lunedì 31 dicembre 2018

Il 2018 per la scrittura nuragica



La natura segue il suo corso; lo spuntar di funghi è inevitabile quando acqua e sole connubiano

 di Francesco Masia

Quando finisce anche questo 2018 sono trascorsi 5 anni “suonati” dalla comunicazione degli accertamenti sulla navicella di Teti; ed è trascorso un anno dalla pubblicazione del saggio “Scrittura nuragica? Storia, problemi e considerazioni” (mi viene sempre difficile indicarlo come il “mio” saggio, trattandosi del compendio del lavoro di altri, loro sì studiosi). In questo periodo di bilanci, diverse cose emerse in questi mesi mi portano a imbastire un aggiornamento sulle questioni intorno alla navicella.
 
Per la lettura, metto le mani avanti: ancora una volta non sono riuscito a fare a meno di molte parentesi (e di lunghi periodi). Portarne i contenuti nel testo, togliendo semplicemente i segni di parentesi, lo appesantirebbe ulteriormente. Adattarlo, di modo da ridurre le incidentali, lo allungherebbe eccessivamente (e mi farebbe superare Capodanno). Tagliarle toglierebbe molto al bilancio e all’analisi. Si possono però certamente saltare, per valutare solo dopo se sia il caso o meno di tornarci ;-)

A beneficio di quanti siano digiuni sull’oggetto della discussione è indispensabile almeno un capoverso di introduzione (di certo insufficiente, ma davvero non si possono stendere ogni volta prolegomeni più lunghi): la navicella nuragica fittile di Teti, con segni di scrittura tra i quali il pugnaletto nuragico “a elsa gammata” (segno che si ritrova praticamente solo in Sardegna, dov’è pure sovrabbondante), già stimata (quando non un falso) dell’VIII-VI secolo a.C., è stata datata dal Novembre 2013 (unico reperto sottoposto a oggi alla termoluminescenza tra gli oltre 15 fittili con più segni di scrittura forse attribuibili ai Nuragici) al IX-VIII secolo a.C.; ossia a un’epoca per cui attribuirla ai Fenici (o ad altri), come da assioma vigente, rimarrebbe molto problematico, anche per come è e per dove è stata realizzata. Le analisi eseguibili sugli altri reperti fittili (almeno su quelli non ufficialmente perduti tra le stanze delle università e delle soprintendenze) potrebbero fare chiarezza sull’ipotesi, che a questo punto dovrebbe almeno dirsi in campo, di una scrittura in uso in Sardegna prima delle frequentazioni fenice; e se altri di questi reperti dovessero risultare di fattura sarda, allora le significative analogie con documenti litici e bronzei dovrebbero portare a considerare reale un corpus dall’estensione già accostabile a quelle di scritture coeve, pre-fenice, ufficialmente riconosciute benché indecifrate.

Anzitutto, guardando agli ultimi 12 mesi, è il caso di segnalare le due new entries nel corpus di documenti con segni di scrittura (tra litici, i più numerosi, e fittili e bronzei, questi sarebbero, a detta del prof. Gigi Sanna, già oltre 300; che sarebbe pure troppa grazia): si tratta di un frammento fittile da Cossoine (forse di un crogiolo, con scrittura alfabetica lineare) e di un sigillo bronzeo da Sarroch; la speranza è che entrambi (se già non lo fossero stati, del che però sarebbe utile avere notizia) vengano al più presto consegnati alle Soprintendenze (ché reperti non consegnati, per quanto fotografati, non possono valere niente).
Ma si segnalano, volentieri, anche generali avanzamenti nella misura e nella considerazione della civiltà sarda, intesa come pre-nuragica e nuragica: oltre agli studi pionieristici dell’amico Sandro Angei (su conoscenza della geometria e dell’astronomia, con capacità tecniche e di calcolo per costruire architetture variamente collimanti con fenomeni astrali), che non arrivano però ancora alla considerazione degli accademici, sono certamente notevoli i pronunciamenti raccolti da non pochi autorevoli archeologi (tra  cui Fulvia Lo Schiavo, Mauro Perra, Raimondo Zucca) che portano ormai a ritenere ufficialmente abbattuto il paradigma dei Sardi che avrebbero aspettato i Fenici per navigare (e intessere relazioni commerciali a Oriente e Occidente per tutto il Mediterraneo) e per plasmare bronzetti e statue in pietra (i Giganti); traguardi per i quali si inizia a parlare di “centro” più che di villaggio (ma allora anche di “abitazione” più che di capanna) e di “corte” (in qualche centro) più che di consiglio degli anziani intorno a un capotribù. Tra tante altre pubblicazioni (tornando al campo degli “studiosi indipendenti”, o appassionati) vi è stata l’ultima di Giuseppe Mura, che è tornato a illustrare bene come quella che in Sardegna era già stata storia sia potuta giungere poi nella civiltà classica in forma di mito. Infine il libro dell’urbanista Valeria Putzu, che evidenzia le tante tracce sarde (entro il Bronzo) nella penisola iberica (lì serenamente riconosciute sarde dagli accademici) al punto da potervi poggiare una prima articolata ricostruzione delle vie seguite dai Sardi per procurarsi i metalli anche dalla Gran Bretagna; libro che si presenta come l’ultimo tassello (fin qui) di un luminoso mosaico in ricostruzione, così luminoso da rendere sempre più una reale assenza della scrittura tra i Nuragici (di un qualche uso di una scrittura anche tra pochi Nuragici) un caso, esso sì, veramente straordinario.
Tra le luci del 2018 anche la ribadita adesione dello storico ed epigrafista, prof. Francesco Cesare Casula, alle tesi sulla scrittura del prof. Sanna; la buona diffusione del libro dell’antropologo Fiorenzo Caterini sul problema storiografico sardo; le mostre sul nuragico e sulla civiltà sarda che hanno toccato vari centri dell’isola, una pronta a spostarsi all’estero (particolarmente ricca di connesse occasioni divulgative, poi, la mostra curata da Nurnet a Cagliari, che si è segnalata per l’importante sforzo sostenuto senza aiuti istituzionali).
Tra le ombre: la campagna mirante a sostituire per le statue di Monti Prama il nome Giganti in Eroi (direi deprimente, sotto tanti aspetti; con la coda, se vogliamo, di voler trattenere i Giganti a Cagliari); e la totale assenza, finanche nel nuovo “librone” della Ilisso (su cui ha scritto anche la suddetta Fulvia Lo Schiavo, curato dal suddetto Mauro Perra con Tatiana Cossu e Alessandro Usai), del tema Shardana (e Popoli del Mare; con buona pace dei proff. Giovanni Ugas e Sebastiano Tusa) e, in concreto, del tema scrittura (e quindi della stessa navicella di Teti).

Questo titolo della Ilisso, Il tempo dei nuraghi (la Sardegna dal XVIII all’VIII secolo a.C.), richiede almeno un ulteriore commento (e altri sicuramente ne meriterà in futuro). In esso si definisce molto correttamente come superata, in quanto frutto di pregiudizi ideologici evoluzionisti (ex Oriente), quella rigida cornice di giudizio sulle civiltà per cui sarebbero entro la storia solo quelle con la scrittura alfabetica, già reputate superiori anche per la loro dimensione urbana. Quindi si riconosce alle comunità nuragiche di avere usato, oltre a “vari sistemi espressivi per comunicare i loro modi di stare e dare senso al mondo” (come qualsiasi altra cultura), anche “sistemi grafici” di cui si dichiara (pag.12) verrà dato conto nel resto del volume. Il volume, di grande formato, tocca le 450 pagine, quindi non escludo mi sia ancora sfuggito qualche passaggio che potrà contraddirmi (di certo l’indice non aiuta a trovarlo), ma l’impressione fin qui è che di questi “sistemi grafici” il libro non tratterà, se non per la nuda descrizione dei segni sul doppiere bronzeo di Tergu (con pugnaletti a elsa gammata e segni “a forcella”) e di quelli sui vasi da La Prisgiona (Arzachena) e da Cobulas (Milis). L’indice annovera un capitolo su Pesi e misure, ma qui non paiono nemmeno citati i segni considerati da Giovanni Ugas, appunto, come valori di pesi e misure. La stessa Tatiana Cossu sembra riprendere il discorso a pag. 414 per troncare ogni eventuale, residua, velleità: “la millenaria età dei nuraghi non ha lasciato documenti scritti” (quindi a pag. 425 la stele di Nora viene detta di scrittura e lingua fenicia, benché i fenicisti non riescano a tradurla). Ecco, direi che per il presente è davvero poco, significa aver scansato l’argomento. Perché va bene aggiornare le categorie di giudizio e attribuire congruo valore alle civiltà senza scrittura alfabetica, ma questo non autorizza a liberarsi dall’onere di valutarne le possibili tracce ed eventualmente riconoscerla dove si fosse presentata: un giocatore (mi si passi quest’immagine) non si giudica dai calci di rigore, insomma, siamo d’accordo; però se invece può documentarsi che la palla è entrata sarà doveroso assegnare la rete, invece che limitarsi a ripetere che comunque è bravo lo stesso.

Circa la navicella si impone dunque la constatazione, semplice e però significativa, che nonostante (tra l’altro) il suddetto saggio del 2017 la comunicazione su di essa (la comunicazione che conta, come testimoniato dal suddetto volume della Ilisso) è sostanzialmente rimasta al palo. È emblematico che il testo esplicativo per la navicella, sul pannello di fianco alla vetrina in cui si trova esposta nel museo di Teti, sia incredibilmente ancora lo stesso del 2012, che perciò continua a divulgare si tratti di un “reperto dalla dubbia autenticità”, forse dell’VIII-VI secolo a.C.. Quindi davanti alla navicella nessun aggiornamento del testo, a oggi, quanto alla datazione con la termoluminescenza (del 2013); e, figuriamoci, nemmeno quanto all’esame sulle argille (del 2014), che ha determinato la loro provenienza dal medesimo territorio di Teti.
Solo due mesi fa si è giunti alla pubblicazione degli atti del convegno di etruscologia nel cui ambito (Settembre 2016, nel grossetano) era stata presentata entro una relazione anche la navicella di Teti (pertinente al tema del convegno, le armi, proprio in virtù del pugnaletto inciso tra i grafemi): questo non è ancora lontanamente la pubblicazione dell’articolo su una rivista del settore, che si programmava di raggiungere ben più a ridosso del 2013. Continua a mancare la perizia epigrafica (come rimane insoddisfacente quella sull’anfora di S’Arcu ‘e is Forros, rimasta a livello più di opinione che di analisi nello “specchietto” del compianto prof. Garbini che accompagna l’articolo della dottoressa Fadda), perizia che i nostri archeologi sostengono stia risultando impossibile da raccogliere.
A 5 anni dalla datazione della navicella, quindi, e davanti alla stagnazione quanto alla comunicazione sulla stessa navicella e sul tema di una scrittura nuragica (nonché davanti alla stagnazione quanto  alla considerazione anche degli altri reperti, anzitutto fittili, con segni di scrittura), è triste quanto doveroso rivelare che un invito indirizzato per tempo alle redazioni dei due nostri maggiori quotidiani (La Nuova Sardegna e L’Unione Sarda) perché volessero dar conto di questo anniversario, vuoi pubblicando (o attingendo da) quanto loro esposto (accompagnato dalle considerazioni di Fiorenzo Caterini sulla centralità del tema scrittura nel rapporto dei Sardi con la propria storia, con la considerazione di sé stessi e quindi nel rapporto con le istituzioni sotto cui ricadono)  o vuoi affidando l’argomento a chi di loro fiducia, è stato totalmente trascurato (nemmeno una presa di contatto con i recapiti forniti). Una condotta totalmente in contrasto con la vocazione sostenuta da entrambe le testate, parole evidentemente vuote come “prioritario interesse della Sardegna”, “valorizzazione della sua storia”, “impegno a incidere sulle incrostazioni che ne rallentano il progresso”. 

A margine di questo bilancio generale, per i più addentro (o per i più motivati) azzarderei qui un’ultima considerazione, che scende abbastanza nello specifico.
L’articolo che presenti la navicella su una rivista di settore dovrebbe portare il beneficio, finalmente, di un confronto tra studiosi sulla base dei dati chiaramente esposti.
Ora, provando a portarci avanti, se anche non sono uno studioso (tanto meno titolato) un’osservazione vorrei già proporla lo stesso.
Il referto della termoluminescenza non usa semplicemente una formula quale: la datazione risulta intorno all’800 a.C., +/- 100 anni. Recita, invece: “la dose totale assorbita dal campione è compatibile con la datazione proposta (IX-VIII secolo a.C.)”. 
Potrà sembrare la stessa cosa, ma a un minimo vaglio critico emergono due osservazioni. 
La prima: il referto risponde evidentemente al quesito/proposta “è possibile si tratti di argilla cotta tra il IX e l’VIII secolo a.C.?”; rispondere affermativamente non esclude, anzitutto, che analoga compatibilità l’esame avrebbe potuto riconoscere anche a una proposta di datazione al X-IX secolo (come pure all’VIII-VII).  
La seconda osservazione: se prima dell’esame la navicella si collocava (quando non un falso) tra l’VIII e il VI secolo a.C., perché mai l’intervallo proposto all’istituto di Milano che ha condotto l’esame sarebbe dovuto essere IX-VIII e non, meglio, VIII-VII (se non addirittura VII-VI)? Chi, in buona fede, tenda a riconoscere all’origine di questa discordanza una sopravvenuta comparazione con la suddetta anfora scritta (pure con un pugnaletto tra gli altri grafemi) da S’Arcu ‘e is Forros (stimata appunto al IX-VIII secolo a.C.) dovrebbe tenere presente che invece la stima all’VIII-VI per la navicella era successiva alla pubblicazione dell’anfora, al punto che già si raffrontava esplicitamente con quella.
Comunque sia, anche per quanti trovino le suddette osservazioni troppo sottili (ma per dubbi simili su richieste di indagini diagnostiche e referti tra clinici e radiologi, per esempio, è assai frequente che i pazienti, o i loro parenti, perlomeno consultino i legali), dovrebbe imporsi come evidente almeno una qualche gravità di quanto sembra opportuno qui ribadire: il testo ufficiale che spiega la navicella, sul pannello di fianco alla vetrina in cui si trova esposta nel museo di Teti, è ancora lo stesso del 2012, che parla perciò di reperto dalla dubbia autenticità, forse (e appunto per il raffronto, tra l’altro, con l’anfora di S’Arcu ‘e is Forros) dell’VIII-VI secolo a.C..
Perché (ammesso sia andata semplicemente così) l’intervallo proposto sarebbe invece diventato, giunti a Milano, IX-VIII? Non avendo ottenuto chiarimenti dagli archeologi coinvolti, posso dire solo quello che ne penso (mi fermerò a quella che mi sembra la versione più benevola): forse, nella querelle con gli appassionati che volevano si studiasse il reperto, gli archeologi … (magari ancora impegnati ad abbassare quanto possibile tutte le datazioni perché risultassero compatibili con gli artefici Fenici; noti autorevoli questuanti di riconoscimenti UNESCO, i Fenici, e più probabili percettori di cattedre e di finanziamenti per scavi, nonché migliori carrieristi anche nelle Soprintendenze; i Fenici si studiano ovunque, i Nuragici no, per cui non hanno cordate accademiche; così va il mondo) … forse gli archeologi, dicevo, non volevano ancora riconoscere apertamente (nella querelle con gli appassionati) un pieno VIII o addirittura un IX; salvo poi, davanti ai fisici di Milano, trovarsi a dire quanto di più vicino a quel che davvero, viene da credere, pensavano. Come chi ammetta di aver bevuto qualcosa, o di aver ecceduto coi dolci o con le prese di posizione polemiche, solo quando posto davanti all’alcol-test, al glucometro, al redde rationem.

E adesso aspettiamo, speranzosi quanto si può, quel che porterà il 2019.



29 commenti:

  1. In questo interessante resoconto si omette forse la scoperta più sbalorditiva di un Gigante sulle cui spalle il Prof. Sanna (altro Gigante) e in futuro i suoi discepoli potranno poggiare in maniera sempre più stabile: Pietro Lutzu!
    Buon 2019!

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  2. Vale, dipende solo dal fatto che io sono tra quelli che Il Maestro Lutzu l’avevano conosciuto da qualche Natale, perciò l’avevo già citato e celebrato nel “mio” libro (2017).
    Però è vero che quest’anno è ricomparso il suo scritto più esteso, mi fa piacere ricordarlo (vedremo cos’altro avrò tralasciato).

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  3. L'indifferenza del mondo accademico speialmente quello con sede in Sardegna, è codice ufficiale di condotta, quello dei media di stampa lo rispecchia e ne è succube. S'organizzano convegni, mostre, buffets, tutti adeguatamente, direi sovrabbondantemente finanziati, ma i contenuti esposti da pochi si rivelano vuoti e/o contradditori e seguiti da pochi o da chi-deve-far-vedere-di-esserci-andato. Di essere allineato. Con cosa ? Col silenzio colpevole protratto per anni ed anni che URLA più forte nelle voci di pochi ma coraggiosi e validi appassionati. Studiosi appassionati non barattano la propria dignità e le proprie ricerche con l'attitudine immobilista che va imperando. Esiste sempre maggiore consapevolezza della Storia ed il dibattito extra-accademoco non si occupa di modificare una denominazione MA di divulgare ciò che porta al confronto e, in sè, pertanto, alla crescita individuale e collettiva della Conoscenza.

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    1. Chiedo venia:
      *accademico
      E, nella fretta, mancanza di firma (non è da me).
      Ornella

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  4. Il bilancio? Hai fatto bene a farlo e ti ringraziamo. Ma c'è tanto altro che trascuri. Vediamone un pochino in estrema sintesi.

    Innanzitutto trascuri il saggio scientifico (la prova definitiva) di Sandro Angei sui sigilli di Tzricotu. Non capisco: perché non lo citi il saggio scientifico più importante (non esagero di certo) del 2018 riguardante la scrittura arcaica dei Sardi?. Sono sigilli nuragici i manufatti...'bizantini'. Sono i sigilli dei Giganti (pensa un po'!). Punto. Ti sembra forse irrilevante il dato più bello sulla scrittura raffinatissima dei nuragici? Infatti, ora si sa come sono stati fatti. E si sa con assoluta precisione. Paolo Benito Serra ha pubblicato delle vere e proprie stupidaggini (per chiamarle gentilmente) che hanno depistato e ritardato il normale corso della conoscenza sulla scrittura dei nuragici nel periodo del bronzo tardo. Basta mandarlo a periziare il sigillo o tavoletta A1 che dir si voglia. Cosa costa? Nulla. Oggi, rapidamente e con pochi soldi, con la scienza metallografica si può sapere tutto tutto su di esso. Stante la polemica accesissima che c'è stata intorno ad esso (anni, mica giorni o mesi, di dibattiti tra sostenitori e detrattori) una 'illuminata' Sovrintendenza avrebbe dovuto farla fare la perizia scientifica (non soggettiva alla Serra!)da più di dieci anni. Invece nulla di nulla. Ma si capisce facilmente il perché: le perizie altamente oggettive, non confutabili, fanno paura. Hanno fatto paura quella sugli inumati di Monte 'e Prama e quella sulla barchetta di Teti. Due se ne sono fatte di grandissima importanza archeologica ed epigrafica e due -come tutti sanno - sono andate male per i negazionisti (su tutto) ad oltranza. Sandro Angei (e il sottoscritto da tempo) ha invocato la indispensabile perizia oltre ad aver sfidato il Serra circa una risposta sulla identità dei sigilli. Da chiamarsi definitivamente d'ora in poi sigilli e non 'tavolette'. Per ora si risponde con il silenzio e solo con il silenzio. Ma che scienza è mai questa? La ricerca scientifica non deve aver timore dell'errore. Per la scrittura nuragica poi si tratterebbe di un 'bellissimo' errore, per il significato che essa ha nella storia dei popoli e delle civiltà. Chi non sarebbe contento di ammirare in qualche museo (dovrebbe essere ancora quello superprestigioso di Cabras) non bugiarde ‘tavolette’ ornamentali bizantine ma dei gioielli dei geroglifici dei Giganti?

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  5. C'è inoltre il dato del metagrafico ovvero il system nuragico attuato attraverso l'ideografia, la numerologia e l'acrofonia. System ripreso paro paro da quello etrusco. Non ti dicono nulla il bronzetto scritto di Cavalupo, il gigante 'pantauros', il santo intermediario, collocato nella tomba al fine di raggiungere la luce taurina del padre? E non ti dice nulla la stele di Aidomaggiore con il mix uccello -pesce, forse una delle tante iconografie sarde che hanno dato gli ideogrammi di 'volanti silenziosi' al sole e alla luna, a Tin e a Uni degli Etruschi? E dal momento che curi tanto il documento barchetta di Teti non ti dice nulla il motivo della 'onda corrente' (quello che tanto imbarazza la Canu) che precede di due o tre secoli l'analogo motivo non di centinaia ma di migliaia di manufatti etruschi? Cosa ci vuole a far capire che non solo i nuragici adoperavano la scrittura lineare ma adoperavano anche la crittografia, affiancandosi così, sia pur con il loro modo espressivo dettato da ben altra ideologia, al modo sublime di scrivere degli egiziani?

    gigi sanna

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    1. "System ripreso paro paro da quello etrusco".
      Posso chiedere, da vecchio maestro elementare, di precisare che "da" introduce un complemento d'agente e non uno di moto da luogo?
      Nel senso, spiegherei ai bambini, che furono gli Etruschi che agirono per pigliarsi il sistem nuragico e non questi ultimi a importare dagli Etruschi tale sistem.
      Chiedo scusa, ma è meglio che il concetto i chiaro anche ai più piccoli e a quelli meno addentro.

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  6. Caro Gigi, era il 13 Maggio scorso quando Francu, qui, trovò motivo per rivolgersi a me scrivendo: “Caro Francesco, stai reiterando le tue ragioni. le tue perplessità, le tue opinioni in un modo che direi instancabile, ma solo per quanto riguarda te, perché non è piacevole rileggere e rileggere sempre le stesse cose”.
    Allora conclusi la mia risposta con questo proposito: “Prometto che in futuro, in caso di bisogno (se ancora, cioè, mi si dirà che sbaglio a non considerare accertata qualcosa), rimanderò a questa discussione, felice anch’io di non dovermi ripetere.”
    La discussione era relativa proprio all’articolo di Sandro di cui parli, del 17 Aprile, “Il sigillo A1 di Tzricotu: matrice per modani medievali? No, modello per matrici nuragiche! Una indagine” (http://maimoniblog.blogspot.com/2018/04/il-sigillo-a1-di-tzricotu-matrice-per.html?m=1#comment-form).
    Convenivo che Sandro avesse dimostrato erronea l’interpretazione di P.B. Serra del bronzo di Tzricotu (“errore pedissequamente fatto proprio da tutta l’accademia, così come per la fusaiola del Palmavera frutto di un lusus degli operai, oppure di chiodi sul fondo di un sacco”), ma non trovavo con questo ancora dimostrata la nuragicità del reperto, mentre condividevo naturalmente la richiesta, tua come del Serra, di accertamenti metallografici.
    Questo per rispondere alla tua domanda, “perché non lo citi?”. Si potrà certamente citare (non ho scritto il Vangelo), ma a me sarebbe costato precisazioni fuori luogo nel contesto di un veloce bilancio, inevitabilmente condizionato dalla mia personale visione.
    Ed è per questa visione personale, la conosci bene, che un bilancio letto da me non farà ancora leva, anzitutto, sulla scrittura metagrafica (sai nel mio libro quale spazio trova).
    Osservi che curo tanto la navicella di Teti; può sembrare tu voglia intendere la mia una visione riduttiva. Ti oppongo la considerazione che se non si trova prima un epigrafista disposto a pronunciarsi sulla navicella (e magari anche sugli altri reperti con scrittura alfabetica lineare), molto difficilmente se ne troverà mezzo lontanamente disponibile a pronunciarsi sulle interpretazioni metagrafiche.
    Ognuno può naturalmente riassumere un bilancio come lo preferisce, ma inviterei a fare attenzione al virus del benaltrismo: c’è sempre anche altro, ma se si vuole puntare a una comunicazione relativamente efficace (relativamente perché sarà comunque sempre difficile risultare efficaci nel contesto che ci è dato) bisognerebbe evidenziare al meglio i punti ragionevolmente più solidi e, in ragione di questi, i primi obiettivi concretamente meglio perseguibili.
    E ora avanzo io a te una domanda: credi che sottolineare la discrepanza tra probabile datazione dichiarata al pubblico nel 2012 e datazione proposta ai tecnici del laboratorio nel 2013 non abbia senso?
    E credi che l’esecuzione di esami di laboratorio, per Tzricotu A1 e per gli altri reperti bronzei e fittili in ballo, non rappresenti ad ogni modo (per quanto fin qui non facilmente avvicinabile) il massimo comun denominatore tra le tue ricerche e i ricercatori dell’Accademia?

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  7. E, ancora, credi non abbia senso sottolineare che il testo sulla navicella nel museo di Teti sia ancora, al 2019, quello del 2012, con quel che continua a dire dopo il 2013? Ma se intervenendo a commentare non sei neanche tu a chiedere che sia subito aggiornato (non sei tu per primo a cercare di dare forma a una richiesta dal basso che lo chieda nel modo più efficace), se ti concentri invece solo sul “ben altro” (come se tutto quello che è rimasto escluso da questo bilancio e dalla sua introduzione lo si sia voluto squalificare), allora benedetti siano sempre i tuoi e i vostri studi, ma mi sembrerebbe segno che su altri piani si stia sbagliando non poco.

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  8. 'Osservi che curo tanto la navicella di Teti; può sembrare tu voglia intendere la mia una visione riduttiva'. Dici. No, tutto il contrario.
    Io poi non ho parlato di 'ben altro' ma di 'tanto altro'. Cosa ben diversa, evidentemente. Quanto all'articolo di Sandro lo ritengo il contributo fondamentale sulla esistenza della scrittura non fosse per altro perché su quella stupidaggine hanno fatto una leva smisurata i detrattori di un possibile system sardo, cercando di ridicolizzare i documenti più belli e più ricchi di contenuto epigrafico. Non certo fenicio ma prefenicio. Ancora oggi qualche cretino resistente lo cita il saggio della superficialità e il citare allora ad oltranza il saggio di Sandro contribuisce a mandarlo definitivamente nella spazzatura. Sulla barchetta tutto ha senso e illuminarne tutta la problematica mi rende felice perché altri è intenzionato invece a fare fumo e fumo pur di non cedere sul versante della scrittura in un periodo ben più altro del VII -VIII secolo a.C.
    Il metagrafico. E cosa ce ne frega, nella ricerca scientifica pura, il fatto che non si trovi (per ora) un mezzo studioso che abbia intenzione di verificare? Stai tranquillo che l'attenzione e la verifica ci sono e non solo in Sardegna. Solo che mica la gridano quella attenzione e quella verifica. L'interessante è che in un bilancio si mettano in conto i passi enormi ottenuti in un system di scrittura che affianca per robustezza di dati scientifici il system di cui si trova più 'naturale' il discuterne. Ma io so il fatto mio, tanto che provo quasi fastidio che si metta in risalto il dato di Addanas che niente o quasi niente è, sul piano scientifico (della scoperta scientifica)rispetto al dato del Gigante' tutto toro' del bronzetto di Cavalupo. Per farti capire sino in fondo la lacuna presente nel tuo intervento pubblico ora un post che non è certo per coloro che fanno il naso storto, per pregiudizi, ad ogni accenno di metagrafico. Forse anche stavolta dirai 'ottimo'. Ma che senso ha dire 'ottimo' se poi si ha quasi 'timore' di metterlo in elenco sul bilancio circa le belle notizie sui ritrovamenti della scrittura o su chi accademico dimostra aperta adesione? Comunque, buona lettura. Le scimmiette, se non altro, ci fanno sempre sorridere. Anche come 'ideogrammi'.

    Gigi Sanna

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  9. Gigi, la discussione in calce al tuo articolo sul coccio scritto dal nuraghe Addanas di Cossoine (25 ottobre 2018) si apriva con queste mie parole: “Prima che altri arrivino a rivolgere la dovuta attenzione a codici ideografici in Sardegna, ogni pezzo di ceramica nuragica con segni di scrittura alfabetica lineare varrà una quintalata al grammo. Salutiamo, così, questo nuovo macigno. E stiamo a vedere.”
    Ora chiarisci (una volta di più) che il dato di Addanas é quasi niente sul piano della scoperta scientifica rispetto ai dati apportati dalle letture metagrafiche. E capisco il tuo punto di vista.
    Ma leggere “4” nella rappresentazione di un quadrumane (ad esempio) potrà mai riconoscerti che sei nel giusto (quantomeno nel cercarlo, il metagrafico) se non si troverà prima un reperto la cui lettura metagrafica sia corroborata da una “interpretazione autentica” in scrittura alfabetica lineare (magari sufficientemente collimante con le tue interpretazioni)?
    Se non si fosse trovata la stele di Rosetta, chi avrebbe mai potuto avallare una proposta di lettura sulle altre dei geroglifici egizi? Chi proponeva qualcosa che si avvicinava al vero era bravissimo, ma allora chi glie lo poteva riconoscere (prima di trovare una legenda)? E che quei geroglifici non fossero pochi e volessero tutti significarci qualcosa, con una loro segreta grammatica, non dovevano essere molti a negarlo. Così tanti, in effetti (quei geroglifici), che se mai si fosse trovata comunque la giusta chiave per dare coerenza a tutti, con tutto quello che di vario e articolato ci dicono, questa (anche senza una stele di Rosetta) avrebbe ben potuto essere accettata; ma noi, mi sembra, non vi siamo lontanamente vicini (guardando alla quantità del nostro candidabile metagrafico e alla limitatezza dei contenuti come da te studiati).
    Per questo ribadisco (scusandomi per questo con Francu e con tutti) che se anche ti risultano più intriganti i rebus metagrafici e più noiose, ormai, le perizie sulle epigrafi alfabetiche (perizie utili, prima ancora che a raggiungere proposte di letture in Nuragico, a escludere ragionevolmente diverse possibili attribuzioni), e posto che il metagrafico e i nessi con l’Etrusco fai benissimo a batterli, l’ottimo sarebbe anzitutto mettere in cascina quanti più grammi/quintalate sia possibile di scrittura alfabetica lineare attribuibile ai Sardi.
    È pensandola così che ho approcciato questo bilancio del 2018.
    Avrei potuto dire, senz’altro, che gli studi sul metagrafico e sui rapporti con l’Etrusco (studi già citati nel mio libro, 2017) il Prof. Sanna ha continuato a portarli avanti (anche se questo mi avrebbe richiesto allungarmi ulteriormente a circostanziare qualcosa in più, in questo articolo): di questa omissione faccio quindi ammenda, soprattutto per essermi proposto di pubblicare questo intervento, in primis, su questo blog, dove ancor più che altrove riconosco doveroso riconoscere a Cesare quel che è di Cesare.

    Resta che, mentre noi (ci) stanchiamo mettendoci i puntini sulle i, il testo museale a Teti racconta ancora di un reperto incerto, nel caso databile a un periodo che nemmeno collima con quello proposto al laboratorio e dal laboratorio avallato nel 2013!

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  10. No, Francesco, non accetto le tue scuse perché non me ne devi.
    La tua opinione prevalente, se ho ben compreso, è che bisognerebbe concentrarsi sull’interpretazione della scrittura lineare e lasciare a un dopo quella metagrafica, con lo scopo precipuo che, tramite quintalate di esempi, si riesca a convincere chi?
    Lo ribadisci tu stesso con l’esempio della navicella di Teti che naviga ancora ignorando se stessa.
    Forse che per la scritta (filistea!) della brocca di S’arcu de is forros hanno tentato un approccio di lettura, usando uno qualsiasi degli alfabeti antichi? E no, non si sa nulla di nulla.
    La scrittura metagrafica, per quel poco che ho capito, possiede una sua sintassi e una logica ben nota. Il maggior pregio del lavoro di Gigi – diciamo anche l’astuzia – sta nel fatto che usa quel metodo per reperti che sono catalogati nei musei, così che nessuno possa dire che sta lavorando sui falsi.
    Che poi tanta scrittura lineare e quella metagrafica portino alla luce concetti e parole abbastanza simili dovrebbe essere un indizio, se non una prova, che supporta l’una e l’altra scrittura.
    Certo, possiamo sempre aspettare una nuova stele di Rosetta e un nuovo messia, ma serve che un giorno o l’altro ci decidiamo di essere cristiani o israeliti. I quali ultimi il loro messia lo gettarono alle ortiche, ormai però poco convinti che ne passerà uno nuovo di fronte alla finestra del soggiorno.

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    1. Non capisco perché, Franco, si metta ancora in campo la 'Stele di Rosetta'. Anche Sergio Frau nel suo ultimo libro parla del rinvenimento, prima o poi, di una stele di Rosetta per la scrittura nuragica. Perché così avrò la ragione definitiva. Ma per il nuragico non servono segni altrui noti per 'decifrare' il codice. Il codice alfabetico (i suoni del codice)c'è già da tantissimo tempo, è lo stesso di quello di altri alfabeti studiati e noti da quasi un secolo in tutto il mondo. E il codice ha permesso da tempo (ormai più di venti anni) di capire che i nuragici scrivevano con la lingua semitica 'alta' del V.T. e usavano sempre (in mix) segni di alfabeti sempre semitici. Curiosa questa continua citazione! E' come se dei tanti documenti romani ritrovati in Sardegna in caratteri romani uno, per tradurli, avesse bisogno di una... 'stele di Rosetta'. Certo ci sono delle differenze e certi segni del system nuragico sono sconosciuti (si pensi al pugnaletto nuragico) ma nel contesto e dal contesto il loro valore fonetico è ugualmente chiaro.

      gigi sanna

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    2. Gigi, non sono io che attendo una nuova stele di Rosetta. Il riferimento è al paragone che mette in campo Francesco (Se non si fosse trovata la stele di Rosetta, chi avrebbe mai potuto avallare una proposta di lettura sulle altre dei geroglifici egizi?), né io aspetto un altro messia (Champollion), giusto perché mi basta il messia che abbiamo già.
      No ses cuntentu?

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  11. Francesco, la ricerca è ricerca. Le scoperte stanno soprattutto nella libertà e nella frequenza con la quale manovri il microscopio. E naturalmente nella fortuna. Quando si trovano centinaia di documenti dai quali riesci a ricavare un alfabeto e quando ti accorgi che essi sono ripetitivi linguisticamente (danno sempre un senso compiuto attinente ad una certa sfera ideologico -culturale) nella loro caratura formulare, si può dire che il tuo compito di ricercatore sia finito. Addanas non è altro che l'ultimo dei documenti rinvenuti (importantissimo quanto vuoi, per carità!) della serie tipologica ‘protocananaica'. Per esso usi la griglia di Sassari e traduci (quasi, facendo un salto di qualità, non ‘interpreti’ più).
    Se poi i cagnetti ti abbaiano il calcagno dicendoti magari che per loro è facile e 'senza problemi' (pensa un po' tu! Di recente Usai Alesandro) dire che la scrittura nuragica non esiste e che i nuragici assolutamente non scrivevano altro non puoi fare se non considerare che da sempre esistono i cagnetti simpaticamente chiassosi ma senza utile scientifico nel rumore ostinato. La scrittura nuragica c'è; c'è un ben preciso system e c'è una ben precisa lingua semitica. Il 'yaziz bn 'aly Zzy bn' della trascrizione di Pietro Lutzu fa parte dello stesso system protocananaico di 'lb w bn (figlio del cuore) della Stele di Nora, dello stesso di 'alyl l Ra nr Yl', dello stesso di 'Oz nr yhwh' della stele di Aidomaggiore, dello stesso di 'yhwh hy 'arwh' del sigillo a3 di Tzricotu, e così via. Qualcuno non ci crede? Non crede alla prova ripetuta centinaia di volte? Pazienza! Qualcuno non crede (neppure con la prova documentaria di Orani) che la stele di Nora è nuragica, che è un documento a rebus con tre letture diverse? Pazienza! E che ci posso fare! Dico solo: scriva perché non ci crede e metta per benino nero su bianco per ogni singolo documento. Farà solo il suo dovere, se ne è capace. Risponderò e risponderemo come abbiamo fatto per far trionfare il fantastico system in mix a rebus dei sigilli dei Giganti, i sigilli più belli e intriganti del mondo travisati (e più volte!) da un pasticcione. Invece oggi si vuole condurre la discussione (non che non sia necessaria) non sul piano epigrafico generale ma solo sui dati formali, più che di contenuto, di un singolo documento, come per la barchetta di Teti, i cui segni non si accettano (a parte che non li capiscono come protocananaici e sardi!) e si fa di tutto per non accettarli. E non li accettano anche perché affidano a dei semitisti il compito dell’interpretazione che nulla, ma proprio nulla, come per lo spillone di Antas, possono dire (e che possono mai sull’ideogramma ‘spillone’ del codice funerario?) perché nulla sanno, non avendolo studiato, del caratteristico codice di scrittura arcaico sardo.

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  12. Caro Francesco, ti ho detto (ritienilo pure presuntuoso quanto vuoi) che ‘so il fatto mio’ e se ora punto il microscopio o il cannocchiale (vedi tu) per mettere a confronto il metagrafico sardo con quello etrusco, perché gli strumenti e l'occhio me li fanno vedere da un po' di tempo, ritengo una lacuna informativa (particolarmente del 2018) il fatto che tu non ne parli. Ritengo una lacuna da parte di uno ‘storico’ ( sei l’unico che possa fregiarsi di questo titolo sulla ‘quaestio’) non parlare di un fenomeno scrittorio che è stato incredibile che non sia stato sospettato esistente e preso in considerazione data l'enorme spinta scribale circa il metagrafico degli Egiziani. Che c'è di strano sul tema ‘scrittura’? Nulla. Gli egiziani impiegavano in crittografia la stessa numerologia che oggi scopriamo nella crittografia sarda e in quella etrusca. Il tre era la ‘luce’ e il quattro era la 'forza', così come il cinque era la ‘potenza’. Quanto al trovare un'altra scimmia con il valore ideografico del 4 per una conferma scientifica del dato, non so se si troverà ancora in egiziano, in sardo o in etrusco. Potrebbe anche essere un unicum. E che monta? L'interessante è capire che il mondo è pieno di suggerimenti (animali, persone, cose) da usare come pretesti per l'ideogramma 4. E capire, naturalmente, che il system contemplava l’ideografia. Se questo non capisci, mio caro, non capisci neppure che valori ideografici hanno i quadrati o i rombi nell'iconografia universale: una mattonella quadrata vale la scimmia a quattro zampe, un piatto circolare vale uno scudo tondo se vuoi dare l'idea della luce. O forse non è così?
    Termino però dicendoti che la lacuna informativa la trovo molto strana in te che, ‘loico’ come sei, becchi tantissime mosche al volo. Spesso in ‘guerra’ si vince aggirando il ‘nemico’ e attaccandolo su due fronti. L'etrusco metagrafico non è importante solo in quanto etrusco: è importante perché se esiste (come esiste a mio parere) e se dipende per tanti versi (non pensare solo all'onda corrente) da quello sardo sarà assai difficile sostenere che gli Etruschi usavano sia il metagrafico che il lineare mentre i Sardi nuragici (per verbo di Tatiana Cossu) se ne fregavano totalmente di quest'ultimo.

    gigi sanna

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  13. Beh, Francu, allora di questo ulteriore commento dovrò scusarmi con Gigi (e con quanti mi avranno già ben capito).
    La mia opinione non è che bisognerebbe concentrarsi sull’interpretazione della scrittura lineare; se già questo approccio ti sarebbe parso “timido”, temo che comprendere meglio la mia visione potrebbe fartela giudicare addirittura svalutante, quale invece non vuol affatto essere. Lasciamici arrivare con la dovuta cautela.
    Anzitutto non mi sogno di dire una parola sull’indirizzo degli studi di Gigi, figuriamoci; e lo ringrazio per mettercene a parte (per dirla tutta: avevo provato a suggerirgli, tempo fa, di adottare da sé un indice di affidabilità-attendibilità per reperti e interpretazioni; non ho insistito e non lo sto riproponendo adesso, ho capito che sentirebbe comunque imbrigliata la libertà propria e quella della scienza; nemmeno provo a sostenere che forse non mi ero spiegato bene, perché direi avesse capito benissimo).
    In secondo luogo non sto certo rimproverando a Gigi di star tralasciando i reperti con scrittura alfabetica lineare: non lo appassioneranno più tanto, magari, ma ovviamente non ne sta trascurando nessuno (mi sembra normale che la frequenza delle loro segnalazioni, per qualche tempo molto alta, sia in diminuzione; se è così, non dipenderà in nulla da Gigi).
    La mia opinione (mi sorprende doverla chiarire ancora) è che si debbano far pesare, che debba puntarsi a imporre nella comunicazione, in primis tutti quei reperti con “ordinaria” scrittura (quella, appunto, alfabetica lineare), in testa quelli fittili e perciò meglio studiabili, che non siano oggettivamente meglio attribuibili ad altre culture scrittorie (vuoi per l’alfabeto e vuoi per la lingua) e che possano quindi ricondursi ai Sardi prima dei Fenici (e poi anche dopo, in linea a quel punto con un proprio sviluppo).
    Che Gigi abbia a riguardo di questi stessi reperti solidi convincimenti quanto alle interpretazioni (e ai conseguenti contenuti antropologici), lo considero allo stato un valore (per quanto ricco) accessorio, che ritengo potrà avere un peso finalmente incidente sulla discussione scientifica (allo stesso modo di tutto il filone del metagrafico) solo quando si fosse imposto che c’è effettivamente una “nuova” antica scrittura in cerca d’autore e di senso.
    Non è detto, naturalmente, che (stanti queste prove in campo) noi si riesca a sfondare il muro di gomma, ma ritengo che a ogni occasione di affrontarlo perdiamo parte delle possibilità che ci sono date a non disporre gli argomenti in quest’ordine.
    Se il primo passo deve essere (come trovo logico) riconoscere una scrittura ancora indecifrata (com’è appunto per Protocananaico e Protosinaitico, sulla scorta tra l’altro di appena 3-4 decine di documenti per ciascuno, nemmeno tutti datati), ad allora non tenere le interpretazioni (e il metagrafico) in secondo piano (quando almeno si voglia puntare contro il muro di gomma) otterrà di far parlare più facilmente di studiosi che interpretano ciò che ancora è nulla piuttosto che di quei reperti che riteniamo possano costituire (anziché il nulla) un nuovo corpus.
    Sono anzitutto i reperti (in scrittura alfabetica lineare) e la loro incompatibilità con altre attribuzioni il terreno cui chiamare ora gli accademici a verifiche e confronti; è questo il terreno sul quale è relativamente più difficile, per loro, deviare le risposte verso svalutazioni aprioristiche.
    Questa, almeno, è la mia opinione, riflessa nel mio libro e in questo bilancio.

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  14. Leggo solo ora i commenti serali di Gigi. Preciso perciò che ho parlato di una stele di Rosetta per il metagrafico. Quanto a quello cui potrebbero portarci i collegamenti col metagrafico etrusco può ben darsi io sia miope e poco attrezzato; d’altronde fin qui non ho scorto quella sensibilità (o quella preparazione) almeno di qualcuno sul tema, tale da lasciar sperare possa trattarsi di una strada più breve. Ma, storico e “loico” quanto Gigi voglia, soffro naturalmente di molti limiti rispetto alle complessità della materia.
    Cercherò di non soffrire, invece, dell’inutilità (se non della dannosità) di tutto questo spiegarmi. Magari il bilancio del 2019 lo scriverà, meglio, qualcun altro.

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  15. ' Magari il bilancio del 2019 lo scriverà, meglio, qualcun altro'

    Non infastidirti, caro Francesco. Quando si scrive, compito doveroso, soprattutto degli amici,se amici davvero sono, è quello di porre obbiezioni e di chiedere delucidazioni. Se mi fossi dovuto 'infastidire', di 'scrittura nuragica' non si parlerebbe più dal 2004 (e forse prima). Tu non sai (ma per dire che 'sai bene, molto bene') che questi nostri post a commento fanno parte del caffè del mattino di tanti archeologi e studiosi appassionati che seguono un dibattito continuo, ormai più che decennale. Tutta gente che capisce benissimo che qui si scrive anche e soprattutto per gli 'altri'. In tutti questi anni molti si sono fatti delle opinioni su questa benedetta scrittura in virtù di questi nostri confronti alla luce del sole e in diretta. Tanto che se uno vuole farsi un'idea precisa sulla problematica deve leggere la letteratura di tre Blog che ovviamente hanno fatto 'storia', a partire da quello di Gianfranco Pintore. Tra poco (qualche giorno) questo Blog potrà vantarsi di avere in cassaforte un milione di ingressi che, sommati agli altri due milioni e mezzo di ingressi degli altri due blog, fanno tre milioni e mezzo circa. Se poi sommi tutti gli ingressi 'indiretti' il dato, come minimo, si raddoppia. E' dunque a questa platea di diversi milioni di studiosi e di appassionati che ci rivolgiamo. Platea che non è solo sarda ma internazionale come si vede giorno dopo giorno.

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  16. Vedi, quello che sostieni tu od io,o Franco Pilloni, o Angelo Ledda o Vale o WildTuareg (per citare solo quelli che sono intervenuti per commentare questo post), non interessa tanto gli immediati dialoganti quanto tutto il pubblico silenzioso di tutto il mondo. Chissà, taluni in questi giorni daranno ragione a te su di un certo 'pragmatismo' per il convincere, altri forse lo daranno a me per la mia 'intransigenza'. In ogni caso, nessuno potrà negare che stiamo contribuendo con tutte le nostre forze a dare statuto definitivo al system sardo arcaico (nuragico) perché possa essere accolto tra tutti i system di scrittura del mondo. I tempi saranno quelli che saranno perché ciò accada: ma considera il fatto che, pur senza bollo (unanime) di approvazione, per molti (anzi per moltissimi) il system è nei fatti già realtà. E (forse ti sembrerà strano) ciò per le mie ricerche è quello che conta, forse l'unica cosa che ‘moralmente’ conta. Del resto, l'assenso formale sta già avvenendo e lo si capisce soprattutto dalla reazione di coloro che si forzano di produrre 'mattoni' archeologici per rifiutare un dato culturale di prim'ordine, innegabile. Pensa a quanti (non solo tu) hanno storto il naso constatando che coloro che hanno curato il volume 'Il tempo dei Nuraghi' abbiano cercato di negare la scrittura nuragica non accogliendola, con un saggio specifico, al suo interno (cosa che mi ricorda le diverse mostre sulla nuragicità senza un accenno alla scrittura). Così si sono dati la zappa ai piedi perché non c'è chi non veda che quel modo di procedere ‘nascondendo’ è quanto di più antiscientifico ci possa essere. Non si fa scienza tacendo su cose che sono, proprio per notevole caratura scientifica, sotto gli occhi di tutti. Ergo, caro Francesco, vai e non infastidirti. Vai, vai perché molti, anzi moltissimi, hanno capito della 'quaestio' grazie al tuo saggio storico. Il fatto che in parte io lo critichi e dica che sia lacunoso è nelle cose di tutta la storiografia. Mai e poi mai essa potrà essere esaustiva. Il bilancio del 2019? Non credo che ci siano altri che si mettano in fila per scriverlo 'meglio'. Hai fatto nascere (da benemerito) tu questa importante storiografia e tu, ne sono sicuro, pur con tutte le croci e le saette da San Sebastiano, dovrai curarla sempre di più.Mentre scrivo queste ultime righe penso a tutto ciò che dovrai scrivere di importante sulla scrittura considerando gli studi 'privati' (ma non troppo) di Aba Losi sulla Sardegna 'egiziana', di Sandro Angei sulla 'scrittura' archeoastronomica dei monumenti nuragici, di Angelo Ledda sull'arte specifica, legata anche alla scrittura, dei nuragici.

    gigi sanna

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  17. Devo dare per scontato che il mio amico Francesco ha il vezzo delle scuse?
    Tu, e io come te, esprimiamo le nostre convinzioni che sono e restano opinabili, ma non per questo motivo ci meritiamo un cartellino giallo in ogni occasione.
    Quello che non condivido del tuo ragionamento è il rivoltamento dell’onere della prova, esattamente come accade nei processi in tribunale: non sono io a dover dimostrare che sono innocente, ma altri a provare la mia colpevolezza. Si è sempre innocenti, sino a prova contraria.
    Passando alla materia di cui andiamo discutendo, il concetto basilare accettato universalmente è che un reperto scavato, reperito in Sardegna è sardo sino a prova contraria.
    Tu invece ribalti questo criterio con un ragionamento per il quale un reperto è sicuramente sardo solamente quando non vi sia il minimo sospetto che si possa attribuirlo a una qualsiasi altra parte del mondo.
    Pensa alla brocca de S’arcu de is forros: quei segni sono scrittura? Non è detto ma, se così fosse, sarebbe scrittura filistea.
    Ci hanno spiegato perché? Ci hanno spiegato cosa c’è scritto?
    Siamo autorizzati a ipotizzare che siano i cocci di una brocca sacra frammentatasi nel tempio in cui perì Sansone con tutti i Filistei?
    I tempi sono quelli dell’XI secolo a. C. e sarebbe un bel mito da portare ai bambini!
    Se vedi un cestino pieno di grappoli d’uva, aspetti a schiacciare sino all’ultimo acino prima di convincerti che sia uva?
    Questo è la partita che si gioca. Non puoi pretendere che ti convincano quelli che non ci credono o dicono di non crederci. Per vincere, conti sugli autogol?

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  19. Se vogliamo continuare con il vezzo delle scuse potrei dire, Francu, che a questo giro ci sarebbe da scusarsi anzitutto coi nostri amici archeologi (quelli di buona volontà); intendo scusarsi per te (ma è per il vezzo, so bene che non ti andrà essere scusato da nessuno, come nemmeno ti andrà di scusarti per questo), per il tuo semplicistico ritenere sia “un concetto basilare accettato universalmente” che quanto reperito in Sardegna sia “sardo sino a prova contraria”.
    Mi sembra davvero, messa così, una cosa troppo grossa, quasi irrispettosa per la disciplina. Se si trovano brocchette askoidi per il Mediterraneo, da dove sarà corretto pensare arrivino? E le navicelle bronzee in Etruria?
    Voglio dire che la disciplina, con le sue stratificazioni di conoscenze (sempre rivedibili, naturalmente, ma con comprensibile prudenza), rende naturale cercare a un’epigrafe in Sardegna una attribuzione straniera; e sarà innegabile ve ne siano, come nell’albergo dei miei si trovano libri e riviste in altre lingue lasciate dai turisti (stranieri peraltro che siamo lieti di ospitare e non consideriamo lontanamente colonizzatori). Perciò non trovo strano si sia severi nel vagliare le epigrafi antiche in Sardegna prima di dirle sarde. Deve casomai additarsi che questa severità proceda a passo di lumaca, o di gambero, e fatichi eccessivamente ad andare a fondo, ossia anche a vagliare, quando è il caso (quando attribuzioni altre vacillino), ipotesi nuove. E non direi più ipotesi rivoluzionarie, perché (lo ribadisco) con la caduta degli altri dogmi (la navigazione, la statuaria, i commerci, quasi anche la dimensione o l’organizzazione urbana) riconoscere una scrittura sarda antica svelerebbe casomai meglio una coerenza nella nostra storia.

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  20. Quanto al pensare si tratti di una partita con gol e rischi di autogol tra squadre opposte, che calciano l’una nella porta dell’altra difendendo la propria, mi sembra un’impostazione semplicemente garanzia di ulteriori tensioni. Fosse una partita i giocatori sarebbero allo stesso livello rispetto agli arbitri e a una federazione. Qui, invece, si tratterebbe di una partita contro gli arbitri, o contro l’intera federazione. C’è un’autorità (composta naturalmente da persone, come tali fallibili e perfettibili quanto noi stessi, ma nell’insieme come minimo più competenti) che sancisce “i risultati”; e rischia di essere deleterio incoraggiarli a pensare che nel far questo potrebbero commettere degli autogol. È un’autorità criticabile (essa stessa sa bene che accettare di mettersi in discussione è il sale del progresso), ma pensare di sostituirsi ad essa, di sancire i risultati al suo posto, tu come lo definiresti? E chi pensi debba “dartela vinta”?
    Puoi sperare che arrivino i buoni della “federazione internazionale” a commissariare la federazione “locale” (all’incirca); puoi scegliere di credere sia possibile. O aiutare come puoi i nostri archeologi di buona volontà (quelli meno offesi e più aperti, che nel tempo potrebbero divenire più numerosi) a trovare che le verifiche dovute sugli “acini” necessari vengano condotte, e i loro risultati (se anche non in linea con il paradigma consueto) accettati nelle loro conseguenze, in tempi ragionevoli.

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  21. Ti dico, Francesco, che non ho intenzione di continuare una polemica che non mi fa piacere incrementare.
    Detto questo, scusati pure con chi vuoi, ma non a nome mio.
    Ma vedi di non includermi tra gli esperti, perché sanno tutti che non ho frequentato neppure i corsi di scrittura nuragica.
    Tu però confondi gli arbitri con i giocatori: fammi un nome fra quelli dell'Accademia sarda, che sono in campo come giocatori in difesa de su connotu (i Nuragici non conoscevano la scrittura), che possa assurgere ad arbitro nelle questioni riferite alle lingue antiche, a parte il latino e il greco, tale che abbia una caratura ameno nazionale in materia.
    Hai letto da qualche parte almeno uno studio che entri nel merito delle interpretazioni che ha fatto Gigi Sanna di uno almeno dei tanti documenti esaminati e pubblicati?
    Come puoi giocare una partita se la squadra avversaria è padrona del campo e si porta via il pallone quando entri in zona gol?
    Ancora non mi hai risposto (a parte la biblioteca dell'albergo del tuo papà) quali azioni abbia intrapreso l'Autorità per capire che cosa sia e a chi debba essere addebitata la scritta della brocca de S'arcu de is forros, come di tanti altri reperti, fra cui la navicella di Teti che ti sta tanto a cuore.
    Concordo con te che la pazienza è la virtù dei forti e che tu ha qualche decennio in meno di me che ti permette di pazientare che le cose vadano come devono andare.

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  22. Vai, vai caro Francesco. Scrivi e registra (anche accettando i nostri consigli però). Qualora ti dovesse capitare di vedere uno, un solo intellettuale smosso dalle tue 'cortesi' obbiezioni (oggi nero su bianco) facci un fischio. Dopo un anno e più flebile lamento le cose stanno come prima o peggio di prima. E purtroppo non si può andare a colpi di interrogazioni parlamentari per ottenere il 'miracolo' della barchetta: un interesse e uno studio (fatto per altro com'è fatto) di un documento che li ha sorpresi e la cui perizia è stata solo un incidente che solo per poco li ha messi in ponte. Ti do un consiglio: sbandieri ai quattro venti l'idea di far sottoporre a perizia un numero consistente di ceramica scritta per rafforzare il dato ottenuto con quella di Teti. Non parlarne perché li metti in agitazione e la risposta non può essere che una: rimandare sine die. E poi, chi la fa fare la perizia? Tu, io o Francu? Quella perizia scientifica, che sanerebbe i contrasti o per lo meno li avvierebbe alla normalità per la soluzione della 'quaestio', i soliti 'noti' non la faranno mai. Come mai sarà fatta la perizia sul sigillo di Tzricotu dopo i magistrali saggi di Aba Losi e di Sandro Angei sulle cavolate del Serra. Come mai verrà fatta una perizia sul coccio del crogiolo di Addanas, ultimo arrivato della serie periziabile in poco tempo e pochissimo danaro. Tu dici che quel coccio è niente se non sarà consegnato da chi lo ha rinvenuto. Ma sai se forse qualcuno si è interessato e abbia chiesto a me, a te o ad altri se coloro che lo hanno trovato sono disposti a farlo vedere e, eventualmente, a cederlo, come d'obbligo? Se ne fregano, mio caro, e se ne fregheranno e così potranno dire, con le stesse parole di quell'irresponsabile che è Usai(Alessandro) che 'per loro' (loro chi?) non ci sono problemi per negare scientificamente la presenza della scrittura nuragica. L'ispettore onorario Desogus, come tutti sanno, ha consegnato tempestivamente il coccio di Selargius scritto con una incredibile Tanit come segno fonetico tra segni fonetici lineari. Pensa un po' tu che documento eccezionale! Dopo tanti anni quale perizia è stata fatta? Nessuna. Quale interesse? Nessuno. E sul coccio del Nuraghe Alvu di Pozzomaggiore, con quel casino di pronunciamenti univoci ad alto livello che c'è stato (fenicio punico, tardo punico e tardo romano), hai sentore di una qualche perizia? Ergo, che i documenti si consegnino o no, non importa: finiscono tutti nel cestino. E la gente purtroppo lo sa. Devo continuare? Devo continuare nel dire che la questione non è tecnica ma è politica? Quando addirittura non è questione del tutto incomprensibile sulla quale devono cimentarsi più gli studiosi di psicanalisi che di epigrafia o paleografia? Comunque, caro Francesco, scrivi e registra su ciò he ritieni registrabile. Fai pure il pignolo contrastando gli 'esperti' (e quali sarebbero di grazia?)per spingerli a essere buoni e generosi con qualche refolo di apertura. Non si sa mai! E se ottieni risultati facci un fischio. Forse, distratti come siamo dalla ricerca, riusciremo comunque ad accorrere per le 'novità' in campo negazionistico.

    gigi

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    1. Sì, cosa è cambiato con la barchetta di Teti periziata? niente. Per non parlare dello spillone nuragico di Antas, oggi aggiunto ufficialmente al corpus cipro-minoico o cipro-sillabico - fortunati i ciprioti (si è appena tenuto un seminario dove c'era la foto dello spillone come pubblicità). E nonostante una epigrafista di fama mondiale abbia sentenziato che non si sa cosa sia, quella scrittura, non convinta né dal fenicio, né dal greco, né dal cipriota. ma lo spillone è pronto per entrare nell'epigrafia - non nuragica però.

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  23. Già Maria Giulia ha scritto con onestà e praticamente ha detto che non ci capiva nulla. Non ha parlato di nuragico ma solo perché non ne sa nulla. Che ne sa lei, ad esempio, della convenzione nuragica di considerare fonetica anche il supporto? Ma non ha detto che era scrittura cipriota perché non c'è nessuna scrittura cipriota. Si è presa l'interpretazione di Zucca (credo) e voilà l'oggetto sardo possiede scrittura cipriota. Ovviamente scritta da un cipriota o al massimo (come forse avranno pensato) da un nuragico che imitava il system cipriota come una scimmia, così come da scimmie a Sant'Imbenia i nuragici imitavano i segni fenici. L'archeologia spesso è volgare quanto approssimativa, partigiana e bugiarda. O Francesco, lo vuoi capire che qui ci fregano tutto. Ma proprio tutto. W Cipro e abbasso la Sardegna illetterata, barbara e 'rusticanza'. Gayni mio, povero 'santu Gayny! Il miracolo non te lo sei fatto! Nessuno oggi in Sardegna è più 'sicuro' del tuo aiuto!

    gigi sanna

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  24. La scimmia imitatrice è nei pensieri di coloro che, non vedendo altro, ritengono d'essere appagati da questa conclusione. Fatto sta che lo scenario nel quale la “scimmia” opera, è quello di una civiltà esteriormente rustica quanto pragmatica. Gli individui che si intravvedono in questo scenario, e sono la maggior parte, li riconosciamo illetterati ossia: pastori, contadini, fabbri, maestri d'ascia, scalpellini, tessitori, vasai; in pratica quelli che fino a pochi decenni fa (inizi del 1900) ancora “padroneggiavano” la cultura... pardon, “l'incultura”, non solo sarda, ma direi italiana; ma non sbaglierei a dire... mondiale. Figuriamoci il grado di acculturazione del 99,9% della popolazione attorno al 1000 a.C.!
    Tra questa marea di illetterati potevamo distingue nel 1000 a.C., (bisognava andare a cercarli col lanternino perché erano una esigua minoranza), una casta di scienziati che sapeva di geometria, matematica (se pur elementare... forse), astronomia, ottica e idraulica, statica e meccanica. Ne abbiamo avuto parziale prova nel pozzo sacro di Santa Cristina (il bello deve ancora venire), tanto che definirei quel sublime monumento “un pozzo di scienza”. Ma altri esempi eclatanti potremmo portare.
    Tutto questo per dire che non è necessario scomodare i “letteratissimi” ciprioti per giustificare una scrittura in quest'isola. Ma davvero vogliamo pensare che i sardi di quel periodo fossero tanto frivoli da voler imitare senza nulla capire della scrittura d'altri, solo per far vedere ad altri (a chi?) che anche qui in occidente riuscivamo in qualche modo ad usare indice, medio e pollice opponibile nel maneggiare uno stecco, che fino a qualche tempo prima veniva usato per estrarre insetti dal termitaio? Il pragmatismo che emana l'estetica delle opere e l'ideale quotidiano di quelle genti, dimostra un profondo senso realistico e pratico nell'ambito delle esperienze umane; per contro, all'interno di quel pragmatismo si annida, ben nascosto, un senso estremamente gnostico nel percepire l'influenza divina nell'ambito religioso. Questo connubio “stridente” che potremmo definire “pragmatismo gnostico” ha fatto si che fiorisse una scrittura, magari anche brutta esteticamente in certi casi, ma estremamente complessa, perché geroglifica e per tanto nascosta; che ha il suo parallelo nella estrema e nascosta complessità costruttiva del pozzo di Santa Cristina.

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