martedì 11 aprile 2017

Uno spettacolare ‘system’ etrusco di scrittura a rebus. Come invocare segretamente l’aiuto di Tin e di Uni? Del padre e della madre? Scrivendo con cipressi, bende, corna, portoni blindati, scudi di Amazzoni, cacce e cani, bipenni, cavalli, leoni e pantere, ecc. Persino con affettuosi (superdotati) cagnetti cortonesi (II)

di Gigi Sanna

dedicato all’amica risanata

    Nell’articolo precedente (1) abbiamo visto come le varianti ideogrammatiche dei coperchi dei sarcofaghi ci consentano di affermare che le immagini, che a prima vista, potrebbero sembrare essere state realizzate per l’arte decorativa e strettamente simbolica, in realtà costituiscono ‘segni’ per notare parole. Accanto al ‘decus’ e al ‘symbolum’ c’è quindi il ‘sonus’ ovvero l’aspetto fonetico (2).

   Abbiamo cercato di dimostrare ciò con non pochi esempi. Altri ancora se ne aggiungeranno nella trattazione epigrafica generale (annunziata) riguardante altri due aspetti della scrittura metagrafica:  l’acrofonia e la numerologia. Per la presenza documentaria sia della prima che della seconda sarà bene ricorrere subito a degli esempi. Inoltre, circa l’acrofonia, poiché si tratta dell’aspetto più complesso dei rebus etruschi, tratteremo di essi quelli che riteniamo più agevoli e tali da consentire successivamente di comprendere quelli un po’ più complessi e più carichi di senso (oltre che bellissimi)  riguardanti la ‘scrittura’ sia delle casse stesse  sia dei coperchi (e delle pitture tombali).

Primo esempio  (Altae cupressi 1)
Fig. 1. Sarcofago da Chiusi (Siena) 
la lettura, convergente al centro, da sinistra verso destra e da destra verso sinistra,  è :

apac atic//
doppia difesa (doppio sostegno).  

Come la si ricava? Dalla precedente convenzione (circa l’ideografia) e,  per quanto riguarda l’acrofonia,  dal seguente schema: 



  
Esso potrebbe essere illustrato  così:
    Le acrofonie sono realizzate attraverso il lessico di due lingue diverse ma simili, il latino e il greco. Le voci sono sei, tre per ciascuna lingua. Dette voci, ricavate da ‘cosa’ suggeriscono e le immagini e il contesto (quindi su base sempre ideografica), concorrono a costituire, in lingua etrusca (terza (3) lingua), la topica formula salvifica che riguarda sia il padre che la madre e cioè APA C  ATI C. A tale scopo devono avere uguale senso e ubbidire al requisito acrofonico ternario seguente: la prima deve avere inizio vocalico e iniziare per ‘A’ in latino e per ‘A’ (alfa)’ in greco, la seconda inizio consonantico - vocalico (acrofonia sillabica) e iniziare per ‘PA’ in latino e per ‘TI’ in greco, o viceversa,  la terza inizio consonantico e iniziare per ‘C’ in latino e ‘kappa’ (K = C) in greco. Le dette tre acrofonie vengono ricavate dai segni - immagine non arbitrariamente: devono risultare esistenti da un rigoroso, anche se assai vario,  ‘ordine’  di lettura che può andare dall’alto verso il basso, da sinistra verso destra e da destra verso sinistra, su due linee astratte in senso destrorso ‘bustrofedico’ con andamento a ‘C’, ecc. Le due acrofonie sillabiche, corrispondenti alla stessa parola suggerita dall’ideogramma, praticamente sono sempre ricavate dalla voce verbale  PANDERE in latino  e, sempre da voce verbale, ΤΙΤΑΙΝΕΙΝ in greco. Tanto da costituire, nella lettura, per chi si impratichisce, le voci ‘spia’ della formula riguardante le due divinità TIN e UNI.  Detta lettura, attraverso lo schema,  risulta  sempre o speculare o simmetrica (4) e la sequenza in latino (APA C) può essere messa al posto (ATI C) dell’altra in greco (5). Non poche volte però la sequenza ternaria è una sola e allora si tratterà di renderla ‘doppia’ con l’uso delle due lingue (prima l’una e poi l’altra, indifferentemente) per ottenere la formula. Con il latino si otterrà APA C e con il greco ATI C (v. in proposito più avanti l’ ‘ottavo esempio’).
     
    Ciò in sintesi. Ora, si osservi l’immagine (esempio 1 e fig.1), da noi proposta, molto astratta e sulle prime inafferrabile nella sua simbologia. Infatti, perché nella cassa del sarcofago quei due alti alberi (cipressi) ai lati della composizione? Perché quelle bende (sacre) distese, una da una parte e una dall’altra? Perché quelle due corna curve come sostegno? Perché, infine, la robusta porta a due ante?

    Lo si capisce se nella lettura agiamo su base ideografica (su ciò che suggeriscono, nelle due lingue ‘simili’, le cose)  e secondo la ‘griglia’ ideografico - acrofonica suddetta. Si veda pertanto la seguente tabella: 

  1. Albero cipresso (6): idgr. che va in alto.
  2. Benda:  idgr. che si distende, tende
  3. Corno: idgr. che curva.
  4. Albero: idgr. che va in  alto.
  5. Benda: idgr. che si distende, tende.
  6. Corno: idgr. che curva

   Lettura: da destra verso sinistra sino al centro e lettura da sinistra verso destra sino al centro.
Nel centro si ha:
- portone a due ante (idgr. doppia difesa, sicurezza)

   Il risultato della lettura ideografica acrofonica sarà, oltre a quello strettamente ideografico logografico (doppia sicurezza e doppio sostegno),  di ottenere una terza lingua oltre al latino e al greco. E cioè quella etrusca apa c ati c (sia il padre sia la madre).
Lo schema, come si può notare, è realizzato su di una linea ideale orizzontale. Si può leggere da destra verso sinistra e, viceversa, da sinistra verso destra.     
Vediamo di confermare ora il dato della scrittura ideografica e acrofonica con altri esempi di cassa di sarcofago o di urne:

Secondo esempio  (Altae cupressi 2)

fig.2.  Sarcofago da Chiusi                                                                                       fig. 3. Ant. portone toscano

  Come si vede il soggetto è identico. E quindi identica sarà anche la lettura. C’è però un particolare non trascurabile che tende a confermare maggiormente il dato ideografico non acrofonico del centro della raffigurazione. Infatti, si noti che stavolta lo scriba artigiano (o l’artigiano per conto dello scriba, su progetto di quest’ultimo) ha disegnato le capocchie di grossi chiodi onde dare l’idea della porta blindata, del ‘ribadire, rafforzare’ la sicurezza (7) della  doppio portone.  

Terzo esempio (La coppia dei leoni) :

fig. 4. Sarcofago ceretano dei leoni                                                           fig.5. Tomba dei leopardi (Tarquinia)

 Il motivo, che è reso anche (fig. 5) nella pittura tombale (con immagini simili e uguale significato fonetico), è dato da una scena di due leoni, una maschio e l’altra femmina, distesi e disposti frontalmente (8).

La lettura acrofonica dall’interno verso l’esterno della doppia cassa è: doppio sostegno (9)/ e del padre e della madre. Procediamo con il solito schema.  Avremo:




  1. Leone idgr.  gira la testa.
  2. Leone:  idgr. si distende
  3. Leone : idgr.  curva la coda
  4. Leonessa:  idgr. ansima.
  5. Leonessa: idgr. si distende
  6. Leonessa: idgr. curva la coda


Quarto  esempio (Lupo: assalto e doppia difesa)



Fig. 6. Sarcofago da località sconosciuta

La formula  canonica acrofonica e del padre e della madre’  può essere resa nelle casse dei sarcofaghi in modo molto vario (con temi astratti, pinakes ovvero quadretti campestri o cittadini, argomenti mitologici, ecc.). Nella cassa di questo sarcofago essa è realizzata diversamente rispetto alle precedenti ma sempre in modo molto fantasioso.  Infatti, nessuno potrebbe pensare che dietro questa scenetta di un lupo che assale (10), combattuto da due persone e da altre due che ‘sostengono’ e ‘difendono’, possa celarsi una formula scritta con immagini che rendono fonetica. Il tema è alquanto sofisticato perché esso tende, come avviene in altre sculture (si veda più avanti) a dare contemporaneamente, senza specifiche aggiunte d’immagine, sia l’ideografia  sia l’acrofonia.  Attraverso il solito  schema,  vediamo come:


  1. prima persona:  idgr.: solleva (qualcosa)
  2. seconda persona:  idgr.: tende, protende la lancia
  3. seconda persona: idgr.: uccide il lupo
  4. terza persona : idgr. : solleva la scure
  5. quarta persona:  τιτάινει : idgr.: tende, protende la lancia
  6. quarta persona: idgr.: abbatte, uccide il lupo


Quindi la lettura sarà:  doppia difesa e del padre e della madre



Quinto  esempio  (mito di Atteone):  



fig. 7. Urna  da Volterra (Museo Guarnacci).

    La lettura acrofonica, da sinistra verso destra e da destra verso sinistra, è: e del padre e della madre. In pratica, anche se con immagini differenti (una è una scenetta venatoria (?) e l’altra una scena mitologica) si ottiene lo stesso identico risultato della cassa precedente. Anche la lettura ideografica avviene in maniera identica,  stante il doppio ‘sostegno’, il ‘soccorso’, o meglio, la ‘difesa’  di due persone.


Il mito di Atteone (11) è celeberrimo. E’ stato in ogni tempo, come si sa, fonte di ispirazione per la letteratura, la scultura, la pittura. Il dramma del giovane sbranato dai cani di Artemide è preso in prestito per ottenere, sempre attraverso lo stesso schema, la solita formula in lingua etrusca:



  1. primo personaggio :  idgr: aiuta, sostiene, difende  Atteone.
  2. Atteone:  idgr.: distende il braccio con  la scure.
  3. primo cane: idgr.:  strazia, fa a pezzi Atteone.
  4. cane: κόπτει: idgr. strazia, fa a pezzi Atteone.
  5. Atteone: idgr. : distende la mano sulla testa del cane.
  6. secondo personaggio: idg.:  aiuta, sostiene, difende Atteone.

La lettura è dall’esterno verso l’interno, da sinistra verso destra e da destra verso sinistra


Sesto esempio  (la doppia scure)
 
fig.8. Urna da Chiusi


 La lettura acrofonica, partendo dall’alto verso il basso, è:  e del padre e della madre/e della madre e del padre 


  1. il demone (Scilla):  idgr. : solleva l’ala destra.
  2. il demone (Scilla): idgr. : distende l’arma con la destra.
  3. il demone (Scilla): idgr.: curva la coda destra.
  4. il demone (Scilla): idgr.: solleva l'ala sinistra.
  5. il demone (Scilla): idgr : distende con la mano sinistra.
  6. il demone (Scilla): idgr. curva la coda destra.

    Quella ideografica invece sembra essere data dalla bipenne. Quindi doppio sostegno (12)



Settimo esempio (Cavallo all’asta).

fig.9. Pittura tombale da Cerveteri
   Questo settimo esempio è tratto da una ‘lastra’ del mercato clandestino, recuperata in Svizzera. La pittura apparteneva sicuramente ad una parete di una camera di una tomba della necropoli di Cerveteri. La scenetta a prima impressione potrebbe fornire l’idea che  ‘l’acquisto del cavallo’ alluda al fatto che il titolare della tomba fosse un appassionato di cavalli e che quindi in essa ci sarebbe la celebrazione del ricordo di un hobby del defunto. Cosa che potrebbe anche essere. Ma il motivo vero (più importante) della pittura è dato, secondo noi,  dal fatto che, ancora una volta, lo scriba pittore etrusco si è servito del solito schema e della solita convenzione per esprimere non solo con il decoro e il simbolo (come si è detto all’inizio) ma anche con il suono (fonetica) la consueta formula (parte della formula, come si vedrà) della salvezza apa c  ati c.   

La lettura è da sinistra verso destra e da destra verso sinistra:



  1. cavallo:  idgr.: solleva la gamba.
  2. garzone. idgr.: distende la corda.
  3. garzone. idgr. stringe la corda
  4. acquirente : idgr.: stringe  un anello (o una corda arrotolata)  
  5. acquirente:  idgr. tende la mano a Mercurio  (13).
  6. persona: idgr.: invoca, chiama, porta a testimone il dio del commercio (14).

  Gli esempi da produrre circa l’aspetto ideografico e acrofonico delle scritte dei sarcofaghi (e delle urne) sarebbero tantissimi ma pensiamo che questi siano sufficienti per confermare la validità dello schema. Tuttavia ne produciamo un ottavo, bellissimo anche da punto di vista artistico oltre che chiarissimo ai fini della simbologia e della fonetica. Si tratta del noto ‘cane calustla’ (15), custodito nel British Museum, un bronzetto di significato apotropaico facente sicuramente parte di un sontuoso ‘corredo’  funebre etrusco. E’ un particolare ‘cane’ - per non dire strano perché grottesco - con tre segni o aspetti evidenti ed indiscutibili: la testa (il muso) sollevata, la zampa distesa ed il sesso notevolmente curvo (16).
     
 Ottavo esempio ( Il cane ‘calustla’). 

fig.10.  Bronzetto scritto del Museo Nazionale di Firenze
La parte acrofonica è chiaramente data dai tre aspetti suddetti della bestia e dall’ideografia suggerita dalla stessa voce cane.
  1. idgr. Solleva la testa (adlevat)
  2. idgr. stende la zampa (pandit)
  3. idgr. curva il sesso (curvat)
  4. idgr. solleva la testa ( άίρει)
  5. stende la zampa (τιταίνει)
  6. curva il sesso  (κάμπτει)


  Quindi con l’aggiunta dell’ideogramma (17) ‘cane’ la lettura sarà : aiuto (soccorso, sostegno, difesa) e del padre e della madre. L’oggetto quindi possiede due scritture: quella lineare insistente sul fianco sinistro dell’animale e quella  metagrafica . 
Quest’ultima, indirettamente, consente di capire la prima e cioè che i nove caratteri dell’alfabeto etrusco, con il primo a destra seguito da puntazione, riportano il nome del titolare (defunto) del bronzetto.
   La voce CALUSTLA potrebbe condurre al nome della divinità Calu, un demone, rappresentato nell’iconografia etrusca sotto la forma di un lupo, associato al momento del passaggio del defunto verso l'aldilà. Il nome CALU lo si riscontra in alcune iscrizioni etrusche come ad esempio quella orvietana di TINIA CALUSNA. Il suffisso sarebbe composto da ‘S’ (genitivo) e  ‘TLA’ (forma aggettivale). La lettera ‘S’,secondo alcuni, potrebbe costituire l'abbreviazione del nome etrusco S(ethre). Quindi Sethre, stante la formula,  non può essere l’offerente alla divinità CALU (anche perché nella scritta non compare il verbo della dedica). E meno ancora è da accettarsi l’ipotesi che ‘ Sethre Calusna è di CALU’ e cioè che ‘ è ormai defunto’. L’iscrizione va intesa invece come quella di un comune sarcofago dove il nome è  indicatore dell’identità del defunto; nome però preceduto (o seguito) dalla topica formula salvifica ‘sostegno’ (o ‘doppio sostegno’) della luce e del padre e della madre’. Il bronzetto cortonese è quindi, come si vede,  uno di quelli che meglio permette, con la sua icastica efficacia, con la ‘sottolineatura’  evidente dei tre aspetti e - si direbbe - anche con la sua ‘stranezza’, di capire la scrittura metagrafica  a rebus presente nell’etrusco. Una scrittura (ripetiamolo ancora una volta)  che va al di là del modo consueto o ‘normale’ di realizzare scrittura. Infatti,il suono non lo si ottiene solo per convenzione alfabetica di segni standard, come sono ad esempio quelli incisi sul fianco del cane,  ma anche per altre vie convenzionali (già scoperte e sperimentate da tanto tempo nella storia della scrittura) come possono essere gli ideogrammi aspettuali che offrono l’acrofonia oppure i numeri che rendono parole (18).
    Ma la scritta in caratteri lineari S: CALUSTLA sul simpatico cagnetto non esaurisce il suo significato nell’indicare ‘solamente’ il nome del titolare del bronzetto. Infatti, pensiamo che in essa vi sia ancora dell’altro di significativo che attiene all’organicità della magia del documento riguardante la salvezza ‘certa’ del defunto. Pensiamo cioè che la lettura non sia affatto finita.  
(continua). 

Note e indicazioni bibliografiche
1. Sanna G. 2017. Scrittura metagrafica dei sarcofaghi etruschi Le varianti ideogrammatiche. Fantasia e organicità ; in Maymoni Blogspot. com (8 febbraio).  
2. Sanna G., 2016, I geroglifici dei Giganti, PTM ed Mogoro, passim.
3. Sulla presenza di ‘tre’ lingue (latino, greco, etrusco) v. Sanna G., 2014, Stele di Avele Feluskes. I nobili etruschi figli di Tin e di Uni. Scrittura e lingua dei documenti funerari. L'acrofonia sillabica e non, la numerologia e la chiara dipendenza dell'etrusco dal nuragico (II), in Monte Prama blog (28 novembre); idem, 2014,  I 'dadi enigmatici' (kύboi loξoίdi TIN e di UNI. Il gioco combinatorio circolare delle 'parole-immagine a contrasto' e dei 'numeri alfabetici' dei dadi di Vulci; in Monte Prama blog (8 novembre);  idem, 2015,  CERVETERI. L'iscrizione (IV secolo a.C.) del cosiddetto Pilastro dei Claudii. LARIS AVLE LARISAL figlio di TIN/UNI. Il linguaggio dei numeri nuragico ed etrusco. I documenti di Crocores di Bidonì e di Nabrones di Allai (III) ; in monte Prama blog spot (11 gennaio).
4. Per le immagini raffigurate spesso si può parlare di ‘specularità’ ma per il prodotto acrofonico, a motivo della differenza delle due sillabe PA/TI, solo di simmetria. 
5. L’interscambiabilità allude evidentemente al fatto che la coppia TIN /UNI è costituita dal maschio e dalla femmina contemporaneamente. In una sola entità  divina coesistono due ‘persone’ diverse. Questo essere uno e due contemporaneamente è reso (foneticamente e non solo per scopi simbolici) dai noti prodotti artistici dell’arte etrusca di TIN (sempre barbuto) e Uni ‘siamesi’, cioè con le teste unite disposte di profilo. Anche l’oggettistica (amuleti) presenta il motivo topico del ‘bifronte’ , anch’essa con funzione scrittorio - linguistiche e non solo ornamentali. 
6. G. Carducci, Davanti a San Guido (Rime nuove): I cipressi che a Bolgheri alti e schietti/ van da San Guido in duplice filar/ quasi in corsa giganti giovinetti…  I cipressi, come si sa, sono alberi che caratterizzano spesso il paesaggio delle necropoli antiche e degli odierni cimiteri.
7. Lo scriba - artigiano non perde certo l’occasione circa la presenza di detti ‘chiodi’ e con il loro numero (spesso articolato anch’esso a rebus) aggiunge ulteriore senso alla scultura della cassa o al disegno della tomba. Si tenga presente che in ciò è agevolato dal fatto che il punto in etrusco corrisponde, così come nel nuragico (Sanna G., 2016, I geroglifici dei Giganti. Introduzione allo studio della scrittura nuragica, PTM ed. Mogoro, 5, pp. 113 - 131) al numero uno. 
8. Lo schema frontale degli animali (ma con soggetto  i leopardi)  si trova anche in una nota pittura di una delle tombe della necropoli di Tarquinia (fig.5). La pittura messa a confronto con il motivo del nostro sarcofago è assai interessante ai fini della scrittura ideografica acrofonica perché le tre acrofonie sono date dalla variante della coda ‘abbassata’ e non arcuata e dai due animali non ‘distesi’ ma ritti. Resta sempre il motivo APA C ATI C, ma l’acrofonia sillabica e consonantica è resa dall’ideogramma ‘zampa tesa’ (lat. pandĕre, gr. titaίnein)  e dall’ideogramma ‘coda abbassata’(lat. considĕre - gr. katabάllein).
9.  L’idea di ‘forza’ qui  sembra ottenersi attraverso il ‘quattro’ ovvero dal ‘doppio’ dei cuccioli di leone che si trovano distesi in ciascuna delle due parti da cui è formato il sarcofago. Così come nel nuragico, il quattro o il quadrato rendono numerologicamente la voce ‘ forza’. Forse sarà bene anche il sottolineare che il doppio di questo sarcofago non è dovuto, come spesso si dice e si scrive, a motivi tecnici circa la costruzione di esso, ma a motivi scrittori e simbolici. La simbologia della divinità doppia androgina etrusca, ovvero del ‘doppio in uno’ di TIN e UNI, è qui molto scoperta. Due sono le casse, due gli animali (maschio e femmina), due infine le ‘coppie’ delle piccole pantere. Anche la iterazione del ‘due’ non è senza significato in quanto il numero ‘tre’ che ne risulta  è il numero sacro perché costituisce l’essenza della divinità. In quanto tale esso è il ‘numero’ che risulta quasi sempre il più nascosto  sia che sia ‘scritto’ da solo sia che concorra a formare con altri ‘tre’ il frequentissimo numero ‘sei’ (il doppio del ‘tre’, cioè TIN/UNI) sia il ‘dodici’ (la luce) cioè la manifestazione luminosa  solare - lunare che accomuna (rende ‘una’) l’essenza delle due divinità etrusche. Pertanto bisogna tener sempre presente che  i sarcofaghi e le urne etrusche sono tutte connotate numerologicamente onde rafforzare la magia con scopo salvifico del/della  defunto/a.         
10. Altre casse di sarcofaghi, come quella di Chiusi, hanno la variante del ‘cinghiale’ che assale. Ai fini acrofonici però ciò ha poca importanza perché non è l’acrofonia dell’animale che interessa ma solo quella dell’idea che esso suggerisce con la sua azione e/o il suo comportamento. Nel nuragico semitico avviene la stessa cosa (v. Sanna G., 2016, I geroglifici dei Giganti. Introduzione allo studio, ecc. cit. cap. 10,   pp. 218 - 219).  
11. Secondo il mito, nel corso di una battuta di caccia, Atteone provocò l'ira di Artemide quando essa venne  sorpresa all'ombra della selva Gargafia dal giovane cacciatore mentre faceva il bagno insieme alle sue compagne. Il caldo estivo, infatti, aveva indotto la dea a riporre le vesti e a rinfrescarsi interrompendo la caccia. Artemide, per impedire al cacciatore di proferir parola intorno a quello che aveva visto, trasformò il giovane in un cervo spruzzandogli dell'acqua sul viso. Atteone si accorse della sua trasformazione solo quando, scappando, giunse a una fonte, dove poté specchiarsi nell'acqua. Intanto il cacciatore venne raggiunto dalla muta dei suoi 50 cani, resi furiosi da Artemide, i quali, non riconoscendolo, sbranarono il loro padrone. I cani, una volta straziato e divorato Atteone, si misero alla ricerca di esso per tutta la foresta, riempiendola di dolorosi lamenti. Più tardi giunsero nella caverna di Chirone il quale, stando ad una delle numerose leggende riguardanti il mito,  donò loro un'immagine di Atteone onde attenuare il loro dolore. In molti casi le immagini che raffigurano la vicenda mitologica sono caricate di ulteriori significati, anche tramite l’introduzione di personaggi secondari rispetto al racconto. In questo caso Atteone è difeso da due personaggi maschili, uno giovane e l’altro anziano, che stringono nella mano quello che sembra essere  un ‘certificato’. Risulta  abbastanza chiaro che qui si vuole alludere al fatto che Atteone di ‘certo’, anche se straziato dai cani, rinascerà e la sua ‘immagine’, come nel caso dell’intervento pietoso di Chirone, non morirà. Siamo sicuramente di fronte ad una variante del mito riguardante lo sfortunato cacciatore divenuto da predatore preda. Ma è una variante importante ‘foneticamente’ per lo scriba che compone l’urna per via dell’allusione alla doppia difesa di chi è morto; ovvia allusione al ‘soccorso’ del  defunto, titolare dell’urna cineraria,  da parte di Tin e e Uni.
12. Si sa che la bipenne è arma luminosa che simbolizza il fulmine di Tin e quello di Zeus. Nella ‘religio’ etrusca però la potenza della folgore è attributo sia di Tin che di Uni. Come si vedrà in seguito nelle sculture e nelle pitture tombali, la bipenne è chiara espressione del doppio divino androgino. Se così è,  l’atto della rinascita per la luce e con la luce è dato attraverso la forza, l’energia della coppia astrale celeste sole -luna. Si tenga presente ai fini di una maggiore comprensione dei simboli del sarcofago che la bipenne (la scure) è simbolo ambivalente:  di distruzione e di morte ma anche di salvezza e di vita (V. Chevalier J.- Gheerbrant A., 1982,  Dictionnaire del symboles, ed. Laffont, Paris, vc. hache, p. 494: ‘l’ambivalence fonctionelle devient totalement matérialisée avec la hache à double tranchant, qui est à la fois destructrice et protectrice’).  E’ appena il caso di far notare, a questo punto, che anche le casse dei sarcofaghi e delle urne riportano ideograficamente lo stesso  motivo, con scopi fonetici e linguistici, dei coperchi. C’è tuttavia da sottolineare una certa differenza: in questi ultimi  l’aiuto è reso quasi sempre, da quanto ci risulta,  con l’immagine topica del ‘doppio cuscino’. Il valore preciso è quindi quello di ‘sostegno’. Nelle casse invece, dove  non sempre  si registra una banale ripetizione ideografica del coperchio, si nota spesso una leggera ma significativa variante perché l’aiuto può manifestarsi  nella ‘difesa’ e nella ‘sicurezza’. L’allusione, con ogni probabilità, va ricercata nel fatto che il defunto, prima di poter raggiungere le sponde della luce, dovrà affrontare, nel tragitto ‘infernale’, insidie e grosse difficoltà. Nella scritta a rebus dell’àncora doppia di Tarquinia (Sanna G., 2016, Tarquinia. L’ancora della salvezza e il sostegno della luce di TIN /SOLE e di UNI /LUNA. Il greco - cipriota? Non c’entra nulla. Semmai il semitico nuragico di Barisardo, in Maymoni blog (15 dicembre)) è presente sia il motivo del ‘sostegno’ che della ‘sicurezza’ offerti da parte delle due divinità luminose, Tin e Uni, perché i defunti possano salvarsi e pervenire alla luce.
13. V. nota seguente. 
14.  Questa e altre interpretazioni potrebbero  essere, talvolta,  soggette a fraintendimenti, ragion per cui ci può essere un ideogramma con esito verbale poco o molto differente. Ma ciò, come si può capire, ha relativa importanza perché se si individuano gli aspetti sillabici acrofonici (PA/TI) il resto dell’espressione formulare viene di conseguenza. Lo schema VOC + SILL + CONS o viceversa CONS + SILL + VOC  può essere un po’ difficile da individuare nell’ordine in cui è stato realizzato dallo scriba attraverso le immagini, ma la formula con i soliti sei punti di decifrazione resta sempre la stessa. Chi avrà la pazienza di esaminare i tanti sarcofaghi e le urne cinerarie etrusche noterà che spesso l’autore della scultura del sarcofago si diverte ad arricchire il ‘testo’  tanto da dare l’impressione che possa esserci dell’altro di scritto. In realtà così non è. Ad esempio tre, quattro o cinque personaggi in più possono dare l’idea della presenza di dati acrofonici maggiori rispetto a quelli canonici. Ma è solo un’impressione perché essi tutti rendono collettivamente un solo verbo  (ad es. accompagnare, aiutare, invocare, ecc.) e quindi una sola acrofonia.
15.  CIE 455/TLE 642. Statuetta in bronzo di cane, origine: Cortona (Museo Archeologico Nazionale di Firenze). Sul lato, un'iscrizione etrusca: S:CALUSTLA.
16. Anticipiamo qui che lo schema vocalico - sillabico - consonantico dei sarcofaghi, delle urne e delle pitture parietali è dato spessissimo dalle voci  sollevare - distendere - curvare. Persino in delle scene falliche che noi giudicheremmo ‘scabrose’ o ‘spinte’ (soprattutto nella pittura). 
17. Qui avremmo dunque solo ‘sostegno’ e non ‘doppio sostegno. Potrebbe essere però  che il ‘doppio sostegno’ (come si verifica spesso per i bronzetti sardi) fosse dato da una base doppia che componeva il tutto e il tutto rendeva organicamente scritto; base che forse è andata dispersa a motivo dello scempio del ‘tombarolo’ interessato forse ad ottenere più guadagno da due oggetti offerti singolarmente e non da uno solo integro. 
18. V. Sanna G., 2017, Scrittura metagrafica dei sarcofaghi etruschi. Le varianti ideogrammatiche, ecc. cit.. Stessa scrittura ‘con’ o metagrafica si trova (non ci stancheremo mai di ripeterlo)  nei bronzetti apotropaici sardi nuragici, persino con identico soggetto come può essere quello del cane (v. Sanna G., 2016, I geroglifici dei Giganti. Introduzione, ecc. cit. cap. 10, p. 218).

8 commenti:

  1. Poiché ritengo di essere io "l'amica risanata" ringrazio sentitamente! Per non preoccupare nessuno dirò che ero un pò in ansia per un piccolo intervento, ma è andato tutto benissimo e mi sono risanata a tutto sprint-anche troppo alla svelta.
    Adesso sono un pò in ansia per il "continua" e per la lettura non finita di quel canide superdotato. Vediamo come va avanti.

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  2. Beh, il più è stato detto. Ma le due scritte sono complementari e 'giocano' assieme. Il metagrafico e il lineare, a mio giudizio, sono una realtà. Una bella realtà. Vedremo chi sarà capace di infirmarla.

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  5. Sembra complicato? Non lo è. Il rebus è rebus. Facevano di tutto per renderlo incomprensibile. Questo che vede è niente rispetto,ad esempio, rispetto al rebus metagrafico della tomba del Tuffatore di Cerveteri. Ma perché si possa capire la mentalità antica non mi rifarò ad esempi né del nuragico né dell'etrusco. Conosce la famosissima poesia di Catullo sui mille e mille baci per Lesbia? ....''Quando ce ne saremo dati migliaia e ancora migliaia 'conturbabimus' illa ne quis malus 'invidere' possit''. Ecco, il 'conturbare' il non lasciare in un ordine accessibile, il rendere inestricabile. Lasciare che sia tutto un bel punto interrogativo per chi può capire e interpretare. Eppure lì si parla di baci che vanno nascosti il più possibile. Immaginiamoci quando si parla di morte e di rinascita. Ma forse non ha calcolato, caro Pintus, nella giusta misura quello che abbiamo detto ad abundantiam: che questi rebus nella scrittura sono una cosa vecchia. Molto vecchia e per nulla strana. Gli Egiziani li usavano qualche millennio prima dei nuragici e degli Etruschi. Una cosa, comunque va detta (e l'ho detta): che il rebus può essere soggetto a fraintendimenti soprattutto quando sono costituiti da molti significanti. Non si prendano le mie letture come oro colato. Ma le formule sono formule e prima o poi se ne viene a capo. Ma c'è una condizione: che si accetti che ci sono i rebus e li si tratti come tali. E non si dia loro tregua. Un' ultima cosa, Pier Giuseppe: lei non 'scoccia' affatto. Sarebbe bello però che lei, dopo tutte le perplessità, mi (ci) aiutasse a spiegare il significato di tutti quei 'sollevare, distendere, curvare'. Che significano quegli aspetti in un cagnetto o nella Chimera. E non so, perché essi sono presenti, manifestamente presenti, nei dipinti, nei sarcofaghi, nelle urne, negli oggetti apotropopaici. Insomma in tutti i manufatti dell'arte funeraria etrusca. Sull'indifferenza di quelle divinità che vengono chiamati 'padre e madre' (babbo e mamma)lascio a lei il meditare un po'.

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  6. Una domanda. Perché 'ora' questo post a commento in un articolo 'superato' da altri due? Infatti, le prove sull'assunto continuano e continuano (e continueranno) proprio per fugare le perplessità e i dubbi altrui. Quelli che qualsiasi normale ricercatore mette sempre in conto. Se ha un minimo di sale in zucca.

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  7. Ho capito. Mi sembrava strano. Vorrei ricordarle due cose circa le sua perplessità di carattere linguistico: il vocabolario dell'etrusco è composto 'stranamente' da un lessico di 'tre' lingue. Lo si nota solo sfogliandolo. Le 'tre' lingue sono imposte dall'ossessione dei nuragici e degli etruschi quando scrivevano sul sacro. Bisognava rispettare il 'tre' il più possibile perché il tre è Dio. I bellissimi sigilli di Tzricotu, contestati da persone per nulla esperte di epigrafia arcaica e superficiali, sono un inno al tre, sono piene come un uovo di 'tre'.
    'Inventiva'? Qualcuno per denigrarmi la chiama 'fantasia'. Ma senza di essa un ricercatore è bene che vada a piantare patate perché quelle poi può ricercare con profitto. Di ricerca scientifica 'fantasiosa' parlava anche Gramsci, sia pur con parole diverse.

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