dedicato all’amica risanata
Nell’articolo precedente (1) abbiamo visto come le varianti ideogrammatiche dei coperchi dei sarcofaghi ci consentano di affermare che le immagini, che a prima vista, potrebbero sembrare essere state realizzate per l’arte decorativa e strettamente simbolica, in realtà costituiscono ‘segni’ per notare parole. Accanto al ‘decus’ e al ‘symbolum’ c’è quindi il ‘sonus’ ovvero l’aspetto fonetico (2).
Abbiamo cercato di dimostrare ciò con non pochi esempi. Altri ancora se ne aggiungeranno nella trattazione epigrafica generale (annunziata) riguardante altri due aspetti della scrittura metagrafica: l’acrofonia e la numerologia. Per la presenza documentaria sia della prima che della seconda sarà bene ricorrere subito a degli esempi. Inoltre, circa l’acrofonia, poiché si tratta dell’aspetto più complesso dei rebus etruschi, tratteremo di essi quelli che riteniamo più agevoli e tali da consentire successivamente di comprendere quelli un po’ più complessi e più carichi di senso (oltre che bellissimi) riguardanti la ‘scrittura’ sia delle casse stesse sia dei coperchi (e delle pitture tombali).
Primo esempio (Altae cupressi 1)
Fig. 1. Sarcofago da Chiusi (Siena) |
apac atic//
doppia difesa (doppio sostegno).
Come la si ricava? Dalla
precedente convenzione (circa l’ideografia) e, per quanto riguarda l’acrofonia, dal seguente schema:
Esso potrebbe essere illustrato così:
‘Le
acrofonie sono realizzate attraverso il lessico di due lingue diverse ma simili,
il latino e il greco. Le voci sono sei,
tre per ciascuna lingua.
Dette voci, ricavate da ‘cosa’ suggeriscono e le immagini e il contesto (quindi su base sempre ideografica), concorrono a costituire, in lingua etrusca
(terza (3) lingua), la topica formula
salvifica che riguarda sia il padre che la madre e cioè APA C ATI C. A tale scopo devono avere uguale senso e
ubbidire al requisito acrofonico ternario seguente: la prima deve avere
inizio vocalico e iniziare per ‘A’ in latino e per ‘A’ (alfa)’ in greco, la
seconda inizio consonantico - vocalico (acrofonia
sillabica) e iniziare per ‘PA’ in latino e per ‘TI’ in greco, o viceversa, la terza inizio consonantico e
iniziare per ‘C’ in latino e ‘kappa’ (K = C) in greco. Le dette tre acrofonie vengono ricavate dai segni -
immagine non arbitrariamente: devono risultare esistenti da un rigoroso, anche
se assai vario, ‘ordine’ di lettura che può andare dall’alto verso il
basso, da sinistra verso destra e da destra verso sinistra, su due linee astratte in senso destrorso
‘bustrofedico’ con andamento a ‘C’, ecc. Le due acrofonie sillabiche, corrispondenti alla stessa parola suggerita dall’ideogramma,
praticamente sono sempre ricavate dalla
voce verbale PANDERE in latino e, sempre
da voce verbale, ΤΙΤΑΙΝΕΙΝ in greco.
Tanto da costituire, nella lettura, per
chi si impratichisce, le voci ‘spia’ della formula riguardante le due divinità
TIN e UNI. Detta lettura, attraverso lo schema, risulta
sempre o speculare o simmetrica (4) e la sequenza in latino (APA C) può essere messa al posto (ATI C) dell’altra in greco (5). Non poche volte però la
sequenza ternaria è una sola e allora si tratterà di renderla ‘doppia’ con
l’uso delle due lingue (prima l’una e
poi l’altra, indifferentemente) per
ottenere la formula. Con il latino si otterrà APA C e con il greco ATI C (v.
in proposito più avanti l’ ‘ottavo esempio’).
Ciò in sintesi. Ora, si osservi l’immagine
(esempio 1 e fig.1), da noi proposta, molto astratta e sulle prime inafferrabile
nella sua simbologia. Infatti, perché nella cassa del sarcofago quei due alti alberi (cipressi) ai lati della
composizione? Perché quelle bende (sacre) distese, una da una parte e una dall’altra?
Perché quelle due corna curve come sostegno? Perché, infine, la robusta porta a due ante?
Lo si capisce se nella lettura agiamo su
base ideografica (su ciò che suggeriscono, nelle due lingue ‘simili’, le cose) e secondo la ‘griglia’ ideografico - acrofonica
suddetta. Si veda pertanto la seguente tabella:
- Albero cipresso (6): idgr. che va in alto.
- Benda: idgr. che si distende, tende
- Corno: idgr. che curva.
- Albero: idgr. che va in alto.
- Benda: idgr. che si distende, tende.
- Corno: idgr. che curva
Lettura: da destra
verso sinistra sino al centro e lettura da sinistra verso destra sino al centro.
Nel centro si ha:
- portone a due ante (idgr. doppia difesa, sicurezza)
Il risultato della lettura ideografica acrofonica sarà, oltre a quello
strettamente ideografico logografico (doppia
sicurezza e doppio sostegno), di ottenere una terza lingua oltre al latino e al greco. E cioè quella etrusca apa c ati c (sia il padre sia la madre).
Lo schema, come si può notare, è
realizzato su di una linea ideale orizzontale. Si può leggere da destra verso
sinistra e, viceversa, da sinistra verso destra.
Vediamo di confermare ora il dato
della scrittura ideografica e acrofonica con altri esempi di cassa di sarcofago
o di urne:
Secondo esempio (Altae cupressi 2)
fig.2. Sarcofago da Chiusi fig. 3. Ant. portone toscano |
Come si
vede il soggetto è identico. E quindi identica sarà anche la lettura. C’è però
un particolare non trascurabile che tende a confermare maggiormente il dato ideografico non acrofonico del centro
della raffigurazione. Infatti, si noti che stavolta lo scriba artigiano (o
l’artigiano per conto dello scriba, su progetto di quest’ultimo) ha disegnato le
capocchie di grossi chiodi onde dare l’idea della porta blindata, del
‘ribadire, rafforzare’ la sicurezza (7)
della doppio portone.
Terzo esempio (La coppia dei leoni)
:
fig. 4. Sarcofago ceretano dei leoni fig.5. Tomba dei leopardi (Tarquinia) |
Il motivo, che è reso anche (fig. 5) nella
pittura tombale (con immagini simili e uguale significato fonetico), è dato da
una scena di due leoni, una maschio e l’altra femmina, distesi e disposti
frontalmente (8).
La lettura acrofonica dall’interno
verso l’esterno della doppia cassa è: doppio
sostegno (9)/ e del padre e
della madre. Procediamo con il solito schema. Avremo:
- Leone : idgr. gira la testa.
- Leone: idgr. si distende
- Leone : idgr. curva la coda
- Leonessa: idgr. ansima.
- Leonessa: idgr. si distende
- Leonessa: idgr. curva la coda
Quarto esempio (Lupo: assalto e doppia difesa)
Fig. 6. Sarcofago da località sconosciuta |
La formula canonica acrofonica e del padre e della madre’
può essere resa nelle casse dei sarcofaghi in modo molto vario (con temi
astratti, pinakes ovvero quadretti campestri
o cittadini, argomenti mitologici, ecc.). Nella cassa di questo sarcofago essa
è realizzata diversamente rispetto alle precedenti ma sempre in modo molto
fantasioso. Infatti, nessuno potrebbe
pensare che dietro questa scenetta di
un lupo che assale (10), combattuto da due persone e da altre
due che ‘sostengono’ e ‘difendono’, possa celarsi una formula scritta con
immagini che rendono fonetica. Il tema è alquanto sofisticato perché esso tende,
come avviene in altre sculture (si veda più avanti) a dare contemporaneamente,
senza specifiche aggiunte d’immagine, sia l’ideografia sia l’acrofonia. Attraverso il solito schema,
vediamo come:
- prima persona: idgr.: solleva (qualcosa)
- seconda persona: idgr.: tende, protende la lancia
- seconda persona: idgr.: uccide il lupo
- terza persona : idgr. : solleva la scure
- quarta persona: τιτάινει : idgr.: tende, protende la lancia
- quarta persona: idgr.: abbatte, uccide il lupo
Quindi
la lettura sarà: doppia difesa e del padre e della madre
Quinto esempio (mito di
Atteone):
fig. 7. Urna da Volterra (Museo Guarnacci). |
La
lettura acrofonica, da sinistra verso destra e da destra verso sinistra, è: e del padre e della madre. In pratica, anche se con immagini
differenti (una è una scenetta venatoria (?) e l’altra una scena mitologica) si
ottiene lo stesso
identico risultato della cassa precedente. Anche la lettura ideografica avviene
in maniera identica, stante il doppio ‘sostegno’,
il ‘soccorso’, o meglio, la ‘difesa’ di
due persone.
Il mito di Atteone (11) è celeberrimo. E’ stato in ogni tempo,
come si sa, fonte di ispirazione per la letteratura, la scultura, la pittura. Il
dramma del giovane sbranato dai cani di Artemide è preso in prestito per
ottenere, sempre attraverso lo stesso schema, la solita formula in lingua etrusca:
- primo personaggio : idgr: aiuta, sostiene, difende Atteone.
- Atteone: idgr.: distende il braccio con la scure.
- primo cane: idgr.: strazia, fa a pezzi Atteone.
- cane: κόπτει: idgr. strazia, fa a pezzi Atteone.
- Atteone: idgr. : distende la mano sulla testa del cane.
- secondo personaggio: idg.: aiuta, sostiene, difende Atteone.
La lettura è dall’esterno verso l’interno, da sinistra
verso destra e da destra verso sinistra
Sesto esempio (la doppia scure)
La lettura acrofonica,
partendo dall’alto verso il basso, è: e del
padre e della madre/e della madre e del padre
- il demone (Scilla): idgr. : solleva l’ala destra.
- il demone (Scilla): idgr. : distende l’arma con la destra.
- il demone (Scilla): idgr.: curva la coda destra.
- il demone (Scilla): idgr.: solleva l'ala sinistra.
- il demone (Scilla): idgr : distende con la mano sinistra.
- il demone (Scilla): idgr. curva la coda destra.
Quella
ideografica invece sembra essere data dalla bipenne. Quindi doppio sostegno (12)
Settimo esempio
(Cavallo all’asta).
fig.9. Pittura tombale da Cerveteri |
Questo settimo esempio è tratto da una
‘lastra’ del mercato clandestino, recuperata in Svizzera. La pittura
apparteneva sicuramente ad una parete di una camera di una tomba della
necropoli di Cerveteri. La scenetta a prima impressione potrebbe fornire l’idea
che ‘l’acquisto del cavallo’ alluda al
fatto che il titolare della tomba fosse un appassionato di cavalli e che quindi
in essa ci sarebbe la celebrazione del ricordo di un hobby del defunto. Cosa che potrebbe anche essere. Ma il motivo
vero (più importante) della pittura è dato, secondo noi, dal fatto che, ancora una volta, lo scriba
pittore etrusco si è servito del solito schema e della solita convenzione per
esprimere non solo con il decoro e il simbolo (come si è detto all’inizio) ma
anche con il suono (fonetica) la consueta formula (parte della formula, come si
vedrà) della salvezza apa c ati c.
- cavallo: idgr.: solleva la gamba.
- garzone. idgr.: distende la corda.
- garzone. idgr. stringe la corda
- acquirente : idgr.: stringe un anello (o una corda arrotolata)
- acquirente: idgr. tende la mano a Mercurio (13).
- persona: idgr.: invoca, chiama, porta a testimone il dio del commercio (14).
Gli esempi da
produrre circa l’aspetto ideografico e acrofonico delle scritte dei sarcofaghi
(e delle urne) sarebbero tantissimi ma pensiamo che questi siano sufficienti
per confermare la validità dello schema. Tuttavia ne produciamo un ottavo,
bellissimo anche da punto di vista artistico oltre che chiarissimo ai fini
della simbologia e della fonetica. Si tratta del noto ‘cane calustla’ (15),
custodito nel British Museum, un bronzetto di significato apotropaico facente
sicuramente parte di un sontuoso ‘corredo’
funebre etrusco. E’ un particolare ‘cane’ - per non dire strano perché grottesco - con tre segni o aspetti evidenti ed
indiscutibili: la testa (il muso) sollevata, la zampa distesa
ed il sesso notevolmente curvo (16).
Ottavo esempio ( Il cane ‘calustla’).
fig.10. Bronzetto scritto del Museo Nazionale di Firenze |
La parte acrofonica è chiaramente data dai tre
aspetti suddetti della bestia e dall’ideografia suggerita dalla stessa voce cane.
- idgr. Solleva la testa (adlevat)
- idgr. stende la zampa (pandit)
- idgr. curva il sesso (curvat)
- idgr. solleva la testa ( άίρει)
- stende la zampa (τιταίνει)
- curva il sesso (κάμπτει)
Quindi con l’aggiunta dell’ideogramma (17) ‘cane’ la lettura sarà :
aiuto (soccorso, sostegno, difesa) e del padre e della madre. L’oggetto
quindi possiede due scritture: quella lineare insistente sul fianco sinistro
dell’animale e quella metagrafica .
Quest’ultima, indirettamente,
consente di capire la prima e cioè che i nove
caratteri dell’alfabeto etrusco, con il primo a destra seguito da puntazione,
riportano il nome del titolare (defunto) del bronzetto.
La voce CALUSTLA potrebbe
condurre al nome della divinità Calu, un demone, rappresentato nell’iconografia
etrusca sotto la forma di un lupo, associato al momento del passaggio del
defunto verso l'aldilà. Il nome CALU lo si riscontra in alcune iscrizioni
etrusche come ad esempio quella orvietana di TINIA CALUSNA. Il suffisso sarebbe
composto da ‘S’ (genitivo) e ‘TLA’
(forma aggettivale). La lettera ‘S’,secondo alcuni, potrebbe costituire
l'abbreviazione del nome etrusco S(ethre).
Quindi Sethre, stante la formula, non
può essere l’offerente alla divinità CALU (anche perché nella scritta non
compare il verbo della dedica). E meno ancora è da accettarsi l’ipotesi che ‘
Sethre Calusna è di CALU’ e cioè che ‘ è ormai defunto’. L’iscrizione va intesa
invece come quella di un comune sarcofago dove il nome è indicatore dell’identità del defunto; nome
però preceduto (o seguito) dalla topica formula salvifica ‘sostegno’ (o ‘doppio
sostegno’) della luce e del padre e della madre’. Il bronzetto cortonese è
quindi, come si vede, uno di quelli che
meglio permette, con la sua icastica efficacia, con la ‘sottolineatura’ evidente dei tre aspetti e - si direbbe - anche con la sua ‘stranezza’, di
capire la scrittura metagrafica a rebus
presente nell’etrusco. Una scrittura (ripetiamolo ancora una volta) che va al di là del modo consueto o ‘normale’
di realizzare scrittura. Infatti,il suono non lo si ottiene solo per
convenzione alfabetica di segni standard, come sono ad esempio quelli incisi
sul fianco del cane, ma anche per altre
vie convenzionali (già scoperte e sperimentate da tanto tempo nella storia
della scrittura) come possono essere gli ideogrammi aspettuali che offrono
l’acrofonia oppure i numeri che rendono parole (18).
Ma la scritta in
caratteri lineari S: CALUSTLA sul simpatico cagnetto non esaurisce il suo
significato nell’indicare ‘solamente’ il nome del titolare del bronzetto. Infatti,
pensiamo che in essa vi sia ancora dell’altro di significativo che attiene
all’organicità della magia del documento riguardante la salvezza ‘certa’ del
defunto. Pensiamo cioè che la lettura non sia affatto finita.
(continua).
Note e indicazioni bibliografiche
1. Sanna G. 2017. Scrittura metagrafica dei sarcofaghi etruschi Le varianti ideogrammatiche. Fantasia e organicità ; in Maymoni Blogspot. com (8 febbraio). 2. Sanna G., 2016, I geroglifici dei Giganti, PTM ed Mogoro, passim.
3. Sulla presenza di ‘tre’ lingue (latino, greco, etrusco) v. Sanna G., 2014, Stele di Avele Feluskes. I nobili etruschi figli di Tin e di Uni. Scrittura e lingua dei documenti funerari. L'acrofonia sillabica e non, la numerologia e la chiara dipendenza dell'etrusco dal nuragico (II), in Monte Prama blog (28 novembre); idem, 2014, I 'dadi enigmatici' (kύboi loξoί) di TIN e di UNI. Il gioco combinatorio circolare delle 'parole-immagine a contrasto' e dei 'numeri alfabetici' dei dadi di Vulci; in Monte Prama blog (8 novembre); idem, 2015, CERVETERI. L'iscrizione (IV secolo a.C.) del cosiddetto Pilastro dei Claudii. LARIS AVLE LARISAL figlio di TIN/UNI. Il linguaggio dei numeri nuragico ed etrusco. I documenti di Crocores di Bidonì e di Nabrones di Allai (III) ; in monte Prama blog spot (11 gennaio).
4. Per le immagini
raffigurate spesso si può parlare di ‘specularità’ ma per il prodotto acrofonico, a motivo della
differenza delle due sillabe PA/TI, solo di simmetria.
5. L’interscambiabilità
allude evidentemente al fatto che la coppia TIN /UNI è costituita dal maschio e
dalla femmina contemporaneamente. In una sola entità divina coesistono due ‘persone’ diverse.
Questo essere uno e due contemporaneamente è reso (foneticamente e non solo per
scopi simbolici) dai noti prodotti artistici dell’arte etrusca di TIN (sempre
barbuto) e Uni ‘siamesi’, cioè con le teste unite disposte di profilo. Anche
l’oggettistica (amuleti) presenta il motivo topico del ‘bifronte’ , anch’essa
con funzione scrittorio - linguistiche e non solo ornamentali.
6. G. Carducci, Davanti a San Guido (Rime nuove): I cipressi che a Bolgheri alti e schietti/
van da San Guido in duplice filar/ quasi in corsa giganti giovinetti… I cipressi, come si sa, sono alberi che
caratterizzano spesso il paesaggio delle necropoli antiche e degli odierni
cimiteri.
7. Lo scriba - artigiano non
perde certo l’occasione circa la presenza di detti ‘chiodi’ e con il loro
numero (spesso articolato anch’esso a rebus) aggiunge ulteriore senso alla
scultura della cassa o al disegno della tomba. Si tenga presente che in ciò è
agevolato dal fatto che il punto in etrusco corrisponde, così come nel nuragico
(Sanna G., 2016, I geroglifici dei
Giganti. Introduzione allo studio della scrittura nuragica, PTM ed. Mogoro,
5, pp. 113 - 131) al numero uno.
8. Lo schema frontale degli animali (ma con soggetto i leopardi) si trova anche in una nota pittura di una delle tombe della necropoli di Tarquinia (fig.5). La pittura messa a confronto con il motivo del nostro sarcofago è assai interessante ai fini della scrittura ideografica acrofonica perché le tre acrofonie sono date dalla variante della coda ‘abbassata’ e non arcuata e dai due animali non ‘distesi’ ma ritti. Resta sempre il motivo APA C ATI C, ma l’acrofonia sillabica e consonantica è resa dall’ideogramma ‘zampa tesa’ (lat. pandĕre, gr. titaίnein) e dall’ideogramma ‘coda abbassata’(lat. considĕre - gr. katabάllein).
8. Lo schema frontale degli animali (ma con soggetto i leopardi) si trova anche in una nota pittura di una delle tombe della necropoli di Tarquinia (fig.5). La pittura messa a confronto con il motivo del nostro sarcofago è assai interessante ai fini della scrittura ideografica acrofonica perché le tre acrofonie sono date dalla variante della coda ‘abbassata’ e non arcuata e dai due animali non ‘distesi’ ma ritti. Resta sempre il motivo APA C ATI C, ma l’acrofonia sillabica e consonantica è resa dall’ideogramma ‘zampa tesa’ (lat. pandĕre, gr. titaίnein) e dall’ideogramma ‘coda abbassata’(lat. considĕre - gr. katabάllein).
9. L’idea di ‘forza’ qui sembra ottenersi attraverso il ‘quattro’
ovvero dal ‘doppio’ dei cuccioli di leone che si trovano distesi in ciascuna
delle due parti da cui è formato il sarcofago. Così come nel nuragico, il
quattro o il quadrato rendono numerologicamente la voce ‘ forza’. Forse sarà
bene anche il sottolineare che il doppio
di questo sarcofago non è dovuto, come spesso si dice e si scrive, a motivi
tecnici circa la costruzione di esso, ma a motivi scrittori e simbolici. La
simbologia della divinità doppia androgina
etrusca, ovvero del ‘doppio in uno’ di TIN e UNI, è qui molto scoperta. Due
sono le casse, due gli animali (maschio e femmina), due infine le ‘coppie’
delle piccole pantere. Anche la iterazione del ‘due’ non è senza significato in
quanto il numero ‘tre’ che ne risulta è
il numero sacro perché costituisce l’essenza della divinità. In quanto tale esso
è il ‘numero’ che risulta quasi sempre il più nascosto sia che sia ‘scritto’ da solo sia che
concorra a formare con altri ‘tre’ il frequentissimo numero ‘sei’ (il doppio
del ‘tre’, cioè TIN/UNI) sia il ‘dodici’ (la luce) cioè la manifestazione
luminosa solare - lunare che accomuna
(rende ‘una’) l’essenza delle due divinità etrusche. Pertanto bisogna tener
sempre presente che i sarcofaghi e le
urne etrusche sono tutte connotate numerologicamente onde rafforzare la magia con
scopo salvifico del/della defunto/a.
10. Altre casse di sarcofaghi,
come quella di Chiusi, hanno la variante del ‘cinghiale’ che assale. Ai fini
acrofonici però ciò ha poca importanza perché non è l’acrofonia dell’animale
che interessa ma solo quella dell’idea che esso suggerisce con la sua azione
e/o il suo comportamento. Nel nuragico semitico avviene la stessa cosa (v.
Sanna G., 2016, I geroglifici dei
Giganti. Introduzione allo studio, ecc. cit. cap. 10, pp. 218 - 219).
11. Secondo il mito, nel
corso di una battuta di caccia, Atteone provocò l'ira di Artemide quando essa venne sorpresa all'ombra della selva Gargafia dal
giovane cacciatore mentre faceva il bagno insieme alle sue compagne. Il caldo
estivo, infatti, aveva indotto la dea a riporre le vesti e a rinfrescarsi
interrompendo la caccia. Artemide, per impedire al cacciatore di proferir
parola intorno a quello che aveva visto, trasformò il giovane in un cervo spruzzandogli dell'acqua
sul viso. Atteone si accorse della sua trasformazione solo quando, scappando,
giunse a una fonte, dove poté specchiarsi nell'acqua. Intanto il cacciatore venne
raggiunto dalla muta dei suoi 50 cani, resi furiosi da Artemide, i quali, non
riconoscendolo, sbranarono il loro padrone. I cani, una volta straziato e divorato
Atteone, si misero alla ricerca di esso per tutta la foresta, riempiendola di
dolorosi lamenti. Più tardi giunsero nella caverna di Chirone il quale, stando
ad una delle numerose leggende riguardanti il mito, donò loro un'immagine di Atteone onde
attenuare il loro dolore. In molti casi le immagini che
raffigurano la vicenda mitologica sono caricate di ulteriori significati, anche
tramite l’introduzione di personaggi secondari rispetto al racconto. In questo
caso Atteone è difeso da due
personaggi maschili, uno giovane e l’altro anziano, che stringono nella mano
quello che sembra essere un
‘certificato’. Risulta abbastanza chiaro
che qui si vuole alludere al fatto che Atteone di ‘certo’, anche se straziato
dai cani, rinascerà e la sua ‘immagine’, come nel caso dell’intervento pietoso
di Chirone, non morirà. Siamo sicuramente di fronte ad una variante del mito
riguardante lo sfortunato cacciatore divenuto da predatore preda. Ma è una
variante importante ‘foneticamente’ per lo scriba che compone l’urna per via
dell’allusione alla doppia difesa di
chi è morto; ovvia allusione al ‘soccorso’ del
defunto, titolare dell’urna cineraria,
da parte di Tin e e Uni.
12. Si sa che la
bipenne è arma luminosa che simbolizza il fulmine di Tin e quello di Zeus.
Nella ‘religio’ etrusca però la potenza della folgore è attributo sia di Tin
che di Uni. Come si vedrà in seguito nelle sculture e nelle pitture tombali, la
bipenne è chiara espressione del doppio divino androgino. Se così è, l’atto della rinascita per la luce e con la luce
è dato attraverso la forza, l’energia della coppia astrale celeste
sole -luna. Si tenga presente ai fini di una maggiore comprensione dei simboli
del sarcofago che la bipenne (la scure) è simbolo ambivalente: di distruzione e di morte ma anche di salvezza
e di vita (V. Chevalier J.- Gheerbrant A., 1982, Dictionnaire
del symboles, ed. Laffont, Paris, vc. hache,
p. 494: ‘l’ambivalence fonctionelle
devient totalement matérialisée avec la hache à double tranchant, qui est à la
fois destructrice et protectrice’). E’
appena il caso di far notare, a questo punto, che anche le casse dei sarcofaghi
e delle urne riportano ideograficamente lo stesso motivo, con scopi fonetici e linguistici, dei
coperchi. C’è tuttavia da sottolineare una certa differenza: in questi ultimi l’aiuto
è reso quasi sempre, da quanto ci risulta, con l’immagine topica del ‘doppio cuscino’. Il
valore preciso è quindi quello di ‘sostegno’. Nelle casse invece, dove non sempre si registra una banale ripetizione ideografica
del coperchio, si nota spesso una leggera ma significativa variante perché l’aiuto può manifestarsi nella ‘difesa’ e nella ‘sicurezza’.
L’allusione, con ogni probabilità, va ricercata nel fatto che il defunto, prima
di poter raggiungere le sponde della luce, dovrà affrontare, nel tragitto
‘infernale’, insidie e grosse difficoltà. Nella scritta a rebus dell’àncora doppia di Tarquinia (Sanna G.,
2016, Tarquinia.
L’ancora della salvezza e il sostegno della luce di TIN /SOLE e di UNI /LUNA.
Il greco - cipriota? Non c’entra nulla. Semmai il semitico nuragico di
Barisardo, in Maymoni blog (15
dicembre)) è presente sia il motivo del ‘sostegno’ che della
‘sicurezza’ offerti da parte delle due divinità luminose, Tin e Uni, perché i defunti possano salvarsi e pervenire alla luce.
13. V. nota seguente.
14. Questa e altre interpretazioni potrebbero essere, talvolta, soggette a fraintendimenti, ragion per cui ci
può essere un ideogramma con esito verbale
poco o molto differente. Ma ciò, come si può capire, ha relativa importanza perché
se si individuano gli aspetti sillabici acrofonici (PA/TI) il resto
dell’espressione formulare viene di conseguenza. Lo schema VOC + SILL + CONS o
viceversa CONS + SILL + VOC può essere
un po’ difficile da individuare nell’ordine in cui è stato realizzato dallo
scriba attraverso le immagini, ma la formula con i soliti sei punti di decifrazione resta sempre la stessa. Chi avrà la
pazienza di esaminare i tanti sarcofaghi e le urne cinerarie etrusche noterà
che spesso l’autore della scultura del sarcofago si diverte ad arricchire il ‘testo’ tanto da dare l’impressione che possa esserci
dell’altro di scritto. In realtà così non è. Ad esempio tre, quattro o cinque
personaggi in più possono dare l’idea della presenza di dati acrofonici
maggiori rispetto a quelli canonici. Ma è solo un’impressione perché essi tutti
rendono collettivamente un solo verbo (ad
es. accompagnare, aiutare, invocare, ecc.) e quindi una sola acrofonia.
15. CIE 455/TLE 642. Statuetta in
bronzo di cane, origine: Cortona (Museo
Archeologico Nazionale di Firenze). Sul lato, un'iscrizione etrusca:
S:CALUSTLA.
16. Anticipiamo qui che lo schema vocalico - sillabico - consonantico dei sarcofaghi, delle urne e delle pitture parietali è dato spessissimo dalle voci sollevare - distendere - curvare. Persino in delle scene falliche che noi giudicheremmo ‘scabrose’ o ‘spinte’ (soprattutto nella pittura).
16. Anticipiamo qui che lo schema vocalico - sillabico - consonantico dei sarcofaghi, delle urne e delle pitture parietali è dato spessissimo dalle voci sollevare - distendere - curvare. Persino in delle scene falliche che noi giudicheremmo ‘scabrose’ o ‘spinte’ (soprattutto nella pittura).
17.
Qui avremmo dunque solo ‘sostegno’ e non ‘doppio sostegno. Potrebbe essere però
che il ‘doppio sostegno’ (come si
verifica spesso per i bronzetti sardi) fosse dato da una base doppia che componeva il tutto e il tutto rendeva organicamente
scritto; base che forse è andata dispersa a motivo dello scempio del
‘tombarolo’ interessato forse ad ottenere più guadagno da due oggetti offerti
singolarmente e non da uno solo integro.
18. V. Sanna G., 2017, Scrittura metagrafica dei sarcofaghi etruschi. Le varianti ideogrammatiche, ecc. cit.. Stessa scrittura ‘con’
o metagrafica si trova (non ci stancheremo mai di ripeterlo) nei bronzetti apotropaici sardi nuragici, persino
con identico soggetto come può essere quello del cane (v. Sanna G., 2016, I geroglifici dei Giganti. Introduzione, ecc.
cit. cap. 10, p. 218).
Poiché ritengo di essere io "l'amica risanata" ringrazio sentitamente! Per non preoccupare nessuno dirò che ero un pò in ansia per un piccolo intervento, ma è andato tutto benissimo e mi sono risanata a tutto sprint-anche troppo alla svelta.
RispondiEliminaAdesso sono un pò in ansia per il "continua" e per la lettura non finita di quel canide superdotato. Vediamo come va avanti.
Beh, il più è stato detto. Ma le due scritte sono complementari e 'giocano' assieme. Il metagrafico e il lineare, a mio giudizio, sono una realtà. Una bella realtà. Vedremo chi sarà capace di infirmarla.
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RispondiEliminaSembra complicato? Non lo è. Il rebus è rebus. Facevano di tutto per renderlo incomprensibile. Questo che vede è niente rispetto,ad esempio, rispetto al rebus metagrafico della tomba del Tuffatore di Cerveteri. Ma perché si possa capire la mentalità antica non mi rifarò ad esempi né del nuragico né dell'etrusco. Conosce la famosissima poesia di Catullo sui mille e mille baci per Lesbia? ....''Quando ce ne saremo dati migliaia e ancora migliaia 'conturbabimus' illa ne quis malus 'invidere' possit''. Ecco, il 'conturbare' il non lasciare in un ordine accessibile, il rendere inestricabile. Lasciare che sia tutto un bel punto interrogativo per chi può capire e interpretare. Eppure lì si parla di baci che vanno nascosti il più possibile. Immaginiamoci quando si parla di morte e di rinascita. Ma forse non ha calcolato, caro Pintus, nella giusta misura quello che abbiamo detto ad abundantiam: che questi rebus nella scrittura sono una cosa vecchia. Molto vecchia e per nulla strana. Gli Egiziani li usavano qualche millennio prima dei nuragici e degli Etruschi. Una cosa, comunque va detta (e l'ho detta): che il rebus può essere soggetto a fraintendimenti soprattutto quando sono costituiti da molti significanti. Non si prendano le mie letture come oro colato. Ma le formule sono formule e prima o poi se ne viene a capo. Ma c'è una condizione: che si accetti che ci sono i rebus e li si tratti come tali. E non si dia loro tregua. Un' ultima cosa, Pier Giuseppe: lei non 'scoccia' affatto. Sarebbe bello però che lei, dopo tutte le perplessità, mi (ci) aiutasse a spiegare il significato di tutti quei 'sollevare, distendere, curvare'. Che significano quegli aspetti in un cagnetto o nella Chimera. E non so, perché essi sono presenti, manifestamente presenti, nei dipinti, nei sarcofaghi, nelle urne, negli oggetti apotropopaici. Insomma in tutti i manufatti dell'arte funeraria etrusca. Sull'indifferenza di quelle divinità che vengono chiamati 'padre e madre' (babbo e mamma)lascio a lei il meditare un po'.
RispondiEliminaUna domanda. Perché 'ora' questo post a commento in un articolo 'superato' da altri due? Infatti, le prove sull'assunto continuano e continuano (e continueranno) proprio per fugare le perplessità e i dubbi altrui. Quelli che qualsiasi normale ricercatore mette sempre in conto. Se ha un minimo di sale in zucca.
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EliminaHo capito. Mi sembrava strano. Vorrei ricordarle due cose circa le sua perplessità di carattere linguistico: il vocabolario dell'etrusco è composto 'stranamente' da un lessico di 'tre' lingue. Lo si nota solo sfogliandolo. Le 'tre' lingue sono imposte dall'ossessione dei nuragici e degli etruschi quando scrivevano sul sacro. Bisognava rispettare il 'tre' il più possibile perché il tre è Dio. I bellissimi sigilli di Tzricotu, contestati da persone per nulla esperte di epigrafia arcaica e superficiali, sono un inno al tre, sono piene come un uovo di 'tre'.
RispondiElimina'Inventiva'? Qualcuno per denigrarmi la chiama 'fantasia'. Ma senza di essa un ricercatore è bene che vada a piantare patate perché quelle poi può ricercare con profitto. Di ricerca scientifica 'fantasiosa' parlava anche Gramsci, sia pur con parole diverse.