L’ermeneutica ‘pseudologica’ (1), assai gettonata in archeologia (2), procede disinvolta e invece di affidarsi alla nobile e sempre valida filologia comparativa preferisce correre il rischio delle cantonate. Cosa può essere infatti per 'logica' visiva ad un uomo moderno o contemporaneo, un disegno a scacchiera se non proprio una bella scacchiera? Magari la prima scacchiera inventata da una popolazione del Mediterraneo. Disegnata poi in una tomba neolitica (c.d. Domus de Jana) potrebbe avanzarsi l’ipotesi, da parte dei più immaginifici, che il gioco a ‘scacchi’ si comprende nell'ideologia funeraria come incertezza per i defunti nel superare le difficili prove per raggiungere l'aldilà. Quei quadrati bianchi e rossi, la palese bicromia non è forse quella delle moderne scacchiere? Per pseudologica, completamente indifferenti al fatto che i segni del passato sono del passato e non del presente ci lasciamo ingannare dagli occhi quasi che essi fossero la nostra mente che è la sola in grado di discernere e dire, qualora lo possa in qualche modo, ‘cosa è’ veramente un certo segno e ‘cosa’ invece non è. Qualcuno la butta sul gusto, sull' estetica e sul mero decorativo e, quasi si trattasse di una stanza mortuaria abbellita, pensa ad arazzi e a tappeti dell’epoca tanto più che un soggetto astratto con ondulazioni, non infrequente nei disegni della tessitura di ogni tempo e di ogni luogo, si affianca alla ‘scacchiera’ sulla destra della parete della domus.
Certo, interpretare i ‘segni’ senza conoscerne numerosi altri, di
contesto e non, è assai difficile, anche perché per il neolitico sardo
manca ancora un lavoro complessivo (3) attinente alla registrazione dei
disegni, di tutti i disegni, presenti nelle varie ‘domus’ del neolitico sardo; così come manca un lavoro 'esaustivo' che raccolga i non pochi 'segni' rinvenuti nella ceramica e nella
pietra, sempre riguardanti lo stesso periodo preistorico sardo. Tuttavia, per
chi si arma di pazienza e raccoglie quello che si trova qui e là in letteratura e per chi
tiene presenti segni di altre ‘domus’ funerarie, anche di parecchio successive
cronologicamente, qualcosa si riesce a capire ‘oltre’ alla superficie.
Vediamo di comprendere quella ‘strana’ scacchiera bianco - rossa e quei ugualmente
‘strani’ segni ondulati. Partiamo però da un presupposto e da un’ipotesi che
riteniamo del tutto legittima considerato il dato 'comunicativo' e non solo estetico della raffigurazione tombale:
che coloro che hanno disegnato (dipinto) non siano stati indotti tanto dall’intenzione di
solo ‘decorare’ ma da quella di ‘scrivere decorando’; scrivere con ideogrammi, ovvero con i lessemi nascosti, una certa frase con senso compiuto.
Per capirlo prendiamo in esame i due chiari temi espressi nella ‘pagina’ della
tomba: la ‘scacchiera’ e le ondulazioni.
La
cosiddetta ‘scacchiera’.
La ‘scacchiera’ di Pubusattile di Villlanova Monteleone si compone,
grosso modo, di un quadrato e di un cospicuo numero di quadrati più piccoli. Se
calcoliamo il significato del quadrato (o del quattro) per come lo intende
ideograficamente successivamente il nuragico (4) avremo quello della ‘forza, vigore,energia’.
All’interno del quadrato dobbiamo naturalmente considerare i ‘quadratini’ che
vengono ripetuti dando il significato della reiterazione ovvero della
‘continuità’. I due ideogrammi (quadrato e quadratini ripetuti) danno quindi
l’incipit ‘ forza continua’. Non deve però sfuggire, per quanto riguarda il disegno polisemico del quadrato, il significato della
‘bicromia’ e cioè del doppio, bianco - rosso (5). Questo ‘doppio’ va quindi ad
aggiungersi a ‘forza continua’. Quindi ‘doppia forza continua’. Sorge quindi la
domanda: ‘Doppia forza continua’ di chi?
Le ondulazioni
Si
noterà subito che i segni sono serpentiformi (con tre spire) e in numero di
sei. Se manteniamo la stessa lettura ideogrammatica avremo ‘ serpente’ =
continuità’ + il numero ‘Sei’. Cioè ‘continuità del Sei’. Per la lettura della
scrittura metagrafica che andiamo da tempo proponendo sia per il nuragico che
per l’etrusco sappiamo con certezza che il tre è ideogramma numerale per indicare la luce
e che il sei è ideogramma numerale per indicare la doppia luce,
la luce ciclica del sole e della luna, la luce dell’androgino (yh in
nuragico e Tin/Uni in etrusco). Otterremo quindi ‘Forza doppia continua
della doppia luce continua’. Per comodità di chi ci segue disarticoliamo tutti
i segni ideografici e riportiamoli in una tabella. Avremo:
Il senso della raffigurazione dell'affresco del vano della domus di Pubusattile allora sarà questo. per i defunti della domus si
‘certifica’ (in modo magico, cioè attraverso l’ermetica scrittura nascosta) che
nella tomba non c’è il buio e la morte, ma la luce, la ‘forza doppia luminosa ciclica
della divinità’ che li farà rinascere. Se così è, risulta pacifico che non
c’entrano per nulla il gioco e i tappeti: c’entra invece l’ideologia
dell’aldilà e l’esorcizzazione della morte attuata con la magia della scrittura,
quella che garantisce una nuova vita nella luce per l’intervento della luce
stessa della coppia solare e lunare (6), del doppio toro (7) che, giorno dopo giorno, dà la vita nel
mondo.
Ora, è evidente che questa lettura,
per quanto supportata con documentazione dal successivo codice funerario
nuragico ed etrusco (8), ha bisogno, per essere ritenuta valida e quindi
‘scientifica’, di essere rafforzata da altre prove ‘scritte ideogrammatiche’ presenti
o in altre domus de Jana oppure in oggetti dello stesso periodo. Per non
allargare più di tanto l’argomentazione ma ritenendola comparativamente più che
sufficiente ricorreremo ad alcune delle (note) testimonianze documentarie del
neolitico sardo che rendono plausibile la presenza della scrittura ideografica e la conseguente lettura di essa:
1. Il disegno
della domus de jana di Mandra Antine di Thiesi
2. Il peso da
telaio rinvenuto a Monte d’Accoddi
- - I frammenti di ceramica di Monte d’Accoddi e di Monte Majore di Thiesi
L
L - L'idolo di Monte d’Accoddi.
- - I frammenti di ceramica di Monte d’Accoddi e di Monte Majore di Thiesi
L
L - L'idolo di Monte d’Accoddi.
Il disegno di Mandra
Antine di Thiesi (9) è assai
astratto, un rebus vero e proprio con segni vari che impegnano assai non solo
chi pensa ad un motivo decorativo con simbologia ma anche chi è abituato a
leggere la scrittura ideogrammatica. Vediamo di capirci qualcosa.
Si noterà subito che c’è un dato segnico che si è esaminato e decifrato
nel disegno di Pubusattile e cioè il quadrato (10). Detto quadrato va a formare con due
chiare corna superiori una protome taurina. Si presentano quindi due
ideogrammi, il quadrato e la protome taurina che esprimono entrambi la ‘forza’.
Quindi una ‘doppia forza’. La protome taurina è però disegnata con altre due
corna: una mediana ed una inferiore. Quindi ‘tre’ corna’. Il significato ideogrammatico delle corna è
quello di ‘difesa’ (11). Se ben si
osserva il pittore ha distanziato lievemente i corni dell’animale in modo da suggerire
non solo le tre corna della protome ma anche i sei corni. Tre da
una parte e tre dall’altra. Sommando il valore ideogrammatico dei segni avremo:
doppia forza della difesa del sei. A questi ideogrammi dobbiamo
aggiungere il segno sulla fronte dell’animale, forse il più ostico di tutti.
Esso si compone di due rombi e di due mezzi rombi dando l’idea, come in un moderno
processo per fotogrammi avanzanti (12), di una
continuità della figura geometrica. Quindi si otterrà: Doppia forza continua
della difesa del sei.
Le corna mediane della protome sono particolari rispetto alle altre due
perché presentano appesi in ogni corno dei simboli, tre da una parte e tre
dall’altra della protome, che richiamano per figura un oggetto ‘oscillante’, quello che potremmo chiamare 'pendolo'. Alla destra e alla sinistra dei tre simboli compaiono ancora due
‘quadrati’ (13) al di sotto dei quali insiste ancora
un segno a pendolo. Esplicando gli ideogrammi avremo: forza continua della
difesa del tre continuo (il pendolo) + forza continua della difesa del
tre continuo e cioè doppia forza continua della doppia difesa del sei continuo.
Quanto al senso generale si ricava che Il disegno a rebus contiene
scritta per due volte la stessa frase ma forse leggermente variata:
1 Doppia forza continua della
difesa del sei
2. Doppia forza continua della
difesa sei continuo.
Pensiamo che una tabella riassuntiva
possa far comodo:
Pubusattile e Mandra
Antine: scritte gemelle e così diverse!
Si può dunque concludere, provvisoriamente, affermando che le due domus
non sono ‘decorate’, non hanno solo ornamento, secondo l’opinione universale, ma anche e soprattutto ‘scrittura’. E che possiedono entrambe, tra gli altri disegnati nelle pareti,
degli ideogrammi organizzati spazialmente che esprimono una frase del tutto simile. Si affaccia qui un
criterio di ‘scrittura’ che resterà fondamentale per tutta quella successiva
(sarda nuragica ed etrusca) ideogrammatica che fosse essa composta o no da
segni lineari: quello della ‘variatio’ compositiva (14).
Il peso da telaio di Monte
d’Accoddi.
Non sembra discostarsi dal linguaggio formulare, espresso per
ideogrammi dei precedenti ‘documenti’, il peso da telaio con il disegno astratto
realizzato in entrambe le facce (v. fig. seg.). Il manufatto fu trovato dall’archeologo
Ercole Contu in Monte d’Accoddi nello scavo effettuato nella cosiddetta
‘capanna dello stregone’ (15).
Il primo dato che balza evidente dal disegno è la presenza degli
‘oscilla’ (dei 'pendoli') in entrambe le facce dell’oggetto. Nella faccia A si
hanno, disegnati con tecnica decorativa a puntinato, tre oscilla e nella
faccia B sei oscilla. Anche il numero quindi è interessato, in modo
uguale o simile, alla lettura. Numero che, con ogni probabilità, si estende ai
cinque fori pervi e ai puntini ‘continui’ che caratterizzano il peso.
Ipotizzando che il cinque abbia il significato di ‘potenza’ (16), cioè valore uguale a quello che
esprime il quadrato di Sa mandra, possiamo iniziare l’interpretazione
con lo stesso incipit: potenza del tre (faccia A); potenza del sei
(faccia B). Se la serie ‘infinita’ dei puntini di cui è cosparso il peso, da
una parte e dall’altra, si intende come ‘continuita’ e detto significato lo
riferiamo al ‘cinque’ di entrambe le facce, otteniamo ‘:
-
Potenza continua del tre continuo (i tre pendoli)
-
Potenza continua del sei continuo (i sei pendoli)
Se così stanno le cose il disegno di Sa mandra, quello di Pubusattile
e quello del peso della capanna dello stregone mostrano d’avere lo
stesso significato. Sono tre disegni diversi per dire in modo diverso la stessa
cosa o ‘quasi’ la stessa cosa:
Pubusattile: Doppia
forza continua del sei continuo.
Mandra Antine: Doppia
forza continua della difesa del tre / Doppia forza continua della difesa del sei
continuo
Capanna dello stregone: Potenza
continua del tre continuo/ Potenza continua del sei continuo.
Abbiamo detto ‘quasi’ la stessa cosa perché in tutti, come si può
vedere, c’è espresso il sei continuo mentre in due documenti su tre c’è
espresso il tre, una volta con il ‘continuo’ e una volta senza. Per
quanto riguarda la ‘forza’ o ‘la potenza’ essa è sempre ‘continua’ ma due
volte su tre è ‘doppia’. Inoltre nella ‘scritta’ di Mandra Antine si aggiunge
l’ideogramma delle ‘corna’ con significato di ‘difesa’.
In ogni caso, i numeri espressi sono
sempre il tre e il sei, anche in Pubusattile dove il sei
può tranquillamente essere considerato tre + tre.
Essendo il tre ed il sei ideogrammi
della luce, ovvero del movimento continuo (alias serpente, pendolo,
puntini) ciclico del sole e della luna, le espressioni ideogrammatiche
nascoste, le ‘scritte’ nascoste riguardanti l’attività dei due astri,
costituiscono il talismano, il potere magico della tomba garante della
continuità della vita (la luce) dopo la morte (17).
I
frammenti di ceramica di Monte d’Accoddi e di Monte Majore di
Thiesi
I tre
documenti esaminati di scrittura ideografica, già sufficienti, crediamo, per rendere sicura
l’ideologia della doppia potenza rigenerativa del sole e della luna, possono
però essere affiancati da altri documenti ancora che, sempre per scrittura
ideografica, parlano sempre del tre e del sei. Prendiamo il
frammento di ceramica della ciotola di Monte d’Accoddi ed
interpretiamolo secondo la ricostruzione offerta nel volumetto del Contu (18).
Il manufatto neolitico presenta una indubbia scena di danza (19) condotta da cinque ballerini che si
tengono per mano. Al di sopra e al di sotto di essi insistono dei motivi
triangolari ripetuti in un certo numero: cinque triangoli in una prima linea,
cinque triangoli in una seconda linea al di sopra dei cinque ballerini; cinque
triangoli in una terza linea al di sotto dei ballerini. Uno potrebbe pensare,
per pseudologica, senza riflettere più di tanto, che il piatto possieda delle
semplici decorazioni. Ma così non è perché niente c’è nelle espressioni
‘artistiche’ dei neolitici di mero decorativo, niente fa supporre che sia
l’estetica lo scopo di fondo delle raffigurazioni quanto invece la ‘scrittura’, attuata
attraverso degli ideogrammi e cioè attraverso quei segni che, disposti in un certo
ordine spaziale, suggeriscono le parole. Pertanto anche qui, come nelle raffigurazioni della tomba di Bubusattile, della
tomba di Mandra Antine e del peso da telaio di Monte d’Accoddi,
si tratta di sforzarsi di interpretare i segni secondo le solite convenzioni di
significato numerico e secondo le ‘idee’ che suggeriscono, per capire cosa
intendono dire e comunicare.
Prendiamo le mosse dal motivo della danza e dei cinque ballerini.
La danza esprime ovviamente, per la ripetitività delle mosse, l’idea della
‘continuità’. Cominciamo, già da questo solo dato, a comprendere che la ‘danza’
può essere un segno equiparabile come ideogramma al pendolo, al serpente e ai
puntini (ripetuti tantissime volte), cioè a quei segni che nei documenti
precedenti abbiamo visto esprimere l’idea della continuità. Il numero dei
ballerini, ovvero il cinque, potrebbe come nei fori del peso da telaio rendere
l’idea della ‘potenza’, idea simile a quella del quadrato che in Pubusattile
e in Mandra Antine rende la ‘forza’. Se accostiamo le idee che danno i cinque
ballerini e la danza otteniamo il senso solito di ‘ potenza continua’. Ma
potenza di chi? Se appena appena si sta attenti alla simbologia numerica (matematico
-geometrica) si noterà che la veste dei ballerini è piuttosto curiosa e
allusiva, formata com’è da due triangoli equilateri con vertice contrapposto.
Una veste dunque che ‘suggerisce’, che dà, senza difficoltà alcuna, l’idea del sei.
Abbiamo quindi l’espressione precisa degli altri documenti che abbiamo
precedentemente interpretato: potenza (forza) continua (danza) del
sei continuo (abito a triangoli ripetuto). Abbiamo cioè il significato della potenza ciclica perenne della
luce del sole e della luna. Il motivo del piatto di Monte d’Accoddi
quindi risulta avere lo stesso valore magico (funerario?), con il riferimento
al sei astrale continuo, quello espresso nelle domus de jana esaminate e nel peso
della capanna dello stregone. C’è però ancora dell’altro da interpretare: i
motivi triangolari espressi al di sopra e al di sotto della scena della danza.
Anch’essi non costituiscono decorazione ma scrittura ideografica. Infatti, i tre
motivi presentano tutti cinque triangoli che dobbiamo mettere in elenco
e sommare una volta che abbiamo tradotto le immagini (ideogrammi) in parole:
potenza del tre
potenza del tre
potenza del tre
Poiché i segni sono ‘ripetuti
(continui) otterremo: potenza continua del tre continuo.
Il piatto dunque sembra riportare due
letture:
Potenza continua del tre continuo
Potenza continua del sei continuo
cioè
Potenza continua della luce continua
Potenza continua della doppia luce
continua
Il significato della doppia
lettura sta, con ogni probabilità, nel fatto che con la prima si intende
esprimere la luce in assoluto mentre con la seconda si specifica che la luce è
composta da due luci (le famose due lampade della Genesi che danno la luce del
giorno e della notte), quella del sole e della luna. In ogni caso, sembra evidente che tutte le
raffigurazioni ‘astratte’ a rebus, esaminate precedentemente, danno come risultato la
presenza del Sei, numero luminoso fondamentale del quale si esprime la potenza
(o la forza).
Di notevolissima importanza sul piano filologico e comparativo, per ciò che andiamo dimostrando, è il
frammento di ceramica di Monte Majore di Thiesi.
La raffigurazione, per quanto mutilata da qualche accidente occorso agli uomini o da imputarsi alle ingiurie del tempo, è però forse in grado di dirci ancora qualcosa di solido sul suo significato generale. Infatti, se si esamina bene il rimasto, si colgono l’aspetto della danza, quello dei ballerini con il particolare abito ‘geometrico’ simile a quello di Monte d’Accoddi e, forse il dato più pregevole per poter parlare qui di ‘scrittura ideografica’, quello dell’oggetto oscillante disegnato tra i due ballerini. Quest’ultimo non può non richiamare il ‘pendolo’, ovvero l’ideogramma delle ‘continuità’, presenti nella raffigurazione della domus di Mandra Antine e in quella del peso da telaio di Monte d’Accoddi. Non può non richiamare cioè la danza ciclica continua del sei continuo’. Anzi la richiama ancora di più quella continuità, stante la realizzazione grafica dell’oscillazione del pendolo rispetto ai disegni poco o per nulla ‘dinamici’ della domus di Mandra Antine e del peso da telaio di Monte d’Accoddi. Più frammentari invece, ma indicativi comunque di una scrittura ideografica, sono i disegni che si hanno nella ceramica di siti neolitici come Serra is Araus di San Vero Milis, di Conca Illonis di Cabras e soprattutto, per una certa abbondanza documentaria, di Sa ucca ‘e su tintirriolu di Mara (20).
Il mistero del doppio vigore
della doppia luce. L'idolo di Monte d’Accoddi.
Anche un altro documento, stavolta lapideo, ci consente di confermare
che i neolitici sardi adoravano il sole e la luna in quanto espressione divina
di doppia luce datrice di vita. Si tratta della enigmatica scultura (v. fig. seg.) che il
Contu nella didascalia definisce (21) ‘frammento
di testa di statua con volto stilizzato’ (dal cosiddetto ‘tempio rosso’ di Monte
d’Accoddi).
Che
sia una ‘testa’ è indubbio, così come indubbio è - stando all’apparenza - che siamo
di fronte ad un ‘volto stilizzato’. Ma la concisa espressione dello studioso è
solo ‘descrizione’ non è certo un’interpretazione; niente ci dice, perché non spiega
affatto il motivo di una scultura con quel particolarissimo disegno graffito. Infatti,
cosa si intende significare, comunicare, portare all’attenzione di chi osserva,
con quella strana ‘stilizzazione’, con quei tratti strani in quanto, a ben vedere, non proprio
‘essenziali’ per disegnare un volto? Vediamo allora di descrivere il detto ‘volto’
addentrandoci un po’ di più sui particolari che lo riguardano. Prima di tutto notiamo
che gli occhi di quel viso sono sì ‘occhi’ ma disegnati e ‘rappresentati’ da
due chiare spirali. Ai lati del ‘volto' si presentano gli zigomi ma non il naso
né la bocca dando così l’impressione che il lapicida abbia voluto richiamare
l’attenzione, circa il significato, solo sugli occhi. Sugli occhi che però
risultano assenti in quanto sostituiti , o meglio ‘coperti’ da un qualcosa, da un oggetto che
somiglia assai ad una ‘maschera’. Se così è non si avrebbe un volto stilizzato con
una testa, ma una testa con un volto mascherato. Il volto non c’é, è del tutto nascosto. Ma detto
volto con la maschera delle due spirali al posto degli occhi mi possono dire
qualcosa di più? E per questo ‘qualcosa’ posso avanzare l’ipotesi che maschera
e spirali non costituiscano meri simboli ma degli ideogrammi che offrono, in
quanto tali, scrittura fonetica basata sul lessico? Ritengo di sì. Ma perché
l’ipotesi possa essere valida noi dobbiamo offrire una spiegazione logica soddisfacente
per entrambi i ‘segni’, da considerarsi ideogrammi. Innanzitutto, possiamo subito affermare che la
maschera (se maschera è), ha ovvio significato di ‘nascosto’: si avrebbe dunque
la testa con un ‘volto ‘nascosto’. Procedendo con l’esame possiamo affermare ancora che la spirale offre ugualmente un significato facile, quello comune e sicuro di
‘forza, vigore, energia, vitalità’. Si sa che il segno, con questo valore, è
assai presente nelle raffigurazioni tombali neolitiche, disegnato probabilmente
o come simbolo oppure come ideogramma, se ci troviamo in una ‘scrittura’. Si veda ad esempio l’ormai famosa pittura in
ocra rossa della domus di Bonorva (22):
Le due spirali della statua di Monte d’Accoddi possono avere quindi il significato di ‘doppia forza’. Essendo esse espressione degli occhi si può continuare, sempre per via ideogrammatica, l’interpretazione considerando gli ‘occhi’ come ‘doppia luce’. Altro da interpretare ideograficamente non sembra esservi se non le linee ‘continue’ che realizzano le due spirali. Per tanto raccogliendo ed ordinando i singoli dati ideogrammatici avremo:
Volto nascosto della doppia forza
continua della doppia luce.
Frase che può essere espressa anche con ‘volto nascosto della doppia
forza del doppio tre (sei)’. Esito questo che non può che richiamare
il linguaggio formulare sulla potenza degli astri dei documenti
che abbiamo visto precedentemente. Ma con un particolare in più di non poco
conto, quello della ‘maschera’, del volto nascosto’ che forse ci dice non poco
della ‘religio’ dei neolitici sardi. Essi adoravano il sole e la luna, le due
luci potenti, li osservavano e li studiavano continuamente (23) ma di quella loro potenza ammettevano
di non capire nulla. Era del tutto inafferrabile dalla loro intelligenza.
Infatti, ‘volto mascherato o nascosto’ altro non significa che ‘mistero’: mistero
(volto, aspetto nascosto) della doppia forza continua della doppia
luce.
L’idolo enigmatico di Monte d’Accoddi
Altra raffigurazione molto
significativa di scrittura ideografica è quella, assai enigmatica, dell’idolo
(chiamiamolo così) trovato vicino alla parete sud ovest dell’edificio templare
di Monte d’Accoddi (24).
(continua)
Note ed informazioni bibliografiche
1.
E’ l’ermeneutica che non si espone più di tanto, che si affida invece, consapevole o
inconsapevole che sia, al ragionamento e all’ approvazione comoda dei più. Per tanto
non ‘rischia’, non cerca la novità e la singolarità, quella straordinarietà che
dovrebbe già essere considerata presente in partenza data l’enorme distanza
temporale e quindi la diversità sul piano antropologico culturale. Essa è basata sulla pigrizia intellettuale, si
distingue talvolta per la disinvolta faciloneria, opera nell’assoluta banalità. Facciamo
un solo esempio. Quello del cosiddetto ‘brassard’, il supposto bracciale per
gli arcieri. Esso è un oggetto religioso, legato al culto della bipenne, cioè
al culto astrale del sole e della luna, come dimostra la bipenne scritta di Is
Locci - Santus (v. fig. seg.).
Per
l’archeologia, generalmente parlando, è un oggetto della materialità e solo
quello. Si ha voglia di dire che nella produzione iconografica sarda, quella
notevole per numero, dei bronzetti, nessun bracciale per proteggere il braccio
dal rinculo della corda dell’arco è costituito da una pietra: difficile da legare al polso con delle
cordicelle e destinata a spezzarsi dopo il rinculo della corda con la prima freccia scoccata. Non serve a
nulla il dato filologico, il rigore dimostrativo, anche su basi certe di archeologia
sperimentale. C’entra invece quello che, quasi in un rituale lessicale, di
ripetitivo si dice e si ridice con il rischio di dare interpretazioni comiche
se non grottesche come quella fornita sul citato oggetto di Is Locci -Santus
ritenuto, nonostante i segni pittografici e lineari di un ben preciso alfabeto,
manufatto neolitico con segni di scrittura di molto successivi, di 'tipo
giudaico - cristiano'. E potremmo continuare così per l’ermeneutica del
‘nuraghe’, del ‘pozzo sacro’, dei bronzetti ritenuti ‘ex voto’, per la cosiddetta ‘piastra’ di
protezione del petto e così via.
2.
Ognuno proceda con gli esempi che gli vengono in mente. Se volesse un
suggerimento prenda in esame l’ermeneutica grossolana (a dir poco) circa il
‘decorativo’ del sigillo ‘specimen’ di Tzricotu di Cabras. Cosa siano in realtà le presunte 'decorazioni' delle 'placche' lo sta dimostrando l'ermeneutica basata rigorosamente su sicuri dati empirici, sulla filologia e sui riscontri documentari. Vedi http://maimoniblog.blogspot.com/2018/04/il-sigillo-a1-di-tzricotu-matrice-per.html
http://maimoniblog.blogspot.com/2020/02/il-sigillo-a1-dei-giganti-rinvenuto-in.html
https://maimoniblog.blogspot.com/2020/02/a-monte-prama-il-sigillo-era-la-patente.html
http://maimoniblog.blogspot.com/2020/03/5-parte-il-foro-sulla-spalla-destra-dei.html
http://maimoniblog.blogspot.com/2020/02/il-sigillo-a1-dei-giganti-rinvenuto-in.html
https://maimoniblog.blogspot.com/2020/02/a-monte-prama-il-sigillo-era-la-patente.html
http://maimoniblog.blogspot.com/2020/03/5-parte-il-foro-sulla-spalla-destra-dei.html
3.
Naturalmente lavori pregevoli e accurate monografie, di studiosi sardi e non,
non mancano per il neolitico sardo anche sul piano del riporto dei ‘semata’.
Quello che lamentiamo è solo il non poter usufruire di una visione d’assieme, generale
e particolare, quella solo che permette di procedere nella ricerca scientifica
con maggiore possibilità di riscontri.
4.
V. Sanna G., 2016, I Geroglifici dei Giganti.
Introduzione allo studio della scrittura nuragica, cap. 5.2.
pp. 120 -121.
5.
Il motivo a scacchiera con il valore del quadrato e della bicromia ripreso da
altri li vedremo più avanti, nella seconda parte dell’articolo.
6.
Il culto del sole e della luna assieme costituisce una sorpresa per il periodo
neolitico in generale ritenuto momento di venerazione della madre più che del
padre. Lo stesso valore uterino della
domus, non di rado evocato nella stessa conformazione dell’ingresso, tenderebbe a
rafforzare questo dato di credenza religiosa. Il fatto è, secondo noi, che la
religione dei sardi neolitici era di tipo logico naturalistico e, in quanto
tale, propensa a dare risalto ad entrambe le sessualità, ovvero per metafora,
ai due tori luminosi che con la loro potenza davano non solo la vita ma anche
una seconda vita. Per la rinascita era assolutamente necessaria la forza
generante e vivificante dell’una e dell’altro. I tori ripetuti graffiti di alcune domus o i
due tori che riempiono graficamente le pareti delle domus attestano questa
parità di trattamento devozionale. Sarà bene qui far presente ciò che spesso
abbiamo detto in altre pubblicazioni: che l’idea che il toro fosse simbolo specifico
del Sole non ha ragione di essere. Il toro è simbolo della potenza sessuale sia
del maschio che della femmina. ‘Toro’ sono sia il sole che la luna. E’ quella ‘doppia forza’, la forza del ‘sei’ espressa nei ‘documenti’ che stiamo
esaminando ed interpretando.
7.
Su questa continua simbologia taurina astrale si vedano ad esempio le domus di San
Basilio di Sassari e le bellissime e ormai famose domus di Monte Siseri
in Putifigari (di cui si dirà).
8.
I documenti nuragici e, successivamente, quelli etruschi con la simbologia del sei
quasi non si contano. Dal neolitico sardo le culture successive recepiscono il
culto della potenza della luce, ovvero del ‘toro’ della luce. Già il nuraghe con il
suo nome (NURAC) mostra questo indubitabile influsso. L’etrusco poi, con l’uso
funerario della tomba dipinta, mostra la forte dipendenza culturale dal
neolitico sardo della cultura Ozieri. In essa il sei (CC) è, in modo
crittato, riportato dappertutto: le pareti della tomba, i pilastri, gli oggetti
di varia foggia, ‘scrivono’ continuamente, in modo magico, la parola sei e
cioè la doppia luce, la potenza luminosa soli -lunare. Il Sei è il ‘certificato’
di garanzia della rinascita dei defunti. V. ultimamente http://maimoniblog.blogspot.com/2020/03/museo-nazionale-di-firenze-il-cane_21.html
9. La domus
(denominata tomba dipinta) venne rinvenuta nel 1961 in s’Ozastreddu
(presso il Monte Ittiresu) e studiata alcuni anni dopo da Ercole Contu. V.
Contu E., 1964, Tombe preistoriche dipinte e scolpite di Thiesi e Bessude
(Sassari), in Rivista di scienze preistoriche, XIX, pp. 233 -326.
Successivamente attirò l’interesse di altri. Si veda Ferrarese Ceruti M. L., 1967,
Domus de janas in località Molimentos (Benetutti, Sassari), in Bullettino
di paletnologia italiana, XVIII, 76, pp. 67 - 135, figg. 1- 42; Lilliu
G., 1975, La civiltà dei Sardi dal Neolitico all'età dei nuraghi,
Torino, E.R.I., Castaldi Ed., 1976, Il "culto" del toro nella
preistoria della Sardegna ed il problema delle tre cavità sull'alto dei
prospetti delle tombe di giganti, in Archivio per l'antropologia e
l'etnologia, CVI, pp. 439 -458; Tanda G., 1977, Arte preistorica in
Sardegna. Le figurazioni taurine scolpite dell'Algherese nel quadro delle rappresentazioni
figurative degli ipogei sardi a "domus de janas", Sassari, Dessì,
p. 12; ead. 1985, L'arte delle domus de janas nelle immagini di
Jngeborg Mangold, Sassari, Chiarella, 1985, pp. 148 -152; ead.,
1984, Thiesi Loc. Mandra Antine, in I Sardi. La Sardegna dal
Paleolitico all'età dei nuraghi, a cura di E. Anati, Milano, Jaca Book,
1984, pp. 320 -321.
10.
V. nota 4.
11.
Per questo valore risultano illuminanti i bronzetti ‘scritti’ magici, i
‘certificati’ raffiguranti il toro. L’incipit della lettura del bronzetto è, analiticamente
procedendo, ‘ Lui difesa’, seguito poi da ‘Lui forza’ e infine da ‘lui
stabilità, certezza, sicurezza’. Lettura che, con ogni probabilità, va, in
sintesi, interpretata così: ‘ certezza della forte difesa della luce (tre) di
Lui’ (v. fig. seg. in Lilliu G., 2008, Sculture della Sardegna nuragica, Ilisso,
p. 400, n. 197)
12. Esempi di questa modalità ideografica della espressione della ‘continuità’ si hanno negli antichissimi disegni neolitici di Chathal -Huyuk e (incredibile dictu ) nelle raffigurazioni dei sarcofaghi etruschi. (v. appresso la raffigurazione della cassa) .
13.
Da quello che ho potuto constatare in questi anni di ricerca il ‘quadrato’ non
è mai perfetto. Talvolta tende a diventare quasi un rettangolo o un trapezio.
Il motivo credo che sia dovuto al fatto che sono i quattro lati quelli che
contano. Quei quattro lati che fanno sì che anche i nuragici e gli etruschi diano anch’essi
al rombo il valore ideografico di ‘forza’.
14.
Per la ‘variatio’ nel nuragico v. Sanna G., 2016, I Geroglifici dei Giganti.
Introduzione allo studio, ecc., cit. 6. pp.135 -143. Non da meno è l’etrusco. Si prenda ad esempio il system di scrittura metagrafica dei sarcofaghi che propone efficacemente, per dire la stessa cosa, la pelta amazzonica (v. fig. seg.) sia per rendere le idee di 'difesa' sia quello delle doppie CC acrofoniche ripetute (continue).
16.
V. Sanna G., 2016, I geroglifici dei Giganti ecc. cit. p. 121.
17.
Gli artisti etruschi che sembrano, date le raffigurazioni tombali parietali
(gli affreschi), gli eredi più diretti della cultura funeraria dei neolitici sardi di facies Ozieri, cospargono
letteralmente la tomba del numero tre e del numero sei, in particolare di quest’ultimo.
Naturalmente i neolitici sardi si servono dei soli ideogrammi onde realizzarli mentre
gli etruschi (che copiano dai nuragici) si servono ‘anche’ dell’acrofonia, metodo più recente ideato per in Siria -Palestina per realizzare più efficacemente la fonetica. Non si contano ormai nel
system funerario etrusco i documenti con la presenza ossessiva del Tre e del
Sei. Si vedano, tra i numerosi saggi pubblicati che possiamo citare in proposito:
18.
Contu E., 2000, L’altare preistorico, ecc. cit, p.62. fig. 60.
19. Il motivo della ‘danza’ del Sei è uno dei più frequenti nelle raffigurazioni etrusche
dei sarcofaghi, delle pareti tombali, delle hydrie e di altri oggetti ancora. Ciò
deve far riflettere molto sulla forte dipendenza culturale dell’Etruria che
imita, sia pur in modi tutti suoi, i ‘topoi’ sia del neolitico che del nuragico
sardo. Sembrerebbe, stando all'attuale documentazione, più quelli del neolitico che del nuragico.
20.
V. Atzori G. - Sanna G., 1996, Omines.
Dal neolitico all’età nuragica, Castello ed. Quartu S. Elena, IV, pp. 61 - 68.
21.
Contu E., 2000, L’altare preistorico, ecc. cit. p.58, fig. 52.
22.
La domus è
stata scoperta nel 2007 in località “Tenuta Mariani” nel 2007
da archeologi della Sovrintendenza di Sassari e Nuoro. Lo scavo è stato
realizzato negli anni 2008 - 2009, grazie ad un intervento finanziario da parte
della RAS, dagli archeologi dell’Università La Sapienza di Roma Francesco
Sartor e Cecilia Parolini. Sulla sua
‘particolare’ conservazione e sull’intervento di tutela (giudicato arbitrario
ed inadeguato) da parte della Sovrintendenza di Sassari e di Nuoro sono sorte
delle aspre polemiche che hanno investito non solo il mondo dell’archeologia ma
anche quello della cultura e della politica. Ma non è certo il caso di parlarne qui.
23. Questa doveva essere, come da tempo
ipotizzato dagli archeologi, la funzione della costruzione a ziqqurat (ovvero a
gradoni) di Monte d’Accoddi e in particolare del cosiddetto ‘tempio
rosso’ (parte della costruzione ascrivibile forse alla fine del IV millennio a.C.) . Costituire cioè un osservatorio
astronomico per il culto del sole e della luna.
Il grande archeologo Anselmo Contu, com’era suo costume, cercò di dare un’interpretazione ‘aperta’ a molte soluzioni circa la funzione della costruzione templare sarda, ora accostandola alle piramidi ora alle mastabe ora al tempio, con scala senza gradini della Bibbia; accostandola soprattutto (il raffronto giudicato dallo studioso giudicato ‘più significativo’) alle ziqqurat mesopotamiche e in particolare, ‘almeno per la semplicità’, a quella di Anu a Uruk . Così egli scrive nella conclusione del suo davvero ‘aureo' libretto: ‘Come queste [le ziqqurat], anche la piramide tronca di Monte d’Accoddi doveva, probabilmente, servire per le feste sacre dell’inizio dell’anno agrario, nelle quali si svolgevano riti propiziatori della fertilità […] La ziqqurat era il tempio - torre del dio solare Belo o Baal o Marduk’ (cit. p. 64). Dai documenti sopra esaminati ora comprendiamo meglio sulla ‘religio’ neolitica, tanto da potersi affermare che per sardi della cosiddetta ‘cultura di Ozieri’ la divinità adorata non era solo il sole ma anche la luna (la doppia forza continua, il sei continuo ). Ma questo poco importa. L’interessante è l’aver capito che Monte d’Accoddi era un tempio, un particolare ‘altare’ sopraelevato, con una rampa d’accesso senza gradini per il culto astrale solare nel quale ovviamente parte non certamente secondaria doveva avere la luna. Non è certo un caso che il manufatto lapideo, da noi giudicato espressione dell’energia ‘nascosta’ dei due astri , sia strato rinvenuto nel cosiddetto ‘tempio rosso’.
Il grande archeologo Anselmo Contu, com’era suo costume, cercò di dare un’interpretazione ‘aperta’ a molte soluzioni circa la funzione della costruzione templare sarda, ora accostandola alle piramidi ora alle mastabe ora al tempio, con scala senza gradini della Bibbia; accostandola soprattutto (il raffronto giudicato dallo studioso giudicato ‘più significativo’) alle ziqqurat mesopotamiche e in particolare, ‘almeno per la semplicità’, a quella di Anu a Uruk . Così egli scrive nella conclusione del suo davvero ‘aureo' libretto: ‘Come queste [le ziqqurat], anche la piramide tronca di Monte d’Accoddi doveva, probabilmente, servire per le feste sacre dell’inizio dell’anno agrario, nelle quali si svolgevano riti propiziatori della fertilità […] La ziqqurat era il tempio - torre del dio solare Belo o Baal o Marduk’ (cit. p. 64). Dai documenti sopra esaminati ora comprendiamo meglio sulla ‘religio’ neolitica, tanto da potersi affermare che per sardi della cosiddetta ‘cultura di Ozieri’ la divinità adorata non era solo il sole ma anche la luna (la doppia forza continua, il sei continuo ). Ma questo poco importa. L’interessante è l’aver capito che Monte d’Accoddi era un tempio, un particolare ‘altare’ sopraelevato, con una rampa d’accesso senza gradini per il culto astrale solare nel quale ovviamente parte non certamente secondaria doveva avere la luna. Non è certo un caso che il manufatto lapideo, da noi giudicato espressione dell’energia ‘nascosta’ dei due astri , sia strato rinvenuto nel cosiddetto ‘tempio rosso’.
24.
Contu E., 2000, L’altare preistorico, ecc. cit., p. 58. Fig. 53.
Il senso della continuità attraverso il movimento oscillatorio del pendolo è moto intrigante; tanto che possiamo intravvedere questa figura ideografica in un particolare bronzetto che G. Lilliu a ha descritto in modo mirabile dal punto di vista materiale.
RispondiEliminaConosco il bronzetto. Ma è di difficilissima lettura. Penso anche alle 'offerte agitate' della bibbia. Chissà!
RispondiEliminaPenso che il Prof. Sanna sia contento del risultato del piccolo esperimento fatto sulla sua pagina facebook dove stamattina ha condiviso questo sua articolo.
RispondiEliminaCon gli emjoi è possibile scrivere frasi di senso compiuto, tant'è che Massimiliano (sicuramente aiutato dalla sua professione) ha tradotto il mio pensiero emjotico (si può dire?!) in frase corrente.
Che bella soddisfazione. Ciò significa che con un po' di attitudine (leggi "allenamento") tutti possiamo comprendere questo modo di SCRIVERE. Per "tutti" intendo proprio "tutti", al di là della lingua madre. Per tanto, parafrasando quanto scritto su facebook: è ora di svegliarsi, è ora di leggere, studiare e riflettere. Non rifiutiamo quel che in modo evidente la "scrittura" del neolitico sardo ci urla ormai da troppo tempo inascoltata. Leggiamo quel che quegli antichi uomini hanno lasciato scritto; così possiamo onorare il loro desiderio di rinascita dopo la morte. Così potranno rivivere attraverso la loro scrittura.
Sì, molto contento. E pensare che ancora c'è chi si balocca e disquisisce sulla scrittura ideografica che non sarebbe 'vera scrittura'. Capisci? 'VERA scrittura'. Roba da non credere anche perché il divertimento è di epigrafisti e linguisti di prima grandezza.
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