lunedì 22 giugno 2015

Complesso nuragico di Sedda 'e sos carros di Oliena: scudo bronzeo nuragico in miniatura (Lo Schiavo, Fadda). Sì, ma la scrittura? E il significato?

di Gigi Sanna
 fig. 1

 fig. 2.  Il piccolo scudo presentato con la scrittura capovolta (Lo Schiavo,  2000, p. 78)


''Singolare bottone o pendaglio di bronzo che rappresenta, con perfetta esecuzione, l'intelaiatura posteriore di uno scudo miniaturistico a forma di pelle di bue, tipica dei lingotti di rame ox-hide d'importazione egea' . Così Maria Ausilia Fadda, in didascalia, presenta l'oggettino,  in una sua recente pubblicazione (1). Non diversamente ma più diffusamente la Lo Schiavo '' Nell'estate del 1995 è stato interamente messo in luce il vano ''o'' del complesso nuragico di Sa sedda 'e sos carros, Oliena (nuoro). A sinistra dell'ingresso, è stato ritrovato un piccolo scudo miniaturistico di bronzo a forma di pelle di bue. Perfettamente liscio nella parte anteriore, presenta sul retro un fitto intreccio di legacci e di asticelle, destinate verosimilmente a tenere la pelle ben tesa. Al centro, sempre sul retro, è munito dell'anello che permetteva di tenere lo scudo imbracciato'' (2).

1. Esecuzione da non definirsi 'perfetta', ma l' interpretazione di essa è esatta. Lo scudo di vimini (γέρρον) nei versi di Omero.

   In realtà l'esecuzione 'perfetta' proprio non è, data la disposizione degli apparenti 'legacci' e delle 'asticelle', cosa questa facilmente visibile perché macroscopica e non bisognosa di dimostrazione alcuna ma anche per la presenza di detti 'legacci' (se questi così sono stati intesi) in due soli punti della struttura; 'legacci' che vedremo cosa sono e veramente vogliono significare.
   Mentre esatta è l'interpretazione delle due studiose per quanto riguarda lo scudo guerresco con struttura interna per rendere ben tesa la pelle e con anello (semianello) per tenere facilmente orientabile  lo scudo. La pelle di bue come scudo e la detta struttura dello scudo (σάκος, ἀσπίς) sono ben note agli omeristi perché nell' Iliade e nell'Odissea, ma particolarmente nell'Iliade (3),  lo scudo è chiamato, con la parte per il tutto, ora βοῦς  (bue, toro) ora  ρινός (pelle) ora γέρρον (vimine). Quest'ultima voce è, naturalmente,  quella che particolarmente ci interessa perché i γέρρα (vimini o similia) sono quelli (4) che costituiscono l'intreccio per tenere in tensione la  ρινός del βοῦς.

2. La 'scrittura a rebus' dietro l'intreccio dei vimini.  Il significato della scritta ed il lessico comune nel nuragico.

    Se si osserva bene l'intreccio dei γέρρα si nota abbastanza facilmente che è proprio esso, con le piccole ma vistose anomalie, che ci dice essere apparente ed è in funzione di ben altro, ovvero della scrittura. Lo scriba artigiano nuragico si serve del disegno con  'fitto intreccio' (Lo Schiavo) per nascondere maliziosamente i segni fonetici e per creare così, per l'ennesima volta, il rebus da dipanare. Si vedano subito le nostre figg. (3 e 4) dove, procedendo dalla destra in alto in senso antiorario, disarticoliamo lo 'intreccio' del piccolo manufatto, individuiamo e rendiamo i significanti fonetici, tutti in agglutinamento (5), e diamo il significato :   


fig. 3

fig. 4

 Il piccolo scudo contiene quindi, nella parte interna, delle lettere comunissime nel nuragico (v. tab. 1) e delle voci ugualmente comuni perché  attestate in numerosi documenti nuragici come si può vedere, ad esempio,  dalle figg. 5, 6,7.


Tabella 1

fig. 5

  fig. 6                                                             fig. 7

 3. Il manico dello scudo e il toro.

   Qualche parola in più sul significato e sulla suddetta interpretazione bisognerà spendere perché quel pittogramma che abbiamo indicato come 'toro' e cioè il manico dello scudo non è 'toro' solo perché manifestamente raffigurato (a nessuno certo sfuggono quei 'cornini'  rivolti verso il basso e sovrapposti alla linea (6) della 'zayn')  ma anche perché in nuragico assume valore di 'toro' (forza o potenza ) tutto quello che in un oggetto (ma anche in un monumento) indica il massimo della forza o il convergere di tutte le forze e/o l'equilibrio di esse.  Per fare qualche esempio: 'toro' è l'umbone dello scudo, 'toro' è il manico di una scure o di un martello, 'toro' è il mozzo delle ruote di un carro, 'toro' è l'albero di una nave o l'arco tra una fiancata e l'altra (barchette nuragiche) di essa, 'toro' è l'architrave d'ingresso di un nuraghe o di una stanza di esso, 'toro' è il pollice della mano, 'toro' è il centro dell' arco, 'toro' è il manico di un recipiente, 'toro' è la parte dello scudo a ' semianello'  che permette di usarlo con forza ed equilibrio (v. fig. 8, 9,10,11).      


                                                   fig. 8                                                                        fig. 9

fig. 10

                                           fig. 11                                                                                                            fig. 12

4. La lettura completa dello scudo.

    La scrittura presente nell'oggetto (si badi che la scrittura a rebus si trova in tutti gli oggetti miniaturistici) non si ferma qui ma è ancora presente altrove, dato che il codice  espressivo nuragico impone il più delle volte di leggere il supporto e di considerare come esso è fatto (7).
   Infatti, come si è visto, il toro (la forza) è 'scritto' due volte: una volta lo è attraverso i segni schematici lineari, ovvero la 'ayin' e la 'zayin', una seconda volta attraverso il pittogramma nonché ideogramma 'toro' (l'apparente mezzo anello al centro dello scudo). Ora, in nuragico, come si può vedere da numerosi esempi  quando si raffigura e/o si scrive il serpente (o il toro) esso è riportato o una sola volta oppure tre volte (8) . Il rispetto per il  numero divino, l'esaltazione del numero sacro 'tre', porta gli scribi nuragici a reiterare spessissimo per tre volte il nome del Dio (YH) e così i suoi simboli massimi che sono proprio il toro ed il serpente. L'immortalità (il serpente) è resa quindi coerentemente per tre volte, così come la forza (il toro) è resa ugualmente per tre volte.
   Si consideri poi che difficilmente gli scribi rinunciano ad uno degli aspetti fondamentali della scrittura a rebus, a quello che maggiormente la caratterizza e cioè alla numerologia, all'uso dei numeri sostitutivi, in modo convenzionale, di certe parole (dio, forza, potenza, santo, luce).
   Quasi non si contano i documenti (9) nei quali, ad esempio, il numero 4 oppure il quadrato (sostituzione geometrica del numero)  assumono il significato di  'oz ovvero di  'forza, potenza' (e, per estensione, di  'toro'). Il motivo più frequente sta nel realizzare un quadrato (o un rettangolo o un rombo)   all'interno del quale si trova un particolare pittogramma che è il motivo della raffigurazione del quadrato stesso.
  Si prendano come riscontri la cosiddetta 'Tanit' della scritta del Nuraghe Pitzinnu di Abbasanta (v. fig. 13) oppure il 'toro capovolto' (apparente lettera 'A') della scritta (oggi deturpata) della scogliera di Tharros (v. fig. 14) oppure la suggestiva immagine, presente nella facciata della chiesetta di San Nicola di Trullas di Semestene , con la serie dei tori disegnati all'interno di un quadrato (più o meno preciso) per sette volte (fig. 15). In tutti e tre i casi è facile comprendere che il quadrato intende sottolineare l'aspetto della forza ( 'oz) del simbolo rappresentato: nel primo caso quello della lettera pronominale 'hȇ' (a cui segue forse la parola  'aba ) nel secondo caso quello del 'toro',  nel terzo ancora quello della forza del toro ripetuta per il numero sette; numero che  per convenzione, come sappiamo da tempo (10), rende la voce 'santo'.
     Esso naturalmente non è altro che un modo differente per scrivere lo stesso concetto. Noi, abituati da sempre alla scrittura per singoli significanti disposti in linea, comprendiamo subito il significato di essi se ci vengono trasmessi secondo il nostro comune modo di leggere, ma comprendiamo di meno e restiamo perplessi quando al posto dei segni lineari ci troviamo davanti a dei 'segni' particolari che ci invitano a leggere e a pensare assieme, dal momento che gli ideogrammi geometrici o numerici vanno interpretati correttamente,  collegandoli, secondo logica, ai simboli fonetici immediatamente interpretabili.

fig. 13                                                                                                            fig. 14

fig. 15

  Pertanto, per quanto su esposto, leggeremo lo scudo miniaturistico prendendo in considerazione anche il numero quattro e la pelle stessa ovvero lo scudo o  βοῦς. Ed avremo  'Lo scudo (questo piccolo scudo), è (simbolo) della  'forza, forza (doppia forza) di yh  toro (forza) della luce'.

   
5. Il talismano

   
   Alla luce di questa nostra  interpretazione grafico - fonetica l' oggetto si rivela dunque per quello che è:  un piccolo ma assai pregnante talismano di cui il possessore si serve (con il quale fa 'scudo') contro il male e  le avversità, contando sulla magia della scrittura criptata, sulla forza del tre (ugualmente criptato) ovvero sulla forza straordinaria o 'superpotenza'  del dio doppiamente luminoso Y(hwh) protettore e salvatore.
    Se appena appena si bada esso non differisce per nulla, nella sostanza, dall'oggetto  pubblicato dal Barreca nell'ormai lontano 1986, sempre un talismano dove (v. fig.16) sono presenti sia la voce forza עז (ancora reiterata) sia la divinità Yhwh  sia la luce נר che deriva da quella doppia forza immensa (11).
    Ma pressoché uguale valore espressivo ha anche il bronzetto rinvenuto nel santuario di Sant'Antonio di Siligo,  pubblicato dalla Fadda e da noi recentemente ripreso e commentato (12). Anche in questo uguale è il significato pur nella diversità quasi totale (all'apparenza solo la lettera zayn sembra accomunare le due scritte) dei significanti; anche in questo lo scriba sfida il 'lettore' a dipanare il rebus che nasconde e i segni ed il lessico riguardanti sempre la divinità yhwh. Altri documenti a rebus, riportati su bronzo, abbiamo già commentato ed interpretato come dei talismani (13), altri  ne potremmo esibire, per rendere ancora più manifesta la presenza di questa tipologia di scrittura nuragica nei piccoli e talvolta piccolissimi oggetti con scopo apotropaico. Ma dal momento che ognuno si presenta con sue, del tutto particolari, caratteristiche e, come al solito, sempre molto variato, sia nei significanti sia nella fantasiosa disposizione di essi, rimandiamo ad altre date, speriamo non lontane,  la loro trattazione. 

fig. 16                                                                                                            fig. 17


 Note ed indicazioni bibliografiche  

1. Fadda M.A., 2013, Nel segno dell'acqua. Santuari e bronzi votivi della Sardegna nuragica, Delfino ed. p. 87. fig. 139.
2. Lo Schiavo F., 2000, La concia delle pelli in periodo nuragico. Un problema aperto, Bublications du Centre Jean Bèrard, p.78.
3. Iliade,  VII, 238 -248.
4. Xen, An. 5.4.12: γέρρα λευκῶν βοῶν (scusi di vimini coperti di pelle di bue bianco).
5. Si ricordo che l'agglutinamento (in legatura o in nesso) è uno degli espedienti più frequenti a cui ricorre la scrittura nuragica. V Sanna L. 2011, Scrittura nuragica: ecco il sistema. Forse unico nella storia della scrittura; in Monti Prama. Rivista semestrale di cultura di Quaderni Oristanes, n° 62, pp. 25 -38. 
6. 'Sovrapposizione' che, secondo noi, trova una giustificazione precisa nella lettura. Infatti l'amuleto è forgiato in modo da dare coerentemente per prime (quelle poste sotto) le due linee della 'zayn', quindi la 'yod' al di sopra della seconda di queste ed infine il semi anello -toro  al di sopra dell'asta della 'yod'.
7. V. Sanna L., 2011, Scrittura nuragica. Ecco il sistema, cit.
8. V. ad es. la pietra di Terralba (fig. 6) , con il 'tre' reiterato che riguarda sia il toro che il serpente.
9. V. di recente Angei S., 2015, Il volto di Maymoni; in maymoni blog spot.com ( 24 aprile)
10. V. Sanna G., 2006, Su santu doxi. I numeri perfetti e santi. Il sette e il dodici nella simbologia logo – pittografica , geometrico -numerica e nella scrittura lineare consonantica dei nuragici. Il Sandu Doxi e il Santu Yacu nella lingua popolare sarda; in Quaderni Oristanesi, PTM ed. Mogoro, 55/56, pp. 83 - 102. 
11. Sanna G., 2015, F. Barreca: lastrina ossea con divinità fenicio - punica. No, con divinità (yhwh) e scritta nuragica.; in  monteprama blogspot. com (31 marzo).
12. Sanna G.,2015, M.A. Fadda: una mano con un piatto e due crostini? No, la Yad di YHWH che regge la doppia forza del mondo; in monteprama blogspot.com (26 gennaio).
13. Sanna G., 2013, Un santo nuragico e uno spillo sardo - egizio per l'eternità; in monteprama bologspot.com  (28 Aprile); idem, 2014, Un talismano da Villa Verde. Tre sole lettere in un dischetto di bronzo per uno straordinario inno a rebus ideato dagli scribi nuragici (21 Luglio); idem, 2015, VILLA VERDE. Il talismano dell'occhio di Y(hwh). L'iterazione logografica in nuragico; in monteprama blogspot.com (7 febbraio).

9 commenti:

  1. E' appena il caso di ricordare che in geometria il toro o toroide è un solido a forma di ciambella.

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  2. Certo che le asimmetrie non avevano un senso, altrimenti: questo andava studiato bene, o per lo meno menzionato; tanto più per un oggetto così piccolo.
    Cross ipotizzava che l'oxhide stesso fosse all'origine della zayin protocananaica (Newly Found Inscriptions in Old Canaanite and Early Phoenician Scripts, Frank Moore Cross, Bulletin of the American Schools of Oriental Research
    No. 238 (Spring, 1980), pp. 1-20) mentre tu questa possibilità non l'hai mai presa in considerazione, se ben ti capisco. Però devo dire che Omero mi ha convinto: non lo sapevo che lo scudo venisse chiamato bue, pelle o vimine.

    Che il lingotto potesse essere usato come segno di scrittura lo sivede anche da sigilli ciproti, dove è associato al bucranio; credo siano indecifrati, ma l'articolo è in spagnolo e io non lo capisco

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  3. Ho dimenticato il riferimento: María Cruz Marín Ceballos, De dioses, pieles y lingotes, Habis, Nº 37, 2006 , pp. 35-54; http://dialnet.unirioja.es/servlet/articulo?codigo=2237460

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  4. La bipenne rinvenuta nella marna di Arbus e attualmente custodita presso il museo di Sardara mostra, mi pare molto significativa. La pelle di bue va letta e, con buona probabilità, vanno lette le ali o pinne della bipenne. che danno l'idea del maschio e della femmina anche come lettere astratte schematiche (arco a sinistra femmina e arco a destra maschio). Un'ascia con le pinne di quella forma è un non senso perché non servono a tagliare nulla perché altra forma ha la scure universalmente concepita. Pertanto penso al toro associato alla bipenne ovvero alla forza dell'androgino. luminoso, forza resa con il quattro che ci dà la pelle del bue scuoiato.. Penso quindi ad una scrittura suggerita da un toro luminoso astrale (sole -luna). I Sardi sino ad alcuni decenni fa avevano (Samugheo,Teti, Sorgono ecc.), come amuleto protettore la 'seguredda 'e lampu', la piccola scure del fulmine, una chiara bipenne di origini antichissime. Mi chiedo quale differenza mai ci sia tra la piccola 'seguredda 'e lampu' e la piccola scure, ugualmente del lampo o della luce, di Sa sedda ìe sos Carros di Oliena.
    Quanto alla 'zayn' del Cross non sono d'accordo perché è il 'bue' il macrosegno. Incontestabile. Quel bue che anche in Omero, a ben pensarci, non aveva solo scopo pratico strumentale ma anche e soprattutto religioso. Chi aveva il bue aveva il dio bue o toro a proteggerlo dai dardi. In conclusione dai dati di ieri e di oggi penso che in area mediterranea i lingotti a pelle di bue (ciprioti o sardi che fossero) significassero 'religiosamente' la 'forza del toro celeste'. Proprio quella che c'è scritta nella struttura o nell'intreccio apparente dei vimini. Io penso che anche per quella religiosità, per quel valore non solo materiale, i lingotti a pelle di bue si trovino tra gli oggetti più preziosi messi in mostra nei dipinti dei faraoni. Vedi, cara Aba, il nostro sforzo continuo è sempre quello di non eliminare dal significato degli oggetti il valore immateriale o religioso di essi, mentre quello dell'ermeneutica razioanlistico -materialistica è quello di considerarne uno solo, ovvero il più fallace. Ecco perché nulla si capisce dei nuraghi e dei monumenti architettonici in genere, nulla dei bronzetti, nulla delle statue, nulla della scrittura. . .

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  5. Maria Cruz, quella del link di Atropa, mi pare che giunga alla conclusione che gli oggetti a pelle di bue siano legati a eventi particolarmente importanti, come la fondazione di una città. Il effetti, la pelle ricorderebbe il sacrificio fatto alla divinità allo scopo di ingraziarsela a protezione della fondazione.
    Non so quanto possa valere per le pelli trovate in Sardegna.

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  6. Ho visto le immagini dei tori con la 'bipenne' in fronte di Villayoyosa e di Monforte del Cid. Anche quei tori sono 'scritti'. Ricordi il segno della bipenne (lettera b) della scritta del masso del Nuraghe Pitzinnu di Abbasanta?

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    1. ehehe ..sì, è quello che io chiamavo il cappellone della regina madre!

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    2. Sì, proprio il il cappellone! E anche lì la presenza dei tori (e dei serpenti). Certo è che dipanare una matassa intricatissima che parte dall'egiziano per arrivare via via sino all'estremo Occidente porta alla disperazione. Ma i simboli parlano chiaro. La cultura scribale correva e si allargava per vie santuariali che sono ancora tutte da individuare. .Certo è che i nuragici hanno giocato un ruolo importantissimo nella diffusione di una certa cultura legata alle simbologie del toro e del serpente luminosi di chiara origine orientale. La scrittura per quanto caratterizzasse certi luoghi e certi santuari era in qualche modo 'aperta' e sempre pronta a ricevere stimoli dall'esterno in quanto gli scribi sacerdoti erano in contatto tra di loro e quasi si controllavano a vicenda. Le scuole della vita, vere e proprie scuole scientifiche di allora, producevano dei linguisti che, in quanto tali, si trovavano assieme a loro agio in qualsiasi luogo di cultura 'religiosa' del Mediterraneo. Il sincretismo (yacu che diventava Ra o Asclepios o Hesmun e Tin/uni) mi pare essere il frutto di contatti di scribi di altissime conoscenze che ovviamente non riguardavano solo la speculazione sull'essenza della divinità ma tutto lo scibile (astronomico, matematico, architettonico,ecc.). A portare gli 'aggiornamenti' della conoscenza non erano i mercanti, come si dice, ma gli scribi al seguito dei mercanti. Illuminante a tal proposito è la leggenda che si trova nell'inno pseudomerico di Apollo sui 'mercanti cretesi' che fondano per volere del Dio il santuario di Delfi. No quel santuario venne fondato dagli scribi semitici cretesi che sapevano già dove fondarlo per le esperienze geografiche dei mercanti.Il luogo più bello al mondo per spiritualità paesaggistica. Che poi gli scribi fossero anche mercanti questo è un altro discorso. Soprattutto perché erano a conoscenza delle tecniche della fusione dei metalli e quindi della produzione di oggetti altamente commerciabili.Insomma, tante parole per dire che la comunanza dei simboli ad Oriente come ad Occidente non ci deve sorprendere. Il Mediterraneo era molto più piccolo di quanto noi possiamo immaginarci per quei tempi. E contava l'autostrada del mare e non i piccoli sentieri per capre della terraferma..

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    3. Sì, infatti a me non sorprende davvero più; anche se questa comunanza rende le cose da una parte più facili e dall'altra molto più difficili per districare la matassa.
      Purtroppo con lo spagnolo io ho molte difficoltà (= non lo so) e mi sembra che siano proprio gli studiosi spagnoli che, in tempi moderni, si stiano dedicando un casino a certi argomenti-mi riferisco nello specifico ai lingotti oxhide = toro e al loro uso nel simbolismo e scrittura sacrali di tipo universal-mediterraneo. So che Romi ha tutta una collezione di lavori in spagnolo con documenti molto, molto belli. Quei due tori che hai visto tu sono solo una piccolissima parte.

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