giovedì 29 ottobre 2015

Il pugnale de Su Santu Doxi

di Sandro Angei

   Dopo la presentazione di due iscrizioni nuragiche su pietra, di giovedì 08 ottobre, oggi presentiamo un reperto sul quale sono inciampato alcuni mesi or sono, facendo slalom tra le bacheche del Museo Archeologico di Cagliari.


                                               
    In una bacheca, una serie di anonime lame di bronzo prive di manico fa bella mostra di se, mute testimoni di un tempo che fu. Tra quelle però, una non è così muta come si possa pensare, essa infatti è una lama parlante, guardatela bene e sentirete un inno alla gloria divina.

   Buona decifrazione a tutti! Si buona decifrazione a tutti voi che avete seguito costantemente i blog di Gianfranco Pintore e Monte Prama, avete seguito i corsi di epigrafia nuragica e per tanto detenete gli strumenti per dire la vostra su questo reperto.

Questa è una delle punte di freccia con iscrizione.

23 commenti:

  1. Non ho assolutamente gli strumenti,ma,di certo,capisco che Gigi non è un visionario riguardo all'epigrafia nuragica.Vedi Gigi,basta aspettare ed i nodi vengono,sempre, al pettine.bi cherete meda patientzia(?).Queste lame sono bellissime ma siamo sicuri che non siano fenice?Ovviamente scherzo.

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  2. Bella immagine.
    Fibalmente ho capito come inchiodavano le punte all'asta: con i ribattini, a volte due, a volte tre o anche quattro e anche cinque.
    Dopo duemila anni, i coltelli di marca, e quelli a buon mercato, che siano italiani, tedeschi o cinesi, hanno le lame fissate con tre ribattini.
    Ancora non si è trovato di meglio.
    E sì che se ne son costruite di lame negli ultimi trenta secoli!

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  3. Quanto alla scrittura sugli oggetti, non mi so adeguare all'idea che costruissero punte di lancia in nome di Dio. Le Crociate erano di là da venire.
    Io credo che sia il vezzo, e se così fosse sarebbe davvero antico, di segnare il proprio lavoro come si continua a fare con is resoias, o arresoias se piace di più come testimonia il nome di una sagra a queste dedicate in una zona ricca di tradizioni, che ha dato tre modelli tipici di resoia: s'arburesa, sa gonnesa e sa guspinesa, ognuna specialistica nel suo uso primario.
    Spero che qualche corsista delle lezioni di Gigi mi contraddica, perché lui, Gigi, non lo farà mai: mi lassat cantai!
    Anzi, spero che quelle sorte di Y a gambo lungo che si susseguano, siano la trascrizione del riso sardonico, iiiiih!, quel riso che coglieva il guerriero quando vedeva scappare a gambe levate l'invasore di turno, e non di Turno.
    Attenzione, la specifica non è arbitraria, né inutile, perché di Turno, e Turnu in sardo, ce ne sono molti in Sardegna e in Continente, e sono anche importanti e molto facoltosi: possiedono farmacie e altre attività in tutte le città (Farmacie di Turno, Tabaccherie di Turno, Rifornitori di Turno, Ambulanze di Turno, ...), di conseguenza hanno uno stuolo di dipendenti in tutte le occupazioni più socialmente rilevanti (medico di Turno, vigile di Turno, pompiere di Turno, ...) oltre che presentarsi con variegati titoli nobiliari (Turno di notte, Turno settimanale, Terzo Turno, ecc.).
    Ne esiste uno che si arroga il diritto di chiudere i negozi altrui, anche nei giorni e negli orari di apertura stabiliti: egli espone un cartello per il quale è inutile ogni ricorso. Dice solamente "TURNO SUBITO", a volte storpiato come un "TORNO SUBITO". Ma no fa differenza e, se non siete tanto stupidi, non statevene lì a cronometrare quanto significa SUBITO, perché avreste fatto meglio a viverlo immediatamente subìto. Quasi come fosse TORTO SUBìTO".

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  4. Nossi, non ti lassu cantai. Ti lassu spassiai cant' ois. Ca s'ispassiu est comenti su binu. Fait sanguni bonu. Sa cosa importanti est chi non di buffisti meda! Massimamenti su de Crucuris! Ca occannu est specialli. Immoi bastat ca depu traballai! TURNO CRAS!

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  5. Rispondendo a Francu dico:
    Io sono dell’idea che tutto in quella civiltà era pervaso ossessivamente di divino, paragone ne sia il mondo egizio, dove tutto era scandito da cerimoniali religiosi ed il faraone, più di ogni altro uomo, era soggetto a rigidissime regole.
    In un contesto simile anche le armi di bronzo, metallo anch’esso divino, erano forgiate pensando al loro dio.
    Non mi è difficile pensare che in una società dove tutto ruota attorno alla divinità, anche il nemico era creatura di quell’unico dio, per tanto uccidendolo si arrecava offesa a Lui il Vivificante. In quest’ottica la formula sacrale incisa sulle armi potrebbe essere intessa quale sorta di richiesta di perdono preventivo.
    Ma staremo a vedere, cosa salta fuori da un’eventuale decifrazione. Per ora meditate gente, meditate.

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    1. Sicuramente l'ipotesi del signor Angei è affascinante,e pensando che quella civiltà era pervasa di divino,credo sia veritiera.

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  6. Fammi capire bene Sandro: ci sono 7 "cunei" per due volte?

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    1. In questa lama ci sono due serie di incisioni parallele e speculari a destra e sinistra della linea mediana dell'arma.

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  7. No, Franco non è così. Non cadere anche tu nel laico -decorativo. Ormai gli studiosi (Amadasi, Accardo per citarne qualcuno) dedicano molto della loro attenzione alle 'frecce' scritte ( che hanno, sembra, tutte scrittura cosiddetta protocananica e certamente prefenicia. Io non la so postare qui (se qualcuno volesse farmi il favore) ma vorrei ricordarti la freccia trovata in Palestina (?) venduta all'asta per pochi dollari e segnalata per la prima volta da Aba nel Blog di Gianfranco Pintore e da me commentata più volte. Ebbene in essa c'è scritto ' Segno (la freccia è simbolo) della potenza del TRE' cioè di YHWH'. Ebbene, quelle punte (stavolta di lancia) non sono solo oggetti ma anche simboli sacri e credo che Sandro abbia ragione nel sospettarvi una scrittura. Che naturalmente devi aspettarti in 'suspu'. Del resto il ductus di quei segni schematici (non certo sconosciuti nel sardo arcaico) è affatto decorativo. Ma vedremo cosa tirerà fuori Sandro.

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    1. Appena ho un po' di tempo inserisco le foto di quelle frecce nell'articolo.

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  8. Se poi qualcuno dovesse vedervi solo 'decorazione' e non simboli 'fonetici' riguardanti il 'religioso' cerchi di dimostrarlo. Scrivendo e argomentando bene. I peti goliardici decennali sui 'cancelli' (perché non ci rispondono sui piccoli 'gerra' non decorati ma scritti?) sono solo di un arrogante vecchio imbecille rimasto bambino.

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  9. Soprattutto di quella 'particolare' freccia venduta all'asta. Tanto particolare che ho persino sospettato che fosse nuragica e finita chissà come in Siria Palestina.

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  10. Dite che i segni sulla punta della lancia possono essere scrittura?
    Io ci credo, non ne ho mai dubitato.
    Che rinvii (minchia, quante i!) a qualche lode-attributo della divinità?
    Non sarebbe la prima volta. Anzi è l'ipotesi di base.
    Ma anch'io ho parlato di scrittura nelle resoias: ci scrivono il loro nome, il cognome e, se sono famosi, anche il soprannome. Ci aggiungono spesso il nome del paese, perché, grazie a Dio, se è vero che di campanilismo si muore, succede dopo averlo vissuto intensamente.
    D'altra parte, e non vorrei sbagliarmi, il grido iiiih! o meglio ieeeh!, non era forse quello del Lossia cacciatore? Un bel dio ben antico.
    E poi per ultimo, ma tralasciate anche di leggerlo, se un sardo si scoprisse "geneticamente ateo", non sarà considerato per questo un sardo-sardo?
    Io stavo cercando le mie radici culturali in un qualche sardo fusore-cacciatore che credesse più nell'aldiquà che nell'aldilà. Ma vedo che le eventuali logiche conseguenze spaventano, mentre invece, tolgo o metto le parole in bocca ad Aba, la scienza va avanti così: non si esclude nulla a priori che non sia manifestamente illogico.
    Oggi mi sono alzato in vena di predicare.
    C'è qualcuno che ha mai sognato una predica a domicilio, totalmente personalizzata?
    Modica la spesa.

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  11. La scritta della punta di freccia sembrerebbe in un contesto laico, indica in sostanza il nome del proprietario, un certo «‛bdlb’t bn (figlio di) ‛nt», e questo conforta quanto detto da Francu, ma in ambito nuragico la situazione è ben diversa, essendo (almeno per ora), la scrittura solo ed esclusivamente sacra.

    Nell’iscrizione il primo ed il terzo apice sono un «‛ayin», mentre il secondo è un «’aleph».

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  12. Per questo vi ho pregato di postare quella 'particolare' freccia. Conosco bene il tenore delle altre frecce.

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  13. Lo vedi, Sandro, che non abbiamo lasciato indietro nulla?
    Per me, «‛bdlb’t bn (figlio di) ‛nt» non è il nome del proprietario, ma quello dell'artigiano. L'oggetto, come una resoia, poteva cambiare di proprietario, non di fusore.
    Altrimenti rientriamo nella logica di Sestus Nipius, che fa incidere il proprio nome su un oggetto pervenuto nelle sue mani.
    Qaulcuno a Oristano se ne vergogna ancora.

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    1. Su questo potrei essere d’accordo con te.
      Per quanto riguarda la nostra lama, non vedo alcun nesso col fabbro, a meno che quello non lavorasse da “dio". ):-)

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    2. Comunque se così fosse, mi riferisco alla punta di freccia palestinese, il fabbro peccò un poco di megalomania. Francu, ti immagini una pattadesa col nome di Ruju scritto a caratteri cubitali quanto è lunga la lama?!

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    3. Cosa significa "potrei"? Chi te lo impedisce?
      Pensa a una resoia fatta e firmata da ‛bdlb’t bn ‛nt: AbiDelibatu fillu Antò.
      Ne serve di spazio, o no?
      Is artistas funti totus de anima longa e a scriri a mannu est prus facili de scriri a piticu.

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    4. Quel "potrei" significa che potrebbe esserci un'altra possibilità, ossia che il nome inciso sia quello del destinatario della freccia, voluta e fatta forgiare dal suo più acerrimo nemico.

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  14. Hai una mente alla Agatha Christie?

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