venerdì 13 novembre 2015

La scritta di nuraghe Tradòri

di Sandro Angei


   Come al solito il nostro segugio che, con buona ragione possiamo chiamare confidenzialmente Sanna[1] bianca, come il protagonista del romanzo di Jack London, ha scovato la scritta lì dove voleva verificare le prove della mia teoria che vuole il nuraghe Tradòri virtualmente collegato al forno situato vicino al nuraghe Straderi[2].
   Lì il nostro Stefano ha scoperto la scritta riportata in fig. 1, in un masso della recinzione che delimita il piccolo cortile antistante la breccia d’ingresso al nuraghe; ma non solo, in un masso posto sulla destra di quella breccia, ha scoperto una “mano” incisa nel duro basalto.



fig. 1

fig.2
   Il masso con la scritta è posto in quella che dovrebbe essere la fila più alta della recinzione del cortile antistante la torre, che attualmente è ricolmo da un potente strato di sedimenti, tanto che l’accesso al nuraghe è completamente interrato e si accede all’interno della tholos dalla breccia, praticata in un periodo imprecisato, sopra l’architrave d’ingresso. Lo spesso strato di sedimenti fa si che il masso inciso sia posto attualmente a circa un metro dal piano di campagna attuale, per tanto ben visibile; sicuramente così non era in origine, quando era ad una quota tale da essere nascosto alla vista.
fig. 3

   La superficie dov'è incisa la scritta è pianeggiante, tanto che si potrebbe pensare che sia stata spianata intenzionalmente o per lo meno, sia stata “scelta” con l’intenzione di scrivervi la formula sacra.

fig. 4 Vista di profilo della superficie incisa, sullo sfondo il nuraghe.

fig. 5 Ripresa fotografica del masso con alle spalle il nuraghe. Si noti la superficie indicata dalla freccia, recante la scritta, che contrasta col resto della superficie scabra del masso.

   I caratteri, che hanno le dimensioni (in cm), riportate in fig. 6, sono incisi sul masso con una scanalatura larga mediamente 7 mm e profonda altrettanti, realizzata con punteruolo battuto con mazzuolo, evidentemente con l’intento di realizzare una iscrizione che potesse perdurare nel tempo.
fig. 6

fig. 7

   Come si vede nell’immagine evidenziata col sale (subito rimosso dopo lo scatto fotografico), la scritta è composta da tre segni, due lineari e uno a forma di otto.
  
   Così come sono disposti, possiamo attribuire ai segni i corrispondenti significati alfabetici della scrittura nuragica, ossia dall’alto verso il basso e da sinistra verso destra: uno “he”, uno “yod” e un grafema che possiamo identificare come figurina della Tinnit ossia lo “he” nuragico. Figurina estremamente schematica, tanto da non avere le braccia, ma che possiamo annoverare tra le connotazioni figurative attestate sia in ambito nuragico, documentato con la Tinnit della fonte nuragica di Cardedu (fig. 8)

[3],
                                             fig. 8
 ma anche nella Tinnit di Santa Maria di Corte fuori Sindia (fig. 9), sia nella stele Cartaginese di fig. 10.


                                         fig. 9                                                                         fig. 10

   In ragione di ciò possiamo decifrare la scritta che risulta palindroma, ossia leggibile da destra verso sinistra: h yh → lui yh[w], ma anche da sinistra verso destra hy h, ossia “vivificante lui”, dando ai due segni lineari la corrispondente valenza alfabetica e alla figurina il valore logografico determinativo “lui”.
fig. 11

   La trattazione circa la decifrazione dei segni a questo punto potrebbe qui terminare, ma un’ulteriore lettura vorrei proporre, benché difficilmente documentabile se non attraverso dei paralleli semantici di altra natura che restituiscono la medesima formula sacra.
   La terza lettura è suggerita da una certa “obliquità” della scritta stessa. La scritta non è incisa seguendo una linea dritta, il primo tratto (partendo da sinistra), non è affianco allo yod, ma sopra di esso, mentre il determinativo è esattamente a destra dello yod.
   Questa obliquità ci deve far riflettere, essendo nella scrittura nuragica un espediente per mettere in guardia il lettore sull'ambiguità della formula.
   In forza di ciò possiamo in sostanza ipotizzare (ma solo ipotizzare con estrema cautela), che la scritta sia da ruotare di 90° in senso orario e in tal modo leggere agevolmente il trilittero dall’alto verso il basso “yhq”,
 [6]
fig. 12
per il qual caso però, mancano al momento attestazioni che comprovino il reale intento scrittorio,  che potrebbe essere inteso “yh-q” nel senso di “yh santo” in quanto, come ci informa Mauro Perani, Professore Ordinario di ebraico presso l’Università di Bologna, dipartimento di Beni Culturali nella sede staccata di Ravenna, il “Qoph” in ebraico è acronimo di “Qadooš” che significa appunto “santo”.[7]  Lo stesso Perani dice: «Oggi, soprattutto grazie ad un contributo fondamentale di Giorgio R. Cardona, l’approccio allo studio della comunicazione scritta si è esteso ad una più vasta indagine di tipo antropologico, in base alla quale la scrittura è considerata come ambito di primaria importanza della produzione ideologica e simbolica dei gruppi sociali umani. Da questi studi emerge come questa sia uno degli strumenti più potenti di manipolazione della realtà, di conoscenza nonché di controllo e trasmissione del sapere, e come il significato culturale della scrittura vada ben al di là della sua funzione tecnica di segno grafico per la comunicazione scritta e orale. Ogni sistema di scrittura è storicamente connesso non solo ad aspetti conoscitivi e comunicativi della relazione fra i membri di un gruppo, ma esso è sempre legato e determinato anche da aspetti ideologici, magici, sacrali e mistici. Solo un approccio che esamini la scrittura considerando questo ampio spettro di valenze, può farci veramente comprendere in pieno il gruppo sociale che l’ha prodotta. Se questo è vero per tutti i tipi di scritture, per la cultura ebraica, se possibile, è di una rilevanza davvero impressionante,…».

   In ragione di ciò possiamo ipotizzare, vista la stringente relazione tra ebraismo biblico e scrittura “religiosa” nuragica, che quest’ultima si sia servita degli stessi simbolismi della prima. [8]

   Ritornando all’ultima lettura, a conforto dell’intrepretazione del trilittero quale “yh santo”, possiamo dire che una fomula sacrale simile, però in forma numerologica, la ritroviamo nella scritta di Tharros pubblicata dal Prof. Sanna su Monte Prama il 09.11.2012, ma anche nel pugnale nuragico da me pubblicato su questo blog il 29 ottobre 2015, dove con tutta evidenza (ed anticipando la spiegazione dei segni del pugnale), i grafemi li incisi sono una sequenza di 7 yh che di fatto restituisce la stessa formula sacra “yh santo”, della nostra scritta.

   Ribadiamo che questa terza lettura è solo una congettura e tale rimarrà in attesa di altre testimonianze in tal senso; solo allora potremmo constatare che in un semplice trilittero possiamo cogliere tre livelli di scrittura; presenza di livelli di scrittura ampiamente attestata nella scrittura nuragica (vedi i sigilli di Tzricotu, oppure la stele di Nora o ancora la stele funeraria di Allai[9]), che restituiscono, come vedremo più avanti, quattro formule sacre.
   Si potrebbe obiettare che, per quanto spiegato in nota (8), tra le prime due letture (in orizzontale) e la terza (quella verticale), sia inverosimile lo scambio del significato dei segni, ossia lo stesso segno letto in orizzontale è uno “he”, mentre letto in verticale è uno “yod”, così pure il determinativo “he→lui” che si trasforma in un “qoph→santo”, ma ciò rientra ancora nella prassi del rebus della scrittura nuragica, per via della polisemia dei segni; e questo potrebbe essere il motivo per il quale la figurina dello “he→Tinnit” sia stata realizzata senza le braccia.
   Se quanto qui ipotizzato risultasse vero dovremmo forse rivedere, in ambito nuragico, la disposizione dei grafemi nell’elenco alfabetico, assegnando il 7° posto al quel qoph in ragione della sua valenza numerologica e, prendendo in prestito dalla matematica il concetto di proprietà transitiva, potremmo dire che: se 7 = santo e santo = qoph (qadooš), allora 7 = qoph.

   Il supporto

   Abbiamo parlato diffusamente della scritta ma non del supporto, che nella scrittura nuragica è importante quanto la scritta stessa, perché esso e la base di scrittura, ossia lo hdm che restituisce per acrofonia il determinativo “lui”.
   Riflettendo mi rendo conto che qui abbiamo la stessa identica connotazione della scritta di Maymoni (che allora non cogliemmo, ma che ora è resa palese da questa lettura), dove la scritta di quei tre grafemi «forza del toro signore lui» è scolpita sopra una superficie piana, lo «hdm», e anche lì è parte di un rebus disperso nella scena, che indica lì, il volto taurino di Maymoni, qui similmente, tramite quella mano incisa sulla pietra,[10] significa un qualcosa legato al “nl’ag”, ossia al “toro della luce”.


 fig. 13 Individuazione della mano incisa

fig. 14 Nella fotografia l’immagine appena si percepisce

fig. 15 Risulta un po’ più evidente con la luce radente.

   La lettura del trilittero risulta complessa, ma non tanto sul piano interpretativo della sequenza scrittoria: combinazione di segni che restituiscono sempre le solite formule sacrali: «lui divino, vivificante lui, lui santo» etc., quanto nella sua interpretazione dal punto di vista teologico, in quanto lo scriba avrebbe creato, con quella obliquità e con una sequenza di sole tre lettere, un messaggio complesso e criptico ben preciso, ossia: «in qualunque posizione rispetto alla scritta tu ti possa trovare e qualunque punto di vista privilegiato tu possa assumere, la formula sacrale è sempre e comunque intellegibile», tanto che nulla vieta di leggere il trilittero dal basso verso l’alto, o meglio dal punto diametralmente opposto alla terza lettura (e quindi sempre dall’alto verso il basso), nel seguente modo: qadooš hySanto vivificante.
fig. 16

   Ma il messaggio riguarda anche i singoli grafemi lineari che, per quanto detto in nota (8), dimostrano tutta la loro natura androgina che, a seconda del punto di vista rimarcano ora la loro natura maschile, ora quello femminile. Quello che non cambia, e lo dimostra palesemente, è l’essenza divina che da pronome personale Lui (yh) diventa aggettivo qualificativo Santo (yh), o viceversa, ad indicare in modo diverso sempre e comunque il divino.

   In fine, riassumendo possiamo dire che la scritta di nuraghe Tradòri possa essere letta nei seguenti modi ed avere questo significato:
     ↓yh q                      ↓q hy                    →hy h         ←h yh
yh[w] santo       santo vivificante      vivificante lui  lui yh[w]    

   A ben vedere notiamo due letture a due a due palindrome, che restituiscono nella loro palindromia l’essenza M/F (attributo vivificante), e nel numero “quattro[11]: numero delle frasi formulari, la “forza” di quell’essenza ricavata (scolpita) nella “base → hdm” di roccia immortale.

   La lettura proposta però non è completa, dobbiamo aggiungere la seconda parte del rebus, quello dato dalla mano incisa sul masso del nuraghe; quella mano che restituisce il grafema "kaph", ossia "albero della vita", che a guardar bene è agglutinato al "nl'ag", quasi a voler ribadire che le due entità sono strettamente connesse semanticamente.

Per tanto possiamo leggere in definitiva:
     yh q              q hy                hy h      h yh     4     hdm[12]   k                     nl’ag
yh santo||santo vivificante||vivificante lui||lui yh||forza|| lui ||albero della vita||toro della luce


   La sequenza qui rilevata«4 hdm k nl’ag» la ritroviamo attestata nel coccio di Pozzomaggiore dove, lì è scritto«h k nr 4», ossia «forza [della] luce dell’albero della vita», qui potrebbe avere un significato simile.

Scrivendo in modo prosaico la frase assume questo tenore:
yh santo vivificante, vivificante lui yh, lui forza  vitale (del) toro della luce.
   Ma chi è il toro della luce? E' il sole, inteso quale manifestazione di yh.

   Ecco che in quest’ottica si inserisce a questo punto il dato astronomico, quello che difficilmente si riesce ad accoppiare alle formule sacre, ma che è parte integrale della formula stessa, a voler indicare materialmente il destinatario di queste preghiere.
   Nell’immagine di fig. 17, abbiamo evidenziato una linea blu che unisce i punti  medi dei grafemi estremi; in tal modo si evince che la scritta è orientata all’alba del solstizio d’inverno e conseguentemente al tramonto del solstizio d’estate.[13]
   Riflettendo si riesce a comprendere che «l’alba» del solstizio d’inverno è metafora dell’inizio di un periodo (23 dicembre, le giornate iniziano a crescere preannunciando il risveglio della natura, il grano ha già levato le prime foglioline).
   Il «tramonto» del solstizio d’estate è metafora della fine di quel periodo (23 giugno, le giornate solo al culmine della crescita, dopo di che iniziano a ridursi, il grano e maturo ed ha inizio il periodo della mietitura). Per tanto la formula sacra potrebbe essere indirizzata al divino quale auspicio di buon raccolto.


fig.17
   Pura e semplice coincidenza?
   Non penso si possa parlare di pura coincidenza. Il primo indizio lo troviamo “leggendo” il sito del volto di Maymoni dove, come già accennato, abbiamo trovato già alcune similitudini col sito di Tradòri, la prima riguarda il rebus, che non si limita alla scritta sull’altare, ma continua (indicandolo), nel volto taurino; la seconda è lo stesso altare, ossia lo «hdm», la terza similitudine la riscontriamo nell’orientamento astronomico: a Maymoni, un lato del triangolo divino è orientato agli equinozi (ma il volto è conformato ed orientato in modo particolare: vedi nota 14), mentre a Tradòri la scritta è orientata all’alba di un solstizio e di conseguenza al tramonto dell’altro, ma similmente al sito di Maymoni, indica un arco temporale, qui legato al ciclo vegetativo.
    Nella sala da ballo di San Giovanni di Sinnis, pure lì il rebus ed è influenzato dall’aspetto astronomico, che non è certo di secondo, ma di primissimo piano, investendo in un rebus quasi stereoscopico, equinozi e solstizi.[14]
   Un terzo indizio vorrei produrre, a suggello della prova, ma lo esporrò in un prossimo lavoro. Basti dire che anche lì scrittura e manifestazione astronomica vanno di pari passo.


   La griglia di Sassari
   A questo punto è necessario sottoporre al vaglio della griglia di Sassari la scrittura epigrafica.
- 1       Il significato (fallico) del supporto
- 2       La numerologia (presenza di numeri sacri significativi)
- 3       I pittogrammi logografici (un segno figurativo una parola)
- 4       I pittogrammi acrofonici (un segno figurativo é la consonante iniziale della parola)
- 5       I segni lineari schematici
- 6       Gli agglutinamenti (due o più segni “legati”)
- 7       I determinativi
- 8       La polisemia
- 9       La lettura varia
                                              
1. supporto
E’ possibile che il masso possa essere inteso quale elemento fallico?
E’ difficile affermare questo, ma in quel masso vedrei più verosimilmente il punto di appoggio, ossia hdm della formula sacra. (1)

2. numerologia
Possiamo contare tre grafemi, tre livelli di lettura: dx-sx, sx-dx, alto-basso, tre determinativi dati dalla lettura palindroma: lui yh, vivificante lui (in questo caso è sempre lo stesso determinativo, quindi 1), dal numero 3 = → he   reso dal numero di grafemi e dallo he acrofonico della base di scrittura hdm.
      Ma non è tutto, perché abbiamo quattro modi di leggere la formula sacrale, ossia:
      yh q || q hy || h yh || hy h, che restituisce il significato di forza, scolpita nella base → hdm. (4)

3. pittogrammi logografici
La figurina di Tinnit/he – qoph , mano “kaph”, nl’ag (3)

4. pittogrammi acrofonici         
 Qoph di Qadooš → Santo (1)

5. segni lineari schematici
Asta dello yod e dello he (2)

6. agglutinamenti
A primo acchito sembrerebbe non ci siano agglutinamenti, ma uno molto particolare lo individuerei in quella mano “agglutinata” al nuraghe, ossia “k nl’ag”. (1)

7. determinativi
Sono presenti tre determinativi: lo «he» della base «hdm», lo «he» dato dalla «Tinnit», lo «he» dato dal  «3»: numero di grafemi. (3)
 
8. polisemia
 Lo yod della lettura orizzontale diventa he nella lettura verticale e di conseguenza lo he della lettura orizzontale diventa yod in quella verticale, mentre il determinativo lui della lettura orizzontale, diventa santo in quella verticale. (3)

9. lettura varia
La scritta è intelligibile da sinistra verso destra, da destra verso sinistra, dall’alto verso il basso. (3)


[1] Naturalmente è la esse sonora di “rosa”.

[2] Vedi articolo “Il forno di Tradori” su Monte prama blog  all’indirizzo http://monteprama.blogspot.it/2015/01/il-forno-di-tradori.html

[6] Il qoph nel repertorio della scrittur anruagica  fin’ora è attestato solo nella tavoletta A3 di Tzricotu.  
 Lo ritroviamo nella forma di nuraghe Tradori in ambito Protosinaitico http://monteprama.blogspot.it/2014/09/pillole-alfabetiche-qof.html.

[7] Da: «Lettere come simboli Aspetti ideologici della scrittura  tra passato e presente» a cura di Paola Degni – edizione FORUM Udine 2012 - M AURO P ERANI - LETTERE EBRAICHE COME SIMBOLI. IDEOLOGIA  E SIMBOLICA DELLA  INGUA PARLATA DA DIO NEL  SUO VIAGGIO DA SIMBOLO A LETTERA E RITORNO pag. 121. https://www.academia.edu/5368903/Lettere_ebraiche_come_simboli._Ideologia_e_simbolica_della_lingua_parlata_da_Dio_nel_suo_viaggio_da_simbolo_a_lettera_e_ritorno_in_P._DEGNI_cur._Lettere_come_simboli._Aspetti_ideologici_della_scrittura_tra_passato_e_presente_Udine_Forum_2012_Libri_e_Biblioteche_29_pp._119-170

[8] Mi rendo conto che l’azzardo è notevole, perché non supportato da attestazioni simili. In sostanza la mia ipotesi prevede una doppia lettura orizzontale palindorma dx-sx e sx-dx ed una terza lettura dall’altro verso il basso; per la quale terza lettura, è necessaria la rotazione del testo rispetto a chi legge, o meglio viceversa, lo spostamento di posizione dell’osservatore rispetto alla scritta; come nelle immagini pseudo olografiche delle cartoline che cambiano immagine ruotando il punto di osservazione. Nella nostra scritta, in modo improvviso, i grafemi si scambiano di ruolo: lo he orizzontale diventa uno yod e viceversa lo yod orizzontale diventa uno he, mentre lo he determinativo cambia ma solo apparentemente, in quanto dal significato orizzontale lui [yhw] modifica solo l’appellativo in santo; ma come ben sappiamo l’appellativo di santo è attributo esclusivo della divinità. Per tanto lo he ed il qoph mirano ad indicare sempre il divino yhw.h.

[10] Si tenga conto che, come già spiegato, l’accesso al nuraghe è completamente interrato da un potente strato di detriti, per tanto il masso recante incisa la mano o il “kaph” (è la stessa cosa), che attualmente è posto a poche decine di centimetri dal piano di calpestio, in origine era ad una quota rilevante, la medesima della scritta.

[11] Si noti che benché le frasi formulari siano in numero di quattro, i livelli di lettura sono comunque tre: da destra a sinistra, da sinistra a destra, dall’alto verso il basso.

[12] Non riuscivo a dare la giusta sequenza alla scritta, alla fine mi sono reso conto che lo «hdm» era da inserire alla fine del trilittero, come nella costruzione della parola NUR-’AK-HE come ci spiega il Prof. Sanna (http://monteprama.blogspot.it/2013/06/beccatevi-questo-agglutinamento-ab.html primo commento).

[14] Studiando i due siti: Maymoni e Sala da ballo di San Giovanni, mi sono reso conto che le similitudini simboliche sono stringenti; in particolare ho potuto dare una spiegazione a quel volto a metà di Maymoni; un volto che ho sempre pensato fosse un mezzo volto voluto dallo scultore. Raffrontando il volto con quello della Sala da ballo, penso di dover rettificare (almeno in parte), le mie considerazioni su Maymoni; lì dove vedevo un omaggio alla divinità solare solo all’alba degli equinozi; ora vi vedo un omaggio al periodo che va dall’equinozio di primavera al solstizio d’estate, in un continuo di progressiva illuminazione del volto, che dopo il 21 giugno man mano progressivamente decresce nella sua intensità, fino all’equinozio d’autunno, per entrare in ombra totale fino al solstizio d’inverno.
    Parimenti nella Sala da ballo, il volto anche lì si esprime a metà in occasione dei solstizi, omaggiando però, il “tramonto” della divinità solare.

36 commenti:

  1. Bravi davvero. Sai cosa si legge in "Lucatuorto, G. (1980), Il culto betilico e pesi da telaio. Archivio Storico Pugliese 33: 365-284"? "La divinità emblematizzata in una pietra a guisa di cono o di dente, poi sessualizzata e indi antropomorfizzata-menhir, betilo,pilastro, obelisco,lingam, Mutunus lutunus, Priapo — fu criptosimbolicamente rappresentata con un trattino verticale — si pensi al significato che assume: il dito medio in posizione itifallica - col segno che leggiamo "i" e col quale Dante simboleggiò il sommo bene. È il sole, la monade pitagorica, il principio attivo opposto al principio passivo, umido, lunare — pietra tonda, base, punto, yoni. Cteis, Dea Madre — espresso criptosimbolicamente da un trattino orizzontale." (e anche: G.M. Corrias, ll simbolo dell’asta e il primo nome di Dio nel XXVI del Paradiso di Dante, monteprama.blogspot.it 24 GENNAIO 2013)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Questo supera ogni ragionevole dubbio (se ancora ce ne fossero), sulla realtà della scrittura nuragica, realizzata per archetipi primordiali ed indirizzata all’archetipo divino.
      Atropa conoscevi la Tinnit di Sindia?

      Elimina
  2. Sono talmente sconvolta per gli attentati e la quantità di morti a Parigi che ho aperto il computer nella speranza di avere belle notizie ed eccole.Signor Angei ma come mai le scritte che si ritrovano in questi siti nuragici si notano solo ora dopo millenni?Forse era tale la convinzione che i nuragici non fossero in grado di scrivere che la mente degli esperti si rifutava di vedere simili scritture.? La chiusura mentale crea brutti scherzi davvero.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Signora Grazia, non c’è da stupirsi, si trova quel che si cerca e si cerca quel che si conosce.
      Una volta andai con un amico a cogliere asparagi, dopo mezz’ora, lui si volta verso di me e domanda, indicando il mazzo che avevo in mano “Vedo che sei stato più fortunato di me, dove li hai trovati?” Gli rispondo: “Seguendo te!”.
      L’asparago si individua a colpo d’occhio, mimetizzato com’è tra mille altri steli e mille sfumature di verde.

      Elimina
    2. L'esempio,signor Angei, è azzeccato ma,in questo caso,secondo me, c'è un tantino di malafede ed una buona dose di ottusità.

      Elimina
  3. Intanto felicità (e felicitazioni, anzitutto al Sanna Bianca) per questa nuova scoperta, per questo asparago riconosciuto appresso ai passi di tanti e tanti.
    Quindi questi grafemi, direi inequivocabili (dei quali si potrà solo provare a dire che sono successivi al nuragico e opera di qualche perdigiorno, figuriamoci), rimarranno nell’elenco dei documenti di scrittura che aggiorniamo e al confronto con i quali chiamiamo gli onesti.
    Ciò detto, apprezzando comunque (ancora) lo sforzo ermeneutico di Sandro, devo esporre due osservazioni appunto sull’impegno interpretativo.
    Intanto, banalmente, mi colpisce quali segni si riconoscano e quali no (?). Ci siamo detti mille volte che dalle immagini non si può giudicare e che chi parla per aver visto e toccato direttamente prevale su chi si arrangia con le sole foto (l’ho sperimentato direttamente con il pozzo di Mistras, ne sono quindi più che persuaso). Qualcuno però dovrà pur chiedere conferme sul fatto che quel segno che le foto mostrano a destra dei segni riconosciuti (una sorta di C, quasi <) non sia esso stesso interpretabile come un grafema (lì niente sale, nel senso del sale da cucina della prova).
    Poi quella Tinnit/He (o, altrimenti vista, Qoph): perché non un Beth (come, mi salta in mente quella, nella fusaiola di Palmavera)?
    Infine, in generale, mi confermo nel rammarico che se mai fossimo nel giusto lungo il percorso di prove raccolte interpretazione dopo interpretazione, sulle quali continuiamo a costruire, potrebbe dirsi che i Nuragici ci hanno tirato un brutto scherzo (sardonici quali erano) a metterci nella condizione di sostenere i loro mutevoli codici e i loro ricorrenti significati davanti agli scettici: quando troviamo che tre o quattro segni possono essere letti in pressoché qualsiasi modo (ciascuno e nel loro insieme) e che lo stesso finiscono per darci formule simili e dal comune significato teologico, è segno appunto che o siamo mirabilmente entrati in un codice comunicativo elusivo quanto un pressoché irrisolvibile gioco di specchi (e allora saremmo davvero bravi, bravissimi) oppure abbiamo costruito noi un codice che, nell’esiguo numero dei significati complessivi ammessi, può farci arrivare ad essi in quasi infiniti modi, quindi apparentemente su qualsiasi reperto di segni (e allora sarebbe la nostra buona volontà ad averci giocato uno scherzo).
    Questi i dubbi, spero ammissibili e non solo miei. Ma voglio chiudere, a costo di ripetermi, rimarcando quanto detto sopra: anche questi grafemi, direi inequivocabili, rimarranno nell’elenco dei documenti di scrittura che aggiorniamo e al confronto con i quali, comunque, chiamiamo gli onesti.
    Perciò, ribadisco, felicità e felicitazioni.

    RispondiElimina
  4. Caro Sandro, ci avete proposto una cosa fantastica!
    Naturalmente ti lascio cuocere nel tuo brodo, se per caso ti fosse venuto il dubbio di interpretare quel "fantastica!" nel senso di "meravigliosa, strabiliante" o come un semplice "parto di fantasia".
    A parte gli scherzi, meno male che i segni sono solamente tre, diversamente, nel caso di una cosetta come la Stele di Nora o un probabile Tzricottu 6, ci avresti trovato la "Bibbia nuragica". E magari c'imponevi di mandarla a memoria durante le vacanze di Natale,
    Mi è sorta qualche curiosità: sulla dx in fig. 7, dopo quel segno tipo "infinito" delle macchine fotografiche, si scorge un'ombra che appare come un ulteriore segno, anche perché dista più o meno altrettanto di quanto lo facciano gli altri segni fra loro. Forse si tratta solamente di un effetto ottico? O è il prodotto del deperimento del masso per il trascorrere del tempo?
    Nelle figg. 13 e 14, è vero che la mano si addossa bene ai segni, ma perché prescindere da quei due notevolissimi buchi che non paiono naturali e dunque non sono lì per caso? Abbiamo vari esempi di questo antico fenomeno scrittorio, a cominciare dal Brassard di Locci Santus, datato intorno al XIV secolo a.C.
    Non ho ben compreso, anzi diciamo che non ho capito proprio, come mano-kaph-albero della vita sia agglutinato con nl'ak.
    Quanto alla all'intenzionalità dell'orientamento della scritta, io non insisterei più di tanto. Infatti, volendo, se ne potrebbero trovare diversi, e anche parecchi, a cominciare dall'orientamento dei due tratti rettilinei, o di un asse qualunque della Tinnit, o anche di linee tangenti di qua e di là: alla fine un orientamento si trova (chiedere a Isili, se si vuole), al Sole o alla Luna oppure, perché no?, alla Cintura di Orione, che fa tanto mistero e, aggiungerei, faciloneria, in considerazione che Orine, quello mortale e mitico, è disegnato nudo e, appunto per questo, senza cintura.
    Fra l'altro comporterebbe forse che quella scritta fosse stata eseguita dopo che il masso era stato posato in cima. Efiguriamoci pure il sacro e attempato scalpellino a cavallo di un muro, con tanto di strumenti di puntamento e uno stuolo di aiutanti a portagli l'acqua fresca da bere.
    E però, lampu!, siete bravi davvero.

    RispondiElimina
  5. La sorta di “C, quasi <” di cui parlano Francesco e Francu, posta sulla destra della scritta, non è tale, ma è una scalfittura naturale del masso. La differenza tra questo segno e i tre grafemi sta nel fatto che quelli sono stati realizzati visibilmente con punteruolo e mazzuolo, questo no. Tant’è che non l’ho preso proprio in considerazione.

    Il segno di Tinnit/he interpretato anche come qoph, potrebbe essere interpretato anche come beth, infatti il trilittero «yhb» in aramaico biblico significa «dare», ma in questo contesto cosa potrebbe significare?

    Francu, vedo che li hai notati i due buchi, anch’io ma non me la sono sentita di inserirli nella formula, benché ci possano stare. Certo potrebbero darci un beth, ma anche altro forse.

    La mano/kaph/albero della vita l’ho inteso agglutinato al «nl’ag», in quanto esso è scolpito nel «nl’ag». Dal punto di vista semantico intendo che «lui forza vitale» ha un significato a se stante ben preciso e fa “da ponte” tra la scritta trilitera e il nl’ag, ossia:
    yh santo vivificante, vivificante lui yh, lui forza vitale (del) toro della luce.

    Per quanto riguarda l’orientamento, certamente qualsiasi segno può darci un orientamento più o meno significativo, ma l’orientamento che ho individuato è quello della scritta nella sua globalità grafica non disgiunta dal significato della scritta stessa. In sostanza la scritta indica materialmente e spiega chi è il soggetto concreto della scritta stessa: il sole, solo e sempre lui.

    Certo che la scritta è stata scolpita lì in cima al muro. Come fecero? Non penso ci voglia troppa fantasia per immaginare che abbiano usato la stessa struttura usata per portare in quota lo stesso masso.

    Caro Francu, certo che il tutto è fantastico e fantasioso allo stesso tempo, ma se il “fantasioso” non fossi io ma la mente elucubrante di chi ha inciso quella scritta?
    Potrebbe anche essere che i fantasiosi siano due: il primo lo scriba, il secondo io che ho cercato di ripercorrere il suo modo di pensare.

    RispondiElimina
  6. Bene, credo fosse giusto venisse fuori (non dico che sapessi prevederlo, perché in quel caso l'avrei già detto), yhb poteva quindi significare "dare" (e non so quante altre sfumature, per esempio, del nostro dare: donare, affidare, consegnare, pagare, fino addirittura a dedicare, sacrificare, ... tutti verbi che magari, non lo so, potrebbe essere lecito interpetare pure come riflessivi).
    Cosa poteva significare quella scritta con quel significato in quello che riteniamo un edificio perlomeno anche templare? Non ci vuole troppa fantasia, dati questi elementi, per immaginare un'esortazione più o meno generica se non una prescrizione con eventuale, aggiuntiva, indicazione topografica.
    Lo dico non per fare l'indovino, ma per contemplare tra tutti come sia bene rimanere aperti a tutte le possibilità (e dichiararle), nel rispetto (sempre raccomandato da Gigi) dei documenti e, non secondariamente, delle persone che ai nostri lavori dedicano parte del loro tempo: scartare strade teoricamente praticabili senza nemmeno farne menzione (spiegando, col menzionarle, perché non ci sembrino in pratica utilmente percorribili) non realizza queste forme di rispetto, mi pare.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Francesco, interpretare quel trilittero in quel modo, a me pare fuori contesto ed è per quello che non è stato menzionato nello studio. La formula sacra segue un criterio ben preciso e quel «yhb» non soddisfa la griglia di Sassari.

      Elimina
  7. Ahia, Sandro, mi dispiace assumermi questa parte (anche se potrà sembrare il contrario, ne sono consapevole), ma quello che tu reclami è proprio ciò che dovresti evitare come il fuoco. Seguire il criterio ben preciso, rispettare la griglia di Sassari, equivale a cercare e riconoscere solo quel che già si ritiene di conoscere (si ritiene siano le giuste conoscenze) scartando tutto il resto, equivale a seguire un pregiudizio. Non nego certo che abbia importanza verificare l’applicabilità e la coerenza con la griglia di Sassari (che vuol dire tentare di leggere il documento con quelle lenti), ma occorre anche considerare e non occultare (nel rispetto, ho già detto, del documento e di chi segua il nostro lavoro, nel rispetto del metodo scientifico, per usare paroloni) altre possibili letture, che poi ovviamente possono essere giudicate come meno plausibili di altre alla luce delle motivazioni che si è in grado di esporre. Se la lettura (diciamo pure piana) di yhb è possibile addirittura con una parola aramaica biblica, questa possibilità va dichiarata (come, a monte, va dichiarato che quel grafema può essere una Beth), direi che su questo non ci sono santi. Altrimenti si dà ragione a quanti ritengono che tutto si forzi pur di rientrare in quella griglia e in quei formulari. Si rivelerà pure la strada giusta, non lo so, ma batterla in questo modo finisce, temo, per non rendere giustizia all’impegno e all’intelligenza che invece traboccano anche da questo articolo.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Verificare la scritta con la griglia di Sassari significa riscontrare se quella scritta segue le regole di quel linguaggio, come tutti i linguaggi d’altronde.
      Non si confonda la variatio fantasiosa usata dagli scribi all’interno di quelle regole con fantasia a tutto campo.
      Poi il fatto che non lo abbia rimarcato quel “yhb” rientra nella logica di questo articolo, ossia, pensi che i due fori posti sopra la mano non li avessimo visti Stefano ed io?
      Ti sei domandato perché alla fine di ogni punto della griglia di Sassari c’è un numero rosso tra parentesi? Non sono numeri di nota.

      Elimina
    2. Sandro, se mi rispondi “che non lo abbia rimarcato quel ‘yhb’ rientra nella logica di questo articolo” mi lasci a constatare che allora è proprio la logica di questo articolo, quella che tu intendi esso abbia, che starò criticando (e mi lasci a credere, pur concentrandomi sulle tue risposte, sia giusto farlo).
      Mi parli dei fori che ha sollevato Francu, ma una cosa è non dare spazio ai fori (che potrebbero eventualmente apportare significati ulteriori), altra non considerare la possibile normalità di una Beth e il significato piano che potrebbe acquistare con questa il lemma (poi ci lamentiamo quando non troviamo parole diverse dal solito; e non sono affatto affezionato a quel ‘dare’, non sto affatto suggerendo che collimi meglio con alcunchè).
      Il significato di quei numeri in rosso, infine, credevo di averlo capito; ora che me lo chiedi con questa intenzione, poiché la cosa non mi illumina circa questo discorso, potrei credere di non aver capito tutto (ma non mi stai aiutando, eventualmente ci fosse altro da capire, a capire quest’altro). O vuoi dire che poiché i singoli punti della griglia di Sassari possono dirsi rispettati molte volte (e magari in quantità numerologicamente interessanti) allora il documento è da leggersi (e trattarsi) così e basta?
      Resterà, inattaccabile, che l’evidente difficoltà degli scopritori nell’interpretare i segni (difficoltà manifesta quando le interpretazioni cui pervengono, corrette o meno che potranno forse mai definitivamente giudicarsi, appaiono intanto non meno aleatorie di quelle che scarterebbero) depone per escludere che quei segni li abbiano realizzati o commissionati loro. Per noi non c’era affatto bisogno di una simile prova indiretta (solo parlarne potrebbe anzi sembrare offensivo), ma per gli altri, per terzi, per gli onesti che decidessero di considerare appunto onestamente i reperti/documenti che continuano a evidenziarsi, anche questo avrà il suo peso.

      Elimina
    3. Il discorso mi riporta a quanto già discusso: quanto abbia senso battere sulle interpretazioni o quanto ne abbia di più battere distintamente sul fatto che comunque ci sono e si accumulano reperti/documenti con scrittura le cui datazioni dirette o indirette devono farli considerare nuragici. Possono vedersi due rotaie relativamente indipendenti: se potessimo dirci sicuri delle interpretazioni potremmo considerarle rotaie parallele che viaggiano di pari passo; se riconosciamo che le interpretazioni non possiamo dirle sicure, invece, dovremmo contemplare che mentre la rotaia dei reperti/documenti procede dritta (al netto di qualche reperto bidone, nel quale sempre si potrà incappare) quella delle interpretazioni può andare per conto suo, da un lato o dall’altro, in avanti o indietro (dove, di preciso, lo si scoprirà forse più avanti). È ovvio che quando spingersi nelle interpretazioni porta a un Yhwh pre-biblico (con bellissimi tetragrammi criptici) e al Toro e quindi ai rapporti del tempo con le civiltà cananaica ed egizia con luce solare e lunare e maschile e femminile e androgino e forza vivificante, allora l’impressione di averci preso e di trovarsi a casa è forte e su queste basi ci si può sentire ancora legittimati a erigere meravigliose torri di senso; è certamente una rotaia da non snobbare, da guardare con molta attenzione e però, specie nel costruire queste torri di senso, anche con molta misura. Intanto però gli studiosi che reclamano il loro dover rimanere legati alle verifiche e conferme del metodo scientifico sono rimasti indietro sulla rotaia dei reperti/documenti, e mi preoccupa che noi (per quanto smuovere utilmente questo processo possa stare in noi) non riusciamo ad aiutare loro passi avanti (o a metterli nella condizione di farli necessariamente), mentre concentriamo i nostri sforzi più sulla rotaia delle interpretazioni, assai lontani dal punto in cui loro sono fermi su quell’altra.
      Già immagino Gigi o anche Aba spazientiti che mi chiederebbero, a questo punto, cosa in sostanza io proporrei di fare. Non so, è questo l’insicuro incipit della risposta; o almeno non so di preciso. Mi sembra, però, che la stessa datazione della navicella di Teti non ce la siamo ancora spesa come meriterebbe (certo, nel migliore dei mondi possibili non sarebbe stato necessario per nessun “laico” fare niente, il dato scientifico avrebbe da sé mosso l’Accademia a prenderne atto e correggere opportunamente le proprie rotte, a verificare ipotesi coerenti con questo e a cercarne altri). E mi sembra che in questo auspicato processo di presa d’atto, intanto, di una scrittura nuragica purchessia, non consideriamo abbastanza l’utilità dei lavori di Giovanni Ugas, il quale pure cerca di imporre all’attenzione dell’Accademia (di cui può ben essere considerato un membro) la considerazione di un numero di reperti/documenti da ritenersi già considerevole. A prescindere dal fatto che noi (diciamo pure “che Gigi Sanna”, ben sapendo che non è solo) e Ugas si abbia diverse opinioni su questa scrittura e sulla mole dei documenti, resta il fatto che anzitutto dovremmo tenere tutti a imporre la considerazione di un loro numero sufficiente, per iniziare. Se riuscissimo in questo, il resto dovrebbe o almeno potrebbe procedere, per quanto lentamente, in discesa.

      Elimina
  8. Sino a ora, mi sembra, è stato usato il termine agglutinamento quando due segni scrittori sono fusi in uno soltanto, spesso per rispettare il numero sacro dei segni, fosse esso 3 o 3x3, o 12, e via dicendo.
    In questo caso non mi sembra che si verifichi l'evento, però adesso ho capito cosa volevi dire.

    Quanto al santo scalpellino che si arrampica sul muro per incidere e orientare, tu la fai facile perché pensi da architetto, ma se provassi a pensarla da manovale, non escluderesti la possibilità delle scritte eseguite prima della posa in opera, per farci comprendere che anch'esse facevano parte del medesimo progetto e non sono qualcosa di accessorio venuto dopo, chissà quanto dopo. Lo capirei meglio per le scritte di Maymoni e della Sala da ballo, ma quando si parla di costruzioni umane, l'analogia non regge.
    .
    Quanto all'orientamento, scusa se insisto, ne abbiamo visto per Tombe dei Giganti, per nuraghi, per finestrelle laterali di essi, per tutte le cose antiche in cui s'incappa a camminare sulle terre di Sardegna. Per ognuna si è trovato un allineamento, maggiore o minore, primavera-estate-autunno come le sfilate di moda. Non dimenticare che il Sole ha molte direzioni, la più stabile delle quali, qualsiasi sia la stagione, è quella del mezzogiorno: sempre la stessa direzione, sia breve o lunga la giornata. Putacaso, se osservi, quasi mai si trovano allineamenti col Mezzogiorno. Delle due, l'una: o i Nuracini non si erano accorti di questo, forse perché soffrivano di artrosi cervicale e non potevano rovesciare la testa all'indietro per osservare il Sole allo Zenit (e si dovrà tenerne conto negli studi dei sepolti a Monti Prama, che presentano il capo rovesciato in avanti a guardare in direzione del loro fu-pisello); oppure ci stiamo inventando un'esigenza che i Nuracini non avevano percepito, o almeno non così pressante.
    Senza contare che, essendo le due scritte ben in relazione, hai forse calcolato dove punti l'asse di collegamento fra le stesse? Magari ci dà il Mezzogiorno, giusta l'ora canonica del pranzo, nella lunga epoca in cui si è lavorato in campagna e si è guardato in alto, qualche volta, in qualche stagione, per maledirlo questo Sole prepotente.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Il mezzogiorno non è individuabile in modo preciso senza un punto di riferimento, tant’è (e questo l’ho spiegato in Tanat panè Ba‛al), la direzione che il sole indica con esattezza è quella della congiungente un punto prima del mezzogiorno ed uno speculare dopo il mezzogiorno, ossia Est-Ovest.
      Per quanto riguarda l’orientamento della scritta, perché non avrebbero potuto inciderla orientata col masso già in posizione? Non è così difficile e non parlo da tecnico ma da costruttore, ossia non come colui che “sa fare”, ma come colui “che fa”.

      Elimina
  9. PS: guarda che il sepolto che guarda il suo fu-pisello non è una facile battuta, anche se può sembrare.
    Infatti, prova a chiamare quel coso "Fallo" che già ti viene in mente un attributo essenziale della Divinità.
    E che altro si aspetta un Gigantino ritirato nell'utero materno se non l'intervento del Fallo che tutto vivifica? Anzi, "che tutto rende vivo", giusto perché non voglio giocare con quella voce trastulla di verbo che è "vi-vi-fi-ca", che ci distrarrebbe e non poco, dato che tutti ne abbiamo una, chi in testa, chi altrove allocata.

    RispondiElimina
  10. Francesco, una persona mi disse un giorno, di non mettere troppa carne sul fuoco e di tirare le briglie del cavallo focoso quando corre troppo.
    In questo articolo ho già messo molta carne sul fuoco. Quel «yhb» sarebbe (forse lo è?), un livello di lettura, non farebbe una grinza dal punto di vista numerologico, ma la mia è solo una interpretazione molto cauta del trilitero, tant’è che l’ho rimarcato più volte nell’articolo.
    Quel «beth» formato da due buchi sovrapposti poteva pure lui starci, ma non sono poi tanto sicuro che siano intenzionali, benché la loro mutua posizione possa farci intendere che lo siano, posti come sono uno sulla verticale dell’altro, rimango per tanto in attesa di altri riscontri.
    Per quanto riguarda quei numeri posti a fine di ogni regola della griglia di Sassari, sono indizi di una combinazione numerologica, che fa parte forse del rebus scrittorio, ma anche lì non l’ho esplicitamente manifestato per cautela, ma ho dato un input.
    Ma in tutto questo l’importate non è il gioco di lettere e di numeri in se, che riporta sempre alle solite formule sacre, quanto il riuscire a penetrare nel ragionamento che quegli scribi fecero per rendere il rebus più ermetico possibile perché, come dice Prof. Sanna, facevano a gara per renderlo il più criptico possibile.
    Per scardinare questa serratura ermetica occorre immedesimarsi nel loro modo di pensare, cercando di liberare la mente da pregiudizi e costruzioni mentali moderne, compito difficilissimo ma non impossibile. Fino a non molto tempo fa ero convinto che la mente di quelle antiche genti fosse guidata da ragionamenti semplici e lineari, da un po’ di tempo a questa parte penso che la loro genialità fosse imparagonabilmente intricata e fantasiosa, per non dire allucinatamente visionaria. Il pozzo di Santa Cristina è un esempio concreto di questa allucinazione visionaria, dove finissima architettura, astronomia e ed eventi ciclici della natura si amalgamano in una sorta di calendario solare. La piramide di Cheope è un altro esempio di questa allucinata visionarietà, perché prima di posare la prima pietra, quei sacerdoti/astronomi/architetti avevano già chiaro in mente le modalità di esecuzione sin nei minimi particolari di quel monumento, nulla fu lasciato al caso.
    Ci sarebbero molte cose da dire, ma fanno parte di altri lavori legati ad altre scoperte, per tanto è prematuro parlarne, ma sappi che ci sono. Non a caso mi sono sbilanciato sulla parte che riguarda l’astronomia, perché si sta scoprendo che scrittura monumentale ed evento astronomico vanno di pari passo e quello che a noi può sembrare astruso e troppo sofisticato per essere vero, potrebbe rientrare invece, nel normale pensare di quelle genti.
    Naturalmente ora tu Francesco ed altri credo, penserete che sono io il visionario e forse è così, ma ho già dato modo di provare quel che dico ricostruendo antichi gesti legati all’attitudine di quelle antiche genti nel risolvere i propri problemi con i soli metodi e materiali che avevano a loro disposizione.
    Ecco che in quest’ottica, quel «yhb» è poco più di un dettaglio che può essere importante ma non basilare, nel senso che esso potrebbe far parte come valore aggiunto della frase già formulata che suonerebbe: «yh santo vivificante, vivificante lui yh, dà, lui forza vitale (al) toro della luce». Il senso della frase non cambia di molto, tanto che anche questo è un dettaglio.

    RispondiElimina
  11. Signor Angei,non mi addentro in argomenti a me sconosciuti ma molto interessanti ed anche affascinanti però mi permetta di dirle che lei oltre ad essere una persona molto preparata è anche gentile e paziente,doti rare,al giorno d'oggi.

    RispondiElimina
  12. Beh, dall'alto della mia ignoranza in materia, non posso entrare nel merito.
    Voglio soltanto rimarcare come, anch'io ignorante, ho potuto godere della qualità del discettare che quì si è intavolato!
    Mi è rimasta una grande soddisfazione, per il dialogo aperto e la verbalità contenuta, ma non dormiente, che ha sospinto le opinioni a cercare il sopravvento dialettico per il mezzo della propria filosofia di vita.
    La persona che apertamente pensa è sempre vittoriosa!
    Grazie, mikkelj.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Signor Mikkelj,sono contenta che lei,ogni tanto,intervenga ed riaccetto la sua vena polemica nei miei confronti"dall'alto della mia ignoranza.."mi creda sono tutto fuorché alta,forse un po' impicciona?

      Elimina
  13. Ricordo, Signora Grazia, che quando aveva tratteggiato le vignette di noi che ci troviamo sul blog aveva detto di avvertire anche nei miei confronti una certa soggezione. Mi compiaccio, quindi, che il suo coraggio prevalga sulla inibizione, quando vedo come non si trattiene dal segnalare che a sopportarmi ci vuole tutta la pazienza di una persona gentile. Un coraggio, il suo, tanto più apprezzabile in quanto nemmeno velato da formalismi, dal momento che per questa segnalazione non chiede a me retoriche scuse, ma al Signor Angei. Mi fa piacere, dunque, che verifichi con mano come questa soggezione fosse infondata, come non debba avere (figuriamoci) nulla da temere a muovere, quando le sembri il caso, le sue critiche. Critiche che forse dovrei condividere con il Signor Francu, anche lui (potrebbe dirsi) affrontato qui con gentile pazienza da Sandro: possibile, Signora Grazia, che lei stesse muovendo una critica anche al suo mito? Farò comunque conto che fosse tutta per me, così da trarne massimamente profitto.
    Grazie Mikkelj.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Signor Francesco,ha perfettamente ragione,la critica era a lei ed al mio mito,che resta mito.In questi giorni sono molto scossa per i fatti successi a Parigi e,quindi,ancora più sensibile ed ho il maledetto vizio,di correre in aiuto di persone che non solo non hanno bisogno del mio aiuto ma non me lo chiedono nemmeno;forse sono un po' presuntuosa,scusatemi.Mi porto dietro una deformazione professionale.Signor Francesco si ricordi che insieme alla soggezzione c'è anche molta stima.

      Elimina
  14. Signora Grazia la ringrazio (scusi il bisticcio di parole ma non è colpa mia se Lei si chiama così :-) ), ma il fatto che i qui presenti Francesco e Francesco mi abbiano “fatto le pulci” mi è di molto gradito perché, la strada tortuosa e ben in salita, porta a panorami più ampî, libera dai paraocchi e se la terra è ben solida, ti puoi permettere pure inebrianti capogiri!

    RispondiElimina
  15. Oia, Mikkely! Te lo dicevo io che stiamo invecchiando! Almeno tu diventi anche sabiu...

    Non abbia paura, signora Grazia, per il suo mito.
    Ha mai visto la statua di un eroe che si toglie una scarpa per un sassolino? O che almeno si gratta una caviglia?
    Qualunque cosa succeda, il suo mito resterà alto e ben fermo sul piedistallo. .
    Per i suoi occhi, naturalmente.

    Quanto a Sandro, è un uomo a quattro dimensioni: la quarta non vede, non si misura, ma si constata. Sandro è caparbio e paziente.
    So che un poco gli dispiacerà, ma quando io penso a lui non vedo il Toro nell'arena cantato da Garcia Lorca, ma piuttosto il pio Bove di Pascoli, paziente, infaticabile e, soprattutto, utilissimo.
    Se è un amico per tutti noli, come posso dirgli che va bene quando non ne sono convinto? Vado a dirlo in giro, mentre qui taccio? Qui si vive nella chiarezza e nella libertà. Qui non c'è una chiesa e una religione totalizzante. E, ancora, non ci importa di essere simpatici (tanto nessuno ci invita a cena comunque).

    RispondiElimina
    Risposte
    1. E.come al solito,il mio mito mi ha dato una bella lezione! Forse ha ragione il signor Mikkelj,spesso faccio la maestrina che rimprovera i birichini simpatici.Detto questo so già che, se mi capiterà,,risbaglierò da vera tostorruda.

      Elimina
    2. Diciamo anche più che tostorruda, sono stata una presuntuosa che crede di capire tutto l'animo umano e,in questo caso,non avevo capito proprio nulla dei rapporti che intercorrono tra persone che si stimano e possono permettersi di criticarsi con sincerità.Che figucaccia!

      Elimina
    3. Che pensiero poetico caro Francu, fossi una pulzella mi verrebbe da dire “Oh mio eroe!”
      Il pio e mansueto bove del Pascoli mi piace, mi piace pure di non dover fare la fine del toro nell’arena, tanto a ben vedere le corna smussate si possono sempre affilare e per quanto riguarda i medaglioni, beh quelli si esibiscono quando serve, mica devono essere nell’insegna. Poi le une e gli altri non devi usarle e/o sfoggiarli con gli amici.

      Elimina
  16. Ah, dimenticavo: Sandro, ma quanti problemi pone quella scritta!
    Ti è venuto in mente che le questue, in illo tempore, si facessero all'ingresso e non all'offertorio?
    E chissà che, se si fosse trattato di una ricorrenza annuale e importante, che ciascuno portasse del suo, tipo un agnello, una capra, un vitello, una gallina, ... senza contare la frutta, il formaggio, il pane delle feste, ...
    Ti ricordi le offerte del Tempio di Jerusalem?
    Avranno preso questi da quelli o ambedue dagli Egizi?
    Quella mano là ha avuto continuità nella storia dei potenti, visto che finiva nei loro stemmi gentilizi: mano rampante in campo altrui, così veniva percepita e definita.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Francu, quello che tu ipotizzi è verosimile, diciamo… al 100% perché sono straconvinto che tutti i nuraghe fossero templi.
      Sin da bambino (allora in modo in consapevole e del tutto innocente), entravo all’interno di un nuraghe come se fosse una chiesa, in punta di piedi e in perfetto silenzio; ora dopo tanti anni, entro in un nuraghe in punta di piedi e in perfetto silenzio e sono contento di aver avuto, allora, questo rispetto per la casa di un antico dio, che poi a ben vedere è il nostro Dio.

      Elimina
  17. Francu narat: "Avranno preso questi da quelli o ambedue dagli Egizi?"! Balla, però!
    Si in "ambedue dagli Egizi" bi sunt peri sos Sardos, beh, amicu meu, di deppo narrere (imbezzadu o nono dikke sies), anzis, lu soe reppittinde dae tempus meda [a di los ammentas cusso duos nikeles postos dai mene in domo 'e Samamasarda (ki los aia muttidu "collegamenti con l'Egitto") ant a esser annos duos] e di potho abbokinare afforte ki a sos atteros duos, lis amus imparadu cosa meda nois ettottu! Duncas, unu MASTRU Mannu comente a tie, bisonzat ki custas cosas las iscat e bene puru!
    Jeo in sos trabballos medas ki, cando appo tempus e gana, kirco de cuncruire (kena mai a lu resessire, ca essint caminos medas uve b'at de seperare cosas meravizosas noas e bezzas) soe idende, cada die, comente ke fimus addainanti meda. Duncas, cando as nadu ki (forzis) aiamus imparadu cosas dae s'Ezzittu, mikk'est essida custa isterrida de kistionu! Kena kerrer narrer meda. Solittante a bos avertere!
    mikkelj

    RispondiElimina
  18. Po mimi sa cosa chi fortzis podet dare fruttura est sa prima; HYH, Sunt tres sinnos chi podimos atzunghere a sos ateros chi connoschimos de diora. E puru sa paraula HYH da connoschimos de diora Chi pois su 'he' pittograficu siat unu 'qoph' est cosa chi si podet pensare. Ma pensare ebbia. Franco (non Francu), chi est acanta issu puru de currere sa sartiglia (m'apa a isbagliare?) e non de da biere solu criticandedda, at artziau su poddighittu narande a Sandru. Firmu in cue! Cussu qoph assoras, podet dare unu 'beth' ca jeo isco chi di osi d'at interpretau Gigi in s'orrodedda sassaresa. Assoras podimos pensare a unu beth logograficu e cumprendere 'Sa omo chi zaet sa vida (tiat a essere su nuraghe): HY B(ayth). Ma, torro a narrere, da podimos ‘pensare’ ebbia. Comente nd'essimos?.Nd'essimos dae sa difficultade abbaidande e cumprendinde chi sa tradutzione non podet essere in bussaca de nemos Est sa cosa bella e leza de su nuragicu e de totus sos documentos de s'antichidade. Seguresa non b'at e jeo seo cuntentu cando sas interpretatziones, totu sas possibiles, sun postas in campu a currere. Attentzione però: ‘sas possibiles’, teninde in cossideru chi issas depent sighire sa logica de medas ateros documentos. E massimamente sa logica de su 'codice' sardu antigu chi anarchicu non podet essere.
    Una cosighedda ancora: Sandru at postu in evidentzia su qoph de sa taulitta A3: Ma cussu sinnu a frochiteddu est unu qoph ugariticu. Si cherimos pausare abbaidande su protocananaicu ebbia depimos cussiderare in sa taulitta su sinnu meda prus piticu postu prus in bassu. Ma como su poddighittu meu artziau, comente sos poddighittos de sos ateros, cheret narrere custa cosa ebbia. Ca cussu sinnu a 'otto' 'enit in pigada meda a du masedare.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Speriamo davvero che qualcun'altro si decida a correre la sartiglia, almeno per formare una pariglia. Poi… da pariglia nasce pariglia.

      Elimina
  19. Narat Mikkely, e mi ddu fait pesai chi "potho abbokinare afforte ki a sos atteros duos, lis amus imparadu cosa meda nois ettottu!" (posso gridare forte che agli altri due (Ebrei e Egizi, ndr) gli abbiamo insegnato molto noi stessi (noi Sardi, ndr).
    Comenti fazzu a ti nai chi no?
    Beru est chi, in cussu tempus, deu fui piticheddeddu meda e m'arregordu pagu e nudda, ma tui gei fiasta giai matucu. Chene nai chi portas una retentiva mirabili.

    Signora Grazia, non si abbatta, non ha fatto una figuraccia per nulla. Ora sa e ciò l'aiuta a comprendere meglio l'interazione che si sviluppa nel nostro piccolo gruppo. Anzi penso, e spero, che questi termini di chiarezza vincano la resistenza di quanti vorrebbero entrare nei dibattiti, ma non si azzardano per prudenza, non conoscendo appunto le dinamiche del clan.
    In ogni caso, signora Grazia, lei continui come sempre ha fatto perché, - e questo me lo permetto - lei è come la compianta Virna Lisi: con quella bocca ...

    RispondiElimina
  20. .....dice solo sciocchezze! La ringrazio,signor Francu,ma sapesse come sono consapevole... ritardataria della mia incapacità di meditare e rimeditare prima di parlare!

    RispondiElimina