monte Baranta. Difficoltà di lettura.

 Fig .3

 Fig.4
   .                                                                                                                                                                                                     
   Andiamo però per gradi e lasciamo parlare lo studioso Moravetti e vediamo di argomentare circa le sue convinzioni. Partiamo dalla analisi (Il complesso prenuragico di Monte Baranta, pp. 40 e 43) sul ‘recinto torre’, sottolineando in neretto i punti che ci possono più interessare:
Il cortile (del recinto torre), per le sue dimensioni di pianta (corda m 12,60; freccia m 9, 75; superficie mq 191) non poteva avere alcun tipo di copertura. All’interno di questo spazio, una rudimentale scaletta, ricavata nei filari a vista della parete Sud –Ovest , svolgendosi a cielo aperto conduce alla sommità del muro e più precisamente ad un cammino di ronda (largh. media m.1,90) che gira circa sei metri, fino alla piattabanda del corridoio, raggiungendo la larghezza di m. 1,90,  con uno spalto di m 1,20 di altezza  e m 3,90 di spessore. Dal momento che questo cammino di ronda non compare in tutto il perimetro della costruzione e che lo spazio per il suo spessore non consentiva di vedere o colpire chi eventualmente fosse alla base del muro  e non era quindi funzionale alle difesa almeno nel senso tradizionale (?), con ogni probabilità sia la scala che lo stesso cammino di ronda doveva essere in funzione di eventuali (sic!) strutture lignee impiantate sullo spessore murario , il quale, proprio in quel punto, raggiunge la massima dimensione. D’altra parte soltanto l’esistenza di strutture lignee consente di giustificare la modesta altezza ipotizzata  per l’edificio e lo spessore veramente eccessivo del muro , entrambi poco adatti, da soli, alla difesa di una costruzione che proprio a tal fine era stata concepita così grandiosa e in posizione privilegiata. Si pensi, inoltre, che la superficie della muratura allo svettamento risulta di mq 189, 5 vale a dire di poco inferiore a quella dello stesso cortile (mq 191).      
   Risulta evidente che il Moravetti  si trova di fronte a  non poche e a non piccole e difficoltà ermeneutiche per inquadrare la costruzione sul piano strettamente militare,  in quanto:
aa)      Non riesce a dare spiegazioni su di una rudimentale scaletta che porta al di sopra della costruzione e su di uno strano ‘cammino di ronda’  interrotto a metà.
bb)      Non ha chiaro il perché della sua scarsa altezza e forma di esso come ‘spalto’, stante lo spessore murario al di là dello stesso che impedisce, trovandosi esso tutto dalla parte interna, la vista proprio nella parte più critica di un eventuale assalto di nemici.
cc)      Non sa spiegarsi l’altezza assai modesta del muro del recinto (un ‘gioco’ per gli assalitori).
dd)      Non capisce la forma di un muro di fortezza di realizzazione così stramba che, addirittura, risulta quasi raggiungere in superficie l’ampiezza di  quella del cortile.
ee)      Non sa interpretare il dato (fondamentale, come si vedrà) di una parte della costruzione (lato sinistro) molto più spessa di quella destra. 
    Ma, in qualche modo, bisognerà venirne a capo! Ed ecco che il  tutto si spiega o sembra spiegarsi se a quella costruzione così poco ‘difesa’ (un vero e proprio obbrobrio di carattere militare!) si aggiungono delle (eventuali) strutture  lignee. Cioè le difficoltà si spiegano e si superano con l’elucubrazione pura e le cose si dimostrano con l’indimostrabile. Addirittura ricorrendo con disinvoltura, se abbiamo ben capito, a una sorta di barbacane lignei, ovvero a delle aggiunte e delle sporgenze, delle quali. per quello che sappiamo, non c’è alcuna traccia documentaria nel calcolitico. Si va spediti e tranquilli  sull’ipotesi nonostante si capisca che nemmeno invocare lo spessore murario in ‘quel punto’ per una struttura lignea può aver senso logico dal momento che o si difende bene uniformemente il tutto da un assalitore o non si difende proprio un bel nulla.





4.       Nostre osservazioni. Orientamento astronomico del fabbricato. Il ‘recinto’ o ‘camera’ sacra. Il toro e il corno sinistro asimmetrico. Sardegna ed Egitto: dall’eneolitico all’età del bronzo finale e del I Ferro.                                    
 Fig.5

                                                                                                                                                                                                 
Sulla base del disegno del Moravetti vediamo ora però di analizzare (fig.5) con maggiore approfondimento quel monumento che giustamente si definisce, per la sua conformazione, ‘a ferro di cavallo’.
   In primo luogo esso offre un dato ineccepibile, di grandissima rilevanza, ma di cui praticamente si tace: l’orientamento a Est-Sud-Est delle estremità del ‘ferro di cavallo’.


 Fig.6

 Un orientamento siffatto porterebbe ovviamente non a trascurare ma a considerare attentamente anche il dato astronomico, ovviamente solare, perché una fortificazione, per essere tale non ha certo bisogno di allineamenti astrali. Tutto il cortile è aperto intenzionalmente Est-Sud-Est, lì dove tra i due bracci sorge il sole all’alba del solstizio d’inverno.  Già quel non piccolo ‘dettaglio’, tende a suggerire che il cosiddetto ‘recinto’ non era uno spazio qualunque (magari militare)  ma un luogo ‘protetto’ o ‘sacro’. In secondo luogo, stante la singolare pianta dell’edificio,  non può non sorgere  la domanda:  perché mai quella forma a ‘ferro di cavallo’, quel ‘segno’ così forte e chiaro che, se un archeologo nota riportato graffito su qualsiasi pietra o su qualsiasi monumento (magari in una domus de janas), non ha difficoltà a ritenere ‘taurino’? In secondo luogo c’è il dato più macroscopico, che ci dice che quel fabbricato nasconde alla nostra vista molto, ma  molto di più. Infatti, si nota che la apparentemente strana pianta della fabbrica megalitica non solo appare come segno schematico del toro ma presenta lo ‘schema’ in modo curioso, ovvero con i ‘corni’ asimmetrici.
 Fig.7
 Si avverte subito allora che non conta lo spessore di un muro, ipotizzato ai fini difensivi con una del tutto improbabile impalcatura lignea, quanto invece la sua grossezza e difformità ai fini esclusivamente  simbologici: serviva un ‘disegno’, una certa scrittura dove un corno apparisse visibilmente più grosso e potente dell’altro (fig.7). Un corno più megalitico ancora di una costruzione già  tutta megalitica; quello  di un toro straordinario, un toro celeste che presenta simbolicamente un corno più potente, diverso ovviamente  rispetto a quello dei  tori o buoi normali. Insomma, bisogna sospettare, circa  quella forma, la presenza di un ‘bue api’ con corna di spessore diverso, quel bue egiziano simbolo del ‘faraone’ (fig. 8), 

 Fig.8 - I corni asimmetrici del Faraone Ramses III

     
che ti diventa, come sappiamo, così comune in tanti dei bronzetti e in tanti dei documenti ‘scritti’ della cultura nuragica dei secoli successivi (v. figg. 9 - 10 - 11). E si badi: un toro ancora che manifesta il corno sinistro asimmetrico e non il destro, proprio come nell’iconografia egiziana e, di norma, nella maggior parte dei casi dei tori ‘straordinari’ della documentazione sarda.

                                                                       
                     Fig. 9                                                              Fig.10                                                                                   Fig.11



5.       Il dato epigrafico. Cosa significa la voce ‘baranta’? Fonetica sarda e lessico semitico.
   Uno però potrebbe non ritenere sufficienti questi dati sulle corna o meglio, sui singoli  corni, che tendono, ovviamente, a spostare  lo sforzo ermeneutico sul piano religioso e non più su quello ‘militare’. Ma, secondo noi, oltre a quelli che si vedranno più avanti, c’è un dato molto interessante e diremmo ‘cogente’, per ritenere da subito religiosa e non militare la costruzione, un dato che spiega anch’esso che siamo di fronte ad un inequivocabile schema taurino: quello toponomastico. Infatti, riteniamo che non a caso la località di Olmedo si chiami Monte Baranta perché in semitico (6) ‘qaren’ קרן  significa ‘corno’ e da esso proviene il verbo ‘qaran’קרן che significa ‘portare le corna’ o essere raggiante  (7) Ora, si sa dalla linguistica che il fonema ‘q’ (labiovelare) in sardo sia in posizione iniziale che in posizione interna intervocalica tende a diventare ‘labiale’ sonora (8) nella lingua del cosiddetto capo di sopra (qu-attru = battoro; a-qu- a= aba). Se così è, come pensiamo che sia, il toponimo (in origine ovviamente da ascrivere al semitico), rende bene il significato del tutto perché il cosiddetto ‘recinto’ era in semitico chiamato (9) ‘camera’ ovvero ‘t’a’ תא. Quindi qrn t’a (camera che porta, che mostra le corna) >baranta  (così come il numerale ‘quaranta’ > baranta ). Non si dimentichi che la costruzione venne denominata Casteddu, in epoca più tarda, per il solito pregiudizio dell’opera di scopo militare, perché imponente e munita di un cortile o stanza interna.
 
6.      La  ‘muraglia’ difensiva. L’opinione del Moravetti e dell’archeologia. ‘Recinto’ e ‘muraglia’ opere dell’eneolitico sardo.

Fig. 12. La cosiddetta ‘muraglia di Monte Baranta vista dall’esterno

Spostiamoci ora dal ‘recinto torre’ alla  cosiddetta ‘muraglia’ (fig. 12) e sentiamo ancora (pp. 47 -51) il Moravetti:
A poco più di un centinaio di metri a Nord –Ovest del recinto torre sopra descritto, ma in situazione leggermente più elevata, si trova un breve ripiano roccioso, marginato per due terzi del suo perimetro da un modesto dislivello e difeso da una poderosa muraglia in opera poligonale nell’unico tratto aperto e quindi vulnerabile. Il dispositivo di difesa era poi completato dallo stesso recinto torre che dalla sua posizione, sul profilo dell’altopiano, poteva guardare direttamente sul territorio  - cosa questa impossibile dalla muraglia e poteva inoltre controllare agevolmente gli accessi al bastione naturale sprovvisto di muro. Questa muraglia presenta andamento rettilineo (lunh. m 97) da Nord a Sud, per gran parte del suo tracciato per poi piegare verso l’interno -  seguendo il profilo della roccia – nell’estremità meridionale. E’ costruita con la stessa tecnica muraria del recinto – a paramenti riempiti di pietrame – e si conserva per un’altezza massima di m. 3.00 ed una minima di m 1,48, mentre lo spessore medio è di m 3,75  e quello massimo, in prossimità dell’ingresso, risulta di m. 5, 00. All’interno della cinta muraria si accedeva attraverso un’unica porta (alt. residua m. 1,70; largh. m 0,65 che tagliava lo spessore murario nell’estremità settentrionale, a pochi metri dal dirupo, ed introduceva in un corridoio rettangolare (lungh. m 5,10; largh. m 0,60; alt. m. 1, 60); gli architravi e i lastroni di copertura sono attualmente rovesciati sul terreno. Appena superato il corridoio d’ingresso, nella parte destra della muraglia è presente una scala a vista analoga a quella del recinto torre; è stata ottenuta appoggiando alla parete un muro costituito da un solo filare a profilo scalare. A causa del crollo della parte alta della muraglia non è possibile precisare se questa scala portasse ad un camminamento di ronda  - del quale non v’è alcuna traccia in tutta la lunghezza della fortificazione – oppure direttamente allo spessore murario’.                     
    Dunque,  il dato interessante e del tutto convincente, per scienza archeologica,  è che il tipo di costruzione è analogo a quello del recinto torre. Quindi le due costruzioni megalitiche possono dirsi contemporanee.   Quello che invece è poco o per nulla convincente è che essa costituisca una fortificazione o muraglia di difesa, perché anche stavolta molto modesta è l’altezza (così come nel recinto torre) ma soprattutto perché qui non può essere invocato, dove più dove meno, uno spessore murario, magari con anacronistiche strutture lignee per la difesa. La supposta muraglia è così estesa che, ancor più del recinto torre, o era difesa dappertutto o non lo era. E non lo era certamente perché proprio la parte esterna, con i suoi enormi pietroni, qui e là provvisti di zeppe, dava la possibilità di accedere sull’alto del muro con estrema facilità. E non lo era ancora perché, anche se lo si suppone, non esisteva (10) il camminamento di ronda e lo spalto. Pertanto, chi stava sul muro a difesa, era per velleità grottesco (per non dire altro), perché soggetto facilmente ai colpi dell’aggressore per l’irrilevante distanza tra il piano di campagna e l’altezza del fabbricato.



7.      La nostra opinione sulla costruzione megalitica. Il ‘serpentone’: sinuosità, occhio e coda. Toro e serpente.   

         Fig. 13 immagine (ribaltata) così come risulta nella pubblicazione da cui è tratta                                         Fig.14

   Ma, a parte questi rilievi, a nostro parere, ci sono anche in questa costruzione dei dati oggettivi o non ben messi in evidenza o del tutto omessi e che invece vanno ben rimarcati.  Innanzitutto, il muro non ha mai andamento ‘rettilineo’ (come si dice) ma sempre (dove più dove meno) sinuoso, a forma di serpente, ed è connotato dalla presenza di una coda a sud  e di una testa a nord. Ciò si può vedere e dalle fotografie scattate prima dell’intervento di scavo (fig.13) e di ricognizione archeologica e poi da quelle realizzate dopo di esso (fig.14) . Ma se sulla forma (ma non sull’esistenza!) della coda si potrebbe eccepire in quanto la muraglia è compromessa e non più visibile come in origine, sulla testa non è possibile obiettare dal momento che essa appare ancor oggi ben visibile. Visibile sia perché essa presenta la parte muraria più larga in assoluto di tutti i 97 metri e sia perché subito dopo si riscontra  il caratteristico collo sottile rispetto al resto del corpo di ogni serpente. Ma ad avvalorare ancor più la presenza di questa ‘testa’ e del serpente, oltre quello che si è detto, è la stessa costruzione dell’ingresso che con ogni probabilità dava, con ingresso sulla sinistra, all’unica parte sicuramente cava dello spessore della muraglia, con evidente scopo di realizzare la forma dell’occhio e nel contempo, con ogni probabilità, un vano cultuale. Che questo vano - occhio esistesse lo dimostra il fatto che  (da quanto si sa per scavi più recenti ) venne realizzata al suo interno una capanna pastorale , vano questo che speriamo possa essere nell’immediato oggetto di una indagine e  studio più profondi. Inoltre, ai fini ermeneutici, c’è da non sottovalutare un dato ben ‘leggibile’. Il fatto che al secondo recinto sacro (ovviamente cerimoniale,non più quello del toro ma del serpente) si accedeva attraverso un’ unica porta con un  corridoio che, tracciato in quel ‘preciso punto’, tende a disegnare idealmente il caratteristico ‘collarino’ del serpente. Quindi tutto porta a pensare che, non molto distante dai simbolici imponenti astrali corni taurini della ‘camera templare’, non corresse un muraglione di difesa bensì un enorme (megalitico) simbolico serpente. A monumentalità delle corna corrisponde la monumentalità del serpente.  Cosa questa che non sorprende se solo si considera che successivamente (ma non sappiamo ancora quanto tempo dopo la facies monte claro) il toro nella ‘scrittura’, architettonica e non, nuragica viene di norma abbinato al serpente in maniera più o meno evidente, più aperta o più nascosta (v. figg. 15 e 16)

 
                                                                      Fig.15                                                                                                              Fig.16
 
8.      Il significato cultuale della ‘camera delle corna’. La scaletta, il camminamento, l’osservatorio astronomico e il muretto funzionali per decretare il preciso momento per l’inizio delle festività estive solari. 

  
                                      Fig.17                                                                                                     Fig.18
   Ma quale culto preciso si svolgeva a Monte Baranta, in quella che era chiamata ‘camera delle corna’? Lo si capisce se si interpretano prima, una per una, le costruzioni, ovvero i pittogrammi monumentali, e poi si ricava il significato del tutto collegandoli tra di loro. Ci pare evidente che la costruzione delle corna o a ‘ferro di cavallo’ non sia altro che il toro (la parte per il tutto: la fronte più le corna)  che, come si è detto, possiede molto più poderoso  il corno sinistro.
Perché  mai è più grosso proprio il corno sinistro?
    Forse tutto nasce nell’antico Egitto, dove la direzione di riferimento era il Sud; quel Sud da dove ha origine il Nilo ed il sole emana la sua massima energia giornaliera nello sforzo esercitato per far salire da Est, ossia da  “sinistra” l’astro solare al culmine del mezzogiorno.

  
Fig.19

 Questo particolare permette di capire che il toro solare nel suo percorso celeste sostiene con il corno sinistro lo sforzo continuo e ciclico delle sue fasi e in particolare di quella solstiziale, quella più impegnativa, quando alla fine del suo percorso è al massimo della culminazione. Questo indizio del corno sinistro che ‘sopporta’ e spinge verso l’alto, induce ovviamente a fare subito una certa verifica sperimentale; perché ciò potrebbe voler significare che sulla parte superiore della costruzione ci fosse un segno (o più ‘segni’) significativo della detta fase calendariale estiva del massimo sforzo del sole. Infatti, se, attraverso i gradini prima e il breve camminamento poi della scaletta posta sulla destra per chi entra (fig. 17) si accede al  colmo della costruzione, si scopre subito che il ‘segno’ è dato, dopo un piccolo ballatoio o slargo finale, dalla posizione e dall’orientamento di unrisega rettilinea della muraglia ciclopica costruita (la risega), non a caso, perpendicolarmente rispetto alla parete frontale nel punto di osservazione; risega che delimita, nella schematica fronte taurina, il corno più potente da quello meno potente (fig.18). La risega stante su quello specifico corno, è rivolto esattamente al tramonto del sole nel giorno del solstizio d’estate (21 giugno) e pertanto quello giudicato e detto ‘spalto’ spalto non è, neppure per appendici lignee, in quanto si tratta semplicemente dello spazio occorrente ai sacerdoti della costruzione taurina templare per accedere e sostare nel punto di ‘osservazione’ per la visione dell’annuale evento celeste. Infatti, il sole, per chi in quel preciso giorno dell’anno accede a piccolo vano di osservazione realizzato superiormente, appare, nella fase del tramonto, in perfetta congiunzione con il  muretto. Potrebbe esserci stato  qualche palo sul muretto  o anche dell’ altro per calcolare ancor meglio l’esatto allineamento, ma quel particolare architettonico con il muretto di mira, costruito sulla parte più grossa della costruzione (l’inizio del corno) all’aperto, segnala già con precisione assoluta la esatta direzione del sole nel momento del tramonto del sole il 21 di Giugno (v. fig. 2).



9. ‘ Sa fraicada’ di Bortigiadas. Il ‘ferro di cavallo’ e un altro, più che probabile, osservatorio astronomico del calcolitico. 


   Le studiose A. Depalmas e A. Deiana  citano (11) e riportano (con disegno del Moravetti), un interessante monumento megalitico della località Fraicada di Bortigiadas  anch’esso di facies monte claro. La costruzione si mostra anch’essa  a ‘ferro di cavallo’ (12) e munita di analoga scaletta (fig. 20) posta appena al di sopra della costruzione e non in asse con l’ingresso, così come in Monte Baranta. E, come in quest’ultimo, essa parte dall’interno della ‘camera’, ma dalla parte sinistra di chi entra e non dalla destra.  In effetti la pianta della costruzione megalitica sembra identica se non fosse che essa appare più squadrata e senza la caratteristica grossezza significativa del corno sinistro. Comunque, sarebbe molto interessante (costituirebbe una ulteriore prova di quanto da noi sostenuto) sperimentare e cercare di sapere se anche quello che appare come un osservatorio anche in Sa Fraicada, risulta orientato astronomicamente al solstizio estivo o abbia qualche altro orientamento.
 
Fig.20


10.      Il significato ‘cultuale’ del serpente. Il simbolismo della ‘rinascita, della ciclicità della vita dell’astro solare e di quella degli uomini. 
   Tuttavia il culto del toro celeste, con il sole spinto verso l’alto al massimo grado, non si ferma qui perché, i sacerdoti, sicuramente grandi astronomi e scrupolosi osservatori dei fenomeni astrali, sanno bene che in quel giorno del principio dell’estate, entra in azione per il processo solstiziale o di temporaneo ‘stazionamento’ del sole, non una sola forza straordinaria ma due. La detta ‘straordinarietà’ dell’evento cosmico è tale anche perché oltre alla forza di sollevamento da parte del toro c’è anche la forza enorme dell’arresto e quindi della ciclicità, ovvero quella che consente al sole di fermarsi, girare e procedere, ancora una volta, nella sua corsa in cielo. Ecco dunque che si spiega, con ogni probabilità,  il perché della presenza del secondo ‘segno’, ovvero dell’enorme e poderoso pittogramma monumentale in forma di serpente (l’apparente muraglia), l’animale che, come si sa,  nota  simbolicamente, anche per i popoli del periodo storico, la luce permanente e consente la vita (è padre della vita) del mondo. Animale però che è assai pregnante (13) per simbologia in quanto, 'cambiando pelle', avviandosi ad una nuova vita, offre ai pellegrini del culto solare di quei giorni estivi, la possibilità di curarsi anch’essi, di rinnovarsi, di ‘rigenerarsi’ e di ‘riciclarsi’. E si spiega così anche la sintassi della ‘scrittura monumentale’ che ci dice che il toro simbolico va abbinato al serpente simbolico, che la forza taurina solare va abbinata alla ciclicità, alla ‘novità’, alla continuità e all’immortalità dell’astro e, per estensione, anche a quella degli uomini che dal sole traggono luce, salute e sostentamento.  Pregnanza da ritenere certa, tanto  che non è da escludere che il culto del toro ‘forza’ e del serpente ‘rinnovamento’ riguardasse, anche e soprattutto,  l’augurio della prosecuzione della vita dopo la morte.
   

11.   ‘Lettura sintattica’ del complesso di Monte Baranta.


  A questo punto, a quella ‘scrittura’ complessiva, con supporto il terreno, ovvero l’ampia pagina dello spazio dell’altura, non può che seguire questa ‘lettura’:
     Oggi, giorno del solstizio d’estate è quello della massima culminazione del sole e quindi della sua vita. Il toro dal potente corno sinistro consente ad esso di raggiungere il massimo della culminazione. L’astro però non procede oltre: si arresta e torna indietro, riprendendo il suo corso ciclico o a serpente immortale, invecchiando e andando man mano a morire, per poi risorgere nello stesso tempo, nel solstizio d’inverno. Questo particolare momento di ‘forza’ e  della ‘muta’ del serpente, del rinnovarsi vigoroso della luce e della vita del mondo,  è quello propizio per il benessere, il cambiamento di sorte e la salute delle persone. Ma è anche il momento per invocare la divinità (14) perché si superi la morte e si possa risorgere a nuova vita.


12.  Altri due aspetti significativi del complesso megalitico. La ‘muta’ del serpente.       
    Ed ecco, forse, spiegati due dati architettonici di apparente, difficile lettura. Il  primo è quello dello strano, diverso aspetto murario della muraglia  ovvero del  serpente che si presenta ‘squamoso’, ‘grosso’ e ‘vecchio’ all’esterno (Fig.21) e invece manifestamente molto più piccolo e ‘giovane’ (15) nella parte interna del recinto (Fig.22), adibito, con i suoi ambienti (le cosiddette capanne), al culto e alle cerimonie salvifiche. La forte simbologia del fuori - dentro, della attesa e della soluzione salvifica data dall’ingresso nello spazio cultuale, ovvero l’ampio  spazio interno a cui si accedeva attraverso l’unica porta (posta significativamente presso la ‘testa’ del serpente), ci sembra abbastanza evidente. E si capisce che l’ampio recinto al di là del serpente, è certamente area sacra, area sacra come quella molto più piccola della camera templare delle corna. Corna taurine e serpente delimitano quindi superfici sacre, non accessibili e contaminabili, che hanno il confine aperto verso l’arco solare. Il secondo dato è quello relativo alla terza costruzione megalitica, l’unica riconosciuta archeologicamente come templare, ovvero l’ovale (non il cerchio, ma fa uguale) individuato dal Moravetti. Quelle rovine, purtroppo così gravi, non sembrano offrire molti appigli per una corretta ‘oggettiva’ interpretazione dell’edificio. Ma esse potrebbero costituire, data la forma geometrica ancora visibile e ‘leggibile’, il luogo del culto complessivo deputato, come secondo tempo, per la simbolica rigenerazione (sacrifici, preghiere, abluzioni) previsto dai sacerdoti per i pellegrini all’interno; sembrano suggerire un secondo momento di un percorso sacro (16) che andava dal recinto sacro della testa del toro  (questo il motivo delle due porte?), al recinto sacro del tempio ‘ovale’ e quindi all’ampio recinto o spazio sacro finale (v. fig.20) della testa del serpente.

Percorso che potrebbe esser comprovato dal relitto di una antichissima strada ben individuata e percorribile ancor oggi (v. tratto rosso di fig.23), che conduce all'ingresso ricavato nella muraglia.



Fig.21 - Parete esterna della muraglia realizzata con tecnica ciclopica simboleggiante la pelle vecchia


 Fig.22 - Parete interna della muraglia realizzata con piccole pietre simboleggiante la rinascita con la nuova pelle

 
Fig.23

  Ciò, d’altro canto, sembra indicare la stessa evidente intensa simbologia della ‘camera  delle corna’, perché se essa davvero sussiste, dato l’ uso chiaro di tutto lo spazio superiore del ‘monte’ con dei monumenti megalitici accostati, non poteva non sposarsi a quella delle altre due costruzioni. E se è vero che ‘il recinto torre’ è ‘segno’ monumentale pittografico - ideografico del toro, se è vero che il muraglione è segno o simbolo pittografico –ideografico del serpente, anche quel segno ovale potrebbe essere un pittogramma - ideogramma che trova spiegazione nella e con  tutta la sintassi generale del megalitismo di Monte Baranta. L’ovale, anch’esso edificio megalitico, potrebbe rappresentare il serpente stesso che partorisce (attenzione al luogo preciso in cui si trova la costruzione rispetto al serpente!) e rinnova se stesso (17). In ultima analisi, potrebbe alludere all’uroboro, il serpente che svolta e che si avvia a ‘mangiare la (sua) coda’(18). Segni importanti del collegamento simbolico toro - serpente - ovale  sarebbero potuti essere l’orientamento verso il solstizio estivo (quindi tre orientamenti e non uno solo) delle altre due costruzioni megalitiche. Ma mentre l’esistenza del primo orientamento solstiziale potrebbe essere ragionevolmente suggerito dall’analoga scaletta presso la testa del serpente (sempre ‘interna’, anch’essa certamente non conducente a nessun ‘cammino di ronda’ ma ad un altro punto elevato d’osservazione), il secondo potrebbe, al massimo, essere indicato oggi dall’orientamento della porta (19) e, chissà, da quello del vicino betilo rovesciato, anch’esso, come si sa, chiaro simbolo solare.       


Conclusioni. A Monte Baranta pellegrini e non soldati, feste religiose e non scene di sangue. Le prove dell’assunto.
   
     Il complesso megalitico di facies eneolitica di Monte Baranta sembra costituire la realizzazione concreta, su scala monumentale, di un evento astronomico ciclico straordinario del sole, non solo significativo  di per sé come dato celeste, ma anche come dato terreno per gli uomini, ovvero per i pellegrini del luogo e di altri luoghi più lontani della Sardegna eneolitica che simbolicamente venivano coinvolti annualmente dalla potenza luminosa taurina e dalla eternità, sempre luminosa, del serpente. Così come si mostra la potenza e si rigenera la luce così, in quel preciso giorno ‘miracoloso’, possono fortificarsi e rigenerarsi gli uomini. Quello che di prodigioso avviene in cielo può accadere anche in terra. Pertanto si fa festa e si celebrano annualmente il toro e il serpente celesti per la loro magica potenza benefica che di anno in anno dà sicurezza, salute, prosperità agli uomini e a tutto il creato. Non hanno quindi, a parere degli scriventi, senso alcuno (perché nessuna prova le conforta) le ipotesi di tipo militaristico avanzate dagli archeologi (e ancora sostanzialmente da essi mantenute) perché, tra l’altro, il monumentale e megalitico come ‘segno’ scritto sul terreno non va interpretato come ‘difesa’ da parte di ipotetici nemici ma come ‘religiosità’; intento ben mirato di glorificare, con la potenza della massa muraria delle costruzioni, la potenza della divinità con gli attributi  simbolici delle corna e del serpente. Tutto induce a pensare e a ritenere che sul colle di Monte Baranta non si difendevano e proteggevano aree ‘civili’, abitazioni o altro, di tribù, ma si delimitavano superbamente aree, vani e camere sacre (20) per lo svolgimento di particolari riti estivi annuali di invocazione e/o di ringraziamento per il dio detentore della forza di un evento luminoso che, per l’assoluto mistero e la singolarità, gli uomini di allora potevano  vedere e ammirare ma non certo spiegare.       

Ricapitolando, le  prove da noi addotte per l’assunto sono di natura:
a)       astronomica: allineamento del muretto del possente corno sinistro taurino con il disco dell’ astro solare al tramonto in quel preciso giorno estivo.
b)       archeologica: il megalitismo per realizzare non opere militari ma opere religiose significanti il ‘grandioso’, il ‘poderoso’, ‘ciò che è straordinariamente potente e nello stesso tempo luminoso (più tardi il cosiddetto ‘nuragico’). L’analogia architettonica con la costruzione, di facies ‘monte claro’, Sa Fraicada di Bortigiadas.   
c)       epigrafica (pittografia e ideografia monumentali): toro, serpente, uovo (ellisse).
d)       linguistica: la voce semitica ‘qrn’, קרן  verbo con significato di ‘portare corna’ più la voce   “t’a”, את che significa ‘camera’ (all’interno di un sistema di porte).
e)       documentaria : abbinamento costante dei simboli toro - serpente nella iconografia sarda dei due millenni successivi.  




Note e indicazioni bibliografiche

1. Angei S., 2016, Sincretismo religioso tra nuragico e romano. La porta del toro luminoso. L’architettura della luce, in maymoni blog  (21 febbraio), 1;  Sanna G., 2016, Scrittura nuragica. Tharros (Murru Mannu): a tanta architettura sacra tanta scrittura sacra. La porta santa (sha’ar sa ‘ane i segni del sublime nascosto, in maymoni blog  (29 marzo) . 

2.  In realtà anche il complesso monumentale ‘megalitico’ nuragico  di Gremanu di Fonni, il fallo di oltre 85 metri di lunghezza può essere ascritto, insieme alla ‘vulva’ (edificio che si trova un po’ più avanti e nella stessa direzione), a questa tipologia di ‘scrittura’ ideografico - pittografica simbolica realizzata sul terreno. Infatti, anche in Gremanu si trova, all’interno dello stesso ‘fallo’,  il recinto sacro con le sue pertinenze per i pellegrini del santuario e per gli addetti al culto. V. Atropa Belladonna, 2013,  I documenti ‘ufficiali’ della Sardegna arcaica (4), in Monte Prama blog (17 aprile); 2014, Falli di cultura nuragica, in Monte Prama blogspot.com  ( 21 settembre). Sulla presenza di detto ‘fallo’  non si pronunzia mai l’archeologa che ha condotto gli scavi del sito.  V.  Fadda  M. A.,  1992,  Fonni (Nuoro). Località Gremanu, Complesso di fonti, in Bollettino di Archeologia, 13 -15, pp. 169 -170; eadem, 1993,  Fonni (Nuoro). Complesso nuragico di Madau o Gremanu, in Bollettino di Archeologia, 19 - 21, , pp. 176 -181; eadem, 1997 ,  Fonni (Nuoro). Località Gremanu. Complesso di templi nuragici, in Bollettino di Archeologia, 43- 45, 1997, pp. 242-245;  eadem , Gli architetti nuragici di Gremanu, in Archeologia Viva, n. 62, maggio - giugno 1997, pp. 70 -75.

3. Moravetti A.,1979, Notiziario, in ‘Rivista Scienze Preistoriche’, XXXIV, p. 334 e segg.; idem, 1981, Nota agli scavi del complesso megalitico di Monte Baranta, in ‘rivista di Scienze Preistoriche’, XXXVI,  p. 281 e segg.; idem,1988, La cultura di Monte Claro nel Sassarese, in ‘L’età del Rame in Europa’, Rassegna di Archeologia, 7,  pp. 528 - 529; idem, 1998, Muraglie megalitiche e recinti nella Sardegna prenuragica, in Miriam S.Balmuth - Robert H.Tykot (edd.), Sardinian an Aegean Chronology, Osbow Books, pp. 161 -178, Oxford ; idem,1999,  Il complesso megalitico di Monte Baranta, in ‘Nuovo bollettino archeologico sardo, 5 (1993 - 95),  idem, 2000,  Sardegna archeologica. Guide e itinerari. Il complesso prenuragico di MONTE BARANTA, Delfino, Sassari; Contu E.,1981, L’architettura  nuragica, in AA,VV, Ichnussa, Milano,  p. 109; p. 64, figg. 109 -112; Lilliu G., 1988, La civiltà dei Sardi dal paleolitico all’età dei nuraghi, ERI, Torino, pp. 131-135, 155, 159, 255, 286, 603. tav. 18: 

4. V. Depalmas A -  Deiana  A. 2011, La fase finale della cultura Monte Claro e il rapporto con i successivi aspetti culturali dell’età del bronzo, in XLIII Riunione scientifica. L'Età  del Rame in Italia. pp. 135 -142

5. Moravetti A., Il complesso prenuragico ecc. cit., pp. 47 - 50.

6. Le voci semitiche ‘bibliche’ non sorprendano. Potrebbero essere, data la nota derivazione di molti passi dei libri della Bibbia da fonti orali e scritte molto più antiche, anche del calcolitico. Gli scribi astronomi che hanno realizzato la simbologia di Monte Baranta erano sicuramente in possesso della scrittura (che oggi, come si sa,  si tende a riportare ad un periodo anteriore anche al secondo millennio a.C.)  e potrebbero essere stati di antiche origini ‘cananaiche’, con influssi culturali, non solo di natura astronomica, sia mesopotamici che egiziani. Tuttavia, parole come  קרן e תא  potrebbero essere anche di un periodo successivo, quando Monte Baranta fu frequentato (ovviamente per motivi di continuità delle usanze e delle  cerimonie festive legate al culto del sole), come ci dice la stessa archeologia, da popolazioni nuragiche dell’età del bronzo antico e medio. Non si dimentichi la radicata e antica  ‘religio’ cananaica del culto del sole, della luna e degli astri così esecrata durante il periodo di revisione deuteronomistica del V.T. E teniamo presente anche l’ opinione di chi oggi tende a vedere nella cultura del rame di ‘monte claro’ (fase finale) caratteristiche vicine a quelle della cultura del bronzo cosiddetta ‘nuragica’ ( Depalmas A., 2011, La fase finale della cultura Monte Claro e il rapporto con i successivi, ecc. cit.,  pp. 135 - 142.

7. Es 34,29

8. Wagner L.W., 1984, Fonetica storica del sardo (Introduzione, traduzione e appendice di G.Paulis). Trois ed. Cagliari, pp. 224 -226; Idem, DES, 2008 (a cura di G. Paulis), Ilisso p. 151.

9. Ez. 40, 21: stanza, camera (all’interno del sistema delle porte del tempio).

10. Infatti, la scaletta addossata all’entrata della muraglia e subito  dopo la porta, è dello stesso preciso tipo di quella del ‘recinto’ e, con ogni probabilità, portava ad un altro osservatorio per il calcolo calendariale del solstizio estivo (v. più avanti).

11.  Depalmas A. – Deiana A., 2011 La fase finale della cultura Monte Claro e il rapporto con i successivi, ecc. cit.,  p. 138.

12.  Sarà stata una mera coincidenza ma forse è appena il caso di ricordare che il famoso complesso megalitico di Stonehenge, grosso modo contemporaneo alle costruzioni di Monte Baranta e di Sa Fraicada di Bortigiadas, ha la stessa simbologia del ‘ferro di cavallo’ (in realtà schema taurino) e l'orientamento all'alba del Solstizio d’estate.

13. V. Chevalier J. - Gheerbrant A., 1982, Dictionnaire des Symboles. Mythes, rêves, coutumes, gestes,forms,couleurs, nombres, ed. Jupiter, Paris, pp. 866 -879. 

14.  Se davvero la cultura religiosa  ‘monte claro’ anticipa quella ‘nuragica’ si può ragionevolmente supporre che la divinità o fosse lo stesso yh (yhwh) o una divinità molto simile a questa. Nella religiosità nuragica il sole e la luna, il disco della luce che li nota,  sono al primo posto nella venerazione e nel culto. Immagini soli - lunari sono assai ricorrenti per quasi due millenni, ma gli scribi tendono sempre a sottolineare o con il nome specifico o più spesso con il pronome () , che la luce e gli astri sono una sua manifestazione, non la divinità. In perfetta sintonia con i primi passi del libro della Genesi in cui il Dio prima crea la luce in sé e poi quelle diurna e notturna per mezzo di  una lampada maggiore ed una minore. Essi non sono la sua essenza ma mezzi per trasmetterla. Pertanto a Monte Baranta il culto del sole Toro –Serpente era, in ultima analisi, il culto per il Dio del padre della Luce e della vita del mondo.   

15. Questo e non altro sembra voler significare il doppio ‘stile’ decorativo della costruzione megalitica. Muro esterno di una certa tipologia  e muro interno, quello dell’area sacra, di un’ altra. Ad osservarlo attentamente sembra che si suggerisca una  contrapposizione tra   vecchio muro e nuovo muro, tra un  muro più ‘sporco’ e ‘disordinato’, con pietre enormi e irregolari, rispetto ad un muro ‘nitido’, ‘lineare’, ‘gradevole’ a vedersi. Ma comunque e sempre lo stesso potente muro, E sembra contare  quindi di nuovo non l’architettura ma quello che suggerisce quella particolare architettura, i simboli nascosti e non l’apparenza. Il concetto di rigenerazione e di  ‘nuova vita’ sembra essere già presente , una volta entrati, alla vista dei pellegrini nel grandioso scenario megalitico, di quasi cento metri, delle nuove pietre, tutte ben ordinate e tutte regolari.      

16.  Ciò porta a credere il fatto che i tre monumenti siano staccati. Si può ipotizzare che in ciascuno avvenisse  una cerimonia diversa ma che tutte fossero tra loro collegate. I pellegrini forse erano guidati per un triplice percorso iniziatico fatto di momenti di cui ovviamente mai sapremo nulla. Ciò sembra suggerire l’assai più tardo complesso religioso megalitico nuragico di Gremanu di Fonni (v. nota 2).

 17. Il ‘rigenerarsi’  del serpente sembra essere, oltre quello fonetico (v. Sanna G.,  2009,  Scritta vicino al Nuraghe Losasempre vista mai guardata, in gianfrancopintore  blogspot.com , 31 agosto), il significato simbolico della serpentella della pietra del Nuraghe Losa di Abbasanta (v. fig. 12). Questa sembra costituire, stante l’ analogia iconografica, quasi una ‘explicatio’ della ‘scrittura’ monumentale  di Monte Baranta. Sono trascorsi mille anni circa tra la costruzione degli edifici megalitici di Monte Baranta e quello, ugualmente megalitico, abbasantese, eppure la ‘religio’ di fondo legata alla forza e alla ciclicità dell’astro sembra  continuare. E se c’è, come sembra esserci, una correlazione tra la pietra scritta (distante qualche decina di metri)  e l’edificio nuraghe (anch’esso con simbologia toro - serpente luminosi), questo vuol dire che ‘leggono’ bene quegli archeologi che insistono sulla continuità culturale tra l’età del rame sardo (facies ‘monte claro’) e quella del bronzo.  

18. Questo il  significato generale della parola  e del simbolo uroboro: ‘E’ un simbolo molto antico che rappresenta un serpente che si morde la coda, ricreandosi continuamente e formando così un cerchio dell'eterno ritorno.  L'esistenza di un nuovo inizio che avviene tempestivamente dopo ogni fine. Il cerchio simboleggia l'immagine del serpente che da sempre cambia pelle e quindi, in un certo senso, ringiovanisce. L' uroboro rappresenta il circolo, la metafora espressiva di una riproduzione ciclica, come la morte e la rinascita, la fine del mondo e la creazione, e di conseguenza anche l'eternità iconograficamente rappresentata dal cerchio stesso’.

19. L’ ovale sacro sembra avere anch’esso, se si considera l’ingresso dell’edificio, un orientamento ad Ovest.

20.  Già nel 2010 l’ipotesi della ‘sacred area’, sia sulla base delle notevoli incongruenze  presenti nello studio del Moravetti  sia  sulla base dei calcoli astronomici riguardanti le costruzioni megalitiche di Monte Baranta (e di altri siti ancora), è stata sostenuta, in modo  dubitativo,  nel saggio di G. Magli et alii  (v. The megalithic complex of Monte Baranta in Sardinia: a pilgrimage center of the early Bronze Age? Complutum, 2011, Vol. 22 (1): 107-116). Detta ipotesi, da quanto sappiamo, non è stata mai presa in considerazione dagli archeologi sardi. Lo dimostra lo stesso saggio, già citato della Depalmas, dove sostanzialmente si accettano per tutto il complesso le ipotesi difensivistiche del Moravetti.

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