Vedi prima parte: Organismi e meccanismi "mostruosi": a un passo dall'impossibile [1]
Fig. 1: Il ritorno di Efesto all’Olimpo (Caraffa Ionica, 525 a.C. ca., B.C. Vienna). |
In
un precedente contributo ho introdotto la tematica del “mostruoso”
e dell'ibridismo nel tentativo
di mettere in luce la differenza tra il corpo inteso come
“organismo” e quello inteso come “meccanismo”[1].
Nella tab.1 ho provato a schematizzare
i due modi di intendere il corpo “mostruoso” nel campo delle arti
visive, pur consapevole delle possibili variabili e interrelazioni
tra i tipi.
Nel
rigo 1 ho indicato quelle opere prodotte dall'uomo che intendono
volutamente raffigurare un essere
“mostruoso” (o ibrido e deforme) in modo analogico, derivandolo da un modello già
esistente. [2]
Poco
importa, in questo senso, se il soggetto raffigurato è
ricavato dalla sfera del reale oppure da quella dell'irreale,
purché esista una iconografia rintracciabile in altre opere
figurative o ricavabile dalle tradizioni orali, mitiche o letterarie che l'hanno definita e codificata; in altre parole, se si tratta di raffigurazioni di organismi intesi (o che si vuole fare
intendere) come realmente esistenti, originati da una natura
operante in tempi e luoghi lontani dalla sede della norma.
Questa concezione è propria della visione
“classica” umanista-organicista, dove il termine teras
(che in greco identifica il “mostruoso”) fino a quel momento
appartenente alla sfera religiosa, sembra consumarsi fino ad entrare
a far parte del lessico dell'embriologia come deviazione ad
una norma non più morale e religiosa, bensì biologica. [3]
Tab.ella 1: Classificazione del corpo mostruoso nelle arti visive |
Questa
considerazione di tipo generale consente un esempio importante ai
fini del discorso complessivo.
Il
mito greco del dio Efesto lo descrive come “un
artigiano abile e robusto, ma nello stesso tempo anche un nano
ingegnoso e storpio” [4]
disprezzato dagli altri dèi e abbandonato dalla sua stessa madre Hera (fig.2). Secondo quanto riporta Karl Kerenyi “si
trattava della nascita di un bambino che zoppicava da tutti e due i
piedi, poiché le loro piante e le loro dita erano rivolte
all'indietro, adatte dunque non al camminare bensì a un movimento
rotolante di tutto il corpo in avanti”
[5].
È già qui una dimostrazione di quanto fosse inconcepibile per i
Greci – almeno dall'età omerica in poi – una divinità la cui
forma presentasse eccessi o difetti.
Fig. 2: Particolare di un fregio in parte conservato a Ostia e in parte a Berlino. Nella scena in figura (conservata a Berlino inv. n. SK 912 da Ostia), Era gettà in mare il piccolo Efesto |
Karl Kerenyi
afferma anche che in alcune raffigurazioni vascolari si vede chiaramente
questa deformazione, ma non indica degli esempi precisi. Ho tentato con non poca difficoltà di recuperarne qualcuna di queste, ed ho trovato un
esempio del VI sec. a.C. (fig. 1) che
rappresenta Efesto in sella ad un mulo (animale ibrido) al rientro nell'Olimpo, forse con zampe di
animale, sicuramente rivolte all'indietro. Ma più in generale, pur di evitare di mostrarne le deformità, gli artisti di ogni epoca hanno spesso impiegato
l'espediente di rappresentarlo seduto (fig.4), mentre
una sua rappresentazione, seppur dubbia, potrebbe essere quella in
fig. 5 che sembra raffigurarlo in modo organicista, poggiante su di
una stampella.
Fig. 4. Statua di Efesto di G. Coustou, XVIII sec. d.C. |
Della figura di Efesto mi sembra importante sottolinearne ancora due aspetti:
- esso è considerato il dio del fuoco sotterraneo (Hephaistos, dovrebbe significare semplicemente “il fuoco”) e più in generale della metallurgia, tanto deforme quanto i suoi aiutanti con un solo occhio; Spesso è confuso o indicato come Daidalos, dato che secondo Kerenyi “accenna alla sua identità originaria con l'artefice ateniese”.
- è un fabbricatore di “automi” (meccanismi mostruosi secondo la mia distinzione), sorta di androidi ante litteram, tra cui Talos (fig. 6) - voluto dal re Minosse per difendere Creta dai pirati sardi - le ancelle auree “in tutto simili a fanciulle vere”, i tripodi d'oro animati e la prima donna, Pandora, anch'essa un essere artificiale.
La visione organicista-umanista greca sembra comunque
intervenire pesantemente, tanto che gli automi creati da Efesto, presentano evidenti riferimenti al genere umano, comprese le sue debolezze.[6]
Fig. 5: Statuetta di Artigiano, I sec. a.C. |
Rifiutato e deriso dagli altri dèi nel racconto mitologico, il dio Efesto, insieme al suo aspetto deforme e quello dei suoi aiutanti, alla metallurgia e all'alchimia, alla costruzione di meccanismi
mostruosi, sembrano appartenere ad
una sfera e concezione unitaria più arcaica.
È
possibile associarlo al “fabbro celeste” operante nel ventre della terra che Mircea Eliade ha ritrovato in numerosi miti, che rivelano il
significato
ginecologico e ostetrico dei
rituali che accompagnano le attività minerarie e metallurgiche,
secondo una
concezione evolutiva dei metalli e dei minerali pensati
come embrioni, che è
la stessa che fonda l'alchimia e dentro la quale però
l'uomo-artefice interviene in un appropriarsi sacrilego di una
prerogativa divina. [7] Non posso fare a meno di sottolineare che ancora Kerenyi, nel descrivere le versioni del mito greco, definisce Efesto un aborto, un nato prematuro.
Fig. 6 'ΤΑΛΩΝ' Creta ca. 300/280-270 a.C. |
Possiamo così affermare che l'uomo non soltanto riceve passivamente questi
corpi “mostruosi” ma li interpreta e imitando di fatto la
creazione divina - come un fabbro-alchimista in possesso del segreto
occulto di fabbricazione - è capace (o così crede) di costruirne e produrne altrettanti.
Entriamo così nell'ambito del meccanismo "mostruoso" (rigo 2 in tab. 1).
Un
caso emblematico di meccanismo “mostruoso” operato dall'uomo, è quello delle
mummie scoperte circa un decennio fa sotto i resti dell'insediamento preistorico dell'XI secolo a.C. di Cladh Hallan, situato sull'isola di South Uist, al largo delle coste
scozzesi, che furono dapprima conservate e successivamente deposte a distanza di
centinaia di anni dopo la morte, con la caratteristica
particolarissima che le ossa del defunto appartenevano a più
persone. Fu prodotto un corpo altro, forse di un antenato simbolico, formato
dall'insieme dei resti di più persone appartenenti alla medesima
stirpe e comunità ma di periodi diversi.
Attraverso
opere
materiche, performances e azioni rituali
[2D
e 2E in tab. 1] l'uomo
sembra
convincersi di essere in grado non solo di intervenire sul corpo - per
vivificarlo o accompagnarlo in un'Altra
dimensione (fig.7) - ma persino di crearne di nuovi e ancora, facendogli
indossare determinati segni,
si prefigge lo scopo di comunicare
con la sfera del divino.
Abbiamo
già detto in precedenza come il termine “monstrum” sia strettamente connesso
ai termini monstrare e monitum, ad indicare la
trasmissione di un messaggio da saper cogliere. Tale interpretazione
era possibile grazie alla divinazione
(o mantica)
cioè quella pratica, o presunta capacità, di ottenere informazioni ritenute inaccessibili da fonti soprannaturali, basandosi
sull'interpretazione dei segni, eventi, simboli o presagi. Con
riferimento alle entità “mostruose” questa pratica è detta
teratomanzia.
Nel mondo romano, a differenza di quello greco, le
apparizioni inattese “mostruose” che minavano la pax
deorum
dovevano essere accuratamente espiate con un apposito intervento messo
in atto da specifici operatori del sacro, i cosiddetti “viri
sacris faciundis”.
[8]
Ecco
che il corpo, secondo questa logica, diviene un meccanismo di
trasmissione di messaggi:
“Secondo
gli antichi mesopotamici la formazione del feto avveniva per
epigenesi, ovvero per agglutinazione o aggiunta di elementi e
singole parti su un “nocciolo” originario centrale
indifferenziato. È questa la base di pensiero per comprendere come
gli dèi potessero “scrivere” i segni del loro volere per
l'oracolo e nella malformazione del feto. Infatti essi, mutando
l'ordine della formazione degli elementi che agglutinavano e si
sovrapponevano in esso, possono esternare all'uomo la loro volontà,
facendo nascere una creatura mostruosa, i cui tratti deformi saranno
interpretati dal sacerdote veggente, in quanto significativi dei
disegni divini”.[9]
In
questo caso il veggente non interpreta il “monstrum” come un organismo, ma come un meccanismo prodotto dagli dèi per
comunicare “a chi sa leggere”.
Se in Pietro Mander la parola “scrivere” è
posta tra virgolette e quindi da intendere in senso
figurato, Lorenzo Verderame nel definire l'ibrido composito, non soltanto lo collega allo sviluppo della corrente esoterica in seno alla tradizione mesopotamica, ma istituisce un parallelo con la scrittura quando afferma che “Tutto viene scorporato e letto nelle singole parti costitutive. Nella
scrittura il nome degli dèi è scomposto nei singoli ideogrammi che
lo costituiscono e questi sono reinterpretati indipendentemente per
il loro valore ideografico. Parimenti nei commentari esoterici il
corpo del dio viene scomposto in una serie di elementi simbolici”
e in nota aggiunge anche che “si tratta di una forma di esegesi di natura esoterica che può essere
collegata alla pratica del “notarikon” [10],
ovvero un metodo per derivare una parola in maniera simile alla
creazione di un acronimo, usato anche nella protoscienza
dell'alchimia.
Il corpo “mostruoso” può essere dunque inteso come il risultato di una composizione di parti agglutinate
ad un nocciolo originario che possono essere realmente lette,
trattandosi di segni scrittori di tipo ideogrammatico oltre che di
simboli? Se così fosse, vien da sé che un saper leggere implichi anche un saper scrivere e pertanto anche l'uomo, qualora volesse e ne conoscesse i segni, sarebbe capace non solo di imitare l'azione divina, ma di tentare pericolosamente di comunicare con la sua sfera.
Di un possibile rapporto tra scrittura
e alchimia ho fatto cenno in un articolo dal titolo “Il sacro segreto palese” [11],
nel quale citavo gli studi del Prof. Gigi Sanna sulla scrittura nuragica
e sui documenti di Glozel.
Fig. 8, Alcuni tra i vari documenti di Glozel |
Una scrittura definita dall'autore "manifesta", cioè non chiara e subito comprensibile,
ma al contrario, un modus scribendi di natura
religiosa e superstiziosa, escogitato per rendere appositamente il
testo non chiaro, talvolta quasi del tutto nascosto, messo in pratica
da scribi con grande e lunga esperienza nell'arte del “disegnare
e scrivere assieme”.
La chiave epigrafica dei documenti di Glozel veniva offerta con la scoperta del codice di scrittura nuragico (e con la sua decodificazione da parte dello stesso Gigi Sanna), la cui caratteristica è quella di estendere i significanti fonetici anche agli oggetti o i monumenti, e per questo definita dall'autore “scrittura con” (fig. 9).
La chiave epigrafica dei documenti di Glozel veniva offerta con la scoperta del codice di scrittura nuragico (e con la sua decodificazione da parte dello stesso Gigi Sanna), la cui caratteristica è quella di estendere i significanti fonetici anche agli oggetti o i monumenti, e per questo definita dall'autore “scrittura con” (fig. 9).
Inserisco questo codice all'interno della logica geroglifica (2D in tab. 1), data l'affinità con la tecnica scrittoria egiziana che impiegava
come geroglifici anche i monumenti e gli oggetti.
Questa
definizione è di Hornung e riguarda la connessione tra immagine e
parola e quindi una forma di scrittura, dove le “forme miste”
(il corrispondente di quanto qui è chiamato ibrido o “mostruoso”)
esigono una vera e propria lettura.
Fig. 9: il noto "pugnaletto ad elsa gammata", è stato rinvenuto sia come oggetto isolato che in numerosi bronzi figurati, ma è altresì presente in contesti 'chiari' di scrittura. Ad oggi non è stata proposta nessuna spiegazione, al di fuori di quella del Prof. Sanna, per spiegare come mai un segno scrittorio sia "indossato" da un corpo figurato (e viceversa). |
Va osservato che tutto ciò non deve significare che lo scopo dello scrivente fosse necessariamente quello di inviare messaggi in codice, può essere anche inteso come un tentativo (pur imperfetto e per questo variabile) di “dire” qualcosa di indicibile e di “dare
forma” (in-formare) a un qualcosa di inafferrabile.
È probabile che per i documenti di Glozel e nuragici, come per quelli egizi (pur con
tutte le differenze del caso) valgano le parole di
Hornung che a proposito del polimorfismo egizio ritiene che “nessuna
di queste immagini mostra la vera forma di una divinità e
nessuna può abbracciare tutta la ricchezza della sua natura; da qui
l'iconografia variabile degli dèi egiziani che raramente è legata
ad una forma di rappresentazione fissa. Ogni tentativo è un
tentativo imperfetto di rendere visibile una divinità,
di caratterizzare la sua natura e di distinguerla dalle altre”. [13]
Un
tentativo imperfetto che costringe a rappresentare il divino nelle sue diverse manifestazioni e nel caso
egizio con i diversi nomi, soprattutto con l'uso di diverse forme espressive (tra cui la scrittura),resa attraverso la “forma
mista”, quindi ibrida e risultante "mostruosa". Il tentativo è quello di manifestare in forma visibile un'entità divina altrimenti nascosta e sfuggente, per accedere alla conoscenza
e spiegare la divina indifferenziazione la cui natura resta
sempre un'incognita. In sostanza “ogni
rappresentazione o immagine della divinità non va interpretata come
un ritratto reale di questa e dunque del suo aspetto esteriore, ma il
tentativo di spiegare natura e funzioni della divinità stessa,
sebbene solo il defunto potrà contemplare la vera immagine del
dio”.[14]
Secondo
questa concezione non può esistere la compiutezza tipica del mondo
greco post-omerico che antropomorfizza gli dèi e che sembra
volerli mostrare in modo chiaro e trasparente e stando agli studi di Gigi Sanna, non poteva esistere nemmeno nel contesto protogreco che ha prodotto i documenti pitici di Glozel, che
parlano di un antico dio androgino (diremmo quindi ancora “mostruoso” e ibrido) di origine semitica o cadmea,
un
dio ambiguo noto con il nome di Lossia che solo in età arcaica, presumibilmente a partire dal
IX-VIII secolo, sarà chiamato Apollo. Un dio che dopo secoli (e questo mi sembra molto interessante sottolinearlo), verrà scomposto e
differenziato nelle figure di Apollo e
Artemide, come se quello che era stato tenuto ossessivamente "insieme" (alchemicamente) dovesse venir scisso e sdoppiato.
Scompare
progressivamente “un dio-dea luminoso di 'salvezza', un
Lossia più dionisiaco che apollineo, orientale più che occidentale,
potentissimo, misterioso, lontano e senza nome, a cui non a caso non
si da mai del tu, come invece faranno, in epoca storica, i devoti di
Apollo, a partire già dalle testimonianze omeriche e pseudomeriche e
dai documenti epigrafici più antichi della Grecia” [15].
Così nemmeno nella religione e nell'arte nuragica non sembra esistere mai un ritratto
della divinità, tanto meno antropomorfo. Con Giovanni Lilliu potremmo continuare a definire la civiltà nuragica aniconica, ma solo se si vuole intendere con questo termine l'assenza di raffigurazioni (rendere la figura) del divino nell'accezione sopra data, raffigurazioni che però si cercherebbero altresì invano anche nella statuaria figurata, dove a mio avviso, piuttosto che figure del divino (iconismo), sarebbe più coretto
riconoscervi la presenza di tentativi imperfetti di rendere
visibile (rappresentare, rendere presente) una divinità, di caratterizzare la sua natura e di distinguerla
dalle altre, attraverso tutti gli espedienti possibili, tra i
quali risulta coerente il codice criptico decodificato da
Gigi Sanna.
In conclusione si può riassumere dicendo che si può parlare di un corpo “risultante” mostruoso
(rigo 2 tab. 1) quando interviene la logica geroglifica (2d
in tabella 1) perché quella che a noi potrebbe apparire come una figura
“mostruosa” o dall'incerto esito estetico - in quanto composta da elementi disparati ed eterogenei che non sembrano aver alcun rapporto diretto tra loro - è da considerarsi “falsa figurativa”, cioè che non intende raffigurare alcunché, ma è il risultato della composizione di segni con valore fonetico, appartenenti ad un
codice di tipo geroglifico che si serve non soltanto di caratteri
astratti (scrittura
lineare) ma anche di immagini figurate, simboliche o ideografiche.
Ciò non
significa che il codice venisse impiegato in modo meramente
funzionale, e come infatti è ben noto nel caso egizio, l'accostare
elementi eterogenei e disparati aveva anche il compito di mostrare
da un lato l'estraneità del personaggio alla
quotidianità del mondo sensibile in cui l'uomo vive, ma dall'altro
mostrare le connessioni che lo stesso personaggio ha con
diversi elementi nell'universo sensibile e
sommargli le relative proprietà
abilitanti.
NOTE:
- Atropa
Belladonna, "Umano sarà lei!" in Montepramablog.it del
04.05.2014
- Atropa Belladonna,"Segnali di segni: il "beccuccio", la "forcella", il disco e..." in Montepramablog del 13/12/2013
- Atropa Belladonna, “La barchetta nuragica iscritta di Teti: la cronistoria” del 17.12.2014 in Montepramablog.it
- Igor Baglioni (a cura di), Monstra. Costruzione e Percezione delle Entità Ibride e Mostruose nel Mediterraneo Antico, Primo Volume (Egitto, Vicino Oriente, Area Storico-Comparativa), Edizioni Quasar, Roma 2013 - atti del Convegno svolto a Velletri (Roma) nei giorni 8,9,10,11 giugno 2011;
- Igor Baglioni (a cura di), Monstra. Costruzione e Percezione delle Entità Ibride e Mostruose nel Mediterraneo Antico, Secondo Volume (L'Antichità Classica), Edizioni Quasar, Roma 2013 - atti del Convegno svolto a Velletri (Roma) nei giorni 8,9,10,11 giugno 2011;
- Michail Batchin, L'opera di Rabelais e la cultura popolare, Biblioteca Einaudi, Torino, 1965;
- Ranuccio Bianchi Bandinelli, Organicità e Astrazione (1956), Electa 2005;
- Maria Cristina Biella, Enrico Giovannelli, Lucio Giuseppe Perego (a cura di), Il Bestiario fantastico di Età Orientalizzante nella penisola italiana – Coll. Aristonothos – Scritti per il Mediterraneo Antico – Quaderni n.01, Tangram Edizioni Scientifiche, Trento 2012
- Matteo Corrias, Il tipo iconografico del gastrocefalo. Lettura comparativa di un documento di scrittura nuragica in Monti Prama n. 66 (2013) ed anche in Montepramablog.it del 14.10.2014 (prima parte) e del 26/10/2014 (seconda parte)
- Mircea Eliade, Arti del metallo e alchimia, Bollati Boringhieri, 2004 (I ed. 1980).
- Karl Kerenyi Dioniso. Archetipo della vita indistruttibile, (1976) Adelphi, Milano 1992
- Karl Kerenyi, Religione Antica, (1971) Adelphi, 2001
- Karl Kerenyi, Nel labirinto, (1950) Bollati Boringhieri, 1983
- Karl Kerenyi, Gli dèi e gli eroi della Grecia, ( I ed. italiana 1963), Il Saggiatore 2002
- Angelo Ledda, "Il sacro segreto palese" in Monti Prama n. 66 (2013)
- Angelo Ledda, "Monte Prama: tra organicità e astrazione" in Monti Prama n. 67 (2016)
- Angelo Ledda, "Classico e Anticlassico: la forma ritmica della storia culturale europea" in Maymoniblog del 14/07/2015
- Angelo Ledda, "A un passo dall'impossibile: organismi e meccanismi “mostruosi” in Maymoniblog del 28/04/2016
- Angelo Ledda, "Riprodurre il visibile o rendere visibile” in Maymoniblog del 1/2017/06/2016
- Francesca Alfano Miglietti, “Corpo scelto. Ibridi e Trasfigurazioni nell'arte contemporanea” Sistemi Operativi – Accademia d Belle Arti di Urbino;
- Gigi Sanna, Sardoa Grammata 'ag'ab sa'an yhwwh, S'Alvure, Oristano 2004;
- Gigi Sanna, I segni del Lossia Cacciatore, S'Alvure, Oristano 2007
- Gigi Sanna, La stele di Nora, Il dio, il dono, il santo, PTM Mogoro 2009
- Gigi Sanna, “Buon Nataleda Teti: NuR Hē ’AK Hē ’ABa Hē” del 17.12.2009 nel blog di Gianfranco Pintore e ripubblicato in Montepramablog.it del 9/12/2013
- J. J. Winckelmann, Pensieri sull'imitazione delle opere greche nella pittura e nella scultura, 1755
NOTE:
[1]
Si è già sottolineato nel contributo precedente che il termine
“monstrum” è impiegato esclusivamente come categoria
interpretativa e ci sembra superfluo sottolineare che è da me
impiegato privo di ogni connotazione morale o valore di giudizio.
[2]
Ciò non significa che l'artista operi in modo pedissequo e che non
introduca elementi di novità o di grande valore espressivo. Sono
solito usare distintamente due termini: uno è raffigurazione, che
significa precisamente “rendere la figura” e dove l'immagine
è verosimile all'oggetto reale, mentre l'altro è rappresentazione che
è un termine più ampio, che comprende sì, anche il primo, ma che
significa“rendere (di nuovo) presente” e dove l'autore tenta
di richiamare qualcos'altro di diverso,
costringendoci all'interpretazione. Si veda in proposito il post
a questo
link .http://maimoniblog.blogspot.it/2016/06/riprodurre-il-visibile-o-rendere.html
[3]
Li Causi Pietro, “Mostri propriamente detti e creature paradoxa. Un
tentativo di classificazione” in I. Baglioni, 2003 (Primo Volume).
[4]
Karl Kerenyi, 2002 cfr bibliografia, p.66
[5]
Karl Kerenyi, 2002 cfr bibliografia, p. 131
[6]
Il gigante Talo era invincibile, tranne in un punto della caviglia,
dove era visibile l'unica vena che conteneva il suo sangue. La
leggenda vuole che quando la spedizione degli Argonauti giunse
sull'isola, sia stato reso pazzo da Medea ed ucciso
dall'argonauta Peante che trafisse la sua vena con un colpo
di freccia. Un'altra versione narra che il gigante sia morto per la
fuoriuscita del sangue, causata però dall'urto della caviglia con
una roccia. Ringrazio qui Matteo Corrias che in un commento al contributo precedente ha suggerito lo sviluppo del discorso in relazione agli "automi" greci.
[7]
“Posteriore alla tecnica della terracotta, la metallurgia si
inquadra in un universo spirituale in cui il Dio celeste (…) è
definitivamente soppiantato da parte del Dio forte, il Maschio
fecondatore, sposo della Grande Madre Terra. Ora sappiamo che, a
questo livello di religiosità, l'idea di una creazione operata da un
Essere supremo uranio passa nell'ombra, per cedere il posto
all'idea di una creazione per ierogamia e attraverso un sacrificio
cruento: si assiste al passaggio dalla nozione di creazione a quella
di procreazione (…) In diretto rapporto con questo simbolismo
sessuale ricordiamo le molteplici immagini del ventre della Terra,
della miniera assimilata all'utero e dei minerali assimilati agli
embrioni: altrettante immagini che conferiscono un significato
ginecologico e ostetrico ai rituali che accompagnano le attività
minerarie e metallurgiche”. Mircea Eliade, Arti del metallo
e alchimia, Bollati Boringhieri, 2004 (I ed. 1980), p. 8
[8]
Il ruolo di questi ministri del culto era avvertito come
fondamentale, nella convinzione che la mancata espiazione dei dira
prodigia potesse mettere a repentaglio l'esistenza stessa di Roma.
Significativamente, pertanto, per porre fine alla collera divina era
ritenuto indispensabile attuare i giusti remedia, la cui tipologia
rituale indicata dagli oracoli contenuti all'interno degli
antichissimi libri Sibilinni, che solo i viri sacris faciundis erano
competenti a consultare.
La
procedura – tecnicamente adire ad libros – si attivava solo su
richiesta del Senato, l'unico organo abilitato a valutare nel
concreto la potenziale ricaduta negativa di un evento prodigioso
sulla civitas. Di qui si evince la differenza di fondo tra questi
speciali operatori cultuali e le altre categorie sacerdotali operanti
a vario titolo nel settore della divinazione, come gli auguri o gli
aruspici: se questi ultimi, infatti, possedevano peculiari facoltà
mantiche, quelli invece agivano esclusivamente come dei funzionari
specializzati addetti alla consultazione dei testi sacri.
[9]
Pietro Mander, “I Mischwesen nella religione mesopotamica” in
I. Baglioni, 2003 (Primo Volume), p. 154
[10]
Lorenzo Verderame, "Osservazioni a margine dei concetti di
"ibrido" e "mostro" in Mesopotamia in I.
Baglioni, 2003 (Primo Volume) p.170
[10]
Angelo Ledda, "Il sacro segreto palese" in Monti Prama
n. 66 (2013)
[11]
Scrive ancora Sanna (2007): “grotteschi organi sessuali
maschili e femminili abbinati ed incorporati nello stesso oggetto,
figure di (presunte) 'renne' del paleolitico accompagnate da forme di
scrittura 'lineare', riconducibile tutta o quasi tutta al periodo
storico, stranissimi vasi antropomorfici scritti e 'sans bouche',
figure ornitomorfe con disegno di cavalli sul petto, uno sconcertante
codice alfabetico di numerose lettere, agglutinate e non, che sapeva
di greco e di fenicio arcaico, ma anche di etrusco, venetico,
celtico, iberico, libico e così via)”, p.20
[12]
Gigi Sanna (2007): “Il criterio stilistico-grafico delle
legature in Delfi non è certo nuovo e muove, come si sa, dall'alba
stessa della nascita della scrittura, cioè con i geroglifici
egiziani. Gli ebrei del Sinai adoratori di yahweh e inventori con
ogni probabilità del codice (pittografico acrofonico consonantico)
cosiddetto protosinaitico, imitarono, per vicinanza territoriale e,
per certi versi, anche 'culturale' religiosa (ad es. il culto del
toro; Yahweh considerato bue Api, ecc), sia pur in forma assai più
dimessa e schematica, lo stile 'criptico' ed estetico assieme, delle
legature o accorpamento dei segni simbolici e fonetici così
abbondantemente sfruttate dai geroglifici egiziani. Detto stile sarà
sicuramente trasmesso dal 'protosinaitico' a altri codici si
scrittura”(p.64)
[13]
Le citazioni di Hornung sono tratte da diversi contributi
presenti in I. Baglioni, 2003 (Primo Volume), p. 154. Il grassetto è mio.
[14]
Alessandra Colazilli, “La 'mostruosità' umana e il divino
nell'antico Egitto” in I. Baglioni, 2003 (I Volume), nota 1 a
pag. 29
[15]
Sanna (2007) p. 29
BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO:
- Atropa Belladonna,"Segnali di segni: il "beccuccio", la "forcella", il disco e..." in Montepramablog del 13/12/2013
- Atropa Belladonna, “La barchetta nuragica iscritta di Teti: la cronistoria” del 17.12.2014 in Montepramablog.it
- Igor Baglioni (a cura di), Monstra. Costruzione e Percezione delle Entità Ibride e Mostruose nel Mediterraneo Antico, Primo Volume (Egitto, Vicino Oriente, Area Storico-Comparativa), Edizioni Quasar, Roma 2013 - atti del Convegno svolto a Velletri (Roma) nei giorni 8,9,10,11 giugno 2011;
- Igor Baglioni (a cura di), Monstra. Costruzione e Percezione delle Entità Ibride e Mostruose nel Mediterraneo Antico, Secondo Volume (L'Antichità Classica), Edizioni Quasar, Roma 2013 - atti del Convegno svolto a Velletri (Roma) nei giorni 8,9,10,11 giugno 2011;
- Michail Batchin, L'opera di Rabelais e la cultura popolare, Biblioteca Einaudi, Torino, 1965;
- Ranuccio Bianchi Bandinelli, Organicità e Astrazione (1956), Electa 2005;
- Maria Cristina Biella, Enrico Giovannelli, Lucio Giuseppe Perego (a cura di), Il Bestiario fantastico di Età Orientalizzante nella penisola italiana – Coll. Aristonothos – Scritti per il Mediterraneo Antico – Quaderni n.01, Tangram Edizioni Scientifiche, Trento 2012
- Matteo Corrias, Il tipo iconografico del gastrocefalo. Lettura comparativa di un documento di scrittura nuragica in Monti Prama n. 66 (2013) ed anche in Montepramablog.it del 14.10.2014 (prima parte) e del 26/10/2014 (seconda parte)
- Mircea Eliade, Arti del metallo e alchimia, Bollati Boringhieri, 2004 (I ed. 1980).
- Karl Kerenyi Dioniso. Archetipo della vita indistruttibile, (1976) Adelphi, Milano 1992
- Karl Kerenyi, Religione Antica, (1971) Adelphi, 2001
- Karl Kerenyi, Nel labirinto, (1950) Bollati Boringhieri, 1983
- Karl Kerenyi, Gli dèi e gli eroi della Grecia, ( I ed. italiana 1963), Il Saggiatore 2002
- Angelo Ledda, "Il sacro segreto palese" in Monti Prama n. 66 (2013)
- Angelo Ledda, "Monte Prama: tra organicità e astrazione" in Monti Prama n. 67 (2016)
- Angelo Ledda, "Classico e Anticlassico: la forma ritmica della storia culturale europea" in Maymoniblog del 14/07/2015
- Angelo Ledda, "A un passo dall'impossibile: organismi e meccanismi “mostruosi” in Maymoniblog del 28/04/2016
- Angelo Ledda, "Riprodurre il visibile o rendere visibile” in Maymoniblog del 1/2017/06/2016
- Francesca Alfano Miglietti, “Corpo scelto. Ibridi e Trasfigurazioni nell'arte contemporanea” Sistemi Operativi – Accademia d Belle Arti di Urbino;
- Gigi Sanna, Sardoa Grammata 'ag'ab sa'an yhwwh, S'Alvure, Oristano 2004;
- Gigi Sanna, I segni del Lossia Cacciatore, S'Alvure, Oristano 2007
- Gigi Sanna, La stele di Nora, Il dio, il dono, il santo, PTM Mogoro 2009
- Gigi Sanna, “Buon Nataleda Teti: NuR Hē ’AK Hē ’ABa Hē” del 17.12.2009 nel blog di Gianfranco Pintore e ripubblicato in Montepramablog.it del 9/12/2013
- J. J. Winckelmann, Pensieri sull'imitazione delle opere greche nella pittura e nella scultura, 1755
Molto interessante anche perché molto acuto. Con Matteo sembrate gemelli (anche per dottrina). Non posso dilungarmi molto ma, se può servire, quei due esseri mostruosi dell'urna cineraria sono Tin e Uni. Lo si capisce perchè è scritta a rebus, come tutte le urne cinerarie etrusche e i sarcofaghi (e non solo). Il rebus per convenzione si avvale (come ho già scritto a proposito dei sarcofaghi, delle lastre funeraie e dei cippi) di tre lingue: latino, greco ed etrusco. Leggendo rigorosamente dall'alto verso il basso, prima l'uno e poi l'altro, hai APEX del latino + PATERE del latino + C dell'etrusco/ APEX + TITAINO (o lunga)del greco + C dell'etrusco. I due verbi significano entrambi 'estendersi, allungarsi': aspetto che suggerisce il naso 'mostruoso'. Ma sempre la stessa 'mostruosità' rende ideograficamente la lettera etrusca 'C' ovvero l'eclitica latina -que. Che significa anche 'tre'. Quindi il quella strana raffigurazione la 'mostruosità' viene sottolineata per dare scrittura e cioè suono. Infatti, l'incipit di quella iconografia rende ' APAC ATIC (e il padre e la madre). Non riesco a proseguire, data l'immagine non buona ma presumo che di seguito ci sia 'scritta' in qualche modo la voce 'sostegno, forza'. Tieni presente che diverse urne cinerarie possiedono, più o meno variata, la stessa formula. Naturalmente è inutile che ti ricordi il valore del 'tre' presente nella realizzazione dell'oggetto (tre lingue e i due 'tre' (C)). E' il valore costante del nuragico per la divinità che essendo doppia o androgina diventa 'sei'. 'Sei' anche in Etrusco come si può vedere da tantissimi documenti.
RispondiEliminaGrazie Professore della lettura della fig.9, anche perché come è scritto nella didascalia esistono numerose interpretazioni e nessuna concordanza...
EliminaOttimo seguito della prima parte del discorso, Angelo. Sottolineo solo alcuni aspetti forse marginali: "un tentativo (pur imperfetto e per questo variabile) di “dire” qualcosa di indicibile e di “dare forma” (in-formare) a un qualcosa di inafferrabile". In queste parole è sintetizzata l'essenza della simbologia in quanto "linguaggio" pre-dianoetico (ma non per questo illogico) che accompagna l'uomo fin dall'aurora del suo percorso storico, e anzi sorge addirittura nella "notte" della preistoria, se è vero - come Jean Ries ha efficacemente mostrato - che le prime tracce di simbolizzazione (e dell' "homo symbolicus") risalgono alla cultura di Olduvai con l'homo habilis. Trovo poi molto interessante il curioso parallelismo fra la pratica esoterica mesopotamica della scomposizione e l'analoga pratica della "cabala estatica" o "dei Nomi", il cui massimo esponente fu Abraham Abulafia. Il simbolismo della scomposizione (ad esempio del corpo del dio in parti, come nel culto di Cibele, nell'osirismo o nel cristianesimo) è poi attestata in numerose tradizioni iniziatiche, ed è sostanziale all'azione sacrificale, che costituisce il fulcro dell'azione liturgica in tutte le religioni antiche.
RispondiEliminaAffatto marginali le considerazioni, soprattutto quella che riguarda la scomposizione che a me pare centrale. Ho idea che sia proprio la base per la costruzione di molte immagini figurate. Per riferirmi solo ad un piano artistico e alla produzione di opere, penso a Bianchi Bandinelli che considerava l'astrazione come ottenuta da un "processo di consunzione" a partire da una base della realtà (ma questa coincide piuttosto con la stilizzazione) e di converso mette sul polo opposto le immagini figurative organiciste. Ma così facendo crea un solco tanto che non mi sembra riesca ad afferrare appieno quelle opere che gli risultano a metà strada. In realtà io penso che tra organicità e astrazione esista una terza via, che è propria di chi dapprima compie sul piano concettuale un processo sì, di astrazione (nel senso etimologico di staccare fuori) e quindi scompone e decostruisce per ottenere delle parti già piene di senso (anche appartenenti al mondo figurativo) ma compie un ulteriore passo in più quando le ricompone insieme ma in modo totalmente nuovo, accostando o ri-fondendo le parti dapprima smembrate, per ottenere una figura il cui esito sarà poi 'mostruoso, grottesco'. L'affinità è con l'alchimia anche in questo senso.
RispondiElimina(E con riferimento alla metallurgia è per me molto bella e appropriata la parola "condere", nel senso di "fondare" e "comporre" e allo stesso tempo di "nascondere")
EliminaPosso aggiungere al mio tentativo di interpretazione della fig.7 il dato delle manifeste strane cinque dita a 'stella' (è evidente he non contano le dita quanto le 'cinque' punte). Sappiamo ormai bene cosa significa il cinque nel nuragico. Pertanto l'incipit della scrittura metagrafica è 'potenza (del sostegno?) e del padre e della madre'. Ma questo non so quanto possa servire se non nel fatto che la scrittura è frutto di una 'composizione che nasconde', che lascia il 'testo' religioso (= superstizioso) misterioso sino alla soluzione del rebus.
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